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Autore: TaliaAckerman    28/03/2018    2 recensioni
L'ultimo atto della saga dedicata a Fheriea.
Dubhne e Jel si sono finalmente incontrati, ma presto saranno costretti a separarsi di nuovo. Mentre la minaccia dal Nord si fa sempre più insistente, un nemico che sembrava battuto torna sul campo di battaglia per esigere la sua vendetta. Il destino delle Cinque Terre non è mai stato così incerto.
Dal trentaquattresimo capitolo:
"Dubhne si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e ricordò quando, al suo arrivo a Città dei Re, l'avevano quasi rasata a zero.
- Quando ero nell'Arena... - mormorò - dovevo contare solo su me stessa. Un Combattente deve imparare a tenere a bada la paura, a fidarsi solo del proprio talento e del proprio istinto. Non c'è spazio per altro.
Jel alzò gli occhi e li posò su di lei - E che cosa ti dice ora il tuo istinto?
- Sopravvivi. "
Se volete sapere come si conclude il II ciclo di Fheriea, leggete!
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'II ciclo di Fheriea'
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- Hai una vaga idea di come intendano organizzarsi?
- Non è ancora stato detto nulla; anche nel caso che i generali sappiano qualcosa, non si sono ancora sbilanciati con nessun luogotenente. La stessa cosa vale per i più importanti lord dell'Ariador.
La panoramica non era quel che si dice "illuminante".
- Anche se - aggiunse Jack a sorpresa - forse potrei avere qualche idea a riguardo.
- Sì? - lo incalzò Dubhne interessata. - E cosa te lo fa dire?
- Qualche mese fa ho incontrato due giovani nel Nord, due Consiglieri. All'inizio pensai che mentissero, che fossero due sbandati che si erano trovati nel posto sbagliato. Ma c'era qualcosa che mi ha impedito di lasciare correre e lasciarli andare - s'interruppe un istante, come valutando se fosse davvero il caso di confidarle ciò che stava per dire. Alla fine evidentemente si convinse che la ragazza meritasse la sua completa fiducia, perché continuò:- Quei due ragazzi portavano con loro cinque delle sei Pietre Magiche. Mi raccontarono di essere stati incaricati dal Re in persona di radunarle e portarle a Grimal.
Un pensiero aveva attraversato la mente di Dubhne nel momento esatto in cui Jack aveva menzionato i due giovani Consiglieri. E, ora che erano state citate anche le Pietre, la sensazione si era tramutata in certezza.
- Mi stai dicendo che... conosci Jel Cambrest? - azzardò incredula.
L'uomo sembrò sorpreso quanto lei. - Sì, mi pare fosse questo il suo nome. Jel e... Gala, Gala Sterman mi pare. Un ragazzo in gamba lui, una bella tipetta lei. Andreste molto d'accordo, credo - le lanciò uno sguardo sghembo. - Come vi siete incontrati?
- È una lunga storia - tagliò corto Dubhne; non era il caso che si mettesse a raccontare per filo e per segno tutte le vicissitudini che avevano condotto le strade sue e dei due Consiglieri ad incrociarsi. - Li ho conosciuti subito dopo aver vinto i Giochi e, adesso che ci penso, il motivo è stato proprio riguardo a queste Pietre. Credi che rientrino nei piani del Consiglio?
- Se davvero fosse così - commentò Jack assorto - Significa che il Consiglio ha davvero una paura folle del Nord. Ma in ogni caso - e qui aggrottò le sopracciglia - tutti sanno che quella delle Pietre è solo una leggenda. E anche se ci fosse del vero, nessuno sa come sfruttarne la magia.
Calò qualche istante di silenzio. Dubhne stava cercando di assimilare la quantità di informazioni che aveva ricevuto negli ultimi cinque minuti. Se tutto quello che Jack le aveva esposto era vero, c'era la forte possibilità che anche Jel e Gala seguissero gli altri Consiglieri fino a Qorren.
- Hai idea... - buttò lì alla fine - Hai idea se anche loro faranno parte della delegazione?
Ma lui, desolato, scosse la testa. - Non ne posso essere sicuro, ma se sono vivi e fanno ancora parte del Gran Consiglio è piuttosto probabile.
Un'altra ruga di preoccupazione si disegnò sul suo volto mentre pronunciava quelle parole.
- Da quello che so l'intero stato maggiore delle Cinque Terre verrà qui; si tratterà di un bel dislocamento di persone, quindi prevedo che avremo diversi problemi nel sistemarle tutte in città.
Quell'affermazione riportò alla mente di Dubhne le parole che Caley le aveva rivolto poco prima di congedarsi.
- Jack... - disse cauta. - Lo so che in questo momento hai altro a cui pensare, ma c'è una faccenda piuttosto urgente di cui dovresti occuparti o, almeno, così mi ha detto Caley. Ti sta aspettando al piano di sotto.
Per un attimo l'uomo la guardò spaesato, poi la sua espressione cambiò trasfigurata dall'improvvisa ripresa di coscienza. - Certo - borbottò strofinandosi gli occhi. - Ma certo, la famiglia Robertson.
Si alzò in piedi e prese a scuotere la testa. - Da non crederci - disse a bassa voce mentre con passo nervoso cominciava a camminare avanti e indietro. - Come se non ci fossero già abbastanza grane...
- C'è qualcosa che posso fare per te?
Dubhne cominciava a sentirsi lievemente in colpa per tutte le volte in cui il comandate l'aveva aiutata senza mai ottenere da lei praticamente nulla. Anzi, per il più delle volte la ragazza aveva ricambiato con rabbia e insulti. Ed era per questo motivo che in quel momento sentiva che, se ci fosse stato un modo per sollevare almeno in parte il peso della mole di responsabilità che gravava su Jack, l'avrebbe aiutato senza riserve. Non che ci fosse molto che potesse fare, lo sapeva: per cui, quando lo vide ridacchiare, non se ne stupì.
- Sei gentile, Dubhne, ma non credo che tu sia nella condizione - mormorò l'uomo in tono amaro. - Adesso voglio solo che pensi a riprenderti da tutto quello che ti è successo.
Istintivamente, la giovane allungò una mano e la posò sulla guancia del comandante con sincero affetto. - Sei straordinario, Jack. Non so come farebbe l'alto comando senza di te.
L'altro rise, prendendole il polso e portandosi la sua mano alle labbra. - Ti ringrazio per il supporto morale.
- Faccio quello che posso - rispose lei mentre un timido, incerto sorriso - non sarebbe stato facile tornare a farlo dopo la morte di Alesha - si disegnava sul suo volto. - Beh... allora vado via - riprese senza guardarlo e avviandosi per uscire dalla stanza.
- Oh, Dubhne... c'è ancora un'altra cosa - la richiamò il comandante quando lei già si stava richiudendo la porta alle spalle. Si bloccò appena in tempo e tornò a rivolgersi verso di lui. - Il generale Nyemar ha dato disposizioni affinché tutti i membri dell'Esercito delle Cinque Terre e delle truppe ariadoriane si rendano presentabili per l'arrivo del Re.
Dubhne alzò un sopracciglio: le sembrava che, con tutto quello che stava succedendo, le Cinque Terre avessero cose più importanti a cui pensare del fare bella figura attraverso l'aspetto dei propri soldati.
- ... Nei prossimi giorni verranno messe a disposizione un centinaio di tinozze con acqua riscaldata - concluse Jack. - Non so dirti esattamente dove potrai trovarle, ma immagino che ce ne saranno una decina per ogni quartiere. Facci un salto, se riesci, riscaldati e datti una ripulita. Mangia anche un pasto caldo prima che puoi.
Per un istante Dubhne rimase immobile, perdendosi nell'osservare gli occhi tersi del comandante. Non sarebbero mai state abbastanza le volte in cui sarebbe stato gentile con lei.
- Grazie - sussurrò alla fine mentre un appena abbozzato sorriso si disegnava sulle sue labbra.
A volte la ragazza si era chiesta se a Jack fosse mai capitato di arrossire, ma in quel momento ebbe l'impressione che ci fosse andato molto vicino. Essendo conscia del fatto che se si fosse trattenuta ancora anche solo un istante sarebbe capitolata nuovamente fra le sue braccia e che, questa volta, non sapeva per quanto tempo ci sarebbe rimasta, la Combattente non stette ad aspettare un'eventuale risposta da parte sua e tornò sui propri passi in direzione del piano di sotto.
- Jack parlerà con loro fra poco - avvertì Caley passandogli accanto e alludendo alle famiglie di cui le aveva parlato. - Tempo due minuti e sarà qui.
- D'accordo - fece questi, probabilmente stupito del fatto che se ne fosse ricordata.
Controvoglia, Dubhne si lasciò alle spalle il distaccamento e si avviò verso il gigantesco refettorio che era stato allestito in una vecchia fileria alcuni isolati più a sud. Avrebbe ampiamente desiderato rimanere un po' da sola per chiudere gli occhi per qualche ora, ma prima - come aveva detto Jack - aveva bisogno di mettere nello stomaco qualcosa di caldo.
Appena oltre l'ingresso erano disposti decine e decine di piatti di coccio e altre vettovaglie; avendo visto gli altri fare altrettanto, dopo aver preso una scodella e un cucchiaio di legno, la ragazza si mosse lentamente seguendo la fila degli smunti soldati che avanzavano verso il punto in cui gli inservienti avrebbero riempito loro il piatto.
Fortunatamente, non scorse nella sala nessuno che conoscesse, o almeno non in modo approfondito. Ora che si era in parte ripulita il viso e che il sangue rimasto aveva cominciato a raggrumarsi, nessuno le rivolgeva più occhiate di biasimo o di preoccupazione; la cosa fu di grande sollievo per lei, perché in quel momento non credeva che avrebbe sopportato l'idea di essere un'altra volta al centro dell'attenzione.
Quando nel suo piatto si riversò una fumante porzione di brodo la ragazza fu investita da una vampata di calore e da un profumo pregnante e appetitoso. Con lo stomaco che gorgogliava, Dubhne adocchiò il primo posto vuoto disponibile lungo una delle infinite tavolate e vi si sedette. Era da secoli che non aveva occasione di gustare un po' di brodo di carne.
Alla prima cucchiaiata il liquido bollente le scese in gola quasi ustionandola, ma la sensazione che lo accolse nello stomaco fu così piacevole che la giovane ne fece seguire un altro e un altro ancora. Fino a un attimo prima non si era resa conto di quanto maledettamente fosse affamata.
Una momentanea cappa di calma si ritrovò ad avvolgerla, della quale la giovane approfittò per ripensare a ciò che Jack le aveva riferito e alla possibilità di rivedere Jel e la sua combattiva amica Gala. Le avrebbe fatto piacere rincontrarli? Non lo sapeva; nella condizione di tale desolazione che la morte di Alesha le aveva lasciato addosso, non era sicura che sarebbe più esistito qualcosa in grado di renderla felice. Ma se davvero il Gran Consiglio aveva intenzione di mobilitarsi alla volta di Qorren, significava che il momento in cui avrebbero sferrato l'assalto totale alle forze dei Ribelli non poteva essere lontano. A parte Hiexil, Dubhne non aveva idea di quante città ancora si trovassero fra loro e la capitale delle Terre del Nord, ma non le importava: avrebbe desiderato sopravvivere ad ognuna di quelle battaglie per poter arrivare a combattere sul suolo di Amaria. Uccidere quanti più Ribelli poteva e poi, se la sorte avesse stabilito che la sua ora fosse giunta, avrebbe potuto concludere il proprio infinito ciclo di sofferenze. Morire.
L'eventualità non la spaventava più di tanto, anzi, a volte aveva avuto l'impressione che quello potesse essere l'unico e organico epilogo di quella storia, la sua storia. Se fosse successo, l'unico rimpianto che avrebbe potuto avere sarebbe stato quello di non aver portato con sé una quantità sufficiente di Ribelli.
Proprio in quel momento nel refettorio fece capolino un gruppo di cinque o sei persone; indossavano la divisa delle Cinque Terre ed erano tutti Thariani, a parte una ragazza che doveva avere una decina d'anni in più di Dubhne ed era visibilmente un'Ariadoriana. Aveva i capelli stretti in sottili treccine attaccate alla testa che le conferivano un'aria grintosa e vagamente trasgressiva. Ma il suo viso...iI suo viso rigato da diverse cicatrici era ingentilito da un sorriso dolce e candido come quello di Alesha.
Basta, ringhiò Dubhne fra sé e sé. Dacci un taglio o finirai per vederla dappertutto.
Ma la nausea e il calore in fondo allo stomaco si erano già riaffacciati prepotentemente in lei. Le avevano dato tregua per pochi minuti, ma era bastato scorgere una ragazza vagamente simile alla sua amica per cadere nuovamente in crisi. Si rialzò con rabbia lasciando il proprio piatto ancora mezzo pieno; non ce la faceva a restare lì.
Passandole accanto mentre aspettava di servirsi di brodo caldo, Dubhne si rese conto che la guerriera non assomigliava affatto ad Alesha.


I prati che circondavano Qorren erano umidi e scivolosi. La pioggia che aveva cominciato pigramente a scendere in mattinata si era intensificata mettendo a dura prova anche gli ultimi rimasugli delle nevicate che si erano susseguite nelle settimane precedenti. Era insolitamente presto perché la morsa di gelo che stringeva quelle regioni così settentrionali si allentasse, soprattutto contando il ritmo serrato che i rigori dell'inverno avevano mantenuto fino a quel momento. Probabilmente era solo questione di giorni prima che le dita bianche del Nord tornassero ad accarezzare quelle terre.
Mentre attraversava le porte della città Dubhne si calò il cappuccio sul volto. Non le importava del fatto che entro una manciata di minuti si sarebbe ritrovata completamente fradicia.
Jack le aveva parlato della possibilità di farsi un bagno cado; aveva una mezza idea, al proprio ritorno entro le mura della città, di informarsi sul momento in cui le tinozze sarebbero state messe a disposizione, approfittandone se ne avesse avuto l'occasione. E nel caso non fossero state ancora pronte se ne sarebbe fatta una ragione.
Sapeva che Jack non sarebbe stato affatto contento se avesse saputo che, al posto di concedersi un po' di riposo entro le mura di qualche abitazione, la ragazza se ne stava andando a spasso per i pendii erbosi sotto la pioggia, ma non le importava. Dopo tutto ciò che era successo negli ultimi giorni - o anche solo nell'arco di quella mattina - l'unica cosa che poteva fare per se stessa era cercare un po' di tranquillità. E provare a dormire stretta nella pelliccia che tante volte aveva condiviso con Alesha non era certo un buon modo per riuscire a trovarla. Aveva sempre amato la pioggia, in un modo malinconico e che non riusciva a spiegare precisamente a parole. L'ininterrotto ticchettio che migliaia di gocce esercitavano sulle superfici rimandava la sua mente a qualcosa di inesorabile, libero e in una condizione di continuo scorrimento.
La pioggia lava via tutto il sangue.
Mentre pensava queste parole la ragazza si fermò e reclinò il viso all'indietro, beandosi con gli occhi chiusi della sensazione anomala che l'acqua fredda le provocava sulla pelle. Immaginò i resti del sangue che era rimasto raggrumato sul suo volto disciogliersi e scivolare via. La stoffa del surcotto regalatole da Jack un paio di mesi prima - che aveva indossato praticamente sempre da quel momento in avanti - non impiegò che pochi attimi per imbibirsi e quando riaprì gli occhi Dubhne si ritrovò quasi completamente fradicia. Aveva freddo.
Continuò a camminare mettendo sempre maggiore distanza fra sé e la cinta muraria della città. Oltrepassò un dolce cocuzzolo e cominciò a ridiscendere verso un minuscolo avvallamento che ospitava l'altrettanto piccolo corso di un ruscello. Se guardava verso sud-est, poteva vedere il territorio collinare livellarsi sempre di più fino a trasformarsi nella distesa pianeggiante che, a un centinaio di miglia da lì, ospitava la città di Rosark.
Laddove il ruscello confluiva in uno stagno che anticipava una porzione di territorio paludoso si ergeva un albero solitario, probabilmente un castagno, completamente spogliato da ogni sua foglia, i rami scuri che ai tagliavano contro il cielo grigio-bianco come mani affusolate e scheletriche.
Ad un tratto una figura emerse da dietro l'imponente tronco; da quella distanza Dubhne non riuscì a comprendere se fosse qualcuno della città o meno, ma lo vide armeggiare con qualcosa che assomigliava a una corda. Un cacciatore, forse. Con le mani nelle tasche delle brache per evitare di lasciarle intirizzire, Dubhne proseguì cercando di non prestare troppa attenzione a quello che faceva. Non erano affari suoi. Avrebbe voluto avvicinarsi alla palude - nel suo inconscio l'accostamento con gli acquitrini che si estendevano nella campagna vicino a Célia era stato istantaneo e irresistibile - ma se questo significava rinunciare a quel momento di solitudine allora ne avrebbe fatto a meno.
Sei tutta matta Dubhne, avrebbe detto Alesha vedendola procedere in quel modo sotto la pioggia, ma lei sapeva che lo avrebbe fatto mostrando uno dei suoi inimitabili sorrisi carichi di affetto e comprensione.
Addolorata, la Combattente cominciò ad avvicinarsi al corso del ruscello mantenendosi più a monte rispetto allo spiazzo dove aveva scorto l'uomo. Mentre camminava però non riuscì a non voltare la testa nella sua direzione e, sbarrando gli occhi senza capire immediatamente cosa stesse succedendo, lo vide mentre si issava su una spaccatura nel tronco dell'albero, con la corda fra i denti. Allora capì.
La natura macabra della scena la indusse a desiderare di avvicinarsi anziché voltare le spalle. Non sapeva esattamente quali intenzioni la stessero muovendo - voleva aiutarlo? Impedirgli di impiccarsi? O solo osservarlo più da vicino? - ma cominciò a camminare nella sua direzione sempre più veloce.
Fu a una decina di metri che Dubhne ebbe modo di capire che non era affatto un estraneo. Abbarbicato a un grosso ramo con le gambe, vi stava annodando un'estremità della corda con una mano aiutandosi con i denti. Non era difficile immaginare perché lo stesse facendo in quel modo. Gli mancava un braccio.
Avrebbe dovuto capirlo.
Era Neor.
L'uomo aveva infilato la testa nel cappio. Un attimo dopo saltò e la corda si tese con uno schiocco.
Qualcosa la mosse a precipitarsi verso di lui. Mille voci urlavano nelle sue orecchie mentre correva rischiando di scivolare sull'erba viscida, ma non ne ascoltò nessuna. L'importante era raggiungere Neor prima che le sue gambe cessassero di agitarsi e la sua testa ricadesse in avanti reclinata sul petto.
Estrasse dal fodero la scimitarra e, nell'arrivargli appresso, spiccò un salto abbattendola sulla corda in tensione. Quando tornò a toccare terra, Neor le rovinò addosso. Dubhne se lo levò di dosso montandogli sulle ginocchia per tenerlo fermo.
- Non puoi farlo! - ruggì, e la sua voce stupì prima di tutto lei stessa mentre pronunciava quelle parole. Afferrò l'uomo per il bavero e lo costrinse a guardarla. - Alesha è morta, ma tu non la seguirai, mi hai capito? Non puoi arrenderti ora, non è quello che lei vorrebbe!
Soltanto in seguito la ragazza si sarebbe resa conto che quelle parole avrebbero potuto venire rivolte a lei stessa come all'uomo che le stava davanti.
- Lo so che ti sembra che niente abbia più un senso ora, e forse è davvero così. Lo so che vorresti solo trovare il modo, anche solo per un momento, di rivederla. È così anche per me!
Le lacrime lottavano per sgorgare nuovamente dai suoi occhi, ma non una si staccò dalle sue ciglia.
- Non puoi mollare adesso. Sei un Combattente, Neor, noi non molliamo. Non finché non saremo arrivati alla vittoria.
Neor la fissava con occhi sgranati, per metà coinvolto dalle sue parole e per metà sbalordito; sicuramente era ancora abbastanza lucido da domandarsi cosa avesse provocato un simile cambio di atteggiamento nei propri confronti.
Dubhne avvicinò il volto a quello dell'uomo che giaceva inerme sotto si sé per essere sicura che la sentisse e capisse.
- Adesso facciamo così: ti rimetti in piedi, cerchi di modulare il respiro e ce ne torniamo entro le mura. Non verrai mai più in questo posto e ti dimenticherai dell'albero, del cappio e di tutto questo.
- Dubhne, io non...
- Non è un'alternativa, Neor! - la ragazza gli prese il volto fra le mani. - È quello che farai, punto e basta.
L'occhio le scivolò sulla gola del Combattente; laddove la corda lo aveva stretto durante la manciata di secondi nei quali era rimasto appeso all'albero si poteva vedere distintamente un'ematoma rosso scuro. Era un miracolo che non gli si fosse spezzato l'osso del collo nel momento in cui la corda si era tesa.
Con uno sforzo immane aiutò il compagno a rialzarsi; gli posizionò il braccio destro attorno alle proprie spalle in modo che potesse appoggiarsi a lei. Guardando il moncherino dove un tempo c'era stato il braccio sinistro di Neor, la giovane si chiese come l'uomo avesse fatto a preparare il cappio. Annodare una corda a un ramo tenendone ferma un'estremità era un conto, un altro era predisporre un nodo scorsoio.
Come potesse esserci qualcuno di così miserabile da raccattare qualche galet preparando cappi per monchi aspiranti suicidi era qualcosa che sfuggiva alla sua comprensione.


Affidò Neor a una coppia di guaritrici che incontrò a pochi isolati dalle porte della città. Non assomigliavano neanche lontanamente ad Alesha, questa volta: erano entrambe ben tornite e avevano lunghi capelli biondo scuro stretti in una crocchia. Era probabile che venissero dall'Ariador meridionale, vicino al confine con l'Haryar. - Tenetelo d'occhio anche dopo che si sarà ripreso - intimò loro blandendole con una mano. - Più tardi lascerà l'infermeria meglio sarà.
E cercate di non innamorarvi di lui, pensò amaramente mentre voltava loro le spalle, ma non lo disse. Non aveva la forza di parlare; ora che il picco di emozioni si era allontanato percepiva tutta la stanchezza tornare a pesarle sulle spalle.
Stravolta e barcollante Dubhne cominciò a dirigersi verso il proprio alloggio, conscia, per una volta, di aver compiuto qualcosa di buono.
  
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