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Autore: Shainareth    09/04/2018    5 recensioni
*** ATTENZIONE! *** Questa storia si svolge dopo l'episodio "Gorizilla".
Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che non meritava di stare male a causa sua e che avrebbe dovuto rivolgere i propri sentimenti altrove, eppure… eppure Marinette aveva capito che Chat Noir era come lei, qualcuno di speciale che la capiva e che condivideva la sua medesima concezione dell’amore. Il destino sapeva essere davvero crudele.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO TERZO




Sciolse la trasformazione mentre stava ancora attraversando la finestra della sua camera, riuscendo ad attutire la caduta senza ripercussioni di sorta. Sordo alle proteste di Plagg, che lo accusava di essere un autentico incosciente, Adrien avanzò spedito verso la scrivania e prese a cercare tra le cose che vi aveva lasciato su, fino a che non prese fra le mani un quaderno. Fra quelle pagine, per evitare che si rovinasse, aveva conservato gelosamente il biglietto a forma di cuore che aveva ricevuto a San Valentino. Lo aprì e scorse le righe che Marinette aveva vergato di proprio pugno, con tutto l’amore che provava per lui. Rileggendole ora, da una diversa prospettiva e non più accecato dai propri sentimenti per Ladybug, gli si strinse il cuore.
   Portando il biglietto con sé salì la scala a chiocciola e raggiunse gli scaffali sui quali erano posti i suoi preziosi DVD, i videogiochi, i libri, i fumetti e i CD musicali che aveva collezionato fin da bambino, e si mise alla ricerca dell’ultimo lavoro di Jagged Stone. Quando lo trovò, esitò un momento e fece scorrere la punta del dito contro la costina, prima di prendere fiato ed estrarlo dal ripiano. La copertina di quel CD l’aveva realizzata Marinette e lui, che era rimasto come sempre ammirato dalle sue abilità, le aveva chiesto un autografo, lo stesso che adesso stava fissando con occhi ormai consapevoli: sebbene la ragazza avesse scritto il proprio nome con un corsivo sensibilmente differente, la grafia era davvero la medesima che si poteva leggere sul biglietto.
   Deciso a verificare anche un’ultima cosa, Adrien scese a rotta di collo la scala, tornando di sotto e sfilando a tutta velocità sotto lo sguardo allibito di Plagg. «Si può sapere che diamine stai facendo?» Non rispose, troppo concentrato sul suo nuovo obiettivo: l’armadio. Lo spalancò e ci si tuffò dentro, rovistando con foga fra i propri indumenti. Quando le sue dita toccarono la morbida lana celeste con cui era stata confezionata la sciarpa che gli era stata regalata per il suo ultimo compleanno, Adrien inspirò a fondo per farsi coraggio e, infine, ispezionò ogni singola fibra di tessuto alla ricerca di qualcosa che doveva essere per forza sfuggito ai suoi occhi fino a quel momento: il nome di Marinette. Il giovane sapeva bene che, perfezionista com’era, la sua amica non lasciava mai una sua creazione senza la propria firma. A differenza dei biglietti di San Valentino, a quanto pare… Quel pensiero quasi lo fece sorridere, ma subito fu distratto dal piccolo ricamo blu che trovò in un angolo della sciarpa, lo stesso che confermò la veridicità delle confessioni che Marinette gli aveva fatto quella sera.
   Rimase per diversi istanti a fissare quelle minuscole lettere scure con una sensazione indecifrabile nel petto, la mente del tutto svuotata e un morso non indifferente alla bocca dello stomaco. Quindi, tornò lentamente sui propri passi e si lasciò cadere seduto sul letto, il biglietto e il CD in una mano e la sciarpa nell’altra.

«Credo che mi farò crescere i capelli», fu la prima cosa che disse Adrien appena sveglio, la mattina seguente. Se ne stava ancora steso sul letto, con il solo lenzuolo a coprirlo per metà e gli occhi fissi al soffitto. Pur intontito dal sonno, Plagg socchiuse le palpebre. «E poi mi metterò un bel fiocco in testa», continuò l’altro, facendolo sensibilmente preoccupare per la sua sanità mentale. «Così almeno questo ruolo di Alice nel Paese delle Meraviglie mi calzerà meglio.»
   Il kwami sbadigliò come un gatto pigro e tornò a posare la testolina fra le zampette. «Dormi», biascicò.
   «Non posso», sospirò il ragazzo, che non era riuscito a riposare granché, quella notte. «Mi sento davvero un pesce fuor d’acqua. Un idiota. Non ho mai capito un accidenti. Me ne andavo in giro per il mondo, respirando la sua stessa aria, senza rendermi conto di quanto stessi facendo male ad una delle persone migliori che io conosca. Non merito il suo amore. Non merito nemmeno di essere suo amico.»
   «Se hai la forza per fare il melodrammatico a quest’ora del mattino – di domenica, per di più – ce l’hai anche per alzarti e andarmi a prendere del buon camembert fresco per colazione», mugolò in tono indolente Plagg, nella speranza che si zittisse una buona volta e lo lasciasse dormire.
   «Non so come risolvere questa cosa», continuò imperterrito Adrien, seguendo il filo del proprio rimuginare notturno ed ignorando bellamente la sua richiesta. «Oltretutto mi sento un verme: ho ingannato Marinette e mi sono approfittato della fiducia che nutre in Chat Noir per farle confessare cose che altrimenti non mi avrebbe mai detto.»
   Rassegnato all’idea di non poter continuare ad oziare a letto, Plagg sospirò pesantemente. «Allora va’ da lei e dille la verità.»
   «Non posso, mi ucciderebbe.»
   «Non ucciderebbe mai il ragazzo che ama.»
   «Le spezzerei comunque il cuore più di quanto non abbia già fatto, pur senza rendermene conto.» Questa era una delle colpe più grandi che Adrien si dava e, sul serio, non riusciva a capacitarsi di quanto fosse stato cieco nei confronti dell’amica. Volse il capo verso sinistra, lì dove aveva lasciato la sciarpa e il biglietto che lei gli aveva regalato. Alla fine ci aveva dormito accanto, reputandoli comunque due doni preziosi, benché le sue convinzioni fossero di colpo crollate: Ladybug e suo padre non c’entravano nulla, era solo merito di Marinette. Voltandosi sul fianco, il giovane allungò una mano per aprire il biglietto e rileggere ancora una volta la poesia che lei gli aveva dedicato: se sulle prime gli era parsa una risposta a quella che lui aveva scritto per Ladybug in classe e che poi aveva cestinato, adesso era certo che lo fosse per davvero. Forse Marinette lo aveva visto gettare via il foglio e lo aveva recuperato e letto. Forse aveva persino pensato che fosse destinato a lei; un errore più che giustificabile, dal momento che, come Ladybug, anche lei poteva essere associata alla fanciulla descritta in quelle righe. Si assomigliavano molto, quelle due, e Adrien davvero non si capacitava di quanto fosse beffardo il destino per averlo cacciato in quella situazione assurda.
   Lasciando scivolare via il biglietto, spostò le dita sulla sciarpa, carezzandone la trama morbida e calda con i polpastrelli. Quanto doveva averci lavorato, Marinette? Di sicuro almeno un intero fine settimana. Forse più. Nessun altro aveva mai avuto tante attenzioni per lui, non da quando sua madre era scomparsa. Fece scorrere ancora la mano, fin sotto al cuscino, e da lì tirò fuori il portafortuna che lei gli aveva regalato la prima volta che era stato a casa sua e dal quale lui non si separava praticamente mai. Solo pochi giorni prima lo aveva definito il Lucky Charm di Marinette, mostrandoglielo come fosse stato un tesoro prezioso. Lo aveva pensato davvero e ne era ancora convinto, perché da quando lei glielo aveva dato, gli sembrava che le cose gli andassero meglio. O si trattava di mera suggestione? Qualunque fosse la verità, le sue giornate erano migliorate grazie a lei. E chissà quanto doveva averla resa felice, quando glielo aveva confessato! L’aveva illusa? Probabilmente un po’, benché lei fosse consapevole di non essere ricambiata. Meritava di sapere la verità, anche se questo le avrebbe fatto male. Ma non voleva più nasconderle nulla, non era giusto, perché si fidava di lui sia come Adrien sia come Chat Noir.
   Stringendo fra le dita il portafortuna, il giovane scattò a sedere sul letto. «Vado a parlarle.»
   «Le dirai anche che sei Chat Noir?»
   Si tuffò di nuovo supino sul materasso, sbuffando e coprendosi il volto con le mani. «Quello non posso farlo: rischierei di metterla in pericolo. E poi sarebbe Ladybug ad uccidermi.»
   «Neanche lei ti ammazzerebbe mai», gli assicurò Plagg, tirandosi su e stropicciandosi gli occhi con le zampine. «Anche se una strigliata non ti farebbe male.»
   «Ne sono consapevole.»
   «Soprattutto perché non mi hai ancora portato il camembert.»
   Portando pazienza, Adrien rotolò di nuovo sul fianco e cercò di darsi la spinta psicologica che gli consentisse di mettersi in piedi una buona volta. Ce la fece, sia pur lentamente, ma rimase seduto ad osservare il vuoto davanti a sé. «Credo che l’unica cosa che io possa fare, sia metterla in condizioni di dichiararsi una volta per tutte», ragionò, una mano davanti alla bocca, l’altra che ancora stringeva con affetto il portafortuna. «In questo modo potrei dirle che non posso ricambiare i suoi sentimenti non tanto perché la considero una buona amica, quanto perché sono già innamorato di un’altra.»
   «Anche perché non si guarda un’amica nel modo in cui l’hai guardata tu, ieri», gli ricordò Plagg, fungendo da voce della coscienza, una volta tanto.
   Adrien arrossì fino alla punta delle orecchie e chinò il capo fra le spalle con aria sconfitta. «Non è colpa mia… ho quattordici anni… cosa ti aspetti, che rimanga indifferente a certe cose?»
   «Quella ragazza ti piace», insistette a torturarlo il kwami, indispettito per l’essere ancora a stomaco vuoto.
   «Certo che mi piace!» ammise l’altro, innervosendosi. «Ma non è Ladybug!»
   «Dovresti lasciar perdere questa storia di Ladybug: ti ha già detto che è innamorata di un altro.»
   Fu l’ennesima stilettata al petto e Adrien uggiolò come un cane bastonato. Avrebbe davvero dovuto infliggere quello stesso dolore a Marinette? L’alternativa sarebbe stata continuare a tacere e lasciarla tribolare nell’eventuale, falsa speranza che un giorno lui l’avrebbe guardata con occhi diversi. Non sarebbe successo, era impensabile: lui amava Ladybug e, checché ne dicesse Plagg, non avrebbe mai e poi mai rinunciato a lei.

Era stata una rapina degna di un film. Approfittando del giorno di chiusura, un gruppo di malviventi aveva messo a segno un colpo ad uno degli istituti di credito principali della città, un piano che doveva aver preparato per forza con l’ausilio di qualcuno interno alla banca. L’allarme però era comunque scattato, la polizia era accorsa subito sul posto e ne era nata una sparatoria che aveva causato alcuni feriti e tanto, troppo spavento. Si era concluso tutto solo grazie all’intervento degli eroi parigini che, proprio come le forze dell’ordine, non conoscevano la parola riposo.
   «Non ci lasciano in pace neanche di domenica, ti rendi conto?» si lamentò Chat Noir, seguendo con lo sguardo l’ultimo dei criminali che veniva trascinato di peso dentro una delle auto della polizia.
   «Ringrazia che non ci sia scappato il morto, piuttosto», cercò di farlo ragionare Ladybug, aggrappandosi poi al suo braccio quando si accorse che, scampato pericolo, la stampa stava infine oltrepassando i confini tracciati precedentemente dagli agenti per tenere alla larga i curiosi. «Conviene sparire di qui, prima che comincino come al solito a farci mille domande», suggerì all’amico.
   Lui allargò le labbra in un sorriso enorme. «Sei matta? Questa è la parte più bella!» esclamò, liberandosi dalla sua presa soltanto per agguantarla per le spalle e trattenerla ferma dov’era. La ragazza protestò, ma non fece in tempo a sfuggirgli che già il primo dei microfoni li raggiunse. Si lasciò andare ad un verso esasperato e sospirò rassegnata, rimanendo in balia delle telecamere.
   A differenza di Chat Noir, lei non era troppo entusiasta di apparire in televisione; ciò nonostante, comprendeva benissimo la necessità di rilasciare un’intervista, di tanto in tanto, soprattutto per rassicurare quei cittadini che riponevano in loro la speranza di avere una città sempre più sicura. Assecondò perciò le curiosità dei giornalisti ancora una volta, senza tuttavia poter contare sui loro miraculous: non era stato necessario l’uso né del Cataclisma né del Lucky Charm, pertanto nessuno dei due eroi correva il rischio di trasformarsi davanti alle telecamere. Marinette si ripromise di registrare il suono dei suoi orecchini, così da poterlo utilizzare in situazioni d’emergenza come quelle e mettere in atto una fuga. Al momento, però, non c’era modo di fermare le domande che Nadja Chamack stava rivolgendo loro e questo le stava facendo venire un forte mal di testa.
   Sempre attento alle sue esigenze e ai suoi stati umorali, fu Chat Noir ad accorgersi della sua insofferenza. «Devi scusarci, Nadja», disse allora d’un tratto, impossessandosi per un momento del microfono. «Il mio superudito di gatto sta captando il grido d’aiuto di qualcuno, perciò non possiamo trattenerci oltre», buttò lì senza stare a pensarci un secondo di più. Ignorò sia la curiosità morbosa della giornalista, sia l’espressione stupita di Ladybug, presa in contropiede proprio come tutti gli altri. «Alla prossima!» salutò il giovane, tornando ad afferrare la partner prima di spiccare un prodigioso balzo che li portò via da lì nel giro di pochi attimi, tra gli ultimi flash e l’eco delle domande che ancora la stampa continuava a porre loro.
   «Siamo sufficientemente lontani, direi che puoi mettermi giù», esordì dopo alcuni minuti Ladybug, quando ormai erano nei pressi del Musée Rodin. I giardini lì erano pieni di turisti, perciò Chat Noir cercò un tetto sicuro su cui fermarsi e accogliere la richiesta della collega. «Grazie», disse lei, quando finalmente tornò a reggersi sulle proprie gambe. «Soprattutto per avermi liberata da quella tortura.»
   «Credevo che ormai ti ci fossi abituata, alle telecamere», commentò lui, le mani sulle anche e la schiena ben diritta. Si rivolgeva a lei con quella solita espressione allegra, benché dentro di sé qualcosa continuava a torturarlo senza tregua. «Dovresti prenderla con più leggerezza.»
   «Che è successo?» lo prese in contropiede la ragazza, lasciandolo a bocca aperta.
   «A che ti riferisci?»
   «Non fare il finto tonto», cominciò allora, incrociando le braccia al petto e fissandolo da sotto in su con aria indagatrice. «So che c’è qualcosa che non va. Credi che non mi sia accorta che hai rischiato di farti seriamente male, nello scontro di prima?»
   Chat Noir abbozzò un sorriso. «Oh, quello…» ridacchiò, mettendosi una mano sulla spalla e ruotando il braccio che aveva battuto in modo violento durante l’intervento alla banca. «Semplice distrazione.»
   «Beh, non dovrebbe accadere», lo rimbrottò con gentilezza lei, preoccupata per la sua incolumità. «Quando siamo in missione non possiamo concederci altri pensieri.»
   Lo vide abbassare lo sguardo, mentre l’entusiasmo sul volto del compagno si smorzava appena. «Ne sono consapevole, ma…» Tacque e sospirò. Marinette continuava ad essere un chiodo fisso nella sua mente, proprio non riusciva a scacciarla. Nemmeno ora che aveva davanti a sé la persona più importante della sua vita.
   «Chaton?» lo richiamò dolcemente Ladybug, inclinando il capo per cercare di incrociare di nuovo i suoi occhi. Il giovane tornò a guardarla, ma il turbamento che lei lesse sul suo viso la mise in allarme. «È successo qualcosa? Con me puoi parlarne, lo sai…»
   «Fa… male, vero?» domandò quasi in un sussurro Chat Noir, non sapendo bene come affrontare il discorso. L’altra aggrottò leggermente la fronte, non capendo a cosa si riferisse, e lui continuò: «Credevo che facesse male soltanto sentirsi rifiutati dalla persona che si ama, ma… fa male anche il pensiero di dover infliggere a qualcun altro la stessa pena.» Ladybug calò le ciglia sul viso, mortificata. «L’ho capito solo adesso e… diventa straziante, quando l’altra persona è qualcuno a cui tieni davvero tanto.»
   Nessuno dei due parlò per qualche istante. Poi, il giovane piegò le ginocchia e sedette sul bordo del tetto, le gambe penzoloni nel vuoto e la fronte rivolta al sole ormai al tramonto. «Ho scoperto da poco che una ragazza… una mia cara amica… è innamorata di me», spiegò allora, più nel dettaglio. L’eroina sussultò, come se un campanello d’allarme volesse metterla in guardia per qualcosa. «Io l’adoro, le voglio un bene matto, ma…» Chat Noir sospirò amareggiato e mosse una mano al fianco, dove aprì la zip della tasca per frugarvi dentro. Ciò che si intravide appena, fece gelare il sangue nelle vene della sua collega che rimase pietrificata dov’era. «Oltretutto mi sento in colpa perché è a Chat Noir che ha fatto quelle confessioni, senza sapere che in realtà le faceva anche al ragazzo che le piace.»
   Stavano davvero così, le cose? Marinette stentò a crederci. Anzi, si rifiutò di farlo. Strinse le labbra e serrò i pugni, mentre cercava con occhi febbrili una qualsivoglia somiglianza fra il suo partner e Adrien. I capelli biondi di Chat Noir le sembravano un po’ più lunghi e di una tonalità differente rispetto a quelli del suo compagno di classe, mentre aveva dato per scontato che il colore verde dei suoi occhi potesse essere dipeso dal visore della maschera che indossava. Adesso, tuttavia, non era più sicura di nulla, anche perché l’altezza e persino la corporatura del giovane che le era accanto le ricordavano fin troppo quelle di Adrien. Avvertì un fremito al cuore e quasi barcollò per un capogiro improvviso.
   Schiuse le labbra e boccheggiò a vuoto per qualche attimo prima di riuscire a pronunciare parola, pur con voce tremula. «Non… dovresti raccontarmi queste cose…» Chat Noir si volse a guardarla con aria stupita e lei avvertì un dolore sordo all’altezza del petto, sul quale portò entrambe le mani, quasi come se fossero uno scudo dietro al quale cercare riparo dalla sconcertante verità che l’aveva appena travolta. «Lo sai che non dobbiamo sapere nulla l’uno dell’altra.»
   Lui però già non l’ascoltava più. Si alzò in piedi, tornando a mettere al sicuro il suo tesoro prezioso e si avvicinò di nuovo alla compagna, afferrandola per le spalle e sostenendola con fare premuroso. «Stai bene?»
   Anziché rimanerci male per quella sua chiusura, per quell’ennesimo muro che la sua partner aveva deciso di innalzare fra loro, Chat Noir – Adrien? – si preoccupava invece per lei. E per Marinette. Come sempre. La ragazza avvertì gli occhi farsi lucidi per il pianto e il naso pizzicare con prepotenza. Non riusciva a guardarlo in volto – e come avrebbe potuto farlo?
   «My lady?» la chiamò lui con dolcezza, quasi si fossero invertite le parti. La sentiva fremere fra le sue dita, non ne capiva la ragione e questo lo inquietava non poco. Aveva detto o fatto qualcosa di sbagliato, che l’aveva resa nervosa? L’aveva ferita in qualche modo? Se sì, come? Non credeva che menzionare un’altra ragazza l’avrebbe sconvolta tanto… dopotutto, Ladybug non era innamorata di lui, quindi non c’era alcuna possibilità che potesse provare gelosia per ciò che lui le aveva appena confessato. Giusto?
   Poi, all’improvviso, lei si slanciò nella sua direzione, gli circondò il busto con le braccia e lo strinse a sé con forza, nascondendo il viso contro la sua spalla e lasciandolo del tutto spiazzato. Chat Noir s’irrigidì talmente tanto da non riuscire ad avere neanche la prontezza per ricambiare quell’abbraccio inaspettato – ed insperato. «Mi dispiace», mormorò soltanto Ladybug, la voce che ancora tradiva il suo reale stato d’animo. Non aggiunse altro e scappò via, sparendo dalla sua vista prima che lui avesse il tempo di reagire.
   Travolto da un uragano. Fu così che si sentì Adrien quando si rese conto di essere rimasto solo come un idiota. Cos’era successo, esattamente? Soprattutto, perché la sua buginette si era scusata con lui? Per cosa?
   Aveva bisogno di un attimo di respiro, si disse poi, portandosi una mano all’altezza del cuore e stringendo le dita attorno al materiale di cui era fatta la sua tuta nera. Le donne lo avrebbero ucciso, prima o poi.

Rannicchiata sul letto in posizione fetale, Marinette aprì con timore il pugno in cui stringeva ancora ciò che aveva furtivamente sottratto a Chat Noir: non c’era alcun dubbio, quello era davvero il portafortuna che lei aveva regalato ad Adrien tempo prima, lo stesso che lui portava sempre con sé. Si sentiva sporca per aver abbracciato il giovane solo per recuperare l’oggetto dalla sua tasca, ma era l’unico modo che aveva per scoprire la verità. E adesso che la sapeva, sentiva il cuore pesante come un macigno, lo stomaco chiuso e il desiderio di rimanere lì per ore intere, arrovellandosi attorno a quella situazione paradossale: era innamorata di Adrien, che però non poteva ricambiare i suoi sentimenti perché amava un’altra… che era sempre lei. Di più, per sua stessa ammissione, anche lui si sentiva in colpa per non averle detto la verità, ma su quello Marinette poteva anche sorvolare: l’identità di Chat Noir avrebbe dovuto rimanere segreta, e se lei l’aveva appena scoperta era stato solo per puro caso – e un pizzico di ingenuità da parte del suo partner. E se proprio doveva attribuirgli un torto, quello poteva essere ricercato nel non averla messa a tacere quando aveva iniziato a parlargli di ciò che provava e dei regali che gli aveva fatto. Eppure Marinette era certa che Adrien aveva ceduto alla tentazione di ascoltarla non per prendersi gioco di lei, quanto per via dello stesso motivo che l’aveva spinta a rubargli il portafortuna: cercare di capire. Capire meglio la persona che aveva davanti e alla quale voleva un bene dell’anima, nonostante tutto. Capire come comportarsi, nella speranza di non ferirla, di non farle del male. Lo aveva detto lui stesso: il pensiero di doverle spezzare il cuore faceva male a lui per primo.
   Cosa avrebbe dovuto fare, ora? Dirgli che le loro sofferenze erano finite, perché in realtà erano innamorati l’uno dell’altra? Che erano due stupidi? Era così che si sentiva lei, una grande, colossale stupida.
   «Tikki…» mormorò con voce ancora provata dalle devastanti emozioni che la stavano dilaniando. «Tu lo sapevi?»
   Accucciata sul cuscino accanto al suo volto, la creaturina la fissò con sguardo acquoso, manifestando in quel modo tutta la propria empatia per l’amica. «Sì», ammise. «Non potevo dirtelo. Perdonami.»
   «Anche se tu lo avessi fatto, probabilmente non ti avrei creduto», la rassicurò Marinette, continuando a tenere gli occhi sul portafortuna. Avrebbe dovuto restituirlo ad Adrien. O a Chat Noir? Dopotutto, non avrebbe fatto alcuna differenza. Avrebbe potuto farlo come Ladybug, dopo l’ennesima emergenza cittadina che li avrebbe richiamati ai propri doveri, oppure come Marinette, prima o dopo le lezioni scolastiche. In entrambi i casi, avrebbe potuto dirgli semplicemente che gli era scivolato dalla tasca e che lei lo aveva trovato da qualche parte. «Non mi sento ancora pronta», soffiò d’istinto, stringendo le dita attorno all’amuleto e nascondendo il viso contro il cuscino.
   «Non sei obbligata a dirglielo, non ora», la fece ragionare Tikki, da buona amica. «Prenditi il tempo che ti serve. Sono certa che lui capirà.»
   Tacquero per diversi minuti. Infine, quel silenzio carico di tensione fu rotto da due colpi contro il soffitto. Marinette scattò a sedere sul letto, trattenendo il fiato e sperando in cuor suo che l’udito le avesse giocato un brutto scherzo. Altri due colpi. «Marinette?»
   Chat Noir. Adrien.
   Era lì da lei. Per lei.
   Come aveva promesso la sera prima.
   Per dirle cosa? Le avrebbe detto la verità? Avrebbe taciuto?
   Di una cosa Marinette era sicura: quell’incontro avrebbe finito per far del male ad entrambi. Si sentiva ancora troppo scossa per affrontarlo in quel momento, mentre lui si sentiva ancora troppo in colpa per averla ingannata senza alcuna vera malizia. Non poteva vederlo, non in quelle condizioni. Tuttavia, non voleva neanche lasciarlo così, senza una parola, magari a tribolarsi perché in pensiero per lei.
   In un attimo, nascose il portafortuna in tasca e si diede due grossi pizzichi sulle guance per scacciare il pallore, ricacciando indietro le lacrime che ancora non era riuscita a versare. Infine, ignorando il furioso battere del cuore, aprì la botola e l’aria fresca della sera le riempì i polmoni, infondendole un coraggio che credeva di avere ormai smarrito.
   Già accanto alla ringhiera, in procinto di saltar via, Chat Noir si volse nella sua direzione con aria sorpresa. «Allora ci sei!» esclamò poi, sorridendole con sollievo.
   Marinette ricambiò quell’espressione affettuosa, sentendosi immediatamente meglio. E come poteva essere altrimenti, se era insieme all’amore della sua vita? Adrien, che si preoccupava per lei, che non voleva farle del male e che l’amava con tutto se stesso, sia pure senza rendersene conto.
   «Scusa, non volevo farti aspettare», disse in tono sereno, raggiungendolo e guardandolo dritto negli occhi, gli stessi che la facevano arrossire e le mandavano il cuore in tumulto ogni volta che si posavano su di lei. «Come stai?»
   Lo vide portarsi una mano dietro la nuca con fare impacciato, proprio come faceva sempre a scuola, quand’era imbarazzato per qualcosa. «Posso avere una domanda di riserva?» Sospirò e si strinse nelle spalle con aria mogia. «Temo di aver perso qualcosa di molto importante. Non so come sia potuto succedere, perché fino ad un’ora fa lo avevo in tasca e…» Tornò a rovistare nelle aperture della sua tuta nera, senza successo, e sospirò di nuovo.
   «Sono certa che salterà fuori, prima o poi», lo rassicurò Marinette, decisa a restituirgli il portafortuna la mattina seguente, a scuola.
   «È che sono abituato a portarlo con me», spiegò Chat Noir, demoralizzato. «Senza, mi sento… inquieto
   Ci teneva così tanto, a lei? Sì, e quella era l’ennesima prova. Non che alla ragazza ne servissero ancora, ma quella consapevolezza le scaldò il cuore e contribuì a darle la forza e il coraggio di accettare la verità. Volse le spalle alla ringhiera e si lasciò scivolare a sedere sul pavimento, fissandolo da sotto in su e porgendogli la mano in un chiaro invito a seguire il suo esempio. «Ieri sera ti ho rintronato di chiacchiere», disse poi in tono di scuse. «Oggi, però, prometto che resterò in silenzio, ad ascoltare tutto ciò che vorrai condividere con me.»
   Il giovane la guardò dall’alto, stupito da quelle parole e dal gesto di lei. Avrebbe davvero dovuto sorprendersi per la gentilezza innata di Marinette? Sorrise e accettò la sua mano, stringendola nella propria con tenerezza mentre si lasciava cadere al suo fianco. «Ti avverto subito: sono un gran chiacchierone.»
   «Lo avevo intuito», commentò la ragazza serafica, sistemandosi meglio e posando la testa contro la sua spalla, le dita intrecciate alle sue e la luna quasi piena che iniziava ad affacciarsi all’orizzonte. «Non importa. Ti ascolterò lo stesso. Sempre.»












Secondo colpo di scena andato. Il terzo sarà nel prossimo ed ultimo capitolo.
Più penso all'intera situazione, più mi convinco che questi due tontolotti siano davvero poco fisionomisti... oltre che tonti, ma l'ho già detto.
Il prossimo aggiornamento sarà lunedì prossimo, se tutto andrà per il meglio. Nel frattempo vi auguro un buon inizio di settimana e vi ringrazio di tutto cuore per l'entusiasmo (davvero insperato) che state manifestando per questa semplice, breve long.
Un abbraccio! ♥
Shainareth





  
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