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Autore: Ghen    09/04/2018    9 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
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Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
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8. Problemi di affezione


E anche quella mattina, Kara Danvers si svegliò di buon'umore, sapendo che sarebbe stato un sabato fantastico. Era soddisfatta di aver potuto aiutare Lena e Lex, anche se non lo conosceva ancora, a risolvere il problema alla Luthor Corp di Metropolis, e continuava a pensarci. Si alzò, si rivestì in fretta indossando leggins e canottiera, andando a correre. Megan la raggiunse dopo una mezzora, quando lei era già in pista. Fecero una gara e ripresero fiato l'una vicino all'altra, passandosi asciugamani per il sudore e borracce d'acqua. Altri e altre studentesse raggiunsero la pista quando loro se ne andarono per fare due tiri in porta nel campo da lacrosse accanto; a tarda mattina decisero di rientrare, discutendo di come avevano trascorso le loro giornate, quando un uomo andò loro incontro, salutandole.
«Ottimo allenamento, ragazze. Vi voglio preparate perché è molto probabile che il nostro primo incontro, a inizio anno, sarà contro Gotham City».
Kara e Megan si scambiarono un'occhiata seriosa. «Dunque andremo dritte al sodo», esclamò Megan, «Le abbiamo battute sul filo del rasoio, l'ultima volta».
«Gira voce che stiano intensificando gli allenamenti. Puntano alto», rispose lui, guardandola con occhi di riguardo e, dopo, adocchiando Kara: «Ti voglio al cento per cento là fuori, Supergirl. Ricorda che ora sei tu il capitano».
Lei annuì, con ferma decisione nello sguardo. «Ce la metterò tutta».
Lui le scambiò un'occhiata e dopo passò una mano su una spalla di Megan, dolce. «Ci vediamo questa sera».
Lei ricambiò, allontanandosi con l'amica.
Nel vedere il sorriso sulle labbra di Megan, Kara sorrise a sua volta, con complicità. «Come stanno andando le cose tra te e il signor Jonzz?».
L'altra arrossì e scosse la testa, come a voler dissimulare il suo imbarazzo. «Bene, sembra… Abbiamo superato il problema dell'età, ora non ci resta che ignorare il fatto che lui sia un professore, il mio coach, e io la sua studentessa. Abbiamo molte cose in comune: ci dobbiamo solo sforzare di pensare a questo».
L'altra annuì, distraendosi quando sentì il suo cellulare vibrare all'interno della sua borsetta. Pensò subito a un messaggio da parte di Lena, ma la vibrazione continuò e quando guardò sullo schermo vide che la stava chiamando un numero privato. Si scambiò uno sguardo con Megan. «Devo rispondere». Camminò verso un corridoio deserto, accettando la chiamata. «Kara Danvers».
«Kara. Finalmente ho il piacere di parlare con te», disse la voce dall'altro apparecchio, «La mia nuova, cara sorellina».
Kara deglutì: la voce calma e distante che sentiva apparteneva a Lex Luthor? Il fratello di Lena, il figlio biologico di Lillian Luthor che ancora non conosceva la cercava? Non avrebbe saputo definirne bene il motivo, ma sentirlo le metteva addosso una strana sensazione di disagio, la faceva sentire sulle spine, forse perché in fondo non lo aveva mai neppure visto. «Lex?».
«Naturalmente», lui sorrise, appoggiando la mano libera sulla scrivania su cui era seduto davanti. «Mia madre mi ha dato il tuo numero, spero non ti dispiaccia, ma ci tenevo a ringraziarti personalmente per il tuo aiuto. Se ne hai una a portata d'occhio, accendi la televisione».
Kara abbassò il cellulare dall'orecchia e fece cenno a Megan di seguirla, così corsero alla sala video, dove la televisione, già accesa, trasmetteva il telegiornale, seguita da qualche studente che commentava a voce alta l'arresto alla Luthor Corp di Metropolis.
«Ti direi su quale canale girare, ma la notizia è dell'ultimo momento, credo la stiano trasmettendo ovunque», spiegò lui.
Le immagini mostravano la polizia di Metropolis che scortava fuori dalla possente struttura della Luthor Corp un uomo e due donne, l'assistente e una segretaria di Lex Luthor e l'addetta ai controlli degli investimenti, citava la didascalia, rei di aver contraffatto documenti e aver frodato l'azienda. Da nessuna parte si citava, tuttavia, la complicità di Maxwell Lord. Dopotutto, nessuno di loro aveva prove concrete contro di lui.
Come avesse potuto leggerle nel pensiero, Lex si affrettò ad aggiungere: «Lena mi ha riferito dei vostri sospetti su Lord. Non posso essere più d'accordo ma, senza prove, non possiamo procedere e nessuno parla. C'era da aspettarselo, chiaramente», prese una breve pausa, «Questa mattina si è presentato nel mio ufficio tutto zelante, sperava che arrivassimo a un accordo, ma suo malgrado si è ritrovato ad assistere all'arresto».
Kara notò, infatti, che dietro alle immagini dell'arresto, in mezzo a tante altre persone, compariva anche Maxwell Lord, ma pareva aver perso il suo sorriso: non poté che sentirsi un po' soddisfatta. Dopo, d'improvviso, il video cambiò mostrando in primo piano Lillian Luthor e il suo tirato sorriso. Dietro di lei, Kara intravide sua madre Eliza. «Lillian? Lei ed Eliza sono a Metropolis?».
«Oh, sì, sono arrivate questa mattina presto. Ufficialmente l'idea di mia madre era quella di venirmi a trovare, ma ho come il sospetto che volesse prendersi i meriti dell'arresto», lo sentì ridere appena, piano. «Hanno preso un elicottero per arrivare qui in tempo».
#La mia famiglia è piuttosto scossa riguardo l'accaduto. Mio figlio è stato accusato ingiustamente#, disse la donna davanti ai microfoni e, a una seguente domanda di un giornalista, rispondere. #Oh, non rilascerà interviste, è già abbastanza provato. Si sta occupando di tutto la polizia; ci affidiamo completamente a loro. Non ho altro da aggiungere# Lillian chinò la testa e si allontanò, così il servizio mostrò di nuovo le facce dei colpevoli.
«Il denaro degli investitori? Verrà recuperato?», chiese.
«Fino all'ultimo quarto di dollaro», rispose prontamente Lex, «Grazie a te, Kara. Ognuno ha fatto la sua parte, naturalmente, ma hai dato una forte spinta al tutto. Non vedo l'ora di conoscerti dal vivo, ora sono molto impegnato e, come ben avrai immaginato, devo condurre dei controlli molto stretti su tutto il personale che lavora qui a Metropolis, ma non vedo l'ora. Lena mi ha parlato così bene di te».
Kara arrossì, colta alla sprovvista non sapeva cosa dire.
«E avrei giurato che fossi molto più loquace, da come ti ha descritta». Lo sentì ridere di nuovo, senza scomporsi.
Chiusero la telefonata, salutandosi con l'augurio di vedersi presto dal vivo.
Megan la guardò, incurvando un sopracciglio. «Fammi indovinare: il tuo nuovo fratello maggiore?».
Kara annuì.
Per tutto il servizio al tg, Lex Luthor non comparve nemmeno per un fotogramma. Guardando di nuovo le immagini dell'arresto, Kara ripensò alle parole di Lex, su come avesse davvero aiutato a rendere ciò possibile, e a quelle di Lena il giorno prima. Sarebbe stata davvero tagliata per essere una reporter? Quando al liceo dovette pensare bene a cosa fare una volta diventata ufficialmente un'adulta, la reporter era stata la sua prima scelta. Dare voce a chi non poteva, mettere in luce gli abusi, fare qualcosa che sarebbe rimasto nel tempo, scritto nero su bianco, credeva sarebbe stato appagante. Le cose erano cambiate quando alcuni professori le avevano abbassato i voti, e non era una persona che si sarebbe lasciata prendere in quel modo dallo sconforto se non avesse notato che, in fondo, era sempre stata più brava nello sport e nell'affrontare le persone a mani nude. E lei e Mike Gand insieme riuscivano a fermare chiunque, quando lui non faceva troppo di testa sua. Così quando lei, un pomeriggio dopo un allenamento, gli disse in tono scherzoso che forse avrebbero dovuto fare quello per tutta la vita, lui accettò di buon grado, felice che a lei sarebbe bastato avere lui al suo fianco per realizzarsi. A quel punto le forze dell'ordine era l'unica scelta possibile. Sarebbe diventata una poliziotta come Maggie e avrebbe ripulito la città al fianco di Mike. Però…
Disse a Megan che sarebbe andata a cercare Mike e si divisero mentre l'amica tornava in dormitorio. Lo invitò a pranzare con lei, ignorando il cellulare dentro la borsa perché l'avrebbe distratta: voleva parlargli di una cosa importante. Saputo che avrebbero pranzato insieme, il ragazzo prese quattro panini dalla mensa e gliene passò due, quando si sedettero sull'erba del parco. Di spalle avevano gli alberi e davanti un prato in cui Kara aveva piacere ad appisolarsi con i libri in mano quando era periodo di esami.
Lui sospirava rumorosamente, la guardava e sorrideva estasiato, addentando poi il suo primo panino.
Kara, che solitamente dopo il primo morso era già a metà panino, indugiava più del normale.
«Allora, di cosa volevi parlarmi?», chiese lui con la bocca piena, tanto all'improvviso che la fece sobbalzare dallo spavento.
Si voltò a guardarlo e notò il suo sorriso. Era incredibilmente felice per uno che stava per ricevere una brutta notizia, pensò. Ma lui non ne aveva idea. Oh, no: forse pensava che stessero per tornare ins-
«Lo so: vuoi che torniamo insieme», canticchiò, di buon umore.
Kara chiuse gli occhi e affondò un pesante morso al suo panino, masticando così lentamente da avere il tempo di capire come muoversi e uscirne viva.
«Dai, Kara. Non farla tanto lunga, siamo fatti per stare insieme, lo abbiamo sempre saputo! Non mentire. Siamo forti in coppia, no?».
«Già…», borbottò lei, in preda al panico, «Non volevo parlare del nostro stare insieme, cioè un po' sì, ma non in questo senso, in un senso più… futuro». Lui inarcò un sopracciglio, scartando il secondo panino. Così anche lei diede un ultimo morso al primo e prese tempo scartando il secondo. «Sai quanto siamo forti insieme, e abbiamo cercato di immaginarci un futuro insieme, ma quel futuro, ora», deglutì, balbettando, «fo-forse potrebbe cambiare».
Lui sgranò gli occhi e la bocca, fissandola con intensità, diventando serio. «Kara…», deglutì, avvicinandosi, «Stai dicendo che-».
«Mi dispiace, Mike».
«Sei incinta?».
«Cosa?».
«Ma è fantastico!». Per poco non esultò.
«No, Mike».
«Senti, non pensare che io mi tiri indietro: forse diventare padre ora mi cambierà la vita, dovrò fare pace con mia madre per avere più soldi ma tu non dovrai preoccuparti di nulla! Penserò a tutto io, ovvio, tu dovrai stare a casa a riposare… Non è una cosa brutta», le sorrise, mentre lei riprendeva a masticare, lasciandolo parlare. «Kara, diventeremo genitori». Le prese le mani nelle sue, con il panino in mezzo.
«Mike, non sono incinta», esclamò, diventando rossa, «E-E poi è da molto che noi non- Sono passati mesi, se fossi incinta si vedrebbe».
«Oh, beh, peccato però», si costrinse a tornare composto sull'erba, quando scemò il suo entusiasmo.
«Affatto», bisbigliò lei.
«Magari eri in ritardo».
«Non è il diretto per Central City», brontolò.
«Sarebbe stato bello! Tu potevi stare a casa a prenderti cura del nostro bambino e dopo il lavoro sarei tornato a casa per giocare con lui».
«O lei», aggiunse Kara, capendo solo in quel momento cosa il ragazzo stesse dicendo: «No, aspetta! U-Un figlio o figlia adesso cambierebbe tutto… Cosa stai-?».
«In meglio».
«Non proprio», lo corresse, «Ho gli studi, lo sport… ogni cosa…».
Lui grugnì, finendo il panino, accartocciando la stagnola. «Lo so che abbiamo detto che saremmo diventati entrambi agenti e che avremo sgominato le forze del male di National City, ma si può fare tutto anche con un figlio, no? O quasi», sorrise, perso nei suoi pensieri. «Magari starei fuori un po' più io, tu saresti in maternità, e va bene così. È sempre così, no?», rise appena, «La mamma sta a casa e il padre lavora. Non che ci sia qualcosa di male, in questo», scosse la testa, guardandola, «È una cosa normale! Un piccolo me che mi aspetta a casa appena apro la porta, con te che mi accogli. Cosa c'è di male in questo?». Si accorse che lo stava fissando corrugando lo sguardo.
«Va bene, basta: non avremo un bambino».
«Non adesso…».
Sospirò, accartocciando anche lei la sua stagnola. «A proposito del nostro diventare agenti… Volevo parlare di questo».
Lui la fissò. «Hai pensato a qualche ramo di polizia in particolare?».
Kara strinse i denti, simulando un tirato sorriso. «No», abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. «Ultimamente sono successe delle cose che mi hanno fatto pensare…».
«Quella cosa che hai fatto per Lena Luthor? Ho saputo che hanno arrestato qualcuno».
«Sì, quello…», deglutì, guardando verso il prato. «Mi ha fatto sentire bene», ritrovò il sorriso, entusiasta. «E ho ripensato a quando sarei voluta diventare reporter».
«Ah». Guardò il prato anche lui, chiudendo con forza le labbra. «Quindi vorresti…», scrollò le spalle, «lasciar perdere questa cosa degli agenti?».
«Forse», lo guardò. «Era una bella idea, e lo volevo tanto, ma diventare reporter è una cosa che desidero da sempre e forse posso cavarmela».
«Oh, beh… se è questo che vuoi», enunciò a bassa voce, spento.
«Non ti piace, eh?».
«Non è che non mi piaccia, è che decidi tutto tu», alzò di nuovo le spalle, aggrottando le sopracciglia. «Prima dici che vuoi diventare un agente con me, poi che vuoi mollarmi, ora che vuoi mollarmi anche dal diventare un agente con me. E io non ti capisco più, Kara! O forse non ti ho mai capito! Hai questa assurda mania di voler aiutare tutti, e per questo vuoi essere agente, o reporter, o entrambi», sbuffò, «E io non ho deciso nessuno dei due! Volevo diventare agente solo perché lo volevi tu; a me non importa niente di andare a fermare i criminali come un vigilante dei vecchi fumetti! Lo volevo solo per stare con te». Si fermò, riprendendo fiato, mentre Kara restava senza parole, aggrottando lo sguardo anche lei. «E sai che ho litigato con mia madre che non voleva ti frequentassi! Dopotutto questo tu mi stai abbandonando».
«Non ti sto abbandonando».
«Sì che lo stai facendo», l'accusò, puntandole contro un dito, «E lo sai. Vuoi aiutare tutti, vuoi esserci per tutti, ma alla fine molli me che sono sempre stato al tuo fianco», si alzò e Kara lo seguì, prendendo la sua roba.
«Potremmo stare vicini anche se divento reporter! Mike?», lo chiamò, correndogli dietro, mentre lui percorreva la strada per uscire dal parco. «Non sarà lo stesso, ma-».
«Certo che non sarà lo stesso», si fermò di colpo, guardandola negli occhi. «Prima ti bastavo io, Kara… pensavo mi amassi. E io non sto dicendo che è una brutta cosa se diventi reporter, se è questo ciò che vuoi fare fallo, ma non lasciarmi indietro perché io per te ho fatto di tutto… Avrei preferito fossi incinta».
Lui se ne andò e Kara si portò le mani contro la fronte, sospirando.

Litigare con Mike a volte le sembrava come di essere sulle montagne russe. Era vero che lui aveva avuto una pesante discussione con sua madre per lei che, non sapeva bene perché, non aveva preso proprio in simpatia e non voleva che stessero insieme. Il giorno in cui l'aveva presentata ai suoi si era trasformato in un incubo. Mike si era battuto per quello e per poco non si ritrovava senza casa e senza soldi, se non fosse stato per suo padre che si era messo in mezzo. E sì, era probabilmente vero anche che era stata lei a scegliere per lui un futuro nelle forze dell'ordine; era così capace nel battersi che, probabilmente, aveva riflettuto un po' di se stessa in lui, pensando che avrebbe potuto usare quella forza, quella velocità e quell'abilità per fare del bene. Forse aveva sbagliato a trattarlo in quel modo, pensava.
Rientrò al dormitorio con sguardo basso e aprì la porta della sua camera di malavoglia, sapendo che si sarebbe subito infilata in doccia. Sbuffò e richiuse, bloccandosi quando vide fiori, fiori ovunque: la camera che divideva con Megan era piena di fiori di ogni colore e grandezza. C'erano dei girasoli in un vaso sul tavolo, accanto a delle rose rosse e rosa in un mazzo, e dall'altro dei gigli. C'erano mazzi di fiori bianchi, blu e viola in alcuni vasetti per terra vicino al letto, un mazzo era sul suo letto, altri davanti alla porta del bagno, e davanti al suo armadio e a quello di Megan. Seduta sul letto, con le auricolari nelle orecchie, Megan aveva il naso dentro un altro mazzo di fiori di tutti i colori. Poi la vide e spense la musica.
«Sorpresa?», le domandò in un sorriso.
Kara era a bocca aperta, continuando a guardarsi intorno con meraviglia nello sguardo. «Te li ha portati il signor Jonzz?».
«Me li ha portati?», rise, «Ehi, bella, questi sono per te».
«P-Per me?». Corse precipitosa verso il tavolo, incrociando un biglietto ripiegato. Appena lo aprì le sue guance si colorarono di porpora, senza trattenere un sorriso.
Ero indecisa se ringraziarti invitandoti a cena oppure inviandoti dei fiori. Tanti fiori. Ho deciso di fare entrambe le cose: domani alle 20:00 ti verrà a prendere Ferdinand e non voglio sentire storie.
Lena
«Te lo avevo scritto per messaggio: erano già qui quando sono entrata in camera, deve aver aperto il guardiano», le disse Megan, «È incredibile: lei è praticamente tua sorella, eppure è più romantica di come sia mai stato Mike da quando lo conosci».
«Non parlare male di lui. Si impegna».
«No, ma lo difendi sempre», sbuffò, alzandosi e passandole il mazzo di fiori che aveva con sé. «A proposito: com'è andata con lui, poco fa?».
«Abbiamo litigato».
«Perfetto», sorrise per prenderla in giro, spostando alcuni vasi e aprendo la porta del bagno. «Chissà perché comincio a desiderare anch'io una nuova sorella», disse ancora, prima di chiudere dietro di lei.
Kara avvicinò il naso contro i fiori nel mazzo, facendo suo quel forte odore dolce. Era così buono. Si riguardò intorno, pensando che mai si sarebbe aspettata qualcosa di simile. Da nessuno, mai. E l'aveva perfino invitata a cena. Sua sorella, già… Sapeva cosa fare.
«Alex! Mi ha circondata di fiori! E mi ha invitato a cena», disse con decisione, guardando sua sorella che, dall'altro capo del cellulare, era davanti a una finestra. «Guarda». Le mostrò tutta la camera, fermandosi a lungo su ogni mazzo di fiori che incontrava. Alex le sembrò distratta, però. «Ci sei, sorellona? Hai visto?».
«Ho visto, Kara, sono bellissimi. È stata Lena?».
Kara annuì. «E mi ha invitata a cena. Domani. Non so nemmeno cosa mettermi, non so in che tipo di locale andremo, cosa mangeremo, se saremo sole».
«Calmati, Kara», le sorrise Alex, «Come se non fossi mai andata a cena fuori in vita tua. Probabilmente vi vedrete in un buon locale, conoscendo i Luthor: mettiti qualcosa di buono, non le solite gonnelline».
«Un vestito da sera?», domandò, incerta.
«Sì, se invece di Lena Luthor ti stesse portando a cena fuori Maxwell Lord», finse una risata, portando gli occhi al cielo.
Kara la scrutò: c'era qualcosa che non andava. E poi dove si trovava? Non riconosceva lo sfondo, e quei palazzi fuori dalla finestra non sembravano di National City. «Perché proprio Maxwell Lord? Dove ti trovi?».
Alex sbuffò, portandosi una mano contro il viso, abbassandosi e facendo intravedere a Kara di trovarsi seduta su una poltrona mai vista. «A Metropolis. Sono arrivata un'oretta fa».
«Cosa fai lì?».
Megan le arrivò di spalle, guardando anche lei quanto visibilmente Alex sembrasse affranta, chiedendo cosa stesse succedendo.
«È una lunga storia. Ora mi sto nascondendo, sono a casa dei Luthor qui, ormai praticamente ci vive solo Lex».
«Gli ho parlato stamattina, è… un tipo strano?!», sorrise, «Mi ha dato una strana sensazione a parlargli al telefono».
«Diciamo che assomiglia molto a sua madre», commentò.
«E da cosa ti nascondi?», le chiese Megan, guardando anche lei.
Alex sospirò pesantemente, cercando di rimettersi composta sulla poltrona rossa. «In un'ora che sono arrivata sono stata sbattuta da una parte all'altra da Lillian Luthor che voleva farmi vedere ogni centimetro di casa e farmi foto per Instagram, sono stata presa da Eliza che voleva farmi conoscere Lex, e Lex, certo, per fortuna con me si è trattenuto poco perché è molto impegnato. Ma soprattutto, scappo da Maxwell Lord», digrignò i denti.
Kara sorrise, mentre Megan restava senza parole: «Hai conosciuto quel Maxwell Lord?».
«È ancora qui intorno», sussurrò, deglutendo. Non ne sembrava entusiasta. «Per qualche strano motivo è ospite di Lex, credo voglia fare una specie di gioco di potere con lui; credo pensi sia stato il mandante del colpo alla Luthor Corp».
Kara non le disse niente, gliene avrebbe fatto cenno in un altro momento, non era il caso di interromperla.
«Beh, Lord non sembra pronto a confessare qualcosa. Al contrario è da appena mi ha vista che non mi toglie occhio di dosso. Se avesse una vista a raggi x», disse di nuovo, sottovoce, «mi avrebbe fatto una scansione completa già quattro volte. Mi ha invitata a cena».
«Ohu», entrambe arretrarono, guardandosi.
«Esatto», sospirò lei. «Ho cercato di dirgli che sono impegnata e che sono emh, dell'altra sponda, ma ha continuato a fare battute e non credo abbia capito».
«Cosa pensi di fare?», domandò Kara, mentre Megan al suo fianco annuiva.
«Non lo so, lo affronterò e… Una cosa è certa: non andrò a cena con lui», disse scandendo bene le parole, seria, «E Maggie mi ucciderebbe, se lo venisse a sapere», aggiunse, mentre Kara sorrideva. «Un invito a cena…», guardò fuori dalla finestra, con aria distratta, «praticamente un invito ad andare a letto con lui».
Kara arrossì inevitabilmente e Megan, al suo fianco, si costrinse a non ridere, guardandola e lasciandola da sola con la sorella, mettendosi a sistemare i fiori in un unico punto della stanza. «… a-a letto. Certo, sì», rise con nervosismo, «Ti ha invitata a cena fuori, ti squadrava, è o-ovvio».
Alex la guardò con attenzione, non capendo cosa avesse detto di sbagliato, pensandoci all'ultimo. «Oh, Kara, mi ero dimenticata», sorrise scherzosa, annuendo, «Anche Lena Luthor ha quello in mente: vuole portarti a letto. Capolinea, sorellina. Allora sarà il caso di mettere quel vestito da sera di cui parlavi». Rise e Megan, che la sentiva parlare, rise con lei. «Ora devo andare», guardò l'orologio al polso. «Ho un appuntamento e non con Maxwell Lord, lo giuro. Ti racconterò questa notte. Ti voglio bene».
«Ti voglio bene anch'io, sorellona». Kara chiuse la telefonata e diede una veloce occhiata al biglietto ripiegato che le aveva lasciato Lena, sul tavolo. Deglutì.
Megan la guardò, scoprendo quello sguardo che era durato solo un attimo verso il biglietto, così sorrise, annuendo. «Ah, ora capisco».
«Cosa?», sobbalzò, come colta a fare qualcosa di proibito.
«Tante cose, Kara Danvers», le poggiò una mano su una spalla, passando dall'altro lato della stanza per recuperare gli altri fiori. «Per quella cena indossa il vestito».

Mike le fece uno squillo, ma giusto qualche secondo appena, senza inviare messaggi o che altro, solo probabilmente per farle sapere che stava ancora pensando a lei e che aspettava, questo quasi di certo, le sue scuse. Era Kara ad essersi dimenticata di lui. Non a lungo, certo, le pesava averci litigato ancora e le sembrava di dover scegliere fra lui e il giornalismo, ma quei fiori, che ogni tanto si ritrovava ad odorare, l'avevano piacevolmente distratta. Con tutto che erano bellissimi, Megan le aveva fatto sapere che non potevano tenerli tutti là dentro e di pensare a qualcosa, ma prima di farlo l'avrebbe ringraziata, così videochiamò anche lei, sperando di non disturbarla. L'idea di presentarsi alla Luthor Corp c'era, ma temeva di trovarla impegnata, mentre una telefonata poteva sempre interromperla. Ma Lena accettò appena al secondo squillo.
Kara sorrise radiosa, vedendo che era a casa e non alla Luthor Corp: aveva lasciato il suo cellulare da qualche parte, immobile, e la vedeva camminare per la cucina, salutandola. Quando si avvicinò allo schermo aveva con sé una tazzina di caffè. La vide sedersi davanti e, per una sola frazione di secondo, il suo seno aveva occupato la quasi totalità dello schermo, facendo arrossire Kara, che distolse lo sguardo.
«Questa è la terza, oggi», le fece notare, indicando la tazzina e poi bevendone un sorso.
«Tanto lavoro?».
«Tanta Lillian Luthor», rispose, ridacchiando. «È a Metropolis, adesso, e mi ha chiamata cinque volte in due ore. Sono stanca, solo il caffè riesce a rilassarmi. Mi ha ringraziato e mi ha detto di ringraziare anche te, a proposito». Kara sorrise. «Voleva chiamarti ma sapeva che lo aveva fatto Lex, quindi magari aspettati una sua chiamata, ma non contarci troppo. Si vanta di essere riuscita ad avere molta confidenza con Alex e te, ma in realtà, dubito sia così tanta», le sorrise e Kara scosse la testa, sorridendo ancora.
«Ah…», Kara si fece seria, alzando il cellulare dal tavolo su cui lo aveva poggiato, facendogli fare una breve panoramica dei fiori intorno. «Tornando in dormitorio, oggi, mi sono ritrovata la camera completamente piena di fiori».
«Davvero?», le diede un'occhiata, seria, per poi sorridere.
Kara scosse la testa, sospirando. «Tu non ne sai nulla, vero?».
«Assolutamente».
«Grazie», le sussurrò, poggiando la testa sulle sue mani distese sul tavolo, guardando dritta verso lo schermo, «È stata una bella sorpresa».
«Sai, credevo che non si usasse ringraziare a un ringraziamento, Kara Danvers», finì il suo caffè. «Mi raccomando di prepararti per domani: Ferdinand è sempre puntuale».
Kara annuì. «Lo immagino, con il lavoro che fa».
«No. È che ha paura della reazione di mia madre a un suo possibile ritardo».
Risero e si salutarono, così Kara chiuse la videochiamata sentendosi stranamente leggera. Il perché si sentisse così non lo sapeva, ma era contenta di vedere che Lena finalmente non la ignorava più; forse, pensava, da quell'arresto alla Luthor Corp di Metropolis ci aveva guadagnato un po' anche lei.
Più tardi, quasi a ora di cena, si era sentita di nuovo anche con Alex.
«Sono qui a Metropolis perché avevo un appuntamento con Jeremiah», confessò, con un sorriso sulle labbra. «Ma non dirlo a Eliza: lei pensa che sia qui per conoscere Lex, e diciamo che gliel'ho fatto credere, invece mi sono vista con lui».
«Non dirò una parola».
Alex sorrise, ma nel suo sguardo si leggeva il peso della bugia. «È stata una bella giornata».
«Sono felice per te, sorellona. Spero tu lo abbia salutato da parte mia».
«Salutare chi?», gridò Megan in modo che la sentisse anche Alex, fermandosi con un piatto in mano, con il microonde aperto. «Lord? Alex ha scoperto di essere bisex e di essere attratta dai pettorali di Lord?».
Kara rise mentre Alex, dopo aver sentito, rimase senza parole, con aria disgustata. Si salutarono scambiandosi la buonanotte, dopo essersi entrambe augurate buona fortuna con i loro appuntamenti, se così potevano chiamarli.

Aveva deciso di smettere di flirtare con lei, e così aveva provato anche a ignorarla e a essere dura, tutto pur di non permettere al suo cuore di saltare qualche battito quando era in sua compagnia, ma aveva fallito. Kara Danvers l'aveva riconquistata; e come pensare che non ci sarebbe riuscita. Come poteva progettare di essere tanto fredda con lei? Non se lo meritava. Non soprattutto dopo l'aiuto che le aveva dato anche quando tentava di trattarla male. C'era qualcosa di profondamente sbagliato in ciò che provava per quella ragazza, lo sapeva bene, ma non poteva farci nulla. Decise di essere tranquilla, di andare avanti con la sua vita così come sarebbe andata, senza provarci né tentare di respingerla e di vedere cosa succedeva. Dopotutto Kara non era interessata a lei e forse un giorno la cotta se ne sarebbe andata così com'era arrivata. Era la cosa giusta da fare. E intanto, magari, si sarebbe divertita.
Quella mattina si alzò qualche minuto prima che suonasse la sveglia; sistemandosi il letto a due piazze, aveva sempre amato stare comoda, prima ancora di farsi la doccia; spalancando le due finestre della sua camera prima di stropicciarsi gli occhi dal sonno, affacciandosi davanti ai palazzi di National City che le facevano da panorama, lontani come le nuvole. Lena Luthor era felice.
L'altra invece si svegliò più in ritardo del solito, tanto che Megan aveva già occupato il bagno e abituata ad averlo solo per lei la fece aspettare fuori almeno un quarto d'ora. Quest'ultima rise appena la vide e aprì la bocca per dirle qualcosa, ma Kara la sorpassò come un fulmine e ci si chiuse dentro. Le disse attraverso la porta che sarebbe andata a correre. Si preparò velocemente perché non poteva saltare gli allenamenti: ad agosto sarebbe tornata a casa e avrebbe oziato di nuovo, con il rischio di non essere abbastanza tonica per la partita contro Gotham City e si immaginava già il sorriso strafottente della Kyle, la capitano, che si prendeva gioco di lei. Avevano un conto aperto in sospeso.
Lasciò il letto sfatto e ripose la copia 432 del CatCo Magazine sulla mensola vicino, per non dimenticarsi e rischiare di sgualcirla sedendoci sopra al suo ritorno. Accese il cellulare e sbuffò un po', vedendo che le sole chiamate perse, ben quattro, erano di Mike, poi c'era un messaggio da parte di Alex e un altro da parte di Eliza, che avrebbe letto dopo. Con leggins, tshirt e una borsa per l'essenziale, spalancò la porta, ritrovando la testa di Mike Gand ai suoi piedi. Letteralmente.
«Cosa ci fai qui?», domandò, spalancando gli occhi.
Lui sorrise, rimettendosi in piedi. «Ho visto Megan, poco fa, mi ha detto di aspettarti fuori. Chi è morto?», indicò i fiori disposti intorno alla porta, portati lì dalla sua coinquilina che non riusciva a dormire per via del forte odore; lo sentiva anche lei, ma avrebbe resistito.
«Lascia stare», scosse la testa, uscendo e chiudendo la porta, diretta al campo da corsa, con lui al seguito.
«Posso farti compagnia? Come ai vecchi tempi, magari dopo la corsa ci facciamo qualche tiro in porta». Aspettò che lei annuì, concentrata nello scendere le scale, così continuò. «Sai, ieri ho pensato molto alla nostra discussione, a noi due, al nostro futuro, al nostro bambino-».
«Non avremo un bambino».
«Intendo quello futuro… Non adesso», sorrise lui, grattandosi la nuca.
Kara lasciò la borsa in palestra, vicino alla porta, e la spalancò per il campo. Vide Megan ma, quando lei scorse che Kara non era sola, continuò a correre per conto suo, facendole un segno negativo con una mano. I due iniziarono a correre.
«Aspettavo una tua chiamata, un messaggio… delle scuse». Lei lo guardò e lui arretrò, cercando poi di starle dietro. «Ma alla fine, continuando a pensarci, Kara, non ne valeva la pena! Volevo così tanto delle scuse che non pensavo proprio che così avrei potuto rovinare il nostro rapporto. Perciò ti chiedo scusa io». Kara lo guardò di nuovo, stavolta sorpresa, e lui cercò di riprendere fiato per starle dietro: stava andando troppo veloce e consumava troppo ossigeno continuando a parlare. «Non possiamo fermarci un attimo, così possiamo… possiamo parlarne… meglio?».
Solo per un attimo lei pensò di accelerare, ma non era decisamente giusto e si fermò, mettendo le mani sui fianchi e prendendo pesanti bocconi d'aria. Mike fece lo stesso, reggendosi le ginocchia.
«Non ci credo che… che corri così tanto…», disse rimettendosi dritto, «Ogni volta mi sorprendi, ragazza».
Kara guardò Megan passarle vicino. Sorrideva? Sembrava che la stesse prendendo in giro. «Sbrigati, Mike; non te lo chiederei, ma non voglio restare indietro con gli allenamenti».
Portò le mani sui fianchi anche lui, ma pareva seccato. «Dicevo che ti chiedo scusa».
«Va bene».
«Va bene? Tutto qui? Mi sono scusato al posto tuo e non mi dici altro?».
«Quindi ti sei scusato per…», trattenne il fiato, arricciando le labbra, «ricevere in cambio qualcosa?».
«Beh, mentirei se dicessi di no, in un certo senso… Mi aspettavo che le cose tornassero come prima, prima che mi mollassi senza ragione! Puoi fare la reporter, se vuoi».
«Me lo stai concedendo?», domandò, incrociando le braccia al petto.
«Sì. No», cambiò risposta dopo aver visto la sua espressione contrariata, «Non intendevo in quel modo! Non fraintendermi, Kara: è solo che non riesco a esprimermi».
«Solitamente lo fa così bene», esclamò Megan correndo dietro di loro, continuando il suo giro.
Lui aggrottò le sopracciglia ma non rispose, guardando poi Kara con supplica.
«Senti, Mike, sei un bravo ragazzo, ma comincio a pensare che tra noi sarà sempre così: un continuo litigio», disse, ferma nella sua decisione. Si portò una mano sulla fronte, decidendo di guardarlo negli occhi. «Credo che… sia finita».
Mike accennò un sorriso colmo di delusione, sentendo la terra mancare sotto ai piedi. «No, ma… Cosa? Dici sul serio?».
Annuì. Temeva di cambiare idea da un momento all'altro, ma sapeva di dover tenere duro. Con Mike era bello, ma stare insieme a lui diventava spesso impossibile. «Ti prego, restiamo amici, non possiamo perderci», gli strinse le mani con le sue e lui non trovò il coraggio di replicare. «Devo… Devo andare». Corse via, cercando di raggiungere Megan.
Mike Gand si ritirò dalla pista dopo pochi minuti. Tentò di parlarle di nuovo e Megan glielo impedì, chiedendogli di lasciarla un po' in pace a riflettere. In realtà, c'era ben poco da riflettere. Poiché se lo faceva davvero, Kara era sicura di aver fatto la scelta giusta, anche se temeva di perderlo. E quando chiese un parere a Megan, lei le rispose che, secondo lei, lui aveva una visione della vita troppo tradizionalista e che chiamarla così sarebbe stato un complimento. Sarebbe riuscita a fare la reporter anche al fianco di Mike, lo sapeva, ma lui ogni volta che parlava rovinava tutto.
Dopo si diressero al campo di lacrosse e si allenarono con qualche tiro in porta, scambiandosi di tanto in tanto i ruoli. Kara sembrava fin troppo energica e Megan ebbe timore per la sua vita quando la palla le sfiorò il viso, soffiandole contro un'orecchia, finendo in porta. Successivamente si ricordò il casco e la sua importanza.
«Allora, per stasera?», le domandò l'amica mentre lasciavano il campo, entrando in palestra.
«Indosserò un vestito», le fece presente, arrossendo. «Ma non capisco poi perché… Cioè, sì, sicuramente andremo in un locale elegante quindi si adatterà all'occasione, ma siamo solo Lena ed io, insomma», rise, palesemente agitata, «Non è mica un appuntamento vero o qualcosa del genere». Sorrise, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Megan le picchiettò una spalla, ma non aggiunse nulla.

L'auto nera con Ferdinand alla guida alle 20:00 esatti era ferma davanti al cancello della sua università. Il guardiano aprì e Kara, per la prima volta dopo tempo, con i tacchi ai piedi, s'incamminò verso la vettura. L'autista scese ad aprirle lo sportello e lei lo ringraziò, non aspettandosi il gesto. Durante il tragitto gli chiese dov'erano diretti e poi, ricevendo un lo vedrà come risposta, gli chiese invece dove avrebbe passato il suo tempo lui mentre loro mangiavano. E continuò a parlare, a parlare senza sosta fino a quando la macchina non si fermò e così si fermò Kara, deglutendo. Mai avrebbe ammesso di essere nervosa. Ma lo era, accidenti. Lo era decisamente.
Lui parcheggiò dando un fermo con la mano al ragazzo dei posteggi e scese con lei dalla macchina. Pensò che fosse per aprirle lo sportello ma era stata più veloce, solo che poi la accompagnò fino all'entrata e le aprì la porta del locale. Lillian Luthor doveva davvero amare le coccole di chi lavorava per lei. Le augurò buona serata e buon appetito, dopodiché riprese l'automobile e se ne andò. Affacciandosi al locale, Kara fu avvolta da un'aria calda e confortevole. Si sentiva una musica leggera e gentile e scoprì che era un uomo al pianoforte a produrla, disposto al centro della sala; intorno a lui i tavoli. Alzò lo sguardo per trovare Lena quando una donna la fermò, attirata dalla sua aria smarrita.
«Buonasera e benvenuta. Ha prenotato, signorina?», le chiese a bassa voce, probabilmente per non disturbare gli altri clienti.
Kara si guardò intorno un'altra volta appena, fugace, prima di risponderle. «Sono qui con la signorina Lena Luthor, credo abbia-».
«Oh, sì». Il viso della donna, già gentile, cambiò di colpo, diventando addirittura servile. «Lei è l'ospite della signorina Luthor, ma certo. La stavamo aspettando, mi segua».
L'accompagnò in mezzo ai tavoli e Kara arrossì di colpo quando intravide Lena, seduta davanti a un tavolino per due, che leggeva il menù. Aveva i capelli sciolti, da un lato tirati indietro con un fermaglio; solitamente liscissimi, erano ondulati e le circondavano le spalle. Indossava un lungo vestito nero, scollato, tremendamente scollato, arricchito da una collana dorata e dei bracciali ai polsi. Da quando era così bella? Da quando, si accorse, aveva le palpitazioni nel vederla? Da quando Lena la guardava in quel modo? In quel modo così… dolce?
«Siamo arrivate»: la voce della maître la riportò tra loro e, d'istinto, sorrise all'altra. «Mi chiamo Sylvie e potrete chiamare me per ogni vostra necessità. A brevissimo il primo chef verrà a prendere la vostra ordinazione. Speriamo che tutto sia di vostro gradimento». Finì di parlare che Kara si era già seduta davanti a Lena, che si era alzata al suo arrivo, così sorrise a entrambe e poi sparì.
«Cosa ne pensi?», le domandò Lena, «Ti piace qui? Non sapevo dove portarti, mi hanno detto che qui si mangia molto bene e tu sei un'ottima forchetta, quindi…».
Indugiò a lungo su di lei, Kara se ne accorse per la prima volta: gli occhi limpidi di Lena, che non erano mai stati così caldi, si fermarono sulle sue spalle nude, poi sul suo petto coperto, il collo, i capelli lasciati sciolti, la sua bocca rosa, e infine gli occhiali, ritornando a guardarla negli occhi. Sembrava tornare da un lungo viaggio di pensieri e Kara si perse nuovamente nei suoi, temendo di aver frainteso quell'uscita. Lena Luthor era davvero molto elegante, lo richiedeva il tipo di locale, ma l'essersi vestita elegante anche lei forse l'aveva colta di sorpresa, non era abituata a vederla così, e forse le sarebbe passato il messaggio che da quell'appuntamento, Kara, sperasse qualcosa di più. Oh, era appena diventato ufficialmente un appuntamento. E lei era quasi formalmente sua sorella: perché doveva pensare a una cosa del genere? A meno che- si bloccò, vedendola muovere la bocca, ma non ascoltando una parola. A meno che non avesse completamente sbagliato soggetto e non era Lena a sospettare che lei, vestita in quel modo, volesse qualcosa di più, ma che la stessa Lena provasse per lei qualcosa che andava al di là del rapporto tra sorelle. Spalancò gli occhi, colta di sorpresa dal suo stesso flusso di pensieri.
«Puoi ordinare quello che vuoi, non ti preoccupare, so che ti piace spaziare su più piatti».
«Sssì», ridacchiò, nascondendo il viso dietro il menù e sistemandosi gli occhiali. E se si stesse sbagliando? Passare dal nemiche ad amiche era già stato abbastanza faticoso, da amiche a quel qualcosa di più saltando la tappa delle sorelle, che era ciò che tutti si aspettavano, era troppo complicato. «E poi ho appena lasciato Mike», disse a voce alta d'un tratto. Lena alzò un sopracciglio. «Voglio dire», finse una risata lunghissima, abbassando la testa e facendole cenno di aspettare con una mano, «Sai cosa ho fatto oggi? Sono andata a correre, ho corso tanto, con me c'era Megan, ho fatto qualche tiro contro la rete, mi sono allenata e, ah, sì, ho lasciato Mike. Intendo davvero, per sempre. Ci ho pensato e credo sia stata la scelta migliore… Non facevamo che, sì, litigare».
«Se lo pensi, allora lo sarà stata di certo». La vide sorridere, sorridere tanto, anche quando alzò la testa per ordinare. Oh, era già arrivato.
Ordinarono un sacco di primi piatti che Kara già sapeva avrebbe mangiato da sola, poi del buon vino rosso, che scelse Lena. Fortunatamente, dopo dei primi momenti di imbarazzo, quando arrivarono i piatti entrambe si sciolsero, parlando delle loro giornate, della loro strana famiglia, dello scontro di Alex e Maxwell Lord, ridendo sottovoce per non disturbare la sala, ascoltando e applaudendo il pianista, che le ringraziò. Kara smise di pensarci, a suo agio con lei. Non ci aveva mai fatto molto caso: ma in effetti era sempre a suo agio con lei.
Dopo aver finito un enorme piatto a base di pesce, Kara Danvers decise di riposarsi un po' per il dolce e Lena Luthor si nascose il viso tra le mani, rossa sulle gote, ridendo.
«Ma dov'eri nascosta per tutto questo tempo? Da dove sei sbucata fuori?», le chiese tra le risa soffocate da una mano contro la bocca.
«Io sono piovuta dal cielo».
«Si spiegherebbero tante cose», ammise, «Invece di vaniglia, avrei dovuto chiamarti ragazza dallo spazio».
Kara sentì il viso farsi inspiegabilmente caldo e sorrise, girando il suo sguardo.
«Kara», attirò la sua attenzione poco più tardi, dopo aver ordinato il dolce. «So che forse non è il caso, adesso, che io ti parli di questa cosa, ma non riesco più a tenerla per me».
Kara deglutì. I suoi sospetti erano fondati? Stava per dichiararsi? Non sapeva se fosse pronta o meno a una cosa del genere; se accettare, rifiutare, o correre con disperazione in direzione del pianista fingendo che lui l'avesse chiamata per suonare insieme Ennio Morricone.
«Ti devo confessare una cosa: ho letto riguardo la tua vera famiglia… quando Winn, il mio assistente, ha fatto delle ricerche su di te». Il sorriso di Kara si spense e Lena sapeva quanto alla ragazza non piacesse che avesse raccolto del materiale su di loro, ma allora non aveva idea di ciò che avrebbe trovato. «Ti voglio chiedere scusa per aver letto delle cose tanto personali».
«Non…», biascicò, ancora colta alla sprovvista, non riuscendo a guardarla negli occhi. «Cos'hai letto? Cosa c'era scritto?».
Lena esitò. «Non voglio farlo perché non voglio ferirti. Perché non mi parli un po' tu della tua famiglia? E allora saprò solo ciò che tu vuoi che io sappia».
Kara sapeva che il tentativo di Lena era un po' maldestro: anche se le avesse raccontato solo ciò che voleva, il resto lo aveva comunque saputo da altri fonti. Ma lo apprezzò lo stesso. «Mia madre era un giudice piuttosto famoso, in quel periodo. Ha spedito in carcere molti criminali», le sue labbra si piegarono in un sorriso, ma durò poco, anche se non aggiunse nulla. Lena la guardava rapita. «Mio padre invece era uno scienziato e se ci penso mi vien da ridere perché sono stata presa dai Danvers ed Eliza è una scienziata anche lei. Entrambi lavoravano molto duramente qui a National City; credevano di poter rendere questa città un posto migliore. Ma si sono fatti… dei nemici, sai…», abbassò la voce e Lena si spinse in avanti, raggiungendo una mano con la sua, stringendogliela. «Erano a casa quando successe», deglutì, non la guardava negli occhi. «C'erano i miei zii e mandarono me e Kal, mio cugino, fuori a giocare…». La sua voce mancò e Lena strinse più forte la sua mano.
«Va bene, basta. Mi rendo conto solo adesso che è stato davvero ipocrita da parte mia chiederti una cosa del genere».
«No, va bene», si sforzò di sorridere e Lena sospirò.
«Non devi farlo, se non vuoi».
«Ma voglio farlo», la guardò dritta negli occhi e Lena si rese conto che in quell'azzurro lucido c'era decisione, un misto di malinconia e rabbia. «Non l'ho mai detto. Ho visto tutto, Lena. Io e Kal. Abbiamo sentito un rumore e stavamo tornando a casa quando ci fu l'esplosione. Ci sbalzò indietro e… Kal batté la testa contro una pietra», corrugò lo sguardo, «Mi dissero che ebbe problemi di memoria e ci separarono. Non l'ho più rivisto».


***


Era stata una serata decisamente lunga, in special modo per Kara. Lena andò a pagare e fece una telefonata a Ferdinand di venirle a prendere. Quando tornò in sala da Kara, la ritrovò nel seggiolino davanti al piano, accanto al pianista. Erano rimasti pochi clienti e lui le stava insegnando a suonare qualche nota ma il pover'uomo continuava a scuotere la testa e a dirle che sbagliava.
«Non sei tagliata per il piano», le disse a un certo punto l'anziano signore, «Ma resti molto simpatica».
Lei gli sorrise.
«Oh, è già tagliata per un sacco di altre cose», li interruppe Lena a bassa voce, fermandosi davanti a loro, «Se sapesse anche suonare il piano, non sarebbe umana».
Si avviarono all'uscita, salutando con educazione il personale, e Lena sentì la sua mano sinistra sfiorare la destra di Kara. La tentazione di stringergliela, ora come ora, era davvero forte. Si pentì di averle fatto parlare della sua famiglia: Kara sorrideva ma la sentiva distante, diversa da com'era prima di quella discussione. Non voleva ferirla e lo aveva fatto. Che stupida.
Ferdinand le aspettava fuori e quando le vide aprì la portiera posteriore per farle accomodare. Stava per passare dall'altro lato ad aprire, ma Kara si era tuffata e si era spostata fino ad arrivare allo sportello, così, arreso, si sedette sul posto di guida.
Per un po', nell'automobile non si sentiva altro che il ticchettio della macchina e il traffico fuori. Lena fissò Kara con la coda dell'occhio e decise di dirle qualcosa.
«Vai a letto presto, riposati…», tagliò. Si pentì di averlo detto: era perfetto solo se avesse voluto passare per la sua madre adottiva.
«Sei preoccupata per me?».
Arrossì, aprendo la bocca ancor prima di dire qualcosa. «Può darsi», sussurrò.
Si sorrisero, guardando entrambe fuori dai finestrini dalla loro parte. Kara si distrasse solo quando sentì il suo cellulare, all'interno della borsetta, vibrare. Lesse il messaggio e rise di gusto, invitando Lena a fare altrettanto.
Da BadSister a Me
Kara, è stata una tragedia! Ho cercato di parlargli e sembrava andare tutto bene, non insisteva e ascoltava, ma poi ha cercato di baciarmi. Gli ho assestato una bella ginocchiata contro lo stomaco. Addio, Maxwell Lord.






















***

Rieccoci dopo le vacanze! Come state? Avete mangiato molto? Io decisamente, per quanto riguarda i dolci **
Ci eravamo lasciati con Lena che immaginava di baciare Kara e ci siamo ritrovati con lei che, per ringraziarla, le invia dei fiori e la invita a cena fuori, dove Kara ha sospettato qualcosa, dopo un lungo flusso di complicati pensieri. Però Lena l'ha sorpresa nel parlare e farle parlare della sua famiglia e qui le cose si fanno interessanti… E poi ha finalmente rotto con Mike che, sono certa, continua a pensare che avrebbe preferito fosse incinta. Abbiamo conosciuto il signor Jonzz e abbiamo scoperto che è lui il famoso fidanzato e professore di Megan. Non credo ci fossero dubbi, comunque XD

Qualche nota d'obbligo:
- J'onn J'onzz è diventato John Jonzz (che nome scioglilingua)
- i fiori che Lena invia a Kara sono decisamente un rimando alla scena della seconda stagione di Supergirl dove Lena riempe letteralmente l'ufficio di Kara di fiori (non ho resistito)
- dalla piega che stanno prendendo alcuni avvenimenti negli ultimi capitoli che ho scritto, ho deciso di aggiungere la voce crossover alla fan fiction. Spero di non fare un torto a nessuno di voi lettori se, come avrete già intuito, appariranno anche personaggi che non sono specificatamente della serie tv ma di altre serie o più in generale personaggi della DC (quando compariranno, spiegherò a quale personaggio da quale serie o altro mi sono ispirata per scriverlo; ma in generale li tratterò come personaggi originali inventati da me o come io mi immagino sarebbero se fossero nella serie)
- Gotham City, sì. In realtà, se fosse stato solo per questo l'avvertimento crossover non serviva, ma considerando che la Kyle, la capitano della squadra, è proprio quella che immaginate… beh, allora sì, lei è stato uno dei motivi che mi ha spinto a farlo
- Kal, il cugino di Kara, è proprio Clark Kent. Lui dovrebbe essere più piccolo di Kara ma non potevo poi renderlo più grande quando apparirà, non avrebbe avuto senso, quindi da cugino minore è ufficialmente il cugino maggiore nella mia fan fiction

Credo di aver finito. Cosa ne pensate? Spero che l'ingresso di personaggi non presenti nella serie originale non vi disturbi :) Se vi va, fatemi sapere nei commenti il vostro punto di vista!
Il capitolo 9 sarà pubblicato lunedì prossimo, si intitola Il giorno in cui il mondo smise di essere il mondo e, da come si intuirà, si tratta di un capitolo stand alone :) È necessario che sia in questo punto, da leggere dopo quest'altro specifico capitolo ~



   
 
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