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Autore: Il Professor What    11/04/2018    1 recensioni
Il Dottore, come sappiamo, viaggia nel tempo e nello spazio, a bordo della sua macchina e con i suoi compagni. La serie e gli altri media ci hanno fatto vedere che, occasionalmente, il nostro Signore del Tempo preferito ha visitato anche il nostro paese. Ma se ci fossero state altre avventure, che la serie non ci ha mostrato?
Questa è la prima di tredici storie dove il Dottore interagisce con la storia del nostro paese. Nell'abbazia di San Gaudenzio, 1302, Dante Alighieri e i Guelfi Bianchi si sono riuniti per cercare di tornare a Firenze. Un misterioso Monaco promette loro una sicura vittoria, con l'aiuto di qualche arma strana. Dante si oppone strenuamente, ed è appoggiato dal Primo Dottore e dal suo compagno, Steven Taylor, che quel Monaco lo conoscono bene...
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 1
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doctor Who: The Italian Adventures'
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Parte 5

Benritrovati a tutti, miei pochi e fidati lettori! Scusate il lieve ritardo nell'aggiornamento, ma qui a New York il fuso orario sballato confonde, e ho avuto un po' di cose da fare. Per fortuna, però, ora sono qui, pronto con il penultimo capitolo di questa prima "Italian Adventure". Scusate per il cambio di formato del testo, ma dopo anni ho deciso di scaricare il programma NvU, pur continuando a scrivere con Word (devo dire che preferisco il risultato, è più elegante - provvederò a cambiare il formato degli altri capitoli con calma). 

Non perdiamo altro tempo e buttiamoci nella mischia!

Steven Taylor aveva seguito Bastiera dei Tosinghi dopo che quest’ultimo aveva abbandonato furibondo la porta della camera di Dante. Gli era sembrata l’occasione giusta: l’arrivo del Dottore aveva rovinato i piani del Monaco, e quest’ultimo non ci avrebbe messo molto a capire chi era arrivato. Perciò bisognava fare in fretta: Steven doveva trovare il TARDIS del Monaco, poi sarebbe stato compito del Dottore, come avevano concordato, cercare di mettere una fine definitiva alle sue interferenze. Obbedendo agli ordini come il buon soldato che era (o che sarebbe stato, fra circa dieci secoli – normalmente cercava di non pensare a questi paradossi), Steven aveva quindi pedinato Bastiera fuori dall’abbazia, dove l’aveva visto dirigersi verso l’accampamento che teneva con i suoi uomini poco distante.

Poco fiducioso nelle sue possibilità di entrarvi, Steven aveva allora deciso di giocare d’astuzia. La collina su cui sorgeva l’abbazia era coperta da una macchia di foresta, i cui alberi avevano una chioma abbastanza folta per nascondere un uomo. Steven si era quindi arrampicato su uno di essi, facendo attenzione a sceglierne uno vicino ma non troppo al campo, sufficientemente alto perché potesse godere di una buona visuale (date le circostanze, si intende). Da quella postazione, era riuscito a riconoscere la larga tonaca e il faccione rotondo del Monaco, in piedi di fronte a una tenda posta vicino a una via delle vie principali dell’accampamento, mentre Bastiera iniziava a parlargli velocemente. Steven era troppo lontano per sentire le parole, ma poteva facilmente immaginare di cosa stessero parlando. Vide il Monaco agitarsi e interrogare Bastiera con attenzione, per poi rientrare nella sua tenda, mentre il condottiero andava via.

Steven, a questo punto, avrebbe anche potuto scendere e tornare all’abbazia, ma qualcosa lo trattenne su quell’albero. Il suo sesto senso gli diceva che c’era ancora qualcosa da vedere. Dopo quelli che sembrarono anni di attesa, mentre le ombre della sera si facevano sempre più tenebrose, e Dante componeva accudito dal Dottore, la sua pazienza venne premiata: dalla sua postazione, Steven osservò il Monaco uscire dalla tenda, trascinando una rastrelliera piena di fucili verso la tenda di Bastiera. Solo allora, Steven aveva deciso di tornare verso l’abbazia per informare il Dottore. Fatti pochi passi, però, un’altra idea gli aveva attraversato il cervello, pericolosa ma potenzialmente molto utile, se fosse riuscita.

“Mi stai dicendo che ti sei fatto catturare apposta?” chiese il Dottore, incredulo. Non appena aveva saputo da Lapo cos’era successo, si era precipitato nella stanza del convento dove Ordelaffi aveva ordinato di portare il prigioniero consegnatogli da Bastiera. Dante aveva insistito per venire con lui, e soltanto la preoccupazione per Steven era riuscita a indurre il Dottore a non insistere perché rimanesse a letto; così che adesso si trovavano tutti e due lì, assieme a Scarpetta, ad ascoltare il racconto del pilota.

“Ho pensato che, se Bastiera mi avesse preso come spia, voi avreste avuto modo di parlargli e capire cosa ha in mente. Del resto, io sono venuto qui con lei, Dottore, e l’ho assistita nel curare messer Alighieri, immagino che questa sarà prova sufficiente della mia innocenza.”

“È comunque una mossa rischiosa” osservò Ordelaffi.

“Di più, è stupida!” esclamò il Dottore, arrabbiato. “Adesso il Monaco sarà ancora più cauto di prima, e avvicinarsi al suo TARDIS sarà impossibile! Senza parlare del fatto che non è detto abbiamo rovinato il suo piano!”

“Oh, prego, Dottore, non c’è di che” borbottò Steven, notevolmente deluso dall’accoglienza che stavano ricevendo le sue azioni.

“Che ne dite di calmarci tutti e provare a ragionare?” chiese Dante, l’unico ad avere conservato un briciolo di pazienza nella stanza. “La mossa di messer Sarti è stata senza dubbio poco prudente, ma ha ragione quando dice che ci offre l’opportunità per capire che cosa ha in mente il Monaco. Non vi è dubbio che lui e Bastiera hanno un piano, e ora che una presunta spia è stata scoperta, possiamo approfittare dell’interrogatorio per farli cadere in una trappola.”

“Ammesso che non cambino i piani nel frattempo” borbottò il Dottore.

“Non penso abbiamo altra scelta, Dottore” spiegò Dante, adesso un po’ alterato. Un atteggiamento più positivo, da parte del vecchio, sarebbe stato utile. “Non possiamo lasciare andare lei e messer Sarti, ora che c’è un’accusa di spionaggio nei suoi confronti.”

“Potreste farmi entrare nel campo di Bastiera da un’altra parte, e…”

“E lei pensa di arrivare alla tenda del Monaco stanotte?” obiettò ancora Dante. “E come farebbe a tornare indietro, poi, qualsiasi cosa intende fare? Scommetto tutte le poche sostanze che mi sono rimaste che sarà difesa attentamente, magari da soldati armati con le sue diavolerie. No, Dottore, la cosa migliore da fare è capire cos’hanno in mente, nel frattempo liberando messer Sarti dall’accusa, e poi stabilire la mossa successiva sulle base delle nuove conoscenze.”

Contrariato, ma consapevole del buon senso insito nel ragionamento del poeta, il Dottore sbuffò, osservando Steven, mentre tamburellava con le dita sul pomello del suo bastone. Alla fine, allargò le braccia, sconfitto. Il piano non gli piaceva, ma effettivamente era la scelta migliore da fare.

“Lasci fare a me” lo rassicurò allora Dante, capendo come si sentiva. “Sono stato priore, a Firenze, e so come parlare a un’assemblea. Entro domani, lei e messer Sarti non avrete più nulla di cui preoccuparvi.”

***

L’interrogatorio a Steven si tenne nella stanza di Scarpetta, dopo la preghiera di terza. Bastiera era arrivato almeno un paio d’ore prima, con una pesante scorta armata, che aveva presentato come necessaria, visto che andava in giro sbraitando su un possibile agguato dei Neri. Scarpetta non gli aveva dato ascolto, ma aveva visto chiaramente, nello sguardo degli altri capi dei Bianchi, la paura suscitata dalle sue parole. Anche per questo, aveva fatto in modo che nella stanza fossero presenti in pochi: lui, Dante, Bastiera e gli altri tre capi più eminenti, disposti a dare loro ascolto. Il Dottore non c’era. La sua presenza era stata ritenuta non necessaria, e anzi, potenzialmente pericolosa, visto che Scarpetta continuava a urlare ai quattro venti che era uno stregone pagato dai Neri per far ammalare Dante.

“E poi sarebbe venuto a curarmi?” chiese il poeta, accennando un sorriso. “Non mi sembra abbia molto senso.”

“Certo che ce l’ha!” esclamò Bastiera. “Quale maniera migliore avrebbero avuto lui e il suo compagno per infiltrarsi fra di noi e raccogliere informazioni? Curando messer Alighieri, il vecchio avrebbe conquistato la nostra fiducia!”

“Dev’essere un attore veramente abile, allora” continuò il poeta. “A quanto mi ha raccontato messer Ordelaffi, hanno dovuto insistere perché venisse qui a salvarmi la vita. Non esattamente il comportamento di una spia, no?”

“Un’altra impostura!” urlò Bastiera. “Vi ha fatto pensare che non gli interessasse, così lo avreste ritenuto onesto e…”

“Incredibile, l’ha pensato da solo?” commentò Steven, interrompendo la sfuriata del suo avversario con aria sarcastica. “Messeri, dovreste dargli più credito a quest’uomo, a quanto pare il cervello non gli serve solo come tappo per il collo.”

Soltanto la vicinanza delle guardie impedì a Bastiera di buttarsi su Steven a questa uscita, mentre Scarpetta alzava la voce per ammonire l’imputato a comportarsi in modo meno insolente – anche se, alla sua sinistra, Dante stava cercando invano di reprimere un ghigno soddisfatto per l’uscita di Steven.

“Quindi, riassumendo” disse il poeta quando la calma fu ristabilita. “Quel che abbiamo qui è un uomo, sorpreso, lo ammetto, in una posizione che parrebbe difficile. E tuttavia, egli non nega che stava spiando qualcuno; solo, dice di non essere una spia dei Neri, ma solo un avversario del Monaco, così come il Dottore che mi ha curato.”

“E non è un’ammissione di colpevolezza? Il Monaco è nostro alleato!”

“Davvero? Non mi risulta che abbiamo ancora accettato il suo aiuto, e l’uso delle sue armi – a parte per messer Bastiera, si intende. Finché l’offerta non è accettata, egli non è nostro alleato, ma solo nostro ospite. E comunque, tutto ciò che ci ha offerto sono armi di distruzione e morte, al cui uso mi sono già opposto più e più volte, e la cui origine è ignota.”

“Anche la cura con cui lei, messer Alighieri, è guarito, è ignota” fece notare un altro capo dei Bianchi. “E non sappiamo più di questo Dottore di quanto sappiamo del Monaco di Bastiera.”

“Questo è vero, ma vorrei farvi notare la differenza. Uno di loro è venuto da noi con un’offerta di armi e di guerra, l’altro con la cura da una misteriosa malattia. Il primo ha cercato di adularmi, il secondo non sarebbe venuto affatto se non fosse stato convinto, e non ha chiesto alcuna ricompensa per avermi salvato la vita. Ora, può darsi che tutto questo sia solo una recita, ma io vi chiedo: se doveste giudicare dai fatti, e solo dai fatti, accaduti finora, quale dei due uomini vi pare si sia comportato in modo più onorevole?”

“Bastiera, è tutta la mattina che affermate che i Neri stiano progettando un attacco. Oltre alla presenza di messer Sarti, che può essere spiegata in altri termini come ha detto messer Dante, avete altre prove?” chiese allora Scarpetta, riportando l’attenzione di tutti sul condottiero. Quest’ultimo, che si era calmato, sogghignò, preparandosi a riferire ciò che lui e il Monaco avevano concordato la sera prima.

“Ho mandato i miei uomini, all’alba, a setacciare i dintorni. Entro mezzogiorno, dovrebbero tornare. Per allora, mi diranno che cosa hanno trovato, e sapremo.”

“Quindi la risposta è no” disse Dante. “Non vi sono altre prove di un attacco dei Neri, e…”

In quel momento, la porta della stanza si spalancò, e alcuni uomini armati, recanti le insegne della compagnia di Bastiera, entrarono velocemente riferendo di aver trovato, fra le colline, tracce di un accampamento di uomini, abbandonati da poco. Uno di loro portava con sé una borsa, rinvenuta sul posto, su cui era impresso il sigillo della famiglia Donati.

“Ecco le vostre prove!” esclamò Bastiera. “Neri, come ho sostenuto!”

“Tutto qui?” domandò Dante. “Una borsa e la parola dei vostri uomini? Signori, andiamo, non crederete davvero che…”

“Quanto siete disposti a rischiare?” chiese allora Bastiera agli altri. “Mi sono mai dimostrato infedele alla causa? Vi ho mai traditi, o ho dato segno di non essere degno di fiducia? Oppure credete forse che i Neri siano troppo leali per non venire qui ad assalirci, o quantomeno a sorvegliarci?”

“E che motivo avrebbero di preoccuparsi? Non siamo in forze abbastanza per un attacco a Firenze.”

“Forse sì, invece. Se accettiamo l’aiuto del Monaco, gli Ubaldini si sono dichiarati interessati a sostenerci.”

“E i Neri come saprebbero del Monaco? O forse quest’ultimo, prima di venire a noi, è andato a proporre le sue armi a loro? Perché se fosse così, io non mi andrei a fidare di un mercenario!”

“Basta così” disse Bastiera, alzandosi, e fermando, con un gesto della mano, la replica di Bastiera. “Non ricaveremo nulla litigando fra noi in questo modo. Vediamo intanto di finire la questione di messer Sarti: c’è qualcuno fra noi che lo ritiene colpevole di spionaggio, senza un minimo dubbio?”

Nessuno parlò. Bastiera fissò uno dopo l’altro in volto i capi dei Bianchi, ma ottenne solo sguardi di diffidenza e paura, non di appoggio. Dante, al contrario, rizzò la testa, inorgoglito nel vedere che la malattia non aveva diminuito le sue capacità, e che la sua parola ancora contava in mezzo al suo partito.

“Molto bene,” disse allora Scarpetta, “ciò significa che messer Sarti è prosciolto da ogni accusa, ed è da ritenersi un uomo libero. Adesso, se messer Bastiera permette, vorrei andare a vedere i resti di questo famoso campo dei Neri.”

***

“Bastiera progetta un attacco sull’abbazia” mormorò Dante, più tardi quel pomeriggio. Scarpetta era tornato da circa due ore: effettivamente, sulle colline ben tre accampamenti abbandonati erano stati scoperti, tutti recanti qualche segno che li indicava come abbandonati in fretta da soldati appartenenti al partito dei Neri. La suggestione di Bastiera, che si stesse preparando un attacco, aveva preso forza in mezzo ai Bianchi, e Scarpetta aveva acconsentito che si preparassero delle difese provvisorie, nel caso si fossero fatti vivi. Aveva solo proibito l’uso delle armi del Monaco, ricordando a tutti che il partito non aveva ancora deciso di accettarne l’aiuto.

“E con i fucili” aggiunse Steven. “In tal modo, i Bianchi poi approveranno l’utilizzo di quelli del Monaco, se non altro per essere in pari.”

“E non mi meraviglierà se poi il Monaco dicesse che sono stati rubati dalla sua tenda, pochi istanti prima dell’assalto; magari si farà pure trovare legato o ferito per dare credito alla sua storia” concluse il Dottore. “Dobbiamo agire in fretta. Devo entrare nel suo TARDIS, oggi stesso.”

“E come?” chiese Dante. “Bastiera tiene il suo accampamento sorvegliato, e il Monaco non si vede da nessuna parte. Può darsi che la stia aspettando.”

“Sì, certo, è probabile” disse il Dottore, “ma noi saremo più furbi e veloci di lui. Steven, ragazzo mio, torna al TARDIS e prendi la roba che adesso ti scriverò… posso usare quella pergamena, vero?” chiese il Dottore a Dante, che annuì. “Messer Dante, dica a Ordelaffi che ho bisogno di una piccola guarnigione, quattro o cinque uomini, per quando Steven tornerà. Dovranno aiutarlo a sistemare quello che porterà indietro.”

“D’accordo” annuì Dante. “Se vuole, lo accompagno io.”

“Assolutamente no!” esclamò il Dottore. “Innanzitutto, come suo medico, insisto sul riposo, e poi, messere, ho bisogno che lei rimanga qui. Ho un compito per lei.”

***

Quando scoccò la campana dei vespri, cinque monaci dell’abbazia uscirono dal castello per portare il cibo ai soldati di Bastiera. I soldati li lasciarono passare, come da istruzioni ricevute, non senza controllare che le loro tonache non contenessero armi. Una volta dentro, quattro di loro si posizionarono al centro dell’accampamento per distribuire il cibo; uno, invece, si allontanò, diretto verso una tenda in particolare, con la scusa di chiamare i soldati a raccolta. Quando fu sicuro di non essere visto, ci entrò dentro, togliendosi il cappuccio.

Il Dottore sospirò alla vista del bellissimo Mark IV che gli si parò davanti. Nonostante l’affetto che provava per il suo modello, gli era difficile non invidiare al Monaco quell’apparecchiatura più moderna, quelle luci più scintillanti, quella grafica più elegante. Scuotendosi (anche perché il TARDIS gli provocò una scossa elettrica di gelosia) e ricordandosi cos’era venuto a fare, il Dottore fece un passo verso la console, attivando così la trappola. Raggi laser emersero dal pavimento, circondandolo a pochi passi da essa, e unendosi sul soffitto a formare una solida gabbia.

“Bene, bene, bene” sogghignò il Monaco, alle sue spalle. “Chi non muore, si rivede, eh, Theta?”

NOTE DELL'AUTORE

- Nell'anno 1300, solo due anni prima dell'esilio, Dante Alighieri ha effettivamente ricoperto la carica di priore, una delle massime magistrature della repubblica di Firenze. E' stato il culmine della sua carriera politica, anche se è stato relativamente poco fortunato, visto che le sue azioni in quella carica l'hanno poi condotto all'esilio.
- Theta è, ovviamente, il soprannome del Dottore già ai tempi di Gallifrey, così come ci è stato riferito in tempi recenti dall'Undicesimo Dottore. Visto che nel prossimo capitolo avremo un confronto fra il Monaco e il Dottore, vecchie conoscenze dai tempi dell'Accademia, mi sembrava giusto che si rivolgessero chiamandosi per nome (quello del Monaco è Mortimus) - anche se nella serie questo non avviene mai.

Bene, direi che è tutto. Ci vediamo il 20 per il gran finale, e stavolta cercherò di essere puntuale. A presto!
  
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