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Autore: Fata_Morgana 78    21/03/2018    2 recensioni
Al mondo tutti meritano una seconda possibilità, anche quelle persone che... dopo aver abbracciato per anni il buio, credono di non avere nessun diritto ad essere felici... La seconda possibilità, per avere una vita felice, per Severus Piton potrebbe chiamarsi Clarice Johnson una sua ex studentessa Serpeverde... Una cosina piccola, piccola per la Festa della Donna...
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Seconda Opportunità'
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Il viaggio con la passaporta fu rapido e indolore, Piton fu l’unico ad atterrare in piedi nel cortile della Scuola e, con un ghigno serafico, osservò gli studenti che l’avevano accompagnato.
- Signore. – parlò Harry aiutando Ginny ad alzarsi – Chi era quella donna, perché siamo andati là?
- Non sono cose che ti riguardano, Potter. – rispose gettandogli un’occhiata sprezzante – Tutto ciò che ti è concesso sapere è che lei gestisce il miglior negozio di rifornimenti di ingredienti per Pozioni.
- E quel bambino? – si azzardò a chiedere Hermione.
- È suo figlio. – rispose di getto l’uomo – Non vedo come essere una madre infici negativamente sul suo lavoro.
- La domanda può essere lecita, signore. Non posso credere che lei non abbia notato che le assomiglia! – borbottò offesa la Granger.
- Se lo dice lei. – si strinse nelle spalle – Adesso fate fluttuare queste casse nell’aula. Weasley, Potter, senza rompere niente; altrimenti subirete la mia ira! – gli puntò il dito contro e i due migliori amici ingollarono a vuoto alcune volte. E, senza aspettare una risposta, si smaterializzò nel suo nuovo ufficio, sfruttando i nuovi poteri che essere il Preside di Hodwarts gli dava.
Non appena varcò la soglia del proprio ufficio, notò un Patronus acciambellato sul tappeto davanti alla scrivania; sobbalzò: cosa ci faceva un Patronus lì? E, soprattutto, di chi poteva essere? Lui, non conosceva nessuno che avesse per Patronus un lupo siberiano.
Il Patronus, voltò il muso regale nella sua direzione e, alzandosi con un movimento fluido, lo raggiunse parlando con la voce di Clarice:
- Ti aspettiamo per le venti in via delle Radici 27, non tardare per favore.
- Sarò puntuale, grazie. – rispose il Preside della Scuola osservando il Patronus correre via fino a scomparire; poi, passandosi una mano sul viso stanco, raggiunse la scrivania.
Era quasi l’ora di pranzo, ma lui non aveva voglia né di mangiare né di essere assalito dalle domande curiose dei suoi colleghi/sottoposti che volevano sapere cose di cui lui non si sentiva ancora pronto a parlare.
- Allora mio caro ragazzo. – parlò il ritratto di Albus facendolo sobbalzare – Hai trovato le risposte che stavi cercando? – domandò con un sorriso.
Il Pozionista e Preside della Scuola si girò verso il muro e, fissando i suoi occhi neri in quelli chiari dell’uomo sul dipinto, rispose:
- Ho trovato altre domande. E una “sorpresa”.
- Dovrebbe avere intorno ai sette anni. – annuì Albus battendosi un dito sul viso, pensieroso.
- Tu sapevi del bambino allora. – bofonchiò Severus.
- Avevo fatto un giuramento, ragazzo mio. – mormorò dispiaciuto – Non sono mai stato tipo da infrangere i giuramenti. Ma, adesso, sono morto. E tutto è decaduto. – sorrise.
- E i miei guai sono aumentati. – ringhiò sbattendo un pugno sul tavolo con rabbia – Non basta tutto quello che ho sofferto. Tutte le cose orribili che ho subito e dovuto far subire alle persone. Non basta tutto quello che ho fatto per proteggere il figlio di Lily e…
- James, Severus. Non dimenticarlo.
- E come potrei? – sbottò sgonfiandosi come un palloncino bucato – Assomiglia così tanto al padre che me lo ricorda ogni giorno.
- Ma non sei arrabbiato con me per questo, vero? Non perché ti ho chiesto di proteggere un bambino innocente. Di formarlo per affrontare un pazzo che voleva ucciderlo e soggiogare l’intera umanità.
- Non sono arrabbiato per quello, no. – ammise massaggiandosi stancamente i seni nasali – La Guerra è finita. Voldemort è stato sconfitto. Harry è un eroe e, grazie a lui, molti nomi infangati sono stati riabilitati. – fece un mezzo sorriso – Compreso il mio. La cosa che mi ferisce è aver scoperto solo dopo la tua dipartita che io ho un… - non terminò la frase, perché la porta del suo ufficio si aprì, lasciando entrare il Golden Trio.
- Professor Piton? – lo chiamò Harry facendo un passo avanti.
- Potter. Weasley. Granger. Quale vento di sventura vi conduce da me? – chiese con un sospiro stanco.
- Abbiamo terminato di trasportare le casse nell’aula di Pozioni, signore. – spiegò Hermione.
- Abbiamo pensato di aiutarla mettendo a posto alcuni ingredienti. – continuò Ron – Dentro una delle casse abbiamo trovato queste. – gli passò alcune pergamene.
- Scommetto che le avete lette, vero? – domandò alzando un sopracciglio l’uomo.
- È solo il riepilogo delle cose presenti nelle scatole, signore. – si strinse nelle spalle Harry.
- La signorina Prince è molto brava. – sorrise Hermione – E dannatamente precisa.
- Ex alunna. Ex Serpeverde. – spiegò Albus facendo capolino nel quadro.
- Professor Silente, salve. – lo salutarono quasi in coro i tre Grifoni, Severus alzò teatralmente gli occhi al cielo; poi chiese loro se avessero bisogno di altro e, quando scossero la testa, li congedò. Non aveva voglia di parlare con nessuno, soprattutto non con loro.
Gli studenti, uscirono dall’ufficio del nuovo Preside che, prima che la porta si chiudesse alle loro spalle, disse:
- Per l’ottimo lavoro svolto, dieci punti a Grifondoro. – poi chiuse loro la porta in faccia, ma rise davanti alle loro espressioni sorprese.
Il resto della giornata, trascorse lento e esasperante. Severus tenne alcune lezioni, degli studenti fecero scoppiare le loro pozioni; assegnò detenzioni e tolse punti a tutte le case tranne alla sua amata Serpeverde poi, dopo l’incontro con il corpo insegnanti, si ritirò nei suoi appartamenti per prepararsi per la serata.
Non l’avrebbe ammesso neanche sotto cruciatus, ma quell’incontro con la sua ex-alunna e loro figlio lo agitava. Era nervoso e sperava di non rovinare tutto con il suo carattere antipatico e saccente.
- Hai pensato ad un dono da portare loro, caro ragazzo? – domandò Albus comparendo nel quadro di un altro ex Preside che era vicino alla porta della sua camera da letto.
- Regalo? Perché, signore, dovrei portare un regalo alla donna che ha nascosto per sei anni la presenza di mio figlio nel mondo? – ripeté l’uomo uscendo dalla camera, si era fatto una lunga doccia ed aveva avuto il tempo di indossare solo i boxer puliti. Le signore presenti nei quadri, pigolarono commenti piccanti arrossendo deliziosamente.
Ascoltando le parole degli ex Presidi presenti nei quadri, lui mandò la testa di lato dicendo:
- Non porterò nessun regalo. Almeno non stasera a questa prima cena. – ribatté serrando le labbra in una linea dura, in quel momento incolpava sia Harry sia Voldemort per aver perso i primi sei anni di vita del figlio: se loro non ci fossero stati, se la guerra non fosse stata una Spada di Damocle sulle loro teste, forse le cose tra lui e Clarice sarebbero potute andare diversamente.
- Adesso non cercare scuse per nasconderti ancora, Piton. – lo sgridò con dolcezza Albus – Sia tu sia la ragazza, avete fatto delle scelte incontrovertibili. Non necessariamente condivisibili. Tu hai messo a repentaglio la tua vita per mantenere una promessa. Lei è scomparsa perché temeva che se tu avessi scoperto la verità, avresti rinunciato a tutto. Compresa la tua vita.
- Quello che non capisco è perché, finita la guerra, lei non mi ha cercato. Perché?
- Questo non devi chiederlo a me, Severus. – scosse la testa l’ex Preside – Non posso risponderti. Sono solo un quadro incantato. Durante la guerra, ho avuto pochissimi contatti personali con Clarice. – spiegò.
- Spero di riuscire a mantenere la calma per parlare con lei.
- Lo farai. Tu e Clarice avete un carattere molto simile. Se tu inizierai ad urlare contro di lei, mostrando il tuo caratteraccio, lei si chiuderà in difesa. Corri il rischio di farla scappare ancora.
- Non voglio che scappi ancora. – scosse la testa nera l’uomo e storse la bocca, chiudendosi in camera da letto per vestirsi.
Prendendo un paio di paio di pantaloni neri dal taglio classico, una camicia slim color ghiaccio che metteva in risalto i suoi muscoli e la giacca nera, elegante, abbinata ai pantaloni e si vestì. Non voleva indossare abiti troppo eleganti ma non voleva neanche andare vestito troppo causal. Quell’abbigliamento lo faceva sentire sicuro ed elegante al tempo stesso.
Dopo un’ultima occhiata allo specchio e dopo aver sistemato i capelli e la barba con la magia, il Preside uscì dalla sua camera a grandi passi. Per tutto il tempo, aveva immaginato molti scenari su come sarebbe potuta andare la serata con Clarice e Daniel, ma nessuno degli scenari concepito con la fantasia riuscì a soddisfarlo o farlo stare sereno. Andando a prendere alcuni dei ricordi che teneva nella stanza del pensatoio, il Pozionista guardò il pendolo che teneva in ufficio e vide che erano già le sette di sera.
Camminando nervosamente per la stanza, il Pozionista andò a controllare alcune pozioni che stavano bollendo a fuoco molto basso nel suo laboratorio e, a cinque minuti alle venti, si smaterializzò nella via dove abitavano Clarice e Daniel usando il suo camino.

Mentre le campane suonavano otto rintocchi, Severus raggiunse la casa che gli aveva indicato la ragazza con il suo Patronus. La casa era a due piani, aveva le pareti esterne color pervinca; una porta di legno al naturale, il tetto spiovente con tegole perfettamente distribuite ed un comignolo dal quale usciva un sottile filo di fumo. Dalla casa, proveniva una musica allegra che fece spuntare un sorriso sulle labbra di Severus: quelle erano le canzoni che canticchiava sempre Clarice quando erano insieme e dipingeva.
L’uomo si prese alcuni secondi per ammirare la via e il retro della casa, dove faceva bella mostra di sé un giardino ben curato. Un gatto nero saltò sulla staccionata dipinta dello stesso colore della casa, facendolo sobbalzare.
- Gatto! – parlò guardandolo – Non è buona educazione spaventare le persone.
Il gatto miagolò annoiato, poi si allontanò sculettando sinuoso. Il Pozionista, sospirando, lo seguì fermandosi davanti alla porta chiusa dove bussò con un colpo secco e sicuro.
La musica all’interno della casa si acquietò, il Pozionista sentì dei passi provenire dal piano di sopra e la voce annoiata di Daniel dire:
- Vado io mamma.
- Grazie amore. – rispose Clarice da quella che Severus immaginava fosse la cucina.
Daniel aprì la porta e si fermò ad osservare, dal basso verso l’alto, l’uomo fermo sulla soglia che aspettava di poter entrare in casa; perdendosi a contemplarlo, curioso di vedere se lui avrebbe abbassato lo sguardo per primo com’era successo ad altri uomini che avevano tentato di corteggiare sua madre nel corso degli anni. Severus era abituato a sostenere ogni tipo di occhiata e, con un sorriso serafico sul viso, ricambiò lo sguardo curioso del bambino; studiandolo, riempiendosi gli occhi e il cuore di lui che non aveva potuto vedere prima.
- Danny! – la voce di Clarice li fece sobbalzare entrambi e, all’unisono puntarono i loro occhi su di lei che si ritrovò squadrata da quattro paia di occhi così diversi eppure così simili – Che fine hanno fatto le tue buone maniere? – continuò la strega con un sorriso, la voce solo un po’ incerta mentre guardava Severus.
- Scusa mamma. – biascicò il bambino e il Pozionista sobbalzò sentendo in lui lo stesso tono strascicato che usava durante le lezioni.
- Accomodati Severus. Daniel “abbaia ma non morde”. – sorrise.
- La stessa cosa non la si può dire della sua mamma. – mormorò il Pozionista a bassa voce nell’orecchio di lei. Clarice sgranò gli occhi rabbrividendo, la mente invasa dai ricordi di loro mentre facevano l’amore e di quanto a lei piacesse “marchiarlo” e morderlo dove poteva.
- Severus! – ansimò sentendo le guance andare a fuoco.
- Mamma, stai bene? – domandò Daniel sghignazzando – Sei diventata rossa, rossa. Hai la febbre?
- No. – gli fece la linguaccia – Accomodati Severus, - continuò – la cena è pronta, finisco di apparecchiare.
- Vuoi aiuto? – domandò.
- Se non ti scoccia. Danny, aiuti anche tu?
- Sì. – annuì il bambino precedendoli in cucina.
- La tua casa è molto graziosa. – notò il Pozionista guardandosi intorno.
- Grazie. – sorrise lei.
- È piccola, ma per me e la mamma è perfetta. – ghignò Daniel finendo di prendere i piatti dallo sportello.
Ridacchiando a disagio, i due adulti aiutarono il ragazzino a finire di apparecchiare la tavola. Clarice pregò i due di sedersi poi si girò per andare a prendere i vassoi in cucina.
- Mamma? – la chiamò Daniel e non aggiunse altro, Severus immaginò che il bambino avesse inviato un’immagine nella mente della madre che, infatti, rispose con un dolce sorriso:
- Girasoli?
- Sì, ti prego. – annuì.
- Severus, potresti trasfigurare i “non ti scordar di me” in girasoli, per cortesia?
- Certamente. – assentì il mago che, dopo aver estratto la bacchetta dalla tasca interna della giacca, trasfigurò con un gesto i fiori che facevano bella mostra di sé sul tavolo in un bel mazzo di girasoli.
- Grazie. – mormorò Daniel – Sono perfetti. – sorrise, poi, osservando la bacchetta ancora tra le mani del mago, chiese – Posso vederla? Prometto di non provare ad usarla. – e lo guardò dritto negli occhi, senza mai distogliere lo sguardo.
- Certo. – annuì Severus – Ma fai molta attenzione. Una bacchetta riconosce la mano della persona che la sta tenendo.
- Sono troppo piccolo per fare incantesimi. – cercò di tranquillizzarlo, ma il ghigno che gli tirò le labbra fece preoccupare Severus.
- Se provi a tirare qualche tiro gobbo al nostro ospite, Daniel, andrai a letto rapido come l’Espresso per Hogwarts ma senza cena. – lo rimproverò la madre tornando con un paio di vassoi ricolmi di antipasti.
- Uffa mamma. Non posso neanche divertirmi un pochino? – la guardò facendo gli occhioni da “cucciolo”, ma la donna scosse la testa replicando:
- Non mi diverte raccogliere i resti del cibo e di piatti da terra perché tu devi dimostrare la tua teoria.
- Teoria? – chiese curioso Severus, gli faceva piacere che suo figlio fosse un bambino curioso.
- Dice di aver sentito dire da qualcuno, ma non vuole dirmi da chi, che le bacchette magiche riconoscono i membri della famiglia. – spiegò con un sospiro Clarice mettendosi seduta – Da quel momento, le rare volte che ho avuto un ospite maschile a cena, lui si è fatto prestare la bacchetta creando disastri e interrompendo bruscamente la serata. – concluse gettando un’occhiata ammonitrice al figlio che si limitò a soppesare la bacchetta del mago in silenzio.
- Legno di betulla, nucleo di crine di unicorno, 12 pollici e mezzo, rigida. – sciorinò Severus guardando il bambino osservarla con attenzione.
- È molto bella, sembra potente e ben calibrata.
- Olivander è il migliore del Mondo a creare bacchette.
- Io potrei diventare bravo quanto lui, sai, mamma? – replicò Daniel porgendo la bacchetta a Severus, un gesto semplice, ma che fece partire un incantesimo dalla punta della stessa che cambiò i colori dei petali di alcuni fiori.
- Daniel Severus James Prince! – tuonò Clarice – Cosa ti avevo detto?
- Scusami! – piagnucolò il bambino – Scusa mamma. Scusami! Scusami! Scusami! – sembrava spaventato dall’aria rabbiosa della madre – Non l’ho fatto di proposito. Ti giuro.
- È stato un incidente Clarice. – annuì Severus cercando di proteggere il bambino – Un movimento involontario dei nostri polsi. Per favore, non mandarlo via. – la supplicò.
- Adesso, per favore. Mangiamo. – tirò un lungo sospiro lei per cercare di calmarsi.
Padre e figlio si limitarono ad annuire, poi Severus si lasciò conquistare dai profumi e dai colori del cibo presente sul tavolo.
- È opera tua tutto questo, Clarice? – domandò servendosi dal vassoio più vicino.
- Non è tutta farina del mio sacco, - ammise – ma è opera mia. – sorrise mentre vedeva il figlio riempirsi felice il piatto di “pappa al pomodoro”.
- La mamma ha preso lezioni di cucina. – spiegò il bambino annusando il profumo che proveniva dai vassoi – È stata la vecchia elfa domestica della signora Swan ad insegnarle tutto.
- Swan? – chiese Severus sistemandosi con un gesto elegante il tovagliolo sulle gambe, imitato da Clarice che, annuendo spiegò:
- La vecchia proprietaria del negozio. Quando sono approdata qua, avevo sì e no 18 anni. – sorrise – Non sapevo fare molto, devo ammetterlo. Avevo una grande passione: le Pozioni. Ma per il resto ero una frana. – Daniel ridacchiò, aveva sentito quel racconto tante volte nella sua breve vita – Essendo cresciuta in una famiglia ricca, non ho mai sentito la necessità di imparare a prendermi cura di me stessa o della casa. C’era sempre chi ci pensava. – fece un sorriso guardando il figlio – Ma qui era tutto diverso. In molti mi hanno aiutato. La casa è stata sistemata e ritinteggiata velocemente, le cose rotte sono state riparate. Tutti avevano un debito con mia nonna. Anche la vecchia curatrice. – spiegò sentendo gli occhi di Severus puntati addosso.
- Potevi venire da me. Chiedere aiuto a me. – mormorò, le sue mani tremarono leggermente, Clarice distolse lo sguardo dal suo piatto per fissarle a lungo, perdendosi nei suoi ricordi.
- La mamma mi ha sempre detto che il mio papà era, anzi è, un mago molto potente. Un mago che aveva un compito molto importante da portare a termine. – lo guardò – Non ha mai voluto dirmi il nome di quel mago. Di mio padre. – sospirò – Temeva che avrei fatto una pazzia e che sarei andato a cercarlo.
- Perché, mocciosetto, - ridacchiò Clarice dopo aver bevuto un lungo sorso d’acqua – non l’avresti fatto?
- Certo che sì! – annuì fiero – Io e Tom eravamo pronti a partire non appena fossi riuscito a farti dire il nome. – concluse gonfiando il petto, fiero del suo coraggio.
- Dei, un figlio Grifondoro no. – alzò gli occhi al Cielo teatralmente Severus.
- No, è troppo Serpeverde per essere definito Grifondoro. – rise Clarice e il respiro si mozzò nella gola del Pozionista, erano anni che non sentiva quella risata cristallina, erano anni che non si sentiva così “vivo” vicino a qualcuno.
- Santo Salazar! – squittì Daniel – Non vedo cosa ci sia di male nel voler scoprire chi è tuo padre. – una lacrima dispettosa gli rigò il viso – È stato difficile sai mamma? Vedevo come mi guardavi, con gli occhi malinconici e pieni di lacrime che hai sempre nascosto dietro un abbraccio o un bacio sulla testa. In quei momenti capivo che dovevo assomigliare a lui. – fissò i suoi occhi chiari in quelli del padre – E avevo ragione.
- Scusate. – Clarice, la voce rotta di pianto, si alzò dal tavolo e, facendo fluttuare i vassoi verso la cucina, si allontanò da loro.
Cercando di ritrovare un contegno, la strega si appoggiò al bordo del lavabo e sobbalzò quando sentì la voce di Severus provenire dallo stipite della porta.
- È tardi per piangere, Clarice.
- Non ho pianto per sei anni. – spiegò asciugandosi gli occhi – Non ho pianto neanche quando è nato. – si girò a fronteggiarlo – Quando ho scoperto di essere incinta, ho promesso al piccolo seme che cresceva in me che sarei stata forte. Che non avrei permesso a niente e nessuno di spezzarmi. Che non avrei più versato una lacrima rimpiangendo ciò che poteva essere ed invece non è stato. – fece un sorriso triste – Ma voi sapete quali tasti della mia anima toccare per farmi sciogliere in lacrime.
- Non è divertente farti piangere. – scosse la testa corvina Severus – Anche se un po’ di dolore te lo meriti. – sospirò – Mi hai invitato a cena per permettermi di stare insieme a Daniel. Ti prego, non roviniamo tutto.
- Non vorrei mai rovinare la tua serata, - ammise – le emozioni giocano brutti scherzi. Ho immaginato talmente tante volte di essere così, noi tre insieme.
- Non voglio saperlo. – la zittì – Continuiamo la nostra cena. Sono qui per mio figlio. – concluse e, vedendola sgranare gli occhi ferita, non poté fare a meno di incurvare le labbra in un sorriso crudele e soddisfatto.

La cena, nonostante tutto, si svolse in un’atmosfera distesa, parlarono molto durante il pasto. Clarice era diventata un’ottima cuoca e i due uomini fecero onore alla sua cucina. Lei, invece, mangiò poco o niente: aveva lo stomaco chiuso e il cervello affollato da troppi pensieri.
D’un tratto, l’urlo di Daniel la strappò dal torpore nel quale era caduta e, sobbalzando, si girò verso suo figlio che stava sbraitando contro la sua gatta.
- Mamma, questa gatta mi odia! – sbottò il bambino.
- Non ti odia, - sorrise indulgente la donna posando gli occhi sull’animale fiero ed elegante che li osservava dalla mensola del camino – non molto. – concluse.
- È una gatta cattiva.
- Anche la tua Blackie aveva un brutto carattere. – annuì ricordandosi della gatta nera che Clarice aveva ai tempi della Scuola.
- Ho scoperto, da quando abito qui, che i gatti neri sono legati in modo particolare alle streghe della mia famiglia. Solo alle streghe però. – si mordicchiò le labbra giocando con il cibo – Sopportano i compagni di vita della strega che hanno scelto di seguire; ma questo non impedisce loro di essere dispettose nei confronti dei figli. Soprattutto i maschi.
- Questo significa che, - sbottò Daniel – se dovessi avere una sorellina anche lei avrebbe un gatto nero perfido come il tuo!
Al termine “sorellina”, Severus che stava bevendo un sorso di vino, si strozzò: il vino gli era andato di traverso e l’aveva sputato poco elegantemente nel piatto che aveva davanti.
- Severus? – lo chiamò Clarice spaventata – Stai bene? – fece per alzarsi, ma lui la bloccò con un cenno della mano.
- Sorellina? – domandò quando ritrovò la voce – C’è qualcosa che devo sapere?
- Cosa? – domandarono in coro madre e figlio, il bambino aveva dipinta sul volto un’espressione fintamente innocente. Aveva parlato di proposito di una “sorellina”, voleva vedere la reazione del mago che non lo deluse affatto.
- A quel che mi risulta, ho un solo figlio. – rispose sarcasticamente Clarice – Danny sa essere tagliente e sarcastico. Talmente sarcastico, che se continua a prendersi gioco di noi, non mangerà il dolce questa sera. – concluse con un sorriso sardonico.
- In quanto a sarcasmo ho preso bene da entrambi. – sbuffò il bambino incrociando le braccia sul piccolo petto.
- Non possiamo darti torto. – sorrise Severus capendo il gioco astuto del figlio: con quella frase buttata lì, aveva scoperto che lui era ancora interessato alla madre.
Il clima teso si distese con una risata collettiva, Severus si lasciò conquistare dall’ottimo cibo preparato da Clarice e dalle chiacchiere curiose di quel bambino che aveva scoperto essere suo figlio.

Daniel era saccente e brillante. Era molto intelligente per la sua età ed aveva una parlantina sciolta e spigliata. Al contrario di sua madre, non sembrava interessato al mondo delle Pozioni e questo un po’ gli dispiacque perché lui ne era da sempre rimasto affascinato.
- Avrei alcune domande per voi. – disse Severus pulendosi la bocca dopo aver terminato il secondo e il contorno che aveva nel piatto – Clarice, perché il tuo Patronus è diventato un lupo siberiano? E tu, Daniel, hai mai pensato a cosa ti piacerebbe fare da grande?
- Perché mamma, prima che animale era il tuo Patronus? – chiese curioso il bambino, non conosceva quella storia.
- Prima avevo una lince. – sospirò la curatrice che aveva appena finito di mangiare il cibo nel suo piatto – Ma, dopo aver conosciuto Aduial nella foresta, il mio Patronus è cambiato.
- Chi è Aduial? - domandò Severus scoprendosi improvvisamente geloso.
- Poco dopo la nascita di Daniel, siamo stati attaccati da un gruppo di Mangiamorte. – spiegò la donna guardando fuori dalla finestra – La curatrice, per paura che facessero del male a me e al bambino, mi mandò nella Foresta. Quella che sta vicino al villaggio, poco prima della strada per il mare. – l’uomo annuì, aveva notato la Foresta durante la visita di quella mattina – Mi sono persa nel bosco. Non sono riuscita a raggiungere il gruppo di maghi e streghe sotto l’ala protettiva dei Membri dell’Ordine della Fenice. – sospirò – Correvo tra gli alberi cercando di seguire le tracce magiche delle persone che conoscevo. Ma ero troppo spaventata per farlo nel modo giusto e… sono stata scovata da un gruppo di Mangiamorte. Loro stavano per attaccarmi, quando un enorme lupo siberiano è uscito dal folto della foresta ed ha affrontato i maghi oscuri, facendoli fuggire. – puntò i suoi occhi in quelli di Severus – Ho scoperto che quel lupo in realtà era un uomo. Un vecchio druido, Aduial. – sorrise al ricordo.
- E cosa ci faceva qua un druido? – domandò l’uomo muovendosi sulla sedia.
- Era venuto per prendere delle erbe dalla signora Swan. – rispose Daniel, lui aveva conosciuto Aduial era stato per lui una sorta di nonno.
- Già. La guerra lo ha trattenuto al villaggio per un lungo periodo. Da lui e dalla signora Swan ho imparato molto sulle pozioni e sui loro ingredienti. Ho imparato ad usare anche erbe e radici che non avevo mai preso in considerazione. – spiegò con un sorriso sereno – Mi piaceva camminare nella Foresta in compagnia dell’Animagus lupo. Mi faceva sentire al sicuro. Lui è stato come un padre per me.
- Ed un nonno per me. – annuì Daniel – Sono stato triste quando è dovuto tornare nel suo villaggio. Ma di tanto in tanto, ci sentiamo ancora. Vero mamma?
- Sì, amore! – annuì Clarice allungando una mano verso il bambino.
- Adesso è il momento del dolce, vero? Vero? Vero? – la guardò sbattendo le palpebre.
- Sì, piccola peste. Arriva. Però tu devi rispondere alla domanda che ti ha fatto Severus. Non essere scortese, ok?
- Sì. – annuì Daniel che, osservando la madre mentre si alzava, si girò verso Severus in attesa che lui smettesse di guardare la schiena della strega per prestare a lui tutta l’attenzione necessaria. – Avevo già risposto prima alla tua domanda, sai? – ridacchiò notando lo sconcerto di Severus, Clarice era già tornata e lui la ringraziò con un sorriso mentre gli porgeva una fetta di torta – Pensavo lo avessi capito dal modo in cui guardavo la tua bacchetta. – continuò il bambino dopo aver ingollato un grosso boccone di torta al cioccolato.
- Prego? – inarcò un sopracciglio l’uomo.
- Danny vorrebbe diventare un creatore di bacchette magiche, secondo solo alla fama del grande Olivander. – spiegò la strega con un sorriso sincero.
- Non mangi la torta? – domandò Daniel osservando il piatto di Severus con il dolce ancora intero.
- Non ho mai amato mangiare i dolci. – spiegò con un’alzata di spalle l’uomo.
- Adesso ho capito! – ridacchiò Daniel dopo aver finito di bere il suo bicchiere di latte.
- Capito cosa? – chiese curioso il Pozionista.
- Perché la mamma ha seguito proprio questa ricetta. – indicò la torta ancora da tagliare – L’aspetto è quello di una comune torta al cioccolato, ma è creata con un mix di farine speciali e ingredienti per pozioni che la rendono unica.
- Daniel. – lo pregò di smetterla Clarice, ma non ebbe successo.
- È la torta preferita. – concluse Severus – Una torta unica nel suo genere. Prende l’aspetto del dolce preferito dalla persona che la prepara, ma il sapore cambia a seconda di chi sia il commensale che la mangia. – annuì, aveva letto di quella speciale torta ma non aveva mai trovato nessuno in grado di crearla. Nemmeno gli Elfi della Scuola sapevano cucinare una meraviglia del genere.
- Non è completamente esatto. – ridacchiò – La torta al cioccolato è la mia torta preferita. Mamma pensa a me durante la preparazione di questo dolce speciale.
Clarice, sorseggiando un po’ d’acqua annuì, mentre Severus staccava un pezzetto della torta curioso di assaggiarla. Non appena se la portò alla bocca, un’esplosione di sapori invase le sue papille gustative: la torta non era dolce, sapeva di zenzero e cannella gli ingredienti che più spesso sua madre usava quando poteva fargli i biscotti con un retrogusto di scotch che lo sorprese.

Quando finirono di cenare, la strega fece fluttuare i piatti fino al lavello e con un incantesimo incantò la cucina affinché fossero puliti e messi al loro posto.
I tre si spostarono nel salottino, Clarice sprofondò nella sua poltrona preferita e la gatta nera le si acciambellò immediatamente sulle gambe.
Severus e Daniel parlarono ancora a lungo. Il bambino era molto curioso del lavoro svolto dal padre ad Hogwarts, voleva sapere molte cose della Scuola e delle sue Case; del Quidditch e di come i punti potevano essere persi oppure “vinti” dagli studenti.
Severus rispose pazientemente a tutte le domande, era ancora nervoso ed arrabbiato; ma il bambino non c’entrava niente: non doveva scaricare su di lui la propria frustrazione come faceva il padre con lui stesso quand’era bambino. D’un tratto, Daniel iniziò a sbadigliare sempre più frequentemente.
Clarice temeva quel momento: il momento in cui lei e Piton sarebbero rimasti da soli.
- Mamma… - pigolò Daniel – Non voglio andare a letto.
- Piccolo mio. – gli sorrise lei alzandosi, parlando per la prima volta da quando erano andati in sala – Si sta facendo tardi, tu domani hai la scuola.
- Ma non è giusto! – borbottò.
- Posso accompagnarlo io? – propose Severus speranzoso.
- Come? – Clarice si girò verso l’uomo, poi annuì – Mocciosetto mio, sei fortunato. Stasera c’è Severus che ti porta in braccio fino in camera tua.
- Finalmente! – squittì Daniel tendendo le braccia verso il Pozionista – Non dovrò fluttuare con la paura di essere lasciato a dormire sui gradini.
Severus sorrise, prese il bambino tra le sue braccia e si riempì le narici del suo profumo: sapeva di sapone al limone; cioccolato; matite a cera e sole. Odorava di vita.
Sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, l’uomo strinse contro il proprio petto il corpicino stanco del figlio e, in silenzio, seguì Clarice al piano di sopra. Insieme, sistemarono Daniel per la notte; poi scesero al piano di sotto dopo avergli augurato la buona notte.

Quando rientrarono nuovamente nel salotto, la strega, tormentandosi le mani, si girò verso Severus dicendo:
- Non voglio trattenerti oltre, Sev.
- Non vorrei andare via adesso che siamo rimasti soli, Cly. – scosse la testa l’uomo osservandola, in quel momento gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, quando lui era solo un insegnante e lei una delle sue più promettenti studentesse – Ti sei mai pentita di…? – iniziò a chiederle, ma lei scosse la testa dicendo:
- Tuo figlio è una piccola serpe. Se fossi in te, lancerei alcuni incantesimi prima di iniziare a fare i discorsi dei grandi. – e, davanti allo sconcerto di Severus, la strega presa la sua bacchetta lanciando incantesimi per impedire al figlio di origliare.
- L’hai chiamato “tuo figlio”. – mormorò emozionato l’uomo.
- Sono stanca di mentire. – si strinse nelle spalle – Lo capirebbe anche un cieco che Danny è tuo figlio. Siete identici. – sorrise stanca.
- Ma gli occhi sono i tuoi. – annuì l’uomo osservando con attenzione le foto e gli oggetti presenti sulle mensole.
- Già. – biascicò – Una magra consolazione per averlo portato in grembo nove mesi. – sorrise, nelle sue parole non c’era cattiveria ma orgoglio.
- Facciamo un patto Clarice. – disse dopo alcuni lunghi minuti di silenzio.
- Patto? – chiese lei curiosa.
Severus annuì, dalla tasca della giacca prese una scatola nera e la face tornare alle sue dimensioni originali con un colpo di bacchetta. Mostrandola alla giovane donna, disse:
- Qua dentro ci sono alcuni dei miei ricordi più preziosi, Clarice Johnson. – le sorrise quando le guance di lei si tinsero di rosa – Se vuoi averli, devi raccontarmi tutto. Spiegarmi dall’inizio alla fine perché hai scelto me. Perché ti sei lasciata mettere incinta proprio da me. Perché, porco Godric, mi hai usato per fuggire da un matrimonio. E, soprattutto, perché mi hai nascosto la presenza di un figlio che, ora che ho trovato, non ti permetterò di portarmi via di nuovo.
Clarice ingollò a vuoto alcune volte. La rabbia nella voce di Severus l’aveva scossa profondamente. L’uomo aveva tutto il diritto di essere arrabbiato con lei. Anche lei stessa, quando ripensava a tutto quello che aveva fatto, si dava dell’idiota per non essere tornata a chiedere aiuto quando poteva.
Ma ormai era troppo tardi. Il passato non si poteva cambiare, era un’adulta; una madre e doveva convivere con i fantasmi del passato, imparando dai suoi errori e cercare di fare del proprio meglio per stare vicino al figlio che stava crescendo.
- Sto aspettando Clarice. – parlò Severus e lei sobbalzò, rendendosi conto di essere stata in silenzio per un lungo tempo, persa a rincorrere i suoi pensieri.
- Facciamo che tu mi dai quella scatola per ringraziarmi della cena e dalla meravigliosa serata. – tentò di sorridere lei; ma Severus scosse lentamente la testa replicando:
- Quid pro quo, Clarice.
La strega puntò i suoi espressivi occhi chiari in quelli dell’uomo e restò a fissarlo per alcuni interminabili minuti. Severus sostenne senza sforzo apparente quello sguardo, ma negli occhi di lei stavano passando uragani di emozioni che diventavano sempre più difficili da gestire.
- Ti dirò tutto. – annuì Clarice – Ma ad un patto.
- Quale? – mandò la testa di lato lui.
- Che tu ascolterai senza interrompermi. Se avrai domande per me, le farai tutte solo alla fine del mio racconto. – gli tese la mano – Affare fatto?
- Affare fatto. – lui ricambiò la stretta di mano e si lasciò cadere sul divano mentre lei sedeva compostamente in poltrona.
Clarice, chiudendo gli occhi, cercò di dare un senso al tumulto di ricordi ed emozioni che aveva nel cuore e, dopo aver tirato un profondo respiro, iniziò a raccontare: gli parlò dettagliatamente di come aveva fatto a fuggire alle nozze; dell’ultima conversazione avuta con i genitori che l’avevano definita una “puttana” del ricatto che aveva posto loro per ottenere l’agognata libertà dalla famiglia di Durmstrang. Del trasferimento nella casa della sua ava; di come, dopo i primi mesi di completa solitudine, avesse trovato nella vicina di casa un’amica ed una confidente sincera e discreta. Del suo apprendistato con la vecchia signora Swan, la proprietaria del negozio; di come il loro rapporto si fosse evoluto tanto da diventare l’erede di tutti gli averi della curatrice alla morte di lei.
Parlò a lungo, interrompendosi di tanto in tanto, per aggiungere dettagli soffocare singhiozzi o lasciarsi andare a piccoli sorrisi pieni d’amore.
Raccontò a Severus tutta quella che era stata la sua vita per sei anni, delle difficoltà dopo la nascita di Daniel, di quanto fosse complicato a volte crescerlo da sola e, abbassando la testa per fissare il tappeto, concluse dicendo:
- Non sono mai venuta a cercarti dopo che sono rimasta incinta Severus, perché tu non mi hai mai detto che mi amavi. Ogni volta che te lo sussurravo io, tu diventavi rigidi e taciturno. – una lacrima le rigò il viso, la lasciò correre e non notò che lo stesso Pozionista stava piangendo – Ho avuto paura. Una terribile paura di essere rifiutata anche da te, he temuto che tu mi avresti accusata di volermi legare a te con un bambino non tuo per fuggire ad un matrimonio che non desideravo. – ammise dopo aver ingollato a vuoto un paio di volte – O, peggio, mi sono immaginata che data la tua educazione rigida, ti saresti sentito obbligato a sposarmi. – si morse il labbro nervosa - Non avrei mai voluto obbligarti a fare la “cosa giusta” solo perché c’era un bambino in arrivo. Peggiore di un matrimonio senza amore, c’è solo il matrimonio riparatore senza amore. – concluse con un sorriso amaro.
Severus, dopo aver indossato la solita algida maschera che portava a Scuola, si alzò dal divano porse la scatola con i propri ricordi a Clarice e, ferito dalle parole e dal racconto della giovane strega, uscì dalla casa senza nemmeno salutare. Troppo scosso per poter dire o fare qualcosa, sa che potrebbe dire cose che non pensa veramente, guidato dalla rabbia e dal dolore;  così preferì  scomparire tornando al sicuro nei suoi appartamenti nei sotterranei della Scuola di cui è diventato Preside.

Clarice osservò per un tempo indefinito la porta dalla quale l’uomo era uscito. Non riusciva a fermare le lacrime, evocare quei ricordi era per lei doloroso. Sapeva che avrebbe dovuto affrontare quella conversazione prima o poi; ma la reazione che aveva sempre sperato di generare in lui non era una fuga. Avrebbe preferito sentirlo urlare, vederlo rompere alcuni oggetti nella stanza. Ma quel silenzio gelido e privo di vita, le aveva spezzato il cuore definitivamente.
Asciugandosi con un gesto rabbioso le lacrime, Clarice raggiunse la propria camera. Lì, aveva sistemato un pensatoio, dono della vecchia curatrice del villaggio.
Sospirando e senza pensare a gettare incantesimi silenzianti alla stanza, prese una delle fiale contenute nell’astuccio e lasciò che il liquido argenteo in essa contenuto scivolasse nel pensatoio.
Preoccupata da ciò che avrebbe potuto vedere, la strega introdusse la testa nel pensatoio, lasciandosi travolgere dai ricordi del Pozionista.
In quelle fiale, erano contenute un sacco di “prime volte”. La prima volta che Severus aveva notato la testa biondo ramata di Clarice tra quelle troppo nere o troppo bionde dei compagni di Scuola. Il lampo di luce soddisfatto che illuminò gli occhi di lei quando venne smistata in Serpeverde.
La prima volta che avevano parlato e lui non si era sentito infastidito, perché le cose che domandava o diceva quella ragazzina taciturna non erano noiose o senza senso come quelle della maggior parte delle sue coetanee.
In ogni fiala c’era Clarice. La sua crescita. I suoi miglioramenti. Il suo trasformarsi da crisalide impacciata in sensuale farfalla. Per la prima volta, Clarice si sentì bella. Per la prima volta capì cosa significava essere guardata con amore da qualcuno che teneva a te.
Rivisse con gli occhi di Severus la sera che entrò nel suo laboratorio. La preoccupazione nel vedere che si era tagliata con un coltello affilato. Sentì il cuore dell’uomo battere più veloce quando la propria mano fredda entrò in contatto con la sua più calda. Notò che dietro il cipiglio fiero ed arrabbiato c’era qualcosa che non aveva visto: preoccupazione, affetto. Cose che mai prima d’ora nessuno le aveva dato.
Si rivide nella Foresta a disegnare. Notò lo sguardo ammirato e pieno di meraviglia di Severus quando gli mostrò i propri disegni. Sentì il suo corpo riempirsi di orgoglio quando si imbatté nel disegno delle mani del Pozionista. Dopodiché venne catapultata nella stanza dell’uomo, dopo che si era intossicato. Rivisse i baci, le carezze, l’audacia avuta nel pregarlo di poterlo dipingere fino ad approdare alla prima volta che fecero l’amore, fu in quell’occasione che lei gli disse che l’amava. Severus non ricambiò, ma se lei avesse guardato meglio il suo sguardo, avrebbe visto tutto l’amore in esso contenuto e che il Pozionista non era in grado di esprimere ancora a voce. Quella era l’ultima fiala, gli ultimi ricordi che l’uomo aveva di lei. Non aveva conservato quelli del loro addio. Erano troppo dolorosi per entrambi.
Clarice uscì dal pensatoio senza riuscire a trattenere i singhiozzi: non aveva capito niente in tutti quegli anni. Per paura di essere mandata via, aveva perso un’occasione per essere realmente felice.
Sfinita per tutte le lacrime versate, la strega si addormentò vestita sul proprio letto.

Trascorsero così alcuni lunghissimi giorni. Severus era più nervoso e solitario del solito. Rispondeva male a tutti, non sopportava i sorrisi e l’allegria delle persone che lo circondavano e tendeva sempre a punire coloro che erano troppo innamorati per rendersi conto del suo stato d’animo più nero del solito.
All’inizio, sia gli insegnanti sia gli studenti, avevano dato la colpa del suo malumore al fatto che, dopo la guerra e la distruzione della scuola di magia e stregoneria, il numero delle iscrizioni fosse andato in forte calo; ma, con il trascorrere dei giorni, capirono che era ben altro ciò che affliggeva ed innervosiva l’uomo.
Una mattina, Hermione che aveva appena finito il suo lungo saggio per Pozioni, chiese ad Harry di accompagnarla dal Preside, perché doveva parlare a quattr’occhi con lui.
- Hermione. – ingollò a vuoto Harry – Per quanto io ami sfidare la sorte, ti dico “no grazie”.
- Codardo. Hai ucciso Voldemort, non puoi avere paura di Severus! – gli fece la linguaccia; ma sbiancò quando la voce del Preside rispose:
- Non credevo di essere entrato tanto in confidenza con lei, signorina Granger, da averle permesso di chiamarmi addirittura per nome. – guardò gli studenti al tavolo – Per questa sua mancanza di rispetto, sono costretto a togliere 50 punti a Grifondoro.
- Sì signore. – mormorò colpevole Hermione – Mi scusi, sono stata irrispettosa. Non volevo. – alzò lo sguardo su di lui continuando – Potrei parlarle privatamente?
Severus annuì e fece alla strega e al mago Grifondoro un cenno, invitandoli a seguirlo.
- Di cosa voleva parlarmi, signorina?
- Ecco, vede signore… - Hermione iniziò a parlare a macchinetta, illustrando un “piano” per aiutare la comunità magica a conoscere e tornare ad amare la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Il piano era semplice: organizzare una settimana di lezione per i giovani maghi e le giovane streghe dai sei anni di età. Permettere loro di partecipare alle lezioni con i genitori, prendere parte alle attività, giocare a Quidditch. Vivere nella casa per una settimana in una casa, partecipando alla gara della Coppa delle Case – Nel mondo non magico, fanno queste cose, vero Harry? – si girò verso il compagno di Casa che annuì lentamente – Le chiamano “Open Day”, di solito durano solo un paio di giorni. Tanto per far vedere le scuole e i loro programmi di studio.
- Interessante. – si limitò a replicare Severus che, senza aggiungere altro, se ne andò lasciandoli in attesa di una risposta che tardò ad arrivare.

Un giorno Severus, stanco delle lamentele del corpo insegnanti e degli agguati di Hermione per avere una risposta affermativa alla sua idea, lasciò la Scuola e tornò nel villaggio di Clarice e Daniel. Aveva bisogno di vederli senza essere visto; così, indossando il mantello dell’invisibilità preso in prestito da Potter, raggiunse prima il negozio della curatrice Prince, poi il parco giochi dove aveva visto il figlio e il suo migliore amico.
- Clarice. – sentì una voce di donna sospirare – Non stai reagendo affatto bene.
- E come dovrei reagire, Rose, eh? – rispose stancamente la strega Serpeverde.
Severus camminò attento a non urtare nessun oggetto, era certo di non poter essere visto; ma se avesse fatto cadere qualcosa, le due streghe avrebbero capito di non essere più sole in quel momento.
Non appena il Potion Master riuscì a trovare un buon luogo dove poter osservare Clarice e la sua amica senza essere notato, sobbalzò, la madre di suo figlio aveva il viso mortalmente stanco e bianco; gli occhi cerchiati da profonde occhiaie. Sembrava spenta e vuota. In quel modo, aveva visto sua madre diventare sua madre a causa delle molestie subite da parte del marito.
- È che non so cosa fare. – disse Clarice mettendo a posto una serie di preziose radici, le trattava con estrema cura – Tutto mi sarei aspettata tranne che lui… - e non riuscì a concludere la frase, perché il campanello tintinnò, facendo entrare un piccolo gruppo di clienti che fu prontamente servito ed assistito da Rose.
- Non siete stati completamente onesti l’uno con l’altra. – continuò la strega prendendo la mano della curatrice nella sua – Ma questo non significa che tutto sia perduto. – le sorrise.
- L’ho accusato di non avermi mai amata. – altre lacrime rotolarono giù dai suoi occhi arrossati – Ma io non avevo mai osservato lui attentamente. Ero troppo presa da me stessa. Dai miei sentimenti verso di lui. Volevo credere che non potesse ricambiarmi. L’ho usato. – ammise e Severus sobbalzò quando sentì il forte singhiozzo che le squassò il petto.
- Basta piangere e fare la vittima. Non ti ho mai vista arrenderti ancor prima di combattere. Hai affrontato e vinto molte sfide. – la consolò l’amica – Adesso va nel retro, sciacquati la faccia e prendi una di quelle miracolose pozioni che sai distillare grazie a quell’uomo burbero ma meraviglioso. – le baciò la fronte e Clarice sorrise.
A quel punto, Severus approfittò dell’ingresso di un altro gruppo di clienti ed uscì dal negozio, troppo scosso per restare un attimo di più.

Camminando nascosto dal mantello, l’uomo raggiunse il parco giochi dove aveva visto giocare un gruppo di bambini non appena era arrivato. Silenzioso come il vento, Severus adocchiò il figlio ed il migliore amico: i bambini erano intenti a dondolare pigramente sull’altalena, osservando il resto dei loro amici scatenarsi in altri giochi.
- Allora amico. – parlò il bambino girandosi verso il suo amico – Com’è andata la cena?
- Insomma. – sbuffò Daniel – Speravo meglio. – ammise continuando a guardare gli altri giocare.
- È stato antipatico e cattivo con voi? – chiese mandando la testa di lato.
- No, Tom. – sospirò – Io ho fatto di tutto per metterlo in difficoltà, ma lui ha saputo gestire la serata bene. Abbiamo parlato molto. L’ho tempestato di domande e lui ha sempre risposto, senza mai sbuffare o perdere la pazienza come hanno fatto gli altri. Ho usato la sua bacchetta. – sorrise – E non ho fatto esplodere niente! – concluse.
Al sentir nominare al figlio “altri” uomini che avevano provato a corteggiare Clarice, la sua mascella si irrigidì così come i pugni si strinsero fino a far sbiancare le nocche.
- Ricordo che ridevi divertito perché gli altri perdevano presto la pazienza, mostrando alla zia Cly che non sarebbero stati un buon padre per te.
- Già. – sospirò appoggiando la testa alla catena dell’altalena – Lui invece ha risposto al mio sarcasmo con sarcasmo. Mi ha spiegato molte cose. Abbiamo riso. Ecco io… - guardò l’amico e Severus notò i suoi occhi pieni di lacrime – Ho quasi sperato di trovarlo a colazione la mattina dopo. – soffiò a denti stretti.
- Oooh! – Tom sgranò gli occhi.
- Lui è il mio vero padre, Tommy. – spiegò guardando l’amico del cuore negli occhi.
- Perché è andato via allora?
- Perché temo non ami più la mia mamma. – confessò trattenendo a stento un singhiozzo, Severus avrebbe voluto intervenire, ma il bambino continuò – Li ho sentiti parlare per un po’, poi la mamma ha silenziato la stanza e non so cosa si siano detti di preciso. So che hanno parlato del passato. Alla fine della chiacchierata lui è andato via. Ho sentito sbattere la porta. Poi mamma è salita in camera sua, è andata al pensatoio e lì è rimasta per un po’. L’ho sentita piangere talmente tanto che ho dovuto nascondere la testa sotto il cuscino per smettere di ascoltare. – sospirò.
- Mi dispiace Danny. – mormorò Tom appoggiando una mano sulla spalla del suo migliore amico.
- Già. – sbuffò l’altro alzando gli occhi e, notando Rose arrivare a chiamarli per la merenda, continuò – Fingiamo di giocare, sta arrivando tua mamma.
- Ok.
Severus fece un passo indietro, avrebbe voluto seguire suo figlio e il bambino per vedere come stava Clarice; ma preferì restare nel parco per poi tornare a Scuola.
- Tommy, Danny. – li chiamò la strega con un caldo sorriso – Venite, è pronta la merenda.
- Mamma. – le prese la mano Tom – Come sta la zia Clarice?
- Sempre triste. – sospirò – Io non capisco perché si ostina a questo silenzio. Perché non lo cerca?
- Perché è testarda e cocciuta. – pigolò Daniel strappando un sorriso a suo padre, ancora nascosto dal mantello – Spero che lui sia meno orgoglioso della mamma. Altrimenti non avrò mai né un papà né un fratellino o una sorellina. – gemette calciando i sassolini lungo la strada.
Il Pozionista sentì il cuore stringersi in una morsa, si allontanò dal villaggio senza mai mostrare la sua presenza e, con la mente affollata da più dubbi che certezze, tornò alla Scuola di Magia e Stregoneria.

Non appena entrò nel perimetro della Scuola, trovò Hermione, Ron, Harry e Draco che stavano studiando in Sala Grande.
- Signorina Granger. – la chiamò con la sua voce bassa e profonda – Signor Potter. – continuò – Dovrei parlarvi.
- Sì, signore. – sorrise incerto Harry, Draco gli mise una mano sulla gamba, in un gesto rassicurante.
- Possiamo sentire anche noi, signore? – chiese il rampollo Malfoy sorridendo al suo padrino.
- Sì, non sono piani segreti per sgretolare la vostra relazione, signor Malfoy. – ghignò in risposta l’uomo facendo arrossire il figlioccio. All’inizio, non aveva preso bene la relazione tra il figlio del suo nemico giurato e il figlio del suo migliore amico. Non perché fosse contrario a rapporti tra persone dello stesso sesso; ma perché non gli sembravano una bella coppia.
- Ha ponderato la nostra proposta, signore? – chiese con un sorriso Hermione guardandolo negli occhi.
- Sì. Ma spieghiamo ai vostri fidanzati di cosa stiamo parlando. O non la finiranno più di interromperci con le loro inutili domande. – sbuffò il Preside – Venite. Andiamo nel mio ufficio. Non voglio discorrere con voi qui.
Il Golden Trio più uno, seguì Severus lungo i corridoi del Castello fino al suo ufficio dove entrarono con un misto di dolore e piacere nel petto.
- Questo posto, signore, è carico di ricordi. – mormorò Harry, emozionato.
- Lo so. – annuì il Pozionista – Per questo ho preteso che fosse ricostruito fedelmente. – ammise e lasciò che lo sguardo degli studenti vagasse sull’ambiente – Ho solo dato la mia impronta. Ci sono i miei libri. Alcuni miei oggetti personali. E, come potete vedere, non c’è più l’appollaiatoio della Fenice. Lei è andata via non appena Albus… - e non finì la frase, parlare della morte del suo mentore gli faceva molto male.
- Ha fatto ricreare anche la stanza da letto. – sorrise perplesso Draco – Perché, signore? Lei non dorme qua. Continua ad abitare nei suoi vecchi appartamenti, vicino alla sua Casa.
- Non lo so. – si strinse nelle spalle l’uomo – Ho chiesto che fosse fatta un po’ più piccola la camera da letto, ho dato la precedenza all’ambiente dell’ufficio. Ho aggiunto i miei libri personali a quelli che mi ha donato Albus. Avevo bisogno di più librerie. Poi, egoisticamente, ho pensato che un letto non fosse scomodo anche quassù. Se una sera fossi troppo stanco per rientrare, potrei dormire comodo, senza dovermi arrangiare nel divano. – concluse, logico come sempre.
- Ha fatto bene, professore! – gli sorrise Ron, parlando per la prima volta da quando erano arrivati.
- Comunque, non siamo venuti qui per scambiarci convenevoli e frasi fatte. – tuonò Severus – Ma per discutere di un progetto che Harry ed Hermione hanno sottoposto alla mia attenzione qualche giorno fa. – guardò i due Grifondoro continuando – Prego, signorina. Parli lei.
Hermione, con un sorriso grato, raccontò a Ron e Draco della sua idea: quella di aprire le porte della Scuola per una settimana ai futuri studenti e ai loro genitori. Per permettere a tutti di conoscere la Scuola di Magia e Stregoneria di Hodwarts, per fargli provare i programmi, i giochi. Per far vivere tutti come se fossero studenti.
- E dici che avrà successo la tua idea? – chiese scettico Ron.
- Secondo me sì. – annuì Harry – Nella parte non magica, è comune che le scuole restino aperte per permettere alle famiglie di visitarle. Per vedere le aule, i programmi di studio e quant’altro.
- Qui non è mai stato fatto niente del genere, sfregiato del mio cuore! – lo prese in giro Draco, facendolo arrossire.
- Malfoy, possibile che sai creare nomignoli meno offensivi? – si imbronciò Harry.
- No. – rise – Perché è divertente vederti così imbronciato e poi… - continuò allacciando le sue braccia attorno ai fianchi del ragazzo – I nomignoli più teneri, mi piace riservarli per la camera da letto. – concluse prima di baciarlo, ficcandogli senza tante cerimonie la sua lingua golosa in bocca.
Severus distolse lo sguardo reprimendo una smorfia disgustata, cosa che non riuscì a Ron ed Hermione.
- Quindi, - parlò Ron – vediamo se ho capito bene: per un’intera settimana, a Scuola non ci saranno lezioni per noi. Ma saremo impegnati nel far conoscere l’ambiente scolastico a futuri studenti.
- Esatto. – annuì Hermione – Dovremmo invogliare le famiglie magiche a far venire i propri figli a studiare qua. – sorrise.
- Immagino che tu stia pensando ai Babbani. – sospirò Draco.
- Già. Per loro non possiamo fare niente. Non a tutti i bambini babbani compiano poteri magici prima degli undici anni. – sospirò.
- Però, già invogliare i magici a tornare ad animare le mura del Castello… Beh… sarebbe una bella vittoria. – sorrise Harry abbracciando l’amica – Non credete?
- Sì. – mormorarono in coro gli studenti, Severus annuì distrattamente, troppo concentrato su sé stesso.
- Zio Piton. – lo chiamò Draco – Qualcosa ti preoccupa?
- Più di una in realtà. – ammise con un sorriso stanco – Devo dirvi una cosa. Ma gradirei che non uscisse da queste mura.
- Promesso. – annuirono simultaneamente i quattro.
- Ho scoperto di avere un figlio di sei anni. Si chiama Daniel. La madre è la…
- Ragazza del negozio di erbe. – concluse Hermione che, porgendo una mano verso Draco, continuò – Paga Malfoy, ho vinto io.
Severus arcuò le sopracciglia e chiese spiegazioni per quell’uscita di dubbio gusto, gli studenti, arrossendo raccontarono al loro insegnante e Preside delle loro illazioni e della scommessa che ne era seguita riusciscendo a farlo sorridere da molto tempo a questa parte.
- Darò 5 punti ciascuno per Grifondoro e 15 a Serpeverde. – disse a mo’ di congedo.
I maghi e la strega uscirono dall’ufficio del Preside sorridendo e, non appena la porta si chiuse alle loro spalle, furono quasi investiti dalla Vice Preside che cercava disperatamente il Preside Piton.
- Lo abbiamo lasciato nel suo ufficio, signora. – rispose Harry.
- Grazie signor Potter. Ma voi, cosa ci fate qua tutti insieme? – li guardò – Vi siete rimessi nei guai?
- No, signora. – arricciò il naso aristocratico Draco – Abbiamo parlato di un progetto con il mio Capo Casa. Aveva bisogno di affidarci alcune mansioni. – indicò i tre grifoni – Sono o non sono il Golden Trio? – chiese con un mezzo sorriso sulla bocca e, Minerva, borbottando, li salutò per raggiungere Severus nel suo ufficio.
- Se non fossi innamorato di te, ti avrei già spaccato quel nasino all’insù Malfoy! – ringhiò rassegnato Harry.
- Mi ecciti quando sei così macho, Potter! – lo derise bonariamente Draco che, prendendolo per mano, lo trascinò lungo il corridoio, seguito a ruota da Hermione e Ron che non riuscivano a smettere di ridere.

Severus parlò a lungo con Minerva, le raccontò del progetto che la signorina Granger gli aveva proposto e le domandò di indire una riunione urgente con tutto il corpo docenti.
La donna, sorpresa dall’enfasi dell’uomo, uscì dal suo ufficio annuendo dicendogli di raggiungerla dopo quindici minuti nella sala professori.  Il Pozionista osservò la porta chiudersi, si massaggiò i seni nasali e, prendendo un rotolo di pergamena nuovo, iniziò a scrivere.
Scrisse di getto. Senza pensare di rendere coerenti i suoi discorsi. Scrisse a Clarice e a Daniel e, quando terminò, arrotolò il foglio e lo sigillò in modo che solo lui (o suo figlio) potesse aprirlo.
Con il cuore più leggero e la mente affollata da mille pensieri, l’uomo raggiunse l’aula professori dove trovò tutti pronti ad ascoltare il loro Preside.
Severus raccontò loro del progetto dell’Open Week ad Hogwarts, illustrando ampiamente il progetto; raccontando di come avrebbero coinvolto i bambini e le bambine nelle varie attività. Mostrando ai genitori, ancora troppo scettici, che la Scuola era tornata più sicura, più bella e più formativa di prima.
I professori accolsero con entusiasmo l’idea di Piton, dettero qualche consiglio e qualche spunto di riflessione all’uomo; poi iniziarono ad organizzare tutto: un piccolo campionato di Quidditch, compreso.
- Potremmo approfittare di questa settimana con le famiglie ed i bambini per inaugurare la nuova aula, signore. – parlò la nuova insegnante di Storia della Magia.
- Perché, non è stata ancora resa agibile agli studenti? – chiese Severus arcuando un sopracciglio, era certo di aver firmato tutti i permessi giorni fa ormai.
- Non ancora signore. – scosse la testa colpevole Minerva – Colpa mia, ho avuto un contrattempo e l’aula di Pittura che ha voluto, non è stata ancora resa visibile ed accessibile.
- Bene, allora faremo come ha detto la professoressa Smith. Approfitteremo dell’arrivo degli ospiti per mostrare loro che la Scuola, nonostante la guerra, è cresciuta e si sta migliorando. – sorrise, un sorriso rapido, che assomigliava molto ad un saluto; ma, prima di andare via da lì, continuò – Devo dirvi una cosa.
- Sta male, signore? Ha bisogno di qualcosa? – chiese sollecita la nuova insegnante, era americana e da subito aveva mostrato un certo interesse per quell’uomo taciturno.
- Mai stato meglio signorina Smith. – sbuffò contrariato di essere stato interrotto, di nuovo, da quella giovane strega troppo petulante per i suoi gusti – Volevo solo avvisarvi che ho intenzione di invitare anche la signorina Prince a questo incontro genitori-figli-scuola.
- La signorina che gestite quel favoloso negozio di erbe e decotti? – domandò l’infermiera della Scuola, il Preside annuì poi riprese a parlare:
- Lei ha un figlio di circa sette anni. – incrociò le mani sul tavolo, fissandosi le unghie ben curate, concluse – Che potrebbe essere mio.
Nella sala professori calò un silenzio irreale. Severus si era aspettato domande, risate e prese in giro; tutto, ma non quel silenzio tombale.
- Bastava dirvi che, forse, ho un figlio per farvi stare zitti e attenti durante una riunione? – sdrammatizzò l’uomo arcuando solo un sopracciglio.
- Beh, la notizia ci ha colto molto di sorpresa Severus. – sorrise con affetto materno Minerva – Tutto ci saremmo aspettati, tranne di ricevere una notizia del genere da te.
- Non vi ho chiesto di aiutarmi a mantenerlo. – replicò sulla difensiva – Anzi, vi prego di trattarlo come un qualunque altro ospite durante la settimana in cui sarà nostro ospite. Io e la madre non ci siamo lasciati proprio bene.
- Beh, - cercò di sdrammatizzare la professoressa Bumb – è una notizia che ci ha sorpresi professor Piton. Ma faremo come ci ha chiesto. – sorrise.
- Vi ringrazio. E conto anche sulla vostra discrezione. Non vorrei rendere il loro soggiorno sgradevole.
- Che strano. – mormorò Minerva osservando un grosso registro – Qui il cognome del bambino non c’è.
- È uno dei motivi che mi ha indotto ad accettare la proposta della signorina Granger di fare questa settimana conoscitiva della Scuola. La madre mi ha detto di aver iscritto il figlio in un’altra scuola di magia.
- Ma questa è la migliore! – sbuffò la professoressa Smith.
- La nostra Penelope ha ragione. – annuì l’insegnante di Erbologia – Nessuna è mai stata ai livelli della nostra amata Scuola.
- Ne sono consapevole. Dobbiamo solo ricordare a tutti ciò che noi non abbiamo mai dimenticato. – concluse con un sospiro – Avete altro da discutere con me? – domandò alzandosi.
- No, signore. Abbiamo finito. – annuì l’insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Remus Lupin – E, se non vi dispiace, vorrei tornare da mio marito e i bambini prima che distraggano tutto con la scusa di fare i loro “innocenti” esperimenti! – concluse con un sorriso sincero e imbarazzato.
- Va pure Remus. – gli dedicò un mezzo sorriso Severus, aveva fatto pace da un pezzo con uno dei Malandrini che l’avevano perseguitato quand’era uno studente. Aveva scoperto che Remus era un brav’uomo; con un grande cuore e molti talenti, tra i quali la cucina. Odiava il suo essere un licantropo e la pozione che distillava Severus gli era sempre di grande aiuto. Si era sposato da prima della guerra con un altro Malandrino: Sirius Black; ma con lui i rapporti non si erano ancora completamente appianati – Salutami i bambini e tuo marito. – concluse congedandolo.
Remus annuì uscendo dalla sala professori, felice che il Preside cercasse di creare un rapporto non conflittuale con Sirius.

I giorni trascorsero velocemente, c’erano davvero molte cose da organizzare per accogliere gli ospiti al Castello e tutto doveva essere, maniacalmente, perfetto.
Finalmente, dopo un mese di preparativi, i Gufi furono pronti per consegnare in tutta l’Inghilterra Magica le lettere di invito per la “Open School Week”.
Severus guardava i volatili lasciare la Guferia con le preziose lettere nel becco, il suo cuore sembrava battere veloce, allo stesso ritmo delle ali dei rapaci.
- Preside Piton? – lo chiamò l’insegnante di Storia – Anche lei qui? – lo avvicinò ancheggiando provocante o, almeno, provandoci.
- Signorina Smith, - sospirò – non si finga così sorpresa di vedermi qui. Ha sentito che ne parlavo in cortile con Remus e Sirius. Perché, di grazia, mi ha seguito?
- Volevo cercare di stare qualche minuto da solo con lei. – confessò stringendosi nelle spalle, facendo così scivolare il suo maglioncino sulle spalle.
- Non mi interessa ciò che sta tentando di offrirmi da quando è arrivata in questa Scuola. Ho provato ad essere gentile, indulgente. A fingere di non notare i suoi inutili tentavi di seduzione. - scosse la testa, impedendole di replicare – Credevo di essere stato esaustivo, signorina. Non sono interessato a storie da una notte. Non ho bisogno di qualcuno che mi scaldi il letto per “sfogare i miei istinti maschili”. Le ho già detto e ripetuto che la sua “mercanzia” non mi interessa. – e senza aspettare una risposta dalla donna, Severus si inchinò lasciandola sciogliersi in lacrime di rabbia in Guferia.
Hagrid, che aveva assistito suo malgrado a quello scambio di battute, tossì uscendo dall’ombra.
- Non pianga professoressa. – tentò di consolarla – Non è un uomo cattivo. E, tutto sommato, è un bravo Preside.
La signorina Smith si irrigidì, voleva vendicarsi dell’ennesimo rifiuto di Severus. Avrebbe voluto accusarlo di molestie davanti agli altri insegnanti e poi al Ministero della Magia; ma la presenza di Hagrid cambiava tutto: lui aveva visto ogni cosa. Avrebbe potuto lanciargli un Oblivion, ma era troppo rischioso come incantesimo su di lui che era un mezzo gigante.
- Grazie Rubeus. – mormorò accettando il fazzoletto – Sei molto gentile. Fa male sentirsi dire “no” dalla persona che ti piace. – gli indirizzò un piccolo sorriso – Ti lascio al tuo lavoro. – e lasciò la Guferia.

I messaggi giunsero a destinazione nei tempi previsti; e la Scuola ricevette tutte risposte positive: per una settimana molti maghi e streghe avrebbero accompagnato i rispettivi figli tra le mura di quel Castello dove avevano studiato e vissuto momenti indimenticabili.
Quando la lettera giunse al negozio di Clarice, lei guardò il gufo con gli occhi sgranati. Daniel, che stava facendo i compiti al bancone, osservò prima il gufo poi la madre e viceversa.
- Mamma!? – la chiamò scuotendola dal suo torpore – Non hai intezione di prendere la lettera? Sono certo che quel gufo ha il compito preciso di restare lì finché non lo fai. – le sorrise.
- Danny. Sai che gufo è questo? E che sigillo c’è sulla lettera?
- È una lettera di Hogwarts! – urlò il bambino sgranando gli occhi, felice – È una lettera di papà! – esclamò facendola sbiancare, era la prima volta che il figlio si riferiva ad alta voce a Severus chiamandolo “papà”.
- Prendila tu tesoro. – gli sorrise pulendosi le mani sul grembiule che indossava al lavoro.
- Certo! – Daniel prese la lettera dal becco del gufo, ruppe il sigillo e lesse l’invito ad alta voce.
Clarice ascoltò con attenzione, poi un grosso sorriso le distese le labbra. Era un’idea brillante per cercare di far tornare la Scuola ai livelli di un tempo.
- Ci andremo, vero mamma? – la guardò speranzoso – Voglio vedere la tua Scuola. – abbassò la testa triste – So che non vuoi mandarmi lì a studiare quando compirò 11 anni. Ti ho sentito urlarlo a lui. – confessò mordicchiandosi le labbra.
- Ci andremo e ho detto cose assurde, spinta dalla rabbia e dalla paura. – gli accarezzò la testolina corvina – Decideremo insieme. Trascorreremo questa settimana nella mia vecchia Scuola. Parteciperai a tutte le attività, poi andremo a vedere anche altre Scuole di Magia. E sceglierai quella che ti piace di più.
- Grazie mamma! – un sorriso felice illuminò gli occhi del bambino che, passandole la lettera, disse – Devi rispondere “sì” con un colpo di bacchetta.
Clarice fece ciò che il figlio le aveva chiesto, poi dette alcuni bocconi prelibati al gufo e lo osservò tornare verso la Scuola soddisfatto. Aveva portato a termine il suo lavoro ed era stato anche coccolato dalla donna e il bambino, non sempre era piacevole consegnare lettere per la Scuola di Magia.

Non appena Clarice aveva apposto il suo “sì” sulla lettera, dentro la busta erano apparsi altri documenti. La strega sorrise: avevano fatto le cose in grande, infatti chiedevano alle famiglie di far portare ai figli un po’ di materiale scolastico.
- Guarda mamma. – parlò Danny che aveva finito di leggere – Noi abbiamo praticamente tutto.
- Già. Gli ingredienti per le pozioni non ti mancano. – ridacchiò – E nemmeno il calderone e altre piccole cose.
- Portiamo anche Berty? – domandò speranzoso.
- Certo, e anche Jewell. – annuì la strega indicando la gatta che dormiva al sole.
Annuendo, madre e figlio prepararono le valigie e tutto il necessario per la settimana di prova alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Il mattino della partenza, al Binario 9 e ¾, c’erano moltissime persone e un gran vociare. Daniel si guardava attorno con gli occhi sgranati per lo stupore e la meraviglia. Erano arrivati insieme alla famiglia di Tom, sua madre Rose, la figlia maggiore Amber e il padre William.
- Ma tu prendevi il treno ogni anno, mamma? – domandò intrecciando le dita della mano a quella della mamma.
- Sì, tesoro. – annuì la strega – Come la maggior parte delle persone qui presenti. – gliele indicò con un cenno del capo.
- Conosci qualcuno? – chiese curioso guardandosi attorno.
- Mmh. – storse la bocca lei seguendo lo sguardo del figlio – Troppe persone, di età diverse. Alcune, credo, hanno scelto di non frequentare la Scuola. Non ricordo molti volti dei miei ex compagni di classe o Casa.
- Perché eri troppo secchiona, mamma? – ridacchiò Daniel.
- Come sei carino, figlio! Non ti comprerò niente dalla signora del carrello! – concluse facendogli la linguaccia, una risata alle loro spalle li fece sobbalzare.
- Non ci credo! – parlò una voce maschile che fece irrigidire Clarice – Dopo tutti questi anni ti riconoscerei tra mille! Non sei cambiata molto.
La strega si girò verso la fonte della voce, trovandosi davanti quell’idiota di Black. Lo stesso che aveva provato a violentarla nel corridoio buio di Serpeverde. Se non avesse parlato lui per primo, riconoscendolo, lei non l’avrebbe mai saluto. Era radicalmente cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto: era ingrassato molto ed aveva perso quasi completamente i capelli. Osservandolo con attenzione, lo si poteva paragonare ad un oscillante mostro di gelatina.
- Jonathan Black? – chiese arcuando un sopracciglio lei, ai tempi della Scuola era tra i più corteggiati dalle oche senza cervello – Tu dalla famiglia di Sirius Black hai presi i geni recessivi. Oppure ti sei mangiato qualche membro della famiglia in questi anni. – disse senza celare cattiveria nella voce la strega.
- Essere cugini di ottavo, nono grado purtroppo non aiuta! – sospirò teatralmente l’uomo – Cosa ci fai sul Binario, Clarice?
- Porto mio figlio a Scuola. – glielo indicò, il bambino era impegnato a chiacchierare con Tom, Amber ed altri coetanei incontrati alla stazione.
- Alle fine non hai sposato il tizio bulgaro?
- No. – disse secca.
- E come…? – chiese.
- Non sono affari che ti riguardano. – si strinse nelle spalle – Adesso scusami, ma vorrei fare il viaggio seduta, preferisco salire a bordo. – così dicendo fece levitare il proprio bagaglio e, girandosi verso i suoi amici, chiese loro di seguirla perché il treno stava riempiendosi velocemente.
Annuendo, William fece fluttuare i bagagli della sua famiglia e chiese a Rose di occuparsi dei tre bambini: c’era veramente molta gente, il rischio di perdersi era alto. Camminarono nel treno in silenzio e, dopo aver trovato uno scompartimento vuoto, entrarono per sistemarsi.
- Chi era quello mamma? – chiese Daniel curioso.
- Un idiota che voleva farmi del male. – spiegò sbuffando, i ricordi spiacevoli a riempirle di bile la bocca – Per fortuna tuo padre era lì e mi ha aiutata.
- Per fortuna. – sorrise Daniel – Non mi sarebbe piaciuto il mostro gelatinoso come papà! – ammise facendoli ridere, allentando così la tensione.
- Hai ragione amore! – le loro chiacchiere furono interrotte dall’aprirsi della porta dello scompartimento. Un uomo si affacciò con la propria figlia, sobbalzando quando notò che anche quello scomparto non più vuoto come sembrava da terra.
- Scusate. – parlò – Il treno è quasi tutto pieno, avete un posticino, almeno per Alba? – chiese indicando la ragazzina con i capelli biondo grano.
- Ma certo!  – sorrise Rose – Basterà stringerci un pochino. – guardò il marito che annuì dicendo:
- I bambini si adatteranno presto, si accomodi. Io mi chiamo William Quentin. Loro sono mia moglie Rose e i nostri figli Amber e Thomas. - l’uomo entrò nello scompartimento con un sorriso grato, rimpicciolì il proprio bagaglio e spinse la figlia verso gli altri bambini.
- Io sono Clarice Prince. – si presentò la strega – Lui è mio figlio Daniel. – tese la mano aspettando che anche l’uomo rivelasse il suo nome.
- Piacere di conoscervi. Io sono Richard Patterson. Sono americano, trasferito in Inghilterra per amore. – sorrise – Ho conosciuto la madre di Alba durante le mie vacanze estive e non ho più potuto fare a meno di lei.
- Che romantico! – squittì Rose abbracciandosi al petto del marito, era una romantica ed amava ascoltare quel genere di storie.
- Perché sei con Alba? – chiese Tom curioso.
- Perché la mia mamma ha avuto da poco una coppia di gemelli urlanti! – sbuffò Alba facendo sorridere gli adulti – È rimasta a casa dalla nonna ed io ho pregato il papà di portarmi! – lo guardò sbattendo le sopracciglia – Papà non riesce mai a dirmi di no!
- Ciao Alba. – parlò Daniel – Io mio chiamo Daniel, ma puoi chiamarmi Danny.
- Io sono Amber, ciao. – le sorrise la bambina, era più grande di loro di due anni e stava leggendo uno dei suoi libri preferiti.
- Io sono Thomas, ma puoi chiamarmi Tom o Tommy. – si unì l’altro bambino facendola ridacchiare.
- Piacere mio. – rispose – Giochiamo? – propose mostrando loro le sue gobbiglie.
- Possiamo mamma? – chiesero in coro i bambini, ognuno rivolto alla propria mamma.
- Certo. – annuì Rose.
- Ma usate l’arena, - continuò annuendo Clarice – almeno le gobbiglie non andranno in giro per il treno. – concluse prendendo la scatola incantata per i combattimenti con le gobbiglie.
- Wwwooooowwww!!! – squittì Alba – Che bella!
- Grazie. – arrossì Daniel, era una sua creazione anche se l’aveva realizzata uno dei maghi artigiani del loro villaggio.
- È nata da un’idea di Danny. – spiegò Tom orgoglioso – Io trovo che sia molto bella.
Il resto del viaggio sul Treno lo fecero chiacchierando del più e del meno, rispondendo alle domande dei bambini e mangiando le delizie comprate dalla “signora del carrello”. Clarice raccontò che, generalmente, la partenza dell’Espresso era la mattina e non la sera, in modo tale da arrivare a Scuola la sera per l’ora di cena. In quel modo, invece, sarebbero arrivati in pieno giorno e avrebbero visto Hogwarts in tutto il suo splendore. Arrivarono alla stazione del villaggio di Hogsmeade che il sole era alto nel cielo e, non appena scesero dal treno, Clarice fu investita da un’onda prepotente di ricordi.
- Mamma, - la chiamò Daniel – tutto bene?
- Sembra passato un battito di ciglia. – mormorò stringendo la mano del figlio – Eppure, manco da questo luogo da sette anni.
- Sei felice di essere qui?
- Sì. – annuì.
- Prometti mamma. – la guardò negli occhi – Farai di tutto per chiarirti con lui. – il tono supplice del figlio le strinse il cuore – Ti prego.
- Farò tutto ciò che posso, amore! – lo baciò sulla nuca, ma furono interrotti dalla profonda voce di Hagrid che li stava chiamando:
- Ospitiiii… Ospitiii da questa parte!
- Rubeus Hagrid! – chiosò Clarice – Guardiacaccia e Mastro di Chiavi della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! – sorrise.
- Tu come… - la osservò il mezzo gigante, riconoscendo in quel sorriso quello della studentessa Clarice che adorava disegnare le creature di cui lui stesso si prendeva cura – Tu sei Clarice! – la riconobbe.
- In carne e ossa. Lui è mio figlio, Daniel. – lo presentò ed Hagrid sobbalzò: era la versione bambina e sorridente dell’attuale Preside, per fortuna che Piton li aveva avvisati dell’arrivo di Clarice e del bambino.
- Ben arrivati a scuola. – sorrise distogliendo lo sguardo – Cerca il cartello con il tuo nome, Clarice. Ad ognuno di voi, è stato affidato uno studente come guida e uno ai bambini. Voi grandi arriverete al Castello in carrozza. I bambini in barca.
- Mh. – annuì lei che, spostandosi cercò tra le mani degli studenti in fila quello con il proprio nome.
Lo teneva tra le mani un ragazzo biondo platino, con i tratti del viso eleganti e le labbra piegate in uno strafottente sorriso: apparteneva alla sua stessa ex-Casa.
- Serpeverde ti aiuterà sulla via della grandezza. – parlò Clarice fermandosi davanti al ragazzo.
- Signorina Clarice Prince. – fece lui un rapido inchino – Bentornata tra le mura della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. – le baciò la mano con galanteria, facendola arrossire come una quindicenne – Io sono Draco Lucius Malfoy, e sarò la sua guida in questo viaggio fino alla Scuola.
- Onorata di conoscerti, giovane Malfoy. – sorrise la donna – Lui è Daniel Prince, mio figlio.
- Piacere. – mormorò il bambino osservando con gli occhi sgranati i capelli biondo platino del ragazzo davanti a lui.
- Piacere mio. – gli strizzò l’occhio il Serpeverde – Questo bel ragazzo al mio fianco, - se lo tirò addosso – che ha messo il broncio perché nessuno lo considera, è Harry James Potter il mio fidanzato. A lui è affidato il compito di scortare Daniel fino alla Scuola.
- Ben arrivati. – sorrise il Grifondoro nella sua splendente uniforme.
- Naaah! – storse la bocca il bambino – Mamma, non è giusto! A te tocca una Serpe! A me un Grifone! Facciamo scambio? – la pregò facendo gli occhioni da cucciolo.
- Non siamo figurine di cioccorane! – ridacchiò Harry.
- Tu lo sei! – rise Draco coinvolgendo gli altri.
- Prometto che non sarò troppo Grifondoro, Daniel. – gli sorrise – Sono fidanzato con un Serpeverde dopotutto.
- Hai scordato di aggiungere Splendido, Potter! – rise di gusto Draco mentre si occupava del bagaglio di Clarice.
- Modesto. – roteò gli occhi al cielo Clarice ridacchiando.
- Dopo quello che abbiamo vissuto, signorina, mi piace farlo ridacchiare con le mie battute.
- Fai bene. – annuì – Però, chiamami Clarice e dammi del tu. Mi fai sentire vecchia altrimenti.
- Vecchia tu? – la guardò, trovandola incantevole – Sei una ragazzina. In uniforme, potresti confonderti con le studentesse del Settimo Anno!
- Oh Draco Malfoy! – lo prese a braccetto – Ti bacerei!
Spudorato, il ragazzo porse la guancia che lei accarezzò con un bacio leggero. Quella ragazza gli piaceva, aveva sentito molto parlare di lei e capiva perché il suo Capo Casa ne fosse così innamorato. Era completamente diversa dalla prima donna che aveva ossessionato Severus, con un carattere solare nonostante tutto ciò che aveva vissuto sulla propria pelle.
- I Threstal. Erano anni che non ne vedevo. – disse sottovoce.
- Non è buon segno vederli. – scosse la testa Draco, anche lui li vedeva ma avrebbe preferito continuare a credere che le carrozze si muovevano grazie a qualche arcana magia.
- Lo so Draco. – annuì comprensiva – Saliamo? – propose un po’ stanca per la tensione accumulata durante il viaggio.
- Certo. – Draco la condusse verso una delle carrozze vuote e, raccontandole di come era cambiata la Scuola nel corso di quegli anni, aspettarono che qualcun altro salisse con loro.
Alla fine, a fare loro compagnia furono una studentessa Corvonero che Draco aveva chiamato Luna e un uomo con la faccia tonda e rubiconda.

Guardandosi attorno meravigliati, giunsero fino al Castello dove ad aspettarli c’erano Mastro Gazza (arcigno come Clarice lo ricordava) e una giovane insegnante che la donna non aveva mai visto.
- Ci mancava solo lei! – borbottò Draco tra i denti.
- Ben arrivati genitori! – cinguettò la professoressa – Avete fatto buon viaggio? – un coro di assensi la avvolse e lei annuì soddisfatta – Ottimo, ottimo. – aveva ascoltato metà delle risposte e delle domande che erano state fatte, stava cercando quella che riteneva la sua “rivale”, la donna di cui aveva parlato in aula professori Severus.
- Sta cercando te, Clarice. – mormorò Draco sottovoce.
- Me? – lo guardò senza capire – Perché?
- Perché è da quando è arrivata, due anni fa, che cerca di portarsi a letto Severus Piton. – rispose con un’alzata di spalle il biondo Serpeverde.
- Ah. – fu tutto ciò che replicò Clarice alzando gli occhi a guardarla – Lei è il genere di donna che piace adesso al tuo professore di Pozioni, Malfoy? – chiese a denti stretti.
- No. ma questo lei non riesce a capirlo! – storse la bocca il mago.
- Meglio per lui. – fece un sorrisetto sarcastico, la professoressa non riuscendo ad individuare la “lei” di Severus, invitò tutti ad entrare, rassicurandoli che dei bagagli si sarebbe occupato Mastro Gazza aiutato dagli Elfi Domestici della Scuola.
Clarice seguì il fiume di genitori lungo i sentieri che conducevano al Castello perdendosi ad osservare il panorama rimasto immutato, osservando la Scuola che si stagliava fieramente davanti a loro. Bella come se non fosse mai stata distrutta durante la Guerra.
- Che bello essere nuovamente a casa! – mormorò con un sospiro, un altro genitore la sentì ed annuì lentamente.
- Ha frequentato la Scuola? – chiese infatti.
- Sì, alcuni anni fa. – sorrise – Lei?
- Molti più di lei! – ridacchiò – Sono nonno e accompagno il mio nipotino. Purtroppo mio figlio non ha potuto lasciare la moglie. Sa, ha riportato una grave ferita e sta guarendo lentamente. Ma non avrei mai permesso a Nathan di perdersi una settimana di meraviglie.
- Ha fatto bene! – sorrise Clarice – È un nonno premuroso.
- Ed egoista! – ammise – Qui ho trascorso gli anni migliori della mia vita. Vorrei provare a ritrovare un po’ di quella serenità.
- Le auguro di farcela. – annuì la strega, poi furono separati dall’arrivo di altri genitori che si unirono a loro parlando di tutte le meraviglie che avevano visto camminando.
In gruppo, sempre scortati ognuno dal proprio studente, gli adulti raggiunsero la Sala Grande dove erano già approdati i bambini vociando.
- Mamma! Mamma! – urlò Daniel non appena riconobbe la testa di sua madre tra gli altri – Sei arrivata finalmente! – la abbracciò, riempiendosi le narici del suo odore.
- Ehi, siamo rimasti separati poco amore! – lo abbracciò – Cosa ti è successo?
- Ho avuto la sfortuna di fare il viaggio con una coppia di fratelli, un maschio e una femmina, veramente odiosi! – spiegò assottigliando lo sguardo – Sono i figliocci di Harry e hanno preso in giro per tutto il tempo la tua Casa, mamma. – alcune lacrime gli riempirono lo sguardo.
- Non devi dare ascolto alle chiacchiere ed alle cattiverie gratuite, sai piccolo? – cercò di consolarlo Draco – Dicono sempre cose orribili su Serpeverde, che ha dato i natali ai più potenti maghi oscuri e simili. – gli sorrise – Ma nessuno pensa che quell’uomo lassù, che ha quasi perso la vita per salvare quella di Harry Potter, è uno dei maghi Serperverde più potenti di sempre. – concluse indicando con la testa il leggio dove era apparso Severus.
Clarice sentì il fiato mancarle, si sentiva soffocare in mezzo a tutta quella gente.
- Mamma. – la chiamò Daniel – Mamma…?
- Clarice, - la chiamò Draco facendola allontanare dalla folla – tranquilla. Io so chi siete. Lui è mio zio. – ammise.
- Quindi sei mio cugino? – chiese mandando la testa di lato Daniel.
- Sì piccoletto! – ridacchiò.
- Foorteeee! – rise felice Daniel.
Clarice si era calmata, la sensazione di peso sul cuore era passata ed aveva ripreso a respirare normalmente.
- Grazie. – sorrise.
- Di niente. Adesso vi darà il benvenuto. Un discorso del tutto simile a quando accoglie gli studenti del primo anno. – sorrise, Harry li stava raggiungendo.
- Drake, - lo chiamò infatti – tutto bene?
- Sì Potter. – gli baciò le labbra.
- Troppa folla, il tuo fidanzato è stavo svelto a portarmi qua prima che io mi rendessi ridicola svenendo. – arrossì la strega.
Harry si limitò a sorridere poi, sistemandosi gli occhiali sul naso, si girò verso il Preside per ascoltare almeno qualche parola del suo discorso, alla fine del quale i presenti proruppero in un forte applauso.
- Bene. Adesso che il discorso è finito ed ha presentato il corpo docenti, potremmo accompagnare gli adulti nelle rispettive stanze. – sorrise Draco.
- Non dormiremo nel dormitorio? – chiese Clarice.
- Il Preside, - rispose una strega fermandosi di fianco ad Harry – ha pensato che fosse meglio lasciare noi nei dormitori. In fin dei conti è la nostra Scuola e ci sono ancora studenti minorenni.
- Non ci avevo pensato. – annuì Clarice – Quindi, verremo scortati al Villaggio…? – chiese.
- Una parte di voi sì. – parlò una voce profonda alle loro spalle che li fece sobbalzare tutti: silenzioso come la neve che cade, Severus li aveva raggiunti.
- Professor Piton, - si girò Clarice ingollando a vuoto – impari a fare rumore quando cammina. Mi ha fatto perdere dieci anni di vita! – sospirò cercando di placare il suo cuore che batteva troppo, troppo veloce.
- Desolato! – ridacchiò cercando gli occhi di Daniel che brillavano felici – Ciao Danny.
- Ciao p…ehm… professore. – si riprese con voce emozionata – Io e la mamma dove dormiremo, Draco? – chiese.
- Voi due, - rispose la strega consultando la lunga lista che aveva tra le mani – dormirete al Castello. Nella stanza, vuota, del Prefetto Serpeverde.
- Coooosaa? – sgranò gli occhi Clarice, ma non poté aggiungere altro perché la professoressa gattamorta si stava avvicinando muovendosi sinuosa.
- Ci sono problemi, Severus? – chiese mielosa – Alla signora non piace la sua sistemazione? – continuò guardandola senza vederla.
- No, anzi. Devo ringraziare il Preside Piton per avermi dato una delle stanze migliori che la Scuola ha a sua disposizione. Da ex-alunna Serpeverde, mi sento onorata di poter occupare la stanza del Prefetto della mia ex-casa, professoressa. – concluse con un sorriso tutt’altro che dolce.
La donna sobbalzò come se l’avesse scottata, cercò di dire qualcosa ma Severus glielo impedì ordinando a Draco di scortare la signorina e suo figlio nella stanza a loro assegnata perché il pranzo, seguito dalla prima lezione, sarebbe iniziato da lì a breve. Clarice e Daniel ringraziarono con un sorriso l’uomo e seguirono silenziosamente Draco per il dedalo di corridoi della Scuola.
Non appena Draco disse al dipinto la parola d’ordine, lo studente si girò verso Clarice dicendo:
- Sai tornare in Sala Grande per il pranzo?
- Certo. – annuì – Draco, che lezione c’è dopo pranzo?
- Pozioni. Scommetto un galeone che parteciperai “pozionista migliore del suo corso”. – ridacchiò uscendo per lasciarli liberi di riposare.
- Danny! – pigolò Clarice lasciandosi cadere sul letto a baldacchino – In che situazione ci siamo messi?
- Il novanta per cento della colpa è tua, mamma! – si strinse nelle spalle il bambino che gironzolava curioso per la stanza.
- Grazie amore, anch’io ti voglio bene! – sbuffò. Un lieve bussare alla porta interruppe i loro discorsi, Daniel andò ad aprire trovandosi davanti Rose ed Amber.
- Ragazze! – le accolse con un sorriso la strega – Anche voi siete rimaste al Castello?
- Sì, siamo state sistemate nella stanza del Prefetto Corvonero. Ho chiesto alla mia guida di portarmi da te, perché mi sento un po’ persa.
- Accomodatevi. – si fece da parte Daniel.
- Danny. – parlò Amber – Ma quello che parlava, tutto serio-serio, è tuo papà?
- Già. – annuì.
- Wow! – si mordicchiò le labbra la bambina – È un mago molto affascinante! – ammise arrossendo.
- Anch’io diventerò affasciante come lui da grande! – replicò gonfiando fiero il petto.
- Mmh, tu diventerai anche meglio. – ridacchiò Amber – Perché hai qualcosa di tua mamma! – ammiccò facendo sorridere le due adulte.
- Vi siete cambiate per il viaggio? – chiese Clarice.
- Sì, dopo il treno; la barca e la carrozza, ci sentivamo sporche. – annuì Amber.
- Cambiamoci anche noi, Danny. – rifletté Clarice – Quella strega con le tettone vuole portarci via papà.
- Impossibile. – scosse la testa Daniel – Lei non ha un figlio adorabile come me. – concluse facendo scoppiare a ridere i presenti.
Clarice e Daniel si diressero verso la stanza da bagno, la strega aveva preso un cambio completo di abiti per entrambi e, sorridendo, aiutò il figlio a cambiarsi facendogli indossare un paio di pantaloni blu scuro aderenti, un maglioncino con il collo a lupetto chiaro ed un cardigan dello stesso colore dei pantaloni.
Sorridendo, Clarice lo spinse nell’altra stanza per mettersi le scarpe mentre lei osservò con occhio critico ciò che aveva scelto per quel pranzo.
- Forza Cly! – si disse sorridendo alla propria immagine nello specchio – Facciamo vedere a quel vecchio serpente che non sono poi così male.
Un brivido le corse lungo la schiena dopo che si fu tolta gli abiti che indossava, non ricordava che in quelle stanze faceva più freddo che nel resto del Castello, avrebbe chiesto agli Elfi di accendere il caminetto per mandare via un po’ di quell’umidità.
Smettendo di perdersi in pensieri inutili, la giovane donna indossò l’abito che aveva scelto: era a maniche lunghe e si modellava seducente attorno al suo fisico, era nero con una stampa floreale bianca; era lungo poco sopra il ginocchio, infatti sotto ci aveva abbinato dei leggins neri che mettevano in risalto le sue gambe toniche. Osservandosi criticamente nello specchio a figura intera nel bagno, si disse che non stava affatto male vestita così. Per essere un po’ più sexy, slacciò i laccetti che chiudevano il vestito sul seno creando un seducente gioco di vedo non vedo.
Senza pensare alle conseguenze, con un colpo di bacchetta si acconciò i capelli in uno chignon che impreziosì con un fermaglio bianco a forma di fiore, come quelli stampati sul suo abito.
Raggiunse gli altri in camera mentre si infilava le scarpe nere con il tacco basso.
- Wooooowwwwwww! – mormorò Daniel – Sei la mia mamma tu? – le sorrise.
- In carne ed ossa. – fece un giro su stessa la donna.
- Bella. – annuì Amber dopo averla osservata in silenzio per alcuni minuti.
- Grazie Amber. – le baciò la testolina – Andiamo? – disse prendendo uno scialle di lana nero per affrontare il ghiaccio dei corridoi.
Rose non riuscì a rispondere, perché qualcuno bussò discretamente alla porta. Clarice aprì, trovandosi davanti Harry e Draco.
- Ragazzi. – li accolse.
- Devo aver sbagliato stanza, Harry. Qua c’è una stella. – e indicò Clarice.
- Malfoy! – alzò teatralmente gli occhi al cielo Harry – Tu sì, che sai come mettere in imbarazzo una bella ragazza! – le porse il braccio – Stai benissimo Clarice. – le sorrise.
- Grazie Harry.
- Madame Quentin, - fece un rapido inchino Draco – ho chiesto alla sua accompagnatrice di poterla sostituire per il pranzo. Spero non le dispiaccia.
- Assolutamente no. – arrossì Rose poggiando la mano sul braccio muscoloso di Draco – Grazie.
Chiacchierando allegramente, gli studenti condussero le due donne con prole al seguito, fino in Sala Grande.
- Tu saresti potuta tornare tranquillamente da sola, vero mamma? – domandò Daniel.
- Sì amore. – annuì la strega – Però è più bello essere sostenuti da qualcuno. – e strinse la mano sul braccio di Harry che arrossì compiaciuto.
- Vogliamo solo che sia felice. – mormorò il Grifondoro – Ha sofferto troppo. E per troppo tempo. – concluse aggiustandosi gli occhiali – Adesso vogliamo che viva una vita più serena e piena d’amore. – sospirò poggiando una mano sulla spalla del bambino, che sgranò gli occhi felice per quella confessione.
- Sedete dove volete. – disse loro Draco – Non esiste più l’assegnazione dei tavoli anche se…
- Serpeverde! – dissero in coro Amber e Daniel, impedendo al ragazzo di finire la frase.
- Prego, allora! – fece un inchino teatrale – Clarice, fai strada tu?
- Con estremo piacere, Draco. – sorrise muovendosi sicura verso il tavolo in cui era stata per tutti gli anni di studio. Sentiva sulla propria figura gli occhi curiosi di molte persone, non solo donne ma anche alcuni uomini che avevano accompagnato i figli al posto delle compagne/mogli.
Come brace, bruciarono sulla sua figura gli occhi di Severus e lei, poco prima di arrivare al tavolo, lasciò scivolare lo scialle, a terra piegandosi sensualmente per raccoglierlo facendo deglutire le persone più vicino a lei, Severus compreso.

Il pranzo si svolse in armonia. Le portate si susseguirono con il giusto ritmo, la cucina della Scuola era migliorata nel corso degli anni e Clarice mangiò con gusto, assaporando una pietanza dopo l’altra, facendo quasi l’amore con il cibo. Daniel mangiava nello stesso modo entusiastico, rapito dalla bravura degli Elfi che lavoravano nelle cucine del Castello. Alla fine del pasto, Severus si alzò dal suo posto dicendo:
- Chiunque voglia partecipare al primo laboratorio di Pozioni, è pregato di seguire il suo accompagnatore fino all’aula preposta. A questa dimostrazione, potranno partecipare anche i bambini.
- Stasera, - lo affiancò Minerva – saranno distribuiti in tutti gli alloggi, sia interni alla Scuola sia quelli esterni, gli orari con le varie lezioni o laboratori creati per questa settimana.
- Esattamente, grazie professoressa McGranitt. – le sorrise indulgente Severus – Ci saranno attività che i ragazzi potranno svolgere senza la vostra supervisione; ed altre, come quella che andremo a fare adesso, dove la presenza di un genitore è obbligatoria.
- Se uno non volesse venire a lezione di Pozioni, signore? – domandò un uomo dal tavolo di Tassorosso – Cosa potrà fare? Annoiarsi fino all’ora di cena?
- Assolutamente no, signore! – scosse la testa il Preside – I miei colleghi, saranno a vostra disposizione per fare qualunque cosa i vostri figli abbiano voglia o curiosità di provare.
- Anche una partita di Quidditch? – domandò un bambino, avrà avuto sì e no otto/nove anni.
- Anche. – annuì il Preside.
Un coro di ovazioni entusiastiche si levò dalla Sala e le persone iniziarono a defluire scompostamente.
- Danny, - lo chiamò Clarice – cosa vuoi fare tu? Quiddtch o Pozioni?
- Mamma… - un’espressione triste dipinse gli occhi del bambino – Entrambi!
- Facciamo così. – parlò Amber – Io vorrei provare Pozioni. Alla mia di mamma piace il quidcomesichiama. – guardò Clarice – Ci scambiamo? – sorrise.
- Ti scoccia andare con Amber a Pozioni? – chiese Rose.
- Assolutamente no. – scosse la testa Clarice – E tu farai il bravo con Rose al campo?
- Sssssìììì!!! – saltellò felice il bambino schioccando un bacio sulla guancia della sua amica – Chi viene tra Harry e Draco?
- Harry. È una frana in pozioni! – rise Draco scuotendo la testa.

Ridendo, il gruppo si separò. Il cuore di Clarice batteva forte contro le costole e si rese conto di stringere con forza il braccio di Draco quando lui le prese la mano per allentare la presa delle dita.
- Stai tranquilla. Andrà tutto bene.
- Lo spero. – sorrise mentre entravano in classe.
L’aula di Pozioni era la stessa di sempre, quella che lei aveva disegnato a memoria tante e tante volte nel corso degli anni. Il luogo dove era iniziato tutto. Dove il suo cuore si era sentito vivo ed aveva iniziato a battere ripetendo come un mantra il nome del suo ex-professore.
L’uomo fece il suo teatrale ingresso, chiudendo con un colpo di bacchetta tutti gli scuri dell’aula e, prendendo posto sul soppalco dietro la scrivania, scrisse alcuni ingredienti sulla lavagna.
Stava per iniziare con le sue raccomandazioni, quando vide Clarice in uno dei primi banchi con una bambina che aveva visto al fianco della sua amica Rose.
Clarice, notando lo sguardo perplesso sorrise mimando con le labbra la parola Quidditch facendolo sospirare sconsolato. Lei sorrise e, mettendo una mano sulla spalla di Amber le indicò con precisione maniacale dove il professore tenesse tutti gli ingredienti.
Mentre la classe iniziava a lavorare sulla Pozione, Severus iniziò a parlare. Raccontando di quanto quella materia fosse importante, non solo per il mago che ne possedeva la conoscenza; ma anche per l’intera collettività. Infatti, era per merito di Maestri Pozionisti che esistevano cure per malattie più o meno gravi. O terapie a lungo termine, come la pozione per la Licantropia o l’Insonnia.
Clarice spiegava a bassa voce ad Amber come preparare nel modo corretto i vari ingredienti. La bambina era molto attenta, le piaceva ascoltare la voce di Severus. Le cose che stava raccontando erano interessanti, in quel momento pensò che anche lei avrebbe potuto, un giorno, fare la differenza.
Purtroppo, fu quel pensiero felice a distrarla e, invece di mettere un pizzico di radice come le aveva suggerito Clarice, ne aggiunse una dose troppo elevata creando immediatamente una reazione errata nel composto.
- Amber no! – tentò di fermarla la curatrice, ma non fece in tempo a bloccare la mano della piccola che, spaventata, lasciò scivolare tutta la radice tritata nel loro calderone – Professore! – chiamò – Faccia sgomberare l’aula per cortesia!
L’uomo, notando lo sguardo spaventato e preoccupato della sua ex alunna, fece come lei gli aveva chiesto facendo uscire prima i bambini e i suoi alunni. Nel mentre, Clarice aveva estratto la sua bacchetta creando una specie di incantesimo scudo attorno al calderone che sbuffava impazzito.
- Draco, porta in salvo Amber. Qua ci penso io. – gli sorrise incoraggiante lei.
- Sicura, Clarice? – chiese lui incerto.
- Sono una curatrice, ne ho combinati di disastri simili… - ridacchiò mentre iniziava a recitare incantesimi più mirati a calmare e dividere gli ingredienti della pozione – Se il mio calderone potesse parlare… - concluse.
Draco accompagnò Amber nel corridoio insieme agli altri bambini e studenti. La piccola sembrava mortificata, ma il Serpeverde le sorrise dicendo che non tutti i mali vengono per nuocere, lei era riuscita a far restare da soli il Preside e Clarice. Lui, Daniel, Harry e sua mamma Rose stavano cercando il modo per farli tornare insieme e un passo importante lo avevano fatto grazie al suo intervento inaspettato.
Le lacrime abbandonarono gli occhi di Amber che, gettando le braccia al collo di Draco, disse che sperava davvero di finire in Serpeverde allo smistamento, perché già adorava quella Casa.

Dall’aula di Pozioni, gli ospiti in corridoio, udirono un lieve sibilo poi il silenzio. Alcuni istanti dopo, uscì dall’aula Severus portando Clarice in braccio.
- Sta bene. – rassicurò subito i presenti – Ha solo inalato più fumo di quanto volesse ammettere. Una fiala di Pozione ricostituente e tornerà in forma come prima.
- Possiamo dire che la lezione è finita, signore? – domandò Draco.
- Sì, la prima lezione non è andata esattamente come speravo. – ammise il Pozionista desolato – Ma sono felice che abbiate partecipato in numero così elevato.
- Potremmo terminare la preparazione delle Pozione domani, signore? – domandò un bambino dopo aver alzato la mano.
- Certo che sì. – annuì lui – Adesso andate, siete liberi. Mi occuperò io della donna. Ah, signor Malfoy, avvisi lei suo figlio. Lo faccia con tatto. La madre sta bene. È solo svenuta.
- Lo farò signore. – alzò un angolo della bocca Draco in un sorriso sardonico.
Severus, scuotendo la testa, portò Clarice negli appartamenti dove abitava ancora nonostante fosse diventato Preside e, con delicatezza, l’adagiò sul letto a baldacchino.
La giovane donna mugolò nell’incoscienza del sonno e rabbrividì, il corpo di Severus era caldo ed avvolgente. Ma ora quel calore era scomparso e a lei mancava terribilmente.
- Severus… - pigolò passandosi la lingua sulle labbra.
- Sono qui. – parlò lui con la sua voce modulata e profonda – Bevi. – le accostò una fiala alle labbra e lei, ubbidente, la mandò giù. La riconobbe dal sapore “Pozione Ricostituente”.
L’uomo appoggiò la fiala vuota sul comodino e fece per alzarsi dal letto; ma le dita di lei serrate con forza alla sua toga, glielo impedirono.
- Resta. Ho freddo. – mugolò accoccolandosi contro il suo petto.
- Resto. – annuì – Ma tuo figlio…
- Nostro… - ebbe la forza di dire prima di scivolare nel sonno.
Severus si crogiolò dentro quell’aggettivo possessivo, Clarice aveva detto “nostro” e l’aveva fatto nuovamente con cognizione di causa. Forse, non era tutto completamente perso.

Il resto della giornata trascorse senza altri incidenti. Clarice, grazie alla pozione di Severus riposò tranquillamente fino all’ora di cena e, quando si svegliò, si ritrovò al centro di un letto che non era il suo, avvinta ad un corpo troppo adulto per essere quello di suo figlio e si mise seduta sobbalzando, svegliando Daniel che dormiva alle sue spalle e stolsare chi era stato fino a quel momento il suo cuscino.
- Cosa è successo? – parlò – Dove… - e non terminò la frase: era nella camera da letto privata di Severus.
- Ben svegliata Clary. – le sorrise il Pozionista – La bambina della tua amica, ha fatto quasi esplodere uno dei miei calderoni. – spiegò – Tu hai reagito prontamente ma…
- Fumi tossici che non avevo calcato. – annuì – Sono svenuta.
- Mi hai fatto spaventare mamma. – la abbracciò Daniel.
- Scusa Danny. – ricambiò l’abbraccio – Severus mi ha dato una pozione potente. Ho dormito come un orso in letargo. – arrossì.
- Mamma. Io ho litigato con due bambini. Gli stessi che offendevano i Serpeverde.
- Fratelli gemelli? Un maschio e una femmina? – domandò Severus mettendosi seduto.
- Sì, come lo sai?
- Sono i figli di Lupin e Black. – sospirò passandosi una mano sul viso – Sono due piccoli scavezzacollo, come lo erano i loro genitori.
- I famosi Malandrini. – biascicò Clarice.
- Esattamente. – annuì l’uomo.
- Andiamo in camera nostra, mamma? – chiese Daniel – Vorrei farmi una doccia. Ho sudato molto.
- Certo tesoro.
- Mamma. – si fermò un attimo prima di lasciare la stanza – Devi ringraziarlo. Ti ha aiutato a far passare la “bua”! – e, senza aspettare la replica della madre, uscì dalla stanza.
Clarice si passò la mano tra i capelli con un gesto nervoso. Fu un quel momento che Severus notò il tatuaggio che aveva dietro il collo, nel punto che lui preferiva baciare di più di tutti gli altri.
Mentre la strega cercava di trovare qualcosa di intelligente da dire, il Pozionista seguì con un dito il contorno del tatuaggio: le sue mani, lo stesso disegno che lo aveva incantato anni prima.
- E questo? – le soffiò sulla pelle delicata del collo facendola fremere.
- Volevo averti sempre vicino. – ammise lei sentendo il corpo reagire come se quei sette anni non fossero passati – Mi sono fatta tatuare da un artista babbano. Non volevo un tatuaggio magico. Volevo qualcosa di statico. Che fosse sempre lì ogni volta che ne avessi avuto bisogno. – disse a voce bassa girandosi verso di lui.
Severus e Clarice erano ad un soffio l’uno dal viso dell’altra. La strega chiuse gli occhi inumidendosi le labbra; il mago gettò alle ortiche il proprio orgoglio e, con un ruggito gutturale, si avventò su quelle labbra che sognava di poter ribaciare da troppi anni ormai.
Fu un bacio profondo, carico di parole ed emozioni. Alcune lacrime sfuggirono dagli occhi di Clarice che si strinse il possibile contro il petto di Severus che ricambiò l’abbraccio, serrandola con le sue forti braccia.
Si divisero quando erano entrambi a corto di fiato, Daniel, appoggiato allo stipite della porta, li osservò dicendo:
- Bisogna sempre ringraziare quando qualcuno si prende cura di te.
Gli adulti sobbalzarono, separandosi palesemente a disagio. Clarice si alzò dal letto del Pozionista e, con un ultimo timido sorriso, lo ringraziò prima di uscire non solo dalla sua camera da letto ma anche dai suoi appartamenti.
Con una mano davanti alla bocca che non riusciva a smettere di tremare per l’intensità del bacio che si erano scambiati, madre e figlio rientrarono nella loro camera dove trovarono ad attenderli Rose e una morfiticata Amber.
- Allora, come stai? – chiese Rose.
- Lasciami abbracciare tua figlia! – pianse di gioia lei – Mi ha baciata! Grazie a lei mi ha baciata! – disse e, i presenti in quella stanza, iniziarono ad urlare e ballare seguendo ognuno il proprio ritmo della felicità
- Avrai presto un papà! – sorrise Amber, non più triste per l’errore commesso.
- Finalmente! – assentì fiero Daniel – Non sarò più solo con la mamma!
Qualcuno bussò alla porta, interrompendo la loro euforia. Andò ad aprire Rose che si trovò pietrificata davanti a Severus Piton.
- Salve. – sorrise ritrovando la voce – Sta cercando Clarice?
- Onestamente no. – scosse la testa – Vorrei avere la possibilità di fare una passeggiata con Danny. Noi due da soli. Se la madre, ovviamente, è d’accordo.
Clarice fu veloce a nascondere la delusione provata per quel rifiuto ma, incrociando gli occhi imploranti del figlio, non riuscì a dire di no.
- Certo. Danny, mi raccomando. Il Castello è molto grande e pieno di trabocchetti. Stai vicino a Severus.
- Lo farò mamma. Grazie.
Padre e figlio si incamminarono lungo il corridoio; il primo tratto di strada lo fecero in un gradevole silenzio; beandosi l’uno la presenza dell’altro, poi, mano a mano che la strada di allungava si palesò anche la necessità di intavolare una qualche conversazione.
Severus chiese al figlio della sua scuola, di come si trovava a vivere in quel piccolo villaggio ed il bambino fu ben lieto di rispondere in modo logorroico, vivace ed esastivo.
Il Pozionista, si riempì le orecchie della sua voce, sorridendo e annuendo mentre lui chiacchierava.
Incontrarono lungo il cammino altri studenti e ospiti; alcuni provarono a fermarli o unirsi alla loro passeggiata; ma il Preside cambiò percorso molte volte, facendo perdere a tutti gli indesiderati le loro tracce. Infine, condusse il figlio nel suo posto “speciale”, quello dove aveva baciato la madre la prima volta.

Daniel si riempì le narici con gli odori esterni e, osservando il Lago nero, disse:
- Sei diverso rispetto agli altri uomini che hanno corteggiato la mamma. Nessuno ha mai dimostrato la tua pazienza o il tuo interesse nei miei confronti. Non lo fai solo perché sono tuo figlio. Lo fai perché sembra interessarti ciò che racconto. È bello!
Il Pozionista si limitò a dedicargli un sorriso sincero, il drago della gelosia che ruggiva nel suo ventre: non sopportava l’idea di “altri” vicino alla sua Clarice. Nessun altro andava bene per lei. Sapeva, osservando il figlio, che erano destinati a stare insieme. Sperava solo di poter avere con lei un’altra possibilità.

  
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