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Autore: the angel among demons    01/04/2018    1 recensioni
"Io sono Evangelina, e voglio farvi una domanda:
Se la vostra vita, la vostra bella e abitudinaria vita venisse spezzata; se doveste lasciare la vostra città per trasferirvi in una nazione lontana chilometri e chilometri; se doveste fare conoscenze che non avreste mai creduto di poter fare; se doveste rimanere coinvolti in una associazione/organizzazione segreta pericolosa che potrebbe coinvolgere il mondo; e soprattutto, se doveste scoprire che la persona che avete avuto al vostro fianco fino ad ora non è chi dice di essere...come reagireste?
Io non molto bene."
In questa storia non c'è mai stato un caso Kira, nessuno shinigami goloso di mele, e nessun quaderno della morte. Ma semplicemente Eva, una ragazza che dovrà affrontare una grossa sfida nella sua vita, e qui incontrerà Near, Mello, Watary e molti altri.
Ma non avrebbe mai pensato, in una situazione come la sua, di (r)innamorarsi di una persona.
Soprattutto se esso è l'investigatore più bravo che ci sia, conosciuto al mondo con una sola lettera dell'alfabeto.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota: questo capitolo non è lungo quanto avrei voluto, ma è gia tanto che sono riuscita a scrivere questo, perciò ho preferito fare così piuttosto che fare aspettare più giorni. Spero vi piaccia comunque (:

 


 

 

Freddo. La prima cosa che percepii, fu il freddo pungente. I sensi riemersero pian pian, e un intenso odore di pulito mi inebriò le narici, facendomi credere in un primo momento di essere a casa mia. Muovendo i piedi, senza scarpe ne calzini, percepisco un tessuto morbido, era...moquette? Ma, un momento, a casa mia nn c’era...

Poi, dei flashback.

Io che esco da lavoro, un tipo strano che inizia a seguirmi, io che mi sento tirare da dietro...

“Sono stata...r-rapita...”

Spalanco gli occhi. Ma continuo a vedere nero. Ci metto qualche secondo per capire di essere in una stanza buia e non ancora nei miei sogni. 

Provo a muovermi, ma non ci riesco: mi avevan legata ad una sedia.

Il panico mi pervade. Cosa potevano volere da me? Io non avevo niente di costoso addosso, a men che...

“Mi vogliono v-violen-ta-r-re?...”

Il cure salta un battito, i polmoni smettono di funzionare per un istante, sudore freddo inizia a scendere dalla fronte.

Senza che me accorgessi, iniziai ad urlare spinta da tutta la paura che avevo in corpo.

- VI PREGO, LASCIATEMI ANDARE, LIBERATEMI - un fiume di lacrime si fa breccia sulle mie guance - AIUTO, CHE QUALCUNO MI AIUTI, PER FAVORE! -

Sapevo che se chi mi aveva rapita voleva quello dal mi corpo, non avrebbero mai avuto tenerezza di me, ne compassione, e che nessun avrebbe potuto  salvarmi. Ma, la speranza è l’ultima a morire, giusto? Solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse vero. 

“Papà...”

Singhiozzai.

“Daniele...”

Singhiozzai ancora.

“Mamma...” 

E ancora, e ancora...

- LASCIATEMI STARE...VE NE PREGO...- la gola iniziò a farmi male dalla potenza delle grida.

All’improvviso una lampadina si accese sopra di me, mostrando in realtà non molto essendo il resto della stanza completamente buia. L’unica cosa tangibile di dov’ero, era che sia la moquette, la sedia su dove sedevo, le corde con cui ero legata e le pareti eran nere.

Ma il dettagli che mi fece trasalire e non di poco, era che fossi vestita solo di una t-shirt completamente bianca larga il doppio della mia taglia, l’odore di pulito che sentivo prima proveniva da quell’indumento. Ora capivo anche perchè sentivo freddo.

Questo voleva dire non solo che mi avevano spogliata e vestita con una maglia di chissà quale maniaco, ma che avrebbero potuto già avermi fatto qualcosa mentre ero incosciente. 

Scossi la testa cercando di togliermi dalla mente l’immagine di quei maiali che mi toccavano, ma il pianto non voleva saperne di cessare, e con esse si aggiunsero degli spasmi involontari.

-LASCIATEMI ANDARE - arrivata ormai all’esasperazione, lasciai cadere il mi corpo, trovandomi con la testa tra le gambe.

Per qualche minuto mi limitai a osservare le lacrime che si scagliavano sui miei piedi, con la mente che si annebbiava sempre di più a ogni goccia.

“Quindi è questa, la mia fine?”

Il rumore di una maniglia ruppe il silenzio assordante di quelle quattro mura, lasciando a un altro spiragli di luce di farsi breccia, dall’altra parte della stanza.

- Allora, hai finito di strillare? - 

Mi gelai, e continuando a stare in quella posizione, sentii la porta chiudersi alle spalle di quello che sembrava essere il mi rapitore e i sui lunghi passi che si avvicinavano. Subito dopo, nel mi campo visivo di fronte ai miei piedi, ci furono anche dei scarponcini.

Con il poco coraggio che mi era rimasto, alzai lentamente la testa, ritrovandomi davanti un ragazzo occidentale sulla ventina come me, molto magro, vestito di jeans e un gilè di pelle neri, i capelli a caschetto con una frangetta sul biondo. Il suo sguardo era terribilmente serio e impassibile, mi osservava e basta, come se si aspettasse che iniziassi a dire qualcosa. Ma cosa potevo dire, se ero io la vittima? Piuttosto, cercavo di prepararmi psicologicamente a quello che poteva farmi.

- Andiamo subito al sodo, Evangelina Rinaldi. - sbottò a un certo punto.

Avrei potuto immaginarmi tutto, ma non una frase del genere. Rimasi confusa e stupita allo stesso tempo, non perchè sapesse il mi nome e cognome (quello poteva averlo visto sulla carta d’identità che tenevo in borsa) ma perchè si stava davvero aspettando che gli dissi qualcosa che volesse sapere. 

- Dimmi cosa sai su Wiler - mi chiese, anzi, pretese.

Ma nella mia mente, buio totale, continuando ad essere confusa e incredula di quello che mi stava succedendo.

Il biondo sbuffò. - Hai mai sentito parlare della Wiler? -

“Ma di cosa sta parlando?...”

Disturbato dal mi prolungo silenzio, si innervosì più di quanto non lo fosse prima.

-RISPONDI! - 

Mi irrigidì, e la voce sembrava davvero essersi rotta, non voleva proprio uscire fuori. Allora mi affrettai a scuotere la testa velocemente.

- Adesso il gatto ti ha mangiato la lingua? Fino a qualche minuto fa gridavi come una pazza - mi schernì piegando la testa di lato, come se mi stesse scrutando. Io, ancora zitta.

Senza che me lo aspettassi, mi prese le guance con la mano stringendo violentemente, facendomi aprire in automatico la bocca, e con due dita dell’altra mano mi prese a forza la lingua.

- Visto? E’ ancora qui. Scommetto che l’hai usata bene in sti giorni con Daniele Rizzo - un ghigno divertito li si dipinse in volto.

Il suo nome pronunciato da quel tizio, che ora mi stava a due centimetri dalla faccia riuscendogli a vedere ogni sfumatura azzurra dei sui occhi minacciosi, mi paralizzò. Come faceva a sapere di lui? Era forse un stalker? Fatto sta, che nn sapendo bene come avessi fatto, gli morsi le dita, di conseguenza quest’ultimo si ritrasse di qualche passo indietro gridando.

- Stronza! - disse alzando la mano, che pareva stesse per avere un incontro ravvicinato con il mi viso.

D’istinto l’unica cosa che riuscii a fare, fu serrare gli occhi aspettando il dolore che mi sarebbe arrivato pochi secondi dopo.

 

Ma lo schiaffo, non arrivò.

 

- Si può sapere che cosa stai facendo, Mello? - una voce ‘gratinata’ giunse alle nostre orecchie.

“Mello. Quindi si chiama così questo pazzo?”

Riaprii prima un cchio, poi l’altro, scorgendo la figura di quello che sembrava essere il mio salvatore sulla soglia della porta da cui era entrato anche il biondo. 

Ma costui, aveva i capelli...

“Bianchi??”

Anch’esso sulla ventina, più basso del mi rapitore, gli occhi grandi e grigi, leggermente ricurvo con la schiena, e indossava una camicia, pantaloni e calzini bianchi. Sembrava appena uscito da una clinica d’ospedale.

- Lasciami fare il mio lavoro, Near! - gli ringhiò Mello.

“Near? Ma che nomi hanno?”

- Non erano questi i metodi che aveva detto di utilizzare Elle - gli rispose tranquillo avvicinandosi a noi.

- Io lo so che lei mente. Sa qualcosa ma non vuole dircelo - insistè.

- Non credo proprio - disse Near osservando la mia faccia ancora terrorizzata e segnata dalle lacrime. - E anche Elle crede che lei sia innocente - continuò spostando lo sguardo su di lui.

Mello alzò gli occhi al cielo sbuffando. Da come discutevano, non sembrava la prima volta che il biondo facesse di testa sua, disobbedendo.

- Evangelina Rinaldi, giusto? - mi chiese Near come per togliersi un dubbio, ma non ritrovando di nuovo la mia voce, mi limitai a rispondere con un accenno. Non seppi neanche perchè feci qual gesto con calma, (al contrario di come avevo fatto con Mello) ma quella persona mi ispirava fiducia.

- Capisco - disse cominciando ad attorcigliarsi una ciocca di capelli al dito. - Mello, slegala - ordinò successivamente.

Lui serrò la mascella - Cosa? E perchè? -

- Perchè la portiamo da Elle, semplice - disse con nn chalanse, come se la risposta fosse ovvia. - ora, se nn ti dispiace...-

Mello serrò i pugni. - Nn è giusto - si lamentò, ma stranamente neanche più di tanto, venendo poi a slegarmi.

Appena le corde si sciolsero, mi passai subito le mani sule braccia. Bruciavano tremendamente e notai si eran formati dei lividi. Guardai subito male Mello per avermi legata così stretta, per non parare di come mi aveva trattata. 

“Quanto ti odio...”

Con mi grande stupore, mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi.

“Prima mi maltratta e poi fa come se niente fosse?”

Quel gesto che dovrebbe essere da gentil uomini, a me fece solo arrabbiare vista la situazione. Per tanto, tenendomi alla sedia, mi alzai con un piccolo sforzo, sfoggiandogli uno degli sguardi più aggrottati che potessi fare.

Lui alzò le mani - Come vuoi - disse fingendosi offeso, e cominciò ad avviarsi.

“Scherza?!” Dio, quel ragazzo mi faceva davvero ribollire dalla rabbia.

- Ci segua, Evangelina - mi disse Near guardandomi e avviandosi anche lui.

Detto fatto, iniziai a camminare dietro di loro, e finalmente uscimmo da quella stanza arrivando in un lungo corridoi luminoso (tanto che per un attimo dovetti coprirmi gli occhi essendo stata abituata per chissà quanto tempo a quel buio) orizzontale e completamente vuoto. Alla fine di esso, un ascensore.

Dopo qualche passo mi ricordai di essere vestita solo di una maglia larga (Chissà di chi, tra l’altro). Imbarazzata mi tirai giu con le mani il più possibile la t-shirt cercando di coprirmi il sedere, e per tutto il tempo della camminata rimasi così, con le guance che andavano a fuco sempre di più.

- Dove son i sui vestiti? - chiese il mi salvatore a quel maleducato di Mello, percependo il mi enorme imbarazzo.

Quest’ultimo mi lanciò un occhiata - Ah si, glie li ho tolti per vedere se aveva cimici, mini videocamere o micro chip col gps attaccati ai tessuti - rispose chiamando l’ascensre.

“Me li ha tolti LUI?” 

- Stai tranquilla, uscirai da qui con di nuovo i tuoi vestiti addosso - sospirò il biondo pensieroso - Sempre se ci esci da qui -

Spalancai gli occhi e risentii il sudore freddo scendermi di nuovo dalla fronte. E quella frase cosa voleva dire? Io dovevo uscire di lì appena avrei potuto, e se non avessi potuto piuttosto sarei scappata. Non esisteva al mondo che io rimanessi lì, oltretutto dov’è ‘lì’? Non sapevo neanche dove ero!

- E’ per questo che non ci sai fare con le donne - disse quasi tra se e se Near, ancora intento a intrecciarsi una ciocca al dito.

- Pff, come se tu ne sapessi qualcosa di femmine - ribattè Melln, mettendo piede nell’ascensore appena arrivato.

Come se l’argmento non glie ne importasse, Near fece spallucce, e entrammo anche noi due.

Mi misi nell’angolo, cercando di nascondermi il più possibile vergognandomi ancora del mi stato, e chiuse le porte scorrevoli, mi venne in mente una tale confusione che a momenti non capivo più neanche io chi fossi.

Ero venuta qui per un nuovo inizio, per riprendermi da un brutto e improvviso lutto, un nuovo lavro, una nuova lingua...ma mai mi ero aspettata di ritrovarmi in una situazione simile.

Era successo tutto così in fretta che ancora non realizzavo davvero la cosa. Perciò, cercai di ripensare a tutto quanto dall’inizio. Ricapitolando, sono stata rapita e portata qui, o meglio all’inizio sembrava così, ma poi quando hanno iniziato a parlare quei due ragazzi strambi...la condizione pareva più complessa, anche se ancora non avevo capito in cosa. Una certezza, era che chissà come mi conoscevano, addirittura sapevano il nome del mi ragazzo. Mello insisteva su una cosa chiamata Wiler, e credeva fermamente che io ne sapessi qualcosa. Ma i non ne avevo mai sentito parlare. E ora, mi stavano portando da questo Elle. Voleva sapere anche lui qualcosa da me di cui però non sapevo dargli risposta, o era lui che mi avrebbe spiegato cosa stava succedendo?

- Siamo arrivati al quarantesimo pian - annunciò il biondo risvegliandomi dai miei pensieri.

“Quarantesimo?” Bene, almeno ora sapevo di essere in un grattacelo, e quasi sicuramente ancora a Tokyo.

Appena usciti, i miei piedi nudi percepirono subito di nuovo la moquette, e con il freddo pavimentale del corridoio di prima non potei che ringraziare tutti i santi.

Entriamo quindi in questa grande stanza, con delle enormi finestre affacciate su Tokyo, “proprio come pensavo” e potei constatare che si stava facendo buio, perciò erano passate alcune ore da quando ero uscita dal locale. L’arredamento mi stupì, c’erano solo un tavolino quadrato (con sopra una coppa di fragole) e attorno quattro divanetti. E basta.

“Che spreco di spazio...”

- Elle, qui c’è Evangelina Rinaldi - disse Near a un tratto, e solo allora mi resi conto che c’era una persona a una delle finestre: capelli neri disordinati, una larga felpa bianca, blue jeans altrettanto larghi e scalzo come me. Teneva una mano appoggiata al vetro e l’altra in tasca, ci dava le spalle. Non si capiva se era concentrato a osservare la città, o se semplicemente pensava ai fatti sui, o non pensava affatto.

Volse solo la testa nella nostra direzione, e vidi che come il ragazzo dai capelli bianchi aveva due grandi occhi, ma contornati da due profonde occhiaie.

Nessun ‘ciao’, nessun ‘state bene’ disse come prima frase, ma...

- Se è conciata così è merito tuo, vero, Mello? -

 
   
 
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