-Attenta-
le sussurrò Augustus, prendendola delicatamente per un braccio e
abbassandosi con lei, quel tanto per nascondersi dietro la
collinetta.
Lavinia non fece un
fiato, seguì l’esploratore dietro il riparo di fortuna e portò
istintivamente mano alle armi, lame eleganti e affilate nascoste
sotto le vesti e restando in ascolto.
Che fosse l’essere
che aveva visto nei presagi? Tese le orecchie: nelle vicinanze un
sonoro grufolare, assieme a un sinistro sfrigolio, annunciò la
presenza del cinghiale mutato.
Lavinia lanciò
un’occhiata ad Augustus, che le rispose con un cenno d’intesa e
preparando l’arco lungo.
Lavinia, allora,
fece un respiro profondo, si concentrò per stimolare la magia e, al
segnale del suo compagno, risalire con lui la collina per affrontare
quell’aberrazione.
-Sai
Augustus, in viaggio parlavamo del confine fra coraggio e stupidità.
Ebbene, oggi hai capito com’è labile il confine e quanto avevo
ragione, sì?-
commentò sarcastica Lavinia mentre finiva di fasciare la ferita sul
braccio del compagno, l’ultima delle tante che l’enorme cinghiale
gli aveva inflitto con le sue cariche cieche e le sue scariche
elettriche. In tutta risposta l’uomo mugugnò qualcosa, forse
riguardo al degrado dell’ambiente o che, ai suoi tempi, l’Impero
non aveva tutti questi problemi e che gli dei camminavano ancora fra
gli uomini. La solita tiritera che ormai Lavinia conosceva bene.
-E
tieniti i tuoi lamenti per dopo, lo sai che non ho più energie per
curarti, per oggi. Piuttosto, alzati e muoviti: quel tesorino non si
macellerà da solo!-
esclamò poi la sacerdotessa alzandosi, seguita da un Augustus
brontolante.
L’animale,
un mastodontico esemplare maschio di Sus
Scrofa,
aveva ormai smesso di sanguinare dalle numerosissime ferite inferte
dai due: sul collo erano ben piantate due frecce, in corrispondenza
della giugulare, mentre sui fianchi erano ben visibili le ampie zone
di pelle ustionata, causate dalle fiamme di Lavinia che avevano
bruciato completamente il pelo irsuto, compromettendo così la
possibilità di rivendere la pelliccia.
Mentre s’arrampicava
sull’animale, coltello alla mano, per cominciare a scuoiarlo,
Lavinia osservava il suo esploratore estrarre le frecce dal collo del
suo avversario ormai sconfitto. Lei aspettava.
Sentiva che Augustus
covava confusione e rabbia, a quanto pare era il classico uomo che
voleva avere il controllo su tutto. Comprensibile, data la sua
professione.
E, difatti, la sua
natura non tardò a emergere.
-Lavinia.
Tutti questi… mostri… che dovrebbero rappresentare? Mi spieghi
una buona volta cosa sta succedendo? Finora sei stata la strana
sacerdotessa di Apollo che mi ha assoldato a Coelum per esplorare
quelle zone oscure dopo il Vallo d’Adriano –che gli dei lo
abbiano in grazia- e ora? Ora mi ritrovo un porco troppo cresciuto
che cerca di fulminarci? Donna, che succede?-
sbottò dopo una ventina di minuti, appena dopo aver rimosso la zona
di pelle a lui assegnata, non sorprendendo per nulla Lavinia che
continuò il suo lavoro senza fare una piega.
Dopo aver finito con
calma il suo lavoro e dopo esser scesa al suo fianco, la sacerdotessa
cominciò a tagliare metodicamente la carne del cinghiale ormai privo
del suo manto, separando i vari tagli con criteri noti solo a lei.
-Vedi,
amico mio, la comparsa di queste creature è collegata alla
sparizione degli dei dalle nostre vite. Ma questo lo sai già,
giusto?-.
Lavinia sentì
l’esploratore mugugnare una risposta affermativa, per cui non
distolse lo sguardo dal cinghiale.
-Ebbene,
gli dei non sono scomparsi così, senza un motivo. E non se ne sono
andati solo quelli del nostro pantheon, no no. La scomparsa di massa
ha coinvolto anche culti minori, fino addirittura a quelli mitraici.
E sai perché, Augustus, gli dei non ci sono? Perché dormono
profondamente e non accennano a volersi svegliare. O almeno, siamo
noi
che non vogliamo che si risveglino-.
Alla smorfia
corrucciata di Augustus Lavinia fece un cenno con la mano
insanguinata per rimandare le spiegazioni a un altro momento.
Finirono di confezionare la carne per trasportarla e, quando si
rimisero in viaggio, lasciandosi la carcassa buona solo per i lupi,
il sole era già ben oltre lo zenit.
-E
quindi? Perché saremo noi a impedire il risveglio nei nostri dei?-
chiese dopo un po’ Augustus, mentre s’inoltravano nel bosco alla
ricerca del punto d’entrata.
-Perché
la gente ha perso la fede in loro. Ma, soprattutto, ha perso fede in
ciò che loro rappresentano. Che senso ha per Apollo vivere se più
nessuno crede più nell’arte e nella bellezza? Che motivo ha per
Minerva di continuare a esistere se nessuno vuole più seguire i
sentieri della conoscenza?-
Dopo quelle domande
puramente retoriche seguì un breve silenzio, rotto soltanto dai
rumori del bosco e dalle foglie spostate dall’esploratore, che
cercava un sentiero che portasse più vicino al versante della
montagna.
-Per
cui, sì, la gente non ha più fede, non porta più rispetto verso i
più alti valori civili e morali e s’inbarbarisce. Gli dei
lentamente decadono assieme alle loro virtù e, in risposta alla
lenta corruzione dell’uomo e all’assopimento delle divinità, la
Natura risponde con aberrazioni-.
Augustus non rispose
subito: fece segno alla donna di fermarsi, in punta di piedi imboccò
un sentiero secondario e avanzò in silenzio, ascoltando attentamente
i suoni che gli animali della foresta.
Incuriosita, Lavinia
osservava l’esploratore acquattarsi e saggiare il terreno con le
dita delle mani, osservare il sottobosco e, infine, rialzarsi e
sfoderare la spada.
-Siamo
vicini, proseguiamo di qua-
spiegò lui, facendole cenno di seguirlo mentre tagliava via piante e
arbusti con metodo.
Era quasi il
crepuscolo e la spada era ormai tinta di verde quando sopraggiunsero
davanti alla grotta, una grande voragine nera che s’apriva nel
fianco aspro e roccioso della montagna.
-E
quindi, eccoci qui, sacerdotessa-
commentò lui, pulendo l’arma su un lembo della maglia per poi
riporla nel fodero.
-Ti
ringrazio per avermi accompagnata fino a qua. Adesso cosa vuoi fare,
mi aspetterai qui? Cercherai un riparo? Ci metterò molto…-
-Oh
no no, ragazza, no-
la interruppe lui con un gesto brusco del braccio.
-Io
verrò con te. No no, non lo faccio perché voglio più soldi: quelli
te li puoi pure tenere. Ti seguo perché voglio vedere come si
conclude tutta questa storia della mancanza di fede e del risveglio
di Apollo. Perché è per questo che siamo qui, no? Per svegliarlo,
giusto?-
spiegò, vedendo lo sguardo stupito della rossa.
Lavinia lo squadrò
da capo a piedi, a braccia conserte, chiedendosi se fosse il caso:
Augustus era un uomo di mezz’età, cresciuto in mezzo alla natura
ostile di quelle regioni, non sufficientemente istruito per
comprendere quello che potrebbe avvenire una volta entrati.
-Se
te lo stai chiedendo, so che lì dentro potrebbe accadere qualsiasi
cosa. Sai che me ne frega? Ho raggiunto quasi i cinquant’anni in
mezzo
ai
boschi, morire vedendo un dio rinascere è la cosa migliore che
potrebbe capitarmi. Su, muoviamoci!-
l’anticipò lui, volgendosi poi verso la grotta senza aspettare
risposta.
Lavinia sospirò,
fece spallucce e lo seguì, evocando davanti a lei una manciata di
lucine evanescenti per illuminare la strada.
L’odore di carne
cotta per un attimo distolse l’attenzione di Lavinia dal dolore
pulsante che dagli avambracci saliva fino alle scapole.
Inspirò ed espirò:
i due lunghi e sottili tagli sulle braccia cominciavano già a
sanguinare copiosamente, nessuna goccia di sangue doveva essere
sprecata. Per cui, non perse tempo ad allungarli sopra le due ciotole
contenenti i due pezzi di carne del cinghiare –cotti durante il
lungo e tortuoso percorso- poste all’interno del pentacolo dipinto
alla base della statua.
Augustus se ne stava
in un angolino, rannicchiato in religioso silenzio, a osservare la
sacerdotessa cantare una lenta nenia in una lingua che lui non poteva
comprendere.
Lei, una volta
entrati nella piccola caverna e poste le due torce negli anelli
inchiodati alle pareti, gli aveva spiegato cosa sarebbe successo, per
cui era preparato.
Distolse dunque lo
sguardo dal corpo in trance della donna, onde evitare il sorgere di
pensieri strani, per osservare nella penombra la statua: questa
riprendeva il tragico finale del mito di Dafne e Apollo, secondo il
quale la ninfa, per scampare alle attenzioni indesiderate e
inopportune del dio, chiese disperata al padre di renderla pianta.
La scultura coglieva
proprio il momento in cui Dafne cominciava a trasformarsi in un
albero di alloro e Apollo, disperato, cercava inutilmente di
acchiapparla ed evitare l'inevitabile.
“Bella
statua. Peccato che a commissionarla sia stato uno di quei
cristianucoli da strapazzo”
pensò con uno sbuffo indignato l'esploratore, intravedendo fra i
gesti lenti e controllati di Lavinia la scritta alla base dell'opera.
Quisquis
amans sequitur fugitivae gaudia formae fronde manus implet baccas seu
carpit amaras
recitava infatti questa.
“Non
sanno proprio come prendere la vita questi ingenui”
continuò mentre si stropicciava gli occhi: il fumo cominciava a
essere invadente e gli dava leggermente alla testa.
Quando riuscì a
rimettere a fuoco la figura di Lavinia, questa aveva di colpo
terminato l'evocazione: non gesticolava più, non cantava più,
sembrava essere tornata la donna lucida che Augustus aveva conosciuto
in quello strano viaggio. Grazie a qualche sortilegio noto solo a
lei, le ferite che s'era auto-inflitta si stavano rimarginano;
l'esploratore rimase incantato per qualche istante nel vederla
fasciarsi le braccia.
Lavinia se ne
accorse: si girò e, rivolgendogli un sorriso, con un cenno lo invito
a sedersi accanto a lei.
Appena l'uomo le si
mise accanto, la sacerdotessa ricominciò a cantilenare nella stessa,
misteriosa lingua di prima. Augustus alzò lo sguardo verso la
statua, chiedendosi lo scopo di tutto quello.
Non
riuscì nemmeno a formulare un'ipotesi che la scultura si
mosse.
Il marmo si fece
gradualmente più caldo; lentamente s’incrinò e si piegò; il
colore bianco sfumava verso il rosa.
Lavinia cantava.
Una leggera aura
avvolse la statua, un sottile velo ultraterreno avvolse la fredda
pietra, che prese a splendere.
Lavinia cantava.
Il mondo perfetto
dello spirito e il mondo della triste materia si congiungevano
attraverso la preghiera e l’arte,
-Lavinia.
Sei arrivata in tempo. La corruzione dilaga, la mancanza di fede mi
sta uccidendo. Gli altri stanno per cadere...-
sussurrò flebile lo spirito, che lentamente scendeva dalla statua verso
Lavinia, prendendo gradualmente forma. La sacerdotessa, dopo aver
congiunto le mani all'altezza del petto, stava per rispondergli, se non fosse per Augustus.
-Cosa
significa tutto ciò? Gli Dei sono immortali, lo erano e lo saranno
sempre! Non ha senso tutto ciò!-
esclamò l’esploratore, interrompendo quell'assurda
conversazione. Incredulo. spostanva lo sguardo da Lavinia a ciò che
rimaneva dello spirito di Apollo che era emerso dalla statua.
L’augure gli rispose con una breve risata amara, presa com’era
nel fasciarsi le braccia ferite.
-Come
no? Noi possiamo morire! Certo, non come morite voi umani…-
cominciò lo spettro, comparso ai piedi dell’opera come un
adolescente con in testa una corona d’alloro e tra le braccia una
cetra.
-Noi
scompariamo quando gli uomini non credono più in noi, quando
la
gente perde la fede in ciò che rappresentiamo. Che senso ha esistere
se il concetto che ci ha fatti nascere non ha più valore? Così noi
decadiamo, l’uomo si corrompe e la Natura risponde a tutto ciò con
esseri aberranti.- concluse
il dio, spostando poi l’attenzione sulla donna.
Lavinia,
sentendo lo sguardo dell’esploratore su di sé, strinse le bende
per continuare il discorso.
-Vedi,
amico mio, se Roma non è mai caduta ed è resistita per tutto questo
tempo è anche grazie a persone come me o te che alimentano con la
loro fede le divinità. Se no il nostro impero sarebbe caduto più di
un millennio e mezzo fa. E ora che la fede ci sta abbandonando,
compaiono mutanti al confine che attaccano i civili-.
Augustus
annuì lentamente, indeciso.
-E
ora?-
chiese lui, confuso. –Che
si fa?-
-Ora?
Ora torneremo fra la gente, ridaremo importanza alle virtù che ogni
divinità rappresenta-
rispose mesto Apollo, osservando triste la sua statua, che
beffardamente rimarcava la sua attuale impotenza.
-Se
te lo stai chiedendo, sì. Altri miei fratelli e sorelle sono partiti
per questa missione-
lo anticipò Lavinia, alzandosi in piedi.
-Su
Augustus, in piedi e facci strada. Si torna a Roma-
L’esploratore le rivolse uno sguardo insicuro prima di rispondere.
Ormai ogni sua certezza, maturata nel corso della sua lunga vita,
cominciava a vacillare.
-Ma…
Cosa dobbiamo fare?-
domandò mentre ripercorreva il ripido sentiero verso l’uscita.
-Riportiamo
la fede nel cuore degli uomini!-
ululò lo spirito del dio, trasformatosi immediatamente in lupo prima
di sfrecciare sul sentiero verso il fuori, verso la luce.