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Autore: shilyss    07/04/2018    6 recensioni
Ecco a voi una raccolta di shot legate alla fanfiction "Tutte le tue bugie." Nonostante alcuni riferimenti alla long fic, potete leggere i vari capitoli anche considerandoli come testi scollegati rispetto alla storia madre.
Dal capitolo 1: Se Loki fosse stato meno sarcastico, se nei suoi occhi chiari Odino avesse visto l’ombra di un sincero pentimento, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ma Lingua d’Argento era stato sprezzante e tronfio e si era presentato ammantato di tutta la sua feroce eleganza di fronte al padre adottivo che non lo aveva chiamato figlio, ma prigioniero. Un altro imperdonabile errore dovuto non alla mancanza di discernimento di Odino, ma all’amara constatazione di come Loki, il suo brillante figlio, non fosse poi così acuto come pensava e sembrava.
Dal cap. 4: Solo che Loki era un furfante travestito da principe, un cantastorie come nemmeno nelle piazze più oscure della città se ne trovava uno uguale.
Non tutto è come appare, quando di mezzo c'è il dio dell'inganno in persona.
Capitoli 3-9: Barbare usanze;
Cap. 10 - Forse era scritto nel destino.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Loki, Odino, Sigyn, Thor
Note: Lime, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Avvertenze: questa shot non è autoconclusiva. Il regno dei Vanir e la loro cultura, il Tempio e Sonje sono mie personali invenzioni. Buona lettura!

Promesse infrante
 
Heimdall attese prima di emettere il verdetto, non per il gusto malsano di vedere le labbra sottili di Loki incresparsi in un ghigno di malcelata ira, ma per ammirare una cosa che raramente aveva scorto guardandogli nel cuore. Il figlio cadetto del compianto Odino era stato a lungo il suo personale cruccio: troppo ambiguo, intelligente e astuto per essere compreso e scovato immediatamente, plasmava i propri piani con una tale rapidità da rendergli la vita difficile fin da quando era poco più di un bambino. La sua capacità di mutare forma aveva fatto tirare giù infinite imprecazioni non soltanto all’altrimenti austero Odino, ma anche a lui, guardiano sempre impassibile. 

Loki, chiaramente, non gli diede eccessiva soddisfazione nemmeno in quell’occasione: non cercava una risposta da lui, ma una constatazione, la conferma di qualcosa che ovviamente aveva già intuito. Il dio dell’inganno puntò il suo sguardo nell’immensità dell’Universo di cui comprendeva i misteri esattamente come lui. Se il suo spirito non fosse stato l’intricata ragnatela di ambizione, orgoglio e fiero individualismo che era, avrebbero avuto molto a che spartire, ma così non era stato. Nessuno dei due se ne faceva un particolare cruccio: i loro rapporti erano ai limiti dell’urbana cortesia e pareva che ciò stesse bene ad entrambi.

“Non è più la ragazzina che hai sposato,” commentò con un sospiro.
Loki aggrottò le sopracciglia in silenzio, stringendo la balaustra che si affacciava sulle galassie fino a farsi sbiancare le nocche. Heimdall proseguì serafico. “Ma in fondo, quando si ostinò nel coprirti di fronte a Re Njord avresti già dovuto intuire che tipo di donna fosse, la tua Vanir.”
“Non ho mai avuto bisogno della sua protezione.”

“Lei però avrà bisogno della tua, adesso. Non le è ancora capitato nulla di davvero sgradevole, ma non andrei impreparato se fossi in te.” Heimdall era perfettamente a conoscenza di quanto fosse difficile sorprendere Loki Laufeyson. Il suo istinto lupesco lo rendeva guardingo e astuto come i fieri predatori che abitavano i boschi sopra Asgard, e altrettanto pericoloso. Pensò che c’era qualcosa di affascinante e fiabesco, nel fatto che l’irrequieto e tormentato Lingua d’Argento fosse finito per farsi avvinghiare dalla bionda ed esile principessa di Vanheim.
“Incauta e imprudente,” fu il commento gelido e irritato del principe Asi, “questo è stata.”
“Le sue motivazioni sono nobilissime.”

“La sua fretta ci causerà guai.” L’ingannatore si voltò con lentezza, scrutando il guardiano con regale sufficienza. Sigyn gli aveva disobbedito in maniera aperta, plateale, irriverente quasi. Avevano litigato come raramente gli era capitato di fare, da quando erano sposati. Del resto, la convivenza non è l’idilliaca unione di due anime innamorate, come certa pessima letteratura pareva suggerire: si trattava piuttosto del delicato compromesso parzialmente messo per iscritto la sera in cui, feriti e provati, avevano deciso che valeva la pena tentare di vivere insieme. Non si assomigliavano né per indole né per carattere, e avevano gusti e abitudini parzialmente differenti, ma erano stati a loro modo felici in maniera imprevista e totale; solo che alle volte le diversità che li contraddistinguevano e generalmente contribuivano a creare un equilibrio sottile, ma perfetto, provocavano incrinature pericolose perché Loki era e sarebbe rimasto sempre il feroce guerriero Asi capace di incantesimi terribili, e lei l’idealista Vanir fedele a se stessa e con il cuore gonfio di speranza. Sigyn cercava di rendere questo mondo un posto migliore, il dio degli inganni si accontentava di strappargli ciò che più gli era conveniente.

“Niente che tu non possa risolvere, Loki Lingua d’Argento,” gli ricordò Heimdall. Sgridava il dio degli inganni da quando era un ragazzino col broncio che non sapeva ancora leggere le rune e non lo aveva temuto mai, nemmeno quando quel disgraziato aveva deciso, in un delirio di onnipotenza, di allestire una messinscena per proporsi come colui che avrebbe liberato Asgard dall’ombra di Laufey e di Jotunheim.

L’ingannatore si concesse una risata breve e sarcastica. Il primo istinto che gli suggeriva la sua natura altezzosa e scostante, era di lasciare che la sua bionda e sprovveduta moglie si arrangiasse da sé. Che imparasse una buona volta cosa voleva dire, agire con il cuore e non usare la testa; poi però iniziò a ragionare lui stesso, e gli toccò ammettere tra i denti che doveva farsi trasportare direttamente al Tempio senza alcun indugio. L’idea non gli piacque, perché già una volta aveva accarezzato il progetto di irrompere nell’enorme tenuta, e una serie di considerazioni lo avevano convinto della difficoltà dell’impresa. Anzi, della sua infattibilità.

“Non provare a giustificare il suo comportamento irresponsabile, Heimdall: non ci si lancia nella mischia di una battaglia senza armi sperando che qualcuno ci verrà a salvare,” s’innervosì. Strinse le palpebre assottigliando gli occhi e puntò il dito contro il guardiano del Bifrost. “Hai detto che ancora non le è stato fatto del male, ma dimmi sinceramente: cosa sarebbe successo a lei e a Sonje se fossi tornato stanotte o domani?”

Era impossibile vincere una battaglia retorica con Loki, né il dio protettore del passaggio tra i mondi ne aveva l’intenzione. “Si fida di te. Ha fiducia nelle tue abilità e nel fatto che saresti corso da lei. Non ti lusinga, questo?”

Occhi al cielo, una smorfia disgustata sulle labbra sottili e, in altre occasioni. ironiche. “Apri il Bifrost,” ordinò secco.
Heimdall sorrise appena, negli occhi gialli gli brillò una luce divertita. “Per dove, Altezza?” lo canzonò.
“Quella cloaca putrida del Tempio, naturalmente” specificò con un filo di esasperazione il dio degli inganni.
“Porta i miei omaggi alla tua principessa.”
“Fottiti, Heimdall,” fu la gentile risposta di Loki prima di attraversare con passo deciso il portale.
 
 
Vanheim non era solo una terra fertile e verde, resa più mite dalle correnti calde del mare e dal clima piacevole, né rappresentava semplicemente lo specchio di una cultura sofisticata, ricca e leggermente in declino. Prima che gli Asi, a bordo delle loro navi dalle prue snelle e decorate con draghi marini e sirene, imponessero la loro egemonia sui Nove Regni, i superbi Vanir stabilivano e discutevano l’andamento dei Mondi che si reggevano sull’Yggdrasill. Poi, gli antenati di Bor avevano predato e conquistato le terre limitrofe, imponendo leggi selvagge e usi barbari, e i mondi erano cambiati, adattandosi ai nuovi dominatori.

Una delle poche vestigia ancora intatte di quelle ere lontane, era il Tempio: una zona franca dove il potere di Njord non poteva entrare. Loki Laufeyson calpestò la terra brulla e l’erba alta del prato che si estendeva davanti al pesante portone ricoperto di rune con la stessa arroganza con cui i primi Asi erano sbarcati su quelle terre. Si diresse verso Freyr e Njord, in attesa assieme a un corpo di soldati scelti nelle loro armature luccicanti.
Il vecchio Re e il suo inetto primogenito lo aspettavano sotto a una tenda montata per difendersi dal sole e dal vento. Si rilassarono appena nel vedere la figura alta e nervosa del dio degli inganni avanzare verso di loro, anche se credevano che nemmeno la protervia dell’Ase avrebbe potuto scalfire i millenni di dominio incontrastato dell’ordine monastico: nessuno aveva mai espugnato il castello dove le fredde incaricate celebravano i loro ignoti rituali. Il giorno prima, Njord aveva usato tutta la sua capacità persuasiva per chiedere alla Sacerdotessa Sublime che gli fosse restituita l’incauta nipote. Gli era stato risposto che lei non era lì. Si trattava di una menzogna patetica, resa ancora più offensiva dal fatto che la ragazza di cui Sigyn aveva preso il posto, piangendo e strappandosi i capelli era intervenuta spiegando come la principessa dei Vanir l’avesse sostituita per permetterle di scappare.
La Sacerdotessa Sublime, sorridendo in un modo che era parso a molti un po’ troppo compiaciuto, aveva risposto che se Sigyn era entrata nel Tempio allora non era più Sigyn e quindi nessuna Sigyn era presente. 
 

“Così ha detto?” Loki Laufeyson fissò le imponenti porte di bronzo istoriate di rune, le mura alte e robuste. Con i polpastrelli sfiorò i simboli sacri, avvertendone il potere remoto nel calore che sprigionavano al suo tocco.
“Non ti ascolterà e le difese della fortezza sono inviolabili. È persa,” si lamentò Freyr.
L’ingannatore si voltò e, per un istante, parve non riconoscere affatto il Vanir. Batté le palpebre più volte, come per riprendersi, poi si concentrò un momento. “Ricordi il mio messaggio? Raduna i nobili che ancora appoggiano questo posto. Quando aprirò le porte li farai entrare. Dovranno guardare, ricorda”
Freyr tremò. Loki Laufeyson non gli era piaciuto mai, nemmeno un giorno, neppure le innumerevoli volte in cui lo aveva tirato su ubriaco dalle panche di una taverna saldando i suoi debiti, e il motivo gli fu chiaro e lampante quel momento come in altre occasioni: erano gli occhi. Chiari e quasi trasparenti, mortalmente espressivi e per questo perennemente carichi di un’ombra scura.

“E Sigyn?”

Loki serrò la mascella affilata, scrutò con attenzione le finestre buie della fortezza. “A lei penserò io,” tagliò corto. Poi pronunciò delle rune e posò il palmo della mano sul metallo spesso di cui era fatto il portone e, al contatto con la pelle dell’Ase, il bronzo vibrò e tremò come se la terra stesse sussultando.
“Sono Loki di Asgard e chiedo udienza,” annunciò sicuro. I pesanti stipiti non si aprirono ovviamente, ma l’Ase non si aspettava niente di differente. Guardò in alto, piuttosto, e vide oltre le grate il viso pallido e bianco della Sacerdotessa Sublime. Il suo era un volto senza tempo, un insieme di lineamenti estremamente puri e forse persino belli, che impedivano però nel loro complesso stabilire che età avesse la donna. Un dettaglio strabiliante che forse aveva preoccupato Njord, Freyr e gli altri soldati, ma che parve non impensierire affatto l’arrogante principe degli Asi.
 

Se solo Sigyn non fosse andata ad aiutare i guaritori nell’ospedale messo a disposizione per la povera gente come faceva ogni settimana da quando ne aveva memoria, se solo le Norne avessero indirizzato l’anziana donna zoppa e con una profonda ferita al palmo della mano in una stanza diversa da quella dove era, forse Loki non avrebbe varcato la soglia del Tempio scortato dalle guardie della sacerdotessa, né si sarebbe incupito fissando in maniera torva il pavimento lustro e lucido nel cui riflesso intravedeva qualcosa di indefinibile, eppure tetro.

Ma le tre filatrici beffarde si erano messe d’accordo per creare un intreccio irripetibile di conseguenze, e così la donna si era adagiata a fatica sulla sedia mostrando la mano ferita al guaritore e a Sigyn. Mentre quest’ultima puliva la ferita, l’aveva osservata a lungo, in silenzio, senza emettere nemmeno il più piccolo gemito.

“Siete gentile e bella, principessa. A mia figlia piacevate molto,” disse infine.
Lei aveva alzato il capo ringraziandola per le parole gentili e quella aveva continuato. “Era rimasta colpita dalla vostra storia e non si stancava mai di ascoltarla. Forse per questo le Norne sono state crudeli: hanno filato per lei un destino simile al vostro, ma noi povera gente non abbiamo la stessa fortuna di voi nobili.”

“Che le è successo?” i movimenti delle mani di Sigyn si erano fatti più lenti e accorti.
“Si è innamorata del figlio di un mercante. Quando vennero scoperti, lei fu mandata al Tempio, lui spedito lontano a seguire gli affari di famiglia” scosse il capo l’anziana, fissando sconsolata il tessuto scolorito della sua gonna di lana.

Un brivido aveva attraversato la schiena di Sigyn. Il pensiero del Tempio non l’aveva mai abbandonata del tutto e le era rimasto appiccicato addosso il terrore per il pericolo che aveva fortunosamente scampato. C’era stato un lungo e lento lavorio da parte sua affinché l’orribile istituzione fosse chiusa e, in quegli anni, diverse volte Loki aveva provato a sollevare la questione della sua abolizione, ma nessuna decisione era stata ancora presa in merito. Mentre loro si affannavano a cancellare l’antica pratica, ogni giorno delle ragazze vi venivano condannate senza che potessero scampare in alcun modo al loro destino, e il perché le fu chiaro una volta di più nelle parole amare e nostalgiche dell’anziana donna che stava medicando.

“Lui l’amava, ma era giovane e certo non un guerriero. Non ha avuto i mezzi per salvarla. Non tutti gli uomini sono fieri principi degli Asi, dico bene? Sapeste, principessa, quante volte le avrò detto che la vostra storia era come una fiaba e non andava presa a monito. In fondo, è la legge.”

“Vorrei cancellarla. Abolirla, farla sparire per sempre. È una pratica ingiusta.” Sigyn lo disse tremando, con il corpo sottile scosso dallo stupore, dall’ira, dalla vergogna persino: lei si era salvata perché era nobile e, soprattutto, fortunata. Aveva peccato esattamente come la nipote dell’anziana ferita, innamorandosi di un uomo con cui non era stato sancito alcun legame né contratto: la sua unica fortuna era che l’uomo in questione si chiamasse Loki Laufeyson ed era fiero e terribile: ma la cosa peggiore di tutte, che faceva male come una spina infilata nel petto, era che Sigyn si sentì direttamente responsabile non solo della disgraziata ragazza di cui aveva sentito la storia, ma di tutte quelle passate, presenti e future. Peggio di un destino ingiusto c’è solo una speranza disattesa e lei questo aveva fornito alla sua gente: l’illusione che il mondo offrisse opportunità inesistenti.

Qualcosa era cambiato, certo: il contratto che lei e il furbo dio dell’inganno avevano stipulato era stato preso ad esempio e copiato da diverse ragazze di differente ceto sociale. Cosa c’era di più affascinante e patriotticamente succoso di una giovanissima principessa Vanir che si impuntava affinché il marito, un orgoglioso guerriero Asi, la trattasse con considerazione e rispetto e promettesse di ascoltarne la voce e la volontà ogni giorno?

Si trattava di concessioni e progressi che, ad ogni modo, avevano influito solamente su quelle famiglie dove era presente un intento modernizzante. Nelle campagne e tra la povera gente, quella di Sigyn e Loki continuava ad essere una favola conturbante, nulla più. La principessa veniva giustificata solo e soltanto perché il dio dell’inganno ne aveva fatto la sua sposa. E poi, l’Ase apparteneva a una stirpe barbara dove anche le donne erano guerriere. La rigida morale dei Vanir non gli apparteneva. Una scelta anticonvenzionale, di questo si trattava.

Per tutte queste ragioni, Vanheim aveva finito per perdonare Lingua d’Argento e la nipote di Njord, ma la stessa condiscendenza non poteva valere per le persone normali. Quella sera, Sigyn aveva atteso che Loki tornasse dal palazzo reale camminando avanti e indietro per l’elegante camera da letto, torcendosi le mani sottili. Sonje dormiva già nel suo lettino, con la bocca schiusa e i bei boccoli neri sparpagliati sul cuscino.


Il dio dell’inganno era stanco e irritato per oscure ragioni che non desiderava condividere con la sua giovane moglie. Perché sì, Sigyn non solo aveva diversi anni meno di lui, ma anche un bagaglio di esperienze decisamente differenti. Smontò da cavallo con un gesto fluido ed elegante, varcando con decisione la soglia del suo palazzo. Le stanze erano buie e silenziose, ma nell’aria permaneva ancora il calore del camino che era stato acceso fino a pochi minuti prima.

L’Ase attraversò soggiorni e anticamere fino a raggiungere il suo studio: caotico, disordinato, ingombro di libri e reliquie. Interdetto, ma solo teoricamente, all’ingresso di una bimbetta di quattro anni e qualcosa, che si ostinava a eleggere quel luogo come sua personale dimora. Aggrottò le sopracciglia scure di fronte ai giocattoli di Sonje sparsi qua e là, ai disegni mezzo stracciati posati di fronte alla poltrona affinché lui li vedesse. Posò le carte, i documenti, un paio di ampolle contenenti pozioni che si premunì di chiudere a chiave dentro a una credenza posta abbastanza in alto da non poter essere raggiunta da sua figlia, e poi si allontanò sfilandosi i guanti di pelle dalle belle mani di mago. Entrò in camera da letto e capì immediatamente che c’era qualcosa che non andava.

Loki aveva un istinto di lupo per i pericoli e i guai. Rimase sulla soglia con un sorriso accennato sulle labbra ironiche, fissando la moglie visibilmente tesa di fronte a lui.

“Deve essere successo qualcosa di veramente spiacevole, se sei ancora in piedi,” notò con voce tranquilla. La guardava con attenzione, in attesa di un gesto o una parola da interpretare, valutare, sviscerare. Se fosse stata una serata normale, l’avrebbe trovata in tenuta notturna, avvolta in una nuvola di pizzo, con i capelli già sciolti sulle spalle sottili. Invece indossava ancora gli abiti che portava durante il giorno e si era tolta solo i gioielli, ad eccezione dell’anello che sanciva il loro legame. Oreficeria dei Nani che le brillava al dito in un reticolo di oro, diamanti e smeraldi a forma di fiori e foglie.

Sigyn si irrigidì tendendo la schiena. “Oggi, in infermeria è venuta una donna.”

Sentendola, l’Ase parve rilassarsi appena. Oltrepassò l’arco della porta, poggiò con noncuranza i guanti di pelle sull’elegante consolle di legno elfico intagliato, sfilò dalla cintura la coppia di lunghi pugnali che portava sempre con sé e li posò accanto a un portagioie di madreperla e argento che aveva regalato il Solstizio prima a Sigyn.

“Mi ha raccontato che sua figlia è finita nel Tempio e non l’ha più vista. Ha avuto una storia simile alla mia, alla nostra,” puntualizzò la donna scegliendo con cura le parole. “Quel posto deve chiudere, Loki,” si affrettò a dire seguendolo passo passo.

“E lo farà,” promise il dio degli inganni. “Al momento giusto ce ne libereremo.”

Lei scosse la testa. “No, non al momento giusto. Adesso. Oggi. Quella ragazza si è illusa che a Vanheim certe regole siano cambiate e si è ritrovata rinchiusa in quella specie di prigione. Con suo figlio. Il bambino dove sarà, adesso? Che ne hanno fatto?” insistette.

Stringeva i pugni e la sua voce aveva assunto una nota acuta e nervosa che, generalmente, non le apparteneva. La donna anziana con la mano ferita si era limitata a stringersi nelle spalle e a confessarle che l’unica cosa di cui si dispiaceva era di non aver potuto adottare suo nipote o sua nipote, chissà cosa avevano filato le Norne. Quel dettaglio aveva spezzato ancora di più il cuore di Sigyn, perché non solo il destino della ragazza assomigliava tragicamente al suo, ma la sorte oscura che era toccato al figlio che la sfortunata aspettava avrebbe potuto essere quella di Sonje, della sua Sonje che odorava di zucchero e biscotti e aveva i capelli morbidi come piume, e ora dormiva serena nel lettino posto nella stanza accanto, abbracciando la sua bambola preferita.
Loki alzò le spalle. “Ci sono comunque troppe resistenze, in seno al Consiglio dei nobili,” spiegò slacciandosi la bandoliera di pelle che indossava ad armacollo.

“Da quando il dio dell’inganno rifiuta di tramare, convincere, manipolare?” Sigyn tremava. Aveva utilizzato lo stesso tono pungente di quando voleva attirare la sua attenzione ai banchetti, molto prima di essere sua moglie. Anche l’Ase la guardò allo stesso modo di allora. Le lanciò un’occhiata attenta, puntuta, brevissima: se così non fosse stata, Njord e Freyr si sarebbero potuti accorgere del momento preciso in cui il dio degli inganni aveva capito di ritrovarsi di fronte non a una ragazzina, ma a una donna.

“Da quando il rapporto tra costo e beneficio è decisamente negativo,” la stroncò immediatamente, slacciandosi le placche dell’armatura che gli coprivano le spalle e le braccia. “Che ti aspetti che faccia, sentiamo? Che assalti quello schifo di posto perché tre contadine hanno voluto spassarsela?!”
Sigyn avvampò. “È la stessa cosa che abbiamo fatto io e te, mi pare.”

Conosceva Loki, capiva quale fosse la logica cinica e stringente che si celava dietro i suoi ragionamenti: una serie di valutazioni follemente precise, puntuali, pungenti, esatte come un taglio chirurgico, che lasciavano spesso fuori qualsiasi scampolo di misericordia o comprensione: i soli interessi dell’Ase erano se stesso, Asgard, il potere che si nascondeva dietro le rune, Sonje, Thor e lei, in qualche modo.

La verità, per il dio dell’inganno, non era che l’illusione di un branco di idioti incapaci di scorgere la parzialità che naturalmente caratterizzava ogni pensiero, confessione, genuina opinione. Oppure, era il punto di vista prepotente e inevitabile del vincitore sul vinto, che riscriveva la storia e le battaglie a suo uso e consumo, non necessariamente in maniera negativa. Loki era il dio del caos perché volutamente sceglieva di non abbracciare nessuna fazione né ideale. La sua volontà pendeva di volta in volta tra la luce e la tenebra con tragica casualità, in virtù di benefici effimeri come il vento o resistenti più del granito. Sigyn lo sapeva: se lo era detto quando tra loro non c’era niente e si allontanava infuriata dai banchetti dopo aver litigato tutta la sera con lui, e non aveva smesso di ripeterselo quando, anni dopo, si infilava sotto le coperte confusa e tradita dal suo stesso corpo, con le labbra gonfie per i baci che si erano scambiati in fretta e di nascosto e il cuore che le batteva forsennato nel petto. Aveva ripetuto come una litania quelle parole nel momento in cui, piegata in due a causa delle nausee mattutine, si era accorta di aspettare da lui un figlio e non lo dimenticò nemmeno in quel momento, nel silenzio della casa che condividevano, mentre la loro bambina sognava beata nel letto.

“E per te lo avrei raso al suolo, il Tempio,” ammise Loki con fierezza. “Ma tu e Sonje siete qui, adesso, e io ho altro da fare.” Si girò dandole le spalle per riempirsi un corno di idromele, perfetto per fargli rilassare i muscoli tesi e levargli il mal di testa che lo affliggeva.

Non si diede affatto per vinta. “Fammi parlare al Consiglio e dammi il tuo appoggio,” lo incalzò.

Suo marito aveva ragione, erano stati fatti dei timidi tentativi per cancellare l’ingiusta legge. Alcuni esponenti delle famiglie più influenti di Vanheim avevano cambiato finalmente idea sulla necessità di tenere in piedi un’istituzione antica e inquietante come il Tempio, ma ancora non c’era nessuna maggioranza. Loki le aveva spiegato che alcune rivoluzioni hanno bisogno di tempo per essere efficaci, e si era impegnato nel prometterle che quel luogo orrendo avrebbe chiuso i battenti o sarebbe stato posto sotto il diretto controllo della Corona dei Vanir, ma non poteva garantirle che tutto questo sarebbe avvenuto in tempi brevi, né aveva voglia di intervenire in maniera invasiva e massiccia.

L’ingannatore vuotò il suo corno. “È una perdita di tempo e a nessuno potrebbe interessare di meno,” tagliò corto.

“Vanheim è un regno vasto e molto popolato. Storie simile alla nostra e a quella della nipote di quella donna capitano ogni giorno. Io non posso più tollerare che ad altre ragazze e ai loro figli capiti quello che, per poco, non è capitato a me. Quindi andrò davanti al Consiglio anche tutti i giorni, se sarà necessario.”
Il dio degli inganni la fissò a lungo, prima di rispondere. Un orologio batté la mezzanotte, il corno gli penzolava ancora tra le dita di mago belle ed eleganti. “Qual è la vera ragione?” domandò avvicinandosi.

Le accarezzò una guancia, fissò i suoi occhi grigi carichi di decisione. Loki aveva un modo di estorcere la verità dalla bocca di chi si azzardava a discorrere con lui che aveva qualcosa di inquietante. Con alcuni era crudele, severo, con altri accondiscendete e amichevole. Sigyn lo aveva visto all’opera innumerevoli volte, tanto da essere riuscita a sviluppare, negli anni, una sorta di meccanismo di difesa nei confronti dell’ingannatore. Non sarebbe stata in grado di liberarsi da una delle sue trappole, se ci fosse caduta dentro, ma sapeva dove guardare per non finirci in mezzo. Evitare che la tenaglia le si chiudesse attorno, questo era il segreto.

Sposarlo aveva significato scegliere di condividere con lui la parte restante della sua vita, dormirgli di fianco, svegliarsi tra le sue braccia, essere odiata o compatita dai suoi nemici, comprendere la sua natura mutevole e scostante, furba e sagace, inesorabile e perfida, ma una parte dell’ingannatore le sarebbe sfuggita sempre. Erano diversi, e nel reciproco rispetto delle loro differenze stava il segreto della loro unione, per il momento, perché nessuna cosa dura per sempre, nemmeno tra gli Asi e tra i Vanir, Loki glielo aveva detto infinite volte; per questo occorreva vivere il presente come se non ci fosse nient’altro d’importante.

Sposarlo aveva e avrebbe avuto un alto prezzo, perché non si può decidere di unire la propria esistenza a quella del fiero Ase che aveva tradito Asgard e stretto patti con creature oscure e potenti, e credere di essere completamente al riparo dalle conseguenze, ma questa è un’altra storia*.
Sigyn si scostò appena, affinché l’Ase avesse una misura precisa della sua irritazione. La rete di Loki era ormai pronta: desiderava approfondire il discorso, aveva assottigliato le palpebre come per fissarla meglio e la nota seccata della sua voce si era addolcita notevolmente. E lei, voleva cadere nella trappola dell’Ase?

Si tormentò il dito inanellato. “Te l’ho detto. È passato troppo tempo e il racconto di quella donna, oggi, mi ha turbata.”
“Questo lo capisco. La mia domanda, però, si riferiva ad altro. Alla vera ragione che tu nascondi. Mettiti la camicia da notte e vieni a dormire, se non sei disposta a parlare chiaro. Non mi interessa estorcerti la verità.”

“Come sei magnanimo,” ironizzò la donna accennando un sorriso. “Avevamo un accordo, Loki. Anche riguardo il Tempio.”
L’Ase piegò le labbra con condiscendenza. Il contratto regolava la loro unione. Era stato scritto e sancito con una lunga serie di baci quando lui, ammaccato e con un braccio completamente fuori uso, era riuscito a strapparle il sì che li aveva visti, poche settimane dopo, unirsi in matrimonio. Le leggi degli Asi e dei Vanir si erano fuse assieme, stemperate e corrette dal buonsenso di Sigyn e dallo spirito fiero di Loki. Quella notte lei era rimasta nelle sue stanze, consolandolo per le ferite che aveva riportato nel più dolce dei modi**, prendendo l’iniziativa in una maniera che l’Ase aveva trovato semplicemente irresistibile. Gli era salita sopra, si era spogliata con studiata lentezza per farsi guardare e aveva diretto la loro unione fino a che lui non aveva gridato il suo nome. Così era iniziata la loro convivenza, ma il contratto presentava anche degli ovvi limiti.

“Nulla ti impedisce di andare al Consiglio, domani, e chiedere che venga abolito e proporre una votazione o chissà cosa. Vai, fallo,” le disse, “hai la mia approvazione, il mio appoggio, come lo hai sempre avuto. Perorerò la tua causa, se è questo quello che vuoi. Ma non farò niente di più, adesso. I tempi non sono maturi, affrettarli è uno sbaglio.”

Loki aveva iniziato a spogliarsi. Si liberò delle placche metalliche che componevano la sua armatura, slacciò con un gesto secco la corazza di pelle intrecciata, robusta e flessibile, capace di proteggere il suo corpo nervoso dagli attacchi degli avversari e di consentirgli, allo stesso tempo, di essere agile, veloce, letale.

Dei giganti di ghiaccio aveva ereditato la spietatezza, decise Sigyn. La fredda analiticità della sua mente acuta la irritò anche se era un aspetto di lui che aveva sempre finito con l’ammirare. Forse Loki aveva ragione, i tempi non erano ancora maturi per intervenire, ma non si può sempre ragionare in base ai vantaggi e alle opportunità: alle volte occorre lanciarsi in operazioni folli anche se non è il momento adatto semplicemente perché è giusto farlo. In questo, Sigyn era simile a Thor: non sarebbe più riuscita a dormire la notte o a sorridere vedendo sua figlia giocare, con la consapevolezza che il Tempio esisteva e continuava a inglobare nel suo misterioso ventre ragazze e bambini. Ma l’Ase detestava perdere, ed era solito lanciarsi in qualche impresa solo se c’erano delle ragionevoli possibilità di ottenere un successo: altrimenti, era meglio restare nell’ombra e aspettare condizioni più favorevoli, propizie. Solo che Sigyn non poteva non sentirsi in colpa per aver regalato alle donne di Vanheim un’illusione, l’effimera speranza di un cambiamento che non c’era, resa ancora più amara dalla constatazione che il mondo è oscenamente ingiusto perché privilegia pochi a discapito di molti: per questo insistette nel portare avanti le sue ragioni: sentiva di aver ingannato la sua gente.

“Non c’è più tempo, Loki,” insistette, vergognandosi nell’ammettere la sua colpa persino con lui. “Abbiamo aspettato abbastanza. Tergiversare in questo modo per me è insostenibile, non dopo oggi, almeno. Ho bisogno che tu intervenga,” mormorò. “Non mi ascolteranno. Tutti devono qualcosa al dio dell’inganno. Lascia che mi unisca anche io alla lista dei tuoi debitori.”

Sciolse la treccia che teneva acconciati i suoi capelli, si accarezzò le punte leggermente ondulate e bionde, in un gesto che l’Ase notò e apprezzò, come il tono tornato improvvisamente dolce e le ciglia nere e lunghe che si abbassavano, ventilando la promessa suadente di un delizioso dopo. La mano delicata della donna sfiorò la guancia affilata e sbarbata dell’ingannatore, scese sul suo petto ampio e sviluppato e sul torace scolpito, sfiorò l’orlo dei pantaloni ancora allacciati.

“Sto trattando affinché Vanheim abbia l’acciaio dei Nani,” sibilò tetro l’Ase, “sto lavorando giorno e notte per questo. Per te e per i Vanir. Non ho tempo né voglia di dedicarmi a una questione sociale e il nostro contratto non ti dà il potere di decidere delle mie giornate.”
“Non lo sapevo,” ammise la donna, “ma questo non toglie che noi abbiamo dei doveri verso quella gente.”

Il dio degli inganni, visibilmente scocciato, piegò le labbra in una smorfia tirata. “Affrettare i tempi è tagliarsi le gambe,” troncò il discorso.
Si allontanò dalla stanza, lasciandola sola per darle il tempo di addormentarsi e punire la sua insistenza, ma quando il fastidio per quella situazione svanì e decise finalmente di infilarsi nel letto accanto a lei, si accorse che nonostante fosse passato molto tempo lei ancora era sveglia, e non poté fare a meno di ritornare sulla questione per un’infinità di motivi. Anzitutto, detestava vederla imbronciata. Era una vera rottura di palle tornare a casa e trovare la propria moglie di pessimo umore o in vena di recriminazioni estemporanee. Il Tempio esisteva da prima di loro, la legge cretina che stabiliva come ogni donna che non avesse una morale più che irreprensibile ci finisse dentro non l’aveva emanata certo lui, smantellare un’istituzione del genere in pochi anni era semplicemente folle.

Sigyn era raggomitolata su un fianco e aveva tirato le coperte fin sul naso. Non disse niente sentendolo avvicinarsi, ma sussultò quando la mano fredda del marito le cinse un fianco per trarla a sé.

“Sei gelido,” sbuffò sentendo la stoffa della sua camicia da notte venire a contatto con la pelle tonica dell’uomo. Si sistemò all’interno del suo abbraccio, ma senza voltarsi. Era ancora offesa ma, allo stesso tempo, si sentiva lusingata per essere stata cercata. Forse Loki per sbollire l’irritazione aveva fatto il giro della casa e delle scuderie – ecco perché era così fredda, la sua pelle –, ed era andato a controllare Sonje. Una rapida sbirciata alla sua piccola erede non l’avrebbe convinto a lanciarsi in una battaglia senza speranze di vittoria, ma probabilmente poteva contribuire a renderlo un pizzico più indulgente nei confronti della sua bionda moglie piena di buoni propositi.

“Mi hai innervosito,” le soffiò all’orecchio. “Non ti ho mai detto no, ma non ora.” La voce di Loki era ferma, decisa, tagliente. “Domani fallirai,” preconizzò crudele.
Sigyn tentò di scostarsi. “Falliremo. Lingua d’Argento, come sei incoraggiante!”

Il dio degli inganni adorava sentirsi chiamare in quel modo da lei. Sua moglie pronunciava quelle due parole con un misto irresistibile di ammirazione e dispetto. La costrinse a voltarsi e la baciò sulle labbra, memore della carezza lenta con cui Sigyn era arrivata a sfiorargli l’orlo dei pantaloni, deciso a consumare la sua vendetta in maniera dolce. Il prezzo da pagare per quella loro momentanea tregua, era che lei, dopo, avrebbe insistito ancora con la questione del Tempio, ma Loki era un Ase e gli Asi non temevano nulla, mai. Non era vero, ovviamente. I tracotanti e fieri figli di Asgard conoscevano molto bene la paura, e quel bugiardo del loro principe cadetto lo sapeva perché l’aveva provata lui stesso, sulla sua pelle. E presto, il terrore sarebbe tornato a fargli visita.
 

Continua…

Chiacchiericcio dell’Autrice:
Che dite, Loki e Sigyn sono una coppia assolutamente normale?
Come al solito, colgo l’occasione per ringraziare con affetto tutti quelli che leggono, commentano, seguono inseriscono tra le preferite o le ricordate questa storia. Grazie, grazie e ancora mille grazie. Se vi va di condividere un pensiero anche semplice sull’andamento della raccolta, i personaggi o le situazioni, fatelo senza paura. Mi fareste molto felice perché è bello per un Autore ricevere un feedback dal Lettore.
Detto questo, ho in corso ben tre storie (e mercoledì ne vedrete una quarta): il mio intento è, nell’ordine, di aggiornare una settimana una e una settimana l’altra.
Un carissimo saluto!

*Come leggerete/state leggendo in “Giochi Pericolosi” che è il seguito di questa storia ambientato x anni dopo.
**Come in “Tutte le tue bugie.”


 
   
 
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