Benritrovati a tutti, miei pochi e fidati lettori! Scusate il lieve ritardo nell'aggiornamento, ma qui a New York il fuso orario sballato confonde, e ho avuto un po' di cose da fare. Per fortuna, però, ora sono qui, pronto con il penultimo capitolo di questa prima "Italian Adventure". Scusate per il cambio di formato del testo, ma dopo anni ho deciso di scaricare il programma NvU, pur continuando a scrivere con Word (devo dire che preferisco il risultato, è più elegante - provvederò a cambiare il formato degli altri capitoli con calma).
Non perdiamo altro tempo e buttiamoci nella mischia!
Steven Taylor aveva
seguito Bastiera dei Tosinghi dopo che quest’ultimo aveva abbandonato furibondo
la porta della camera di Dante. Gli era sembrata l’occasione giusta: l’arrivo
del Dottore aveva rovinato i piani del Monaco, e quest’ultimo non ci avrebbe
messo molto a capire chi era arrivato.
Perciò bisognava fare in fretta: Steven doveva trovare il TARDIS del Monaco,
poi sarebbe stato compito del Dottore, come avevano concordato, cercare di
mettere una fine definitiva alle sue interferenze. Obbedendo agli ordini come
il buon soldato che era (o che sarebbe stato, fra circa dieci secoli –
normalmente cercava di non pensare a questi paradossi), Steven aveva quindi
pedinato Bastiera fuori dall’abbazia, dove l’aveva visto dirigersi verso
l’accampamento che teneva con i suoi uomini poco distante.
Poco fiducioso nelle sue possibilità
di entrarvi, Steven aveva allora deciso di giocare d’astuzia. La collina su cui
sorgeva l’abbazia era coperta da una macchia di foresta, i cui alberi avevano
una chioma abbastanza folta per nascondere un uomo. Steven si era quindi
arrampicato su uno di essi, facendo attenzione a sceglierne uno vicino ma non
troppo al campo, sufficientemente alto perché potesse godere di una buona
visuale (date le circostanze, si intende). Da quella postazione, era riuscito a
riconoscere la larga tonaca e il faccione rotondo del Monaco, in piedi di
fronte a una tenda posta vicino a una via delle vie principali
dell’accampamento, mentre Bastiera iniziava a parlargli velocemente. Steven era
troppo lontano per sentire le parole, ma poteva facilmente immaginare di cosa
stessero parlando. Vide il Monaco agitarsi e interrogare Bastiera con
attenzione, per poi rientrare nella sua tenda, mentre il condottiero andava
via.
Steven, a questo punto,
avrebbe anche potuto scendere e tornare all’abbazia, ma qualcosa lo trattenne
su quell’albero. Il suo sesto senso gli diceva che c’era ancora qualcosa da
vedere. Dopo quelli che sembrarono anni di attesa, mentre le ombre della sera
si facevano sempre più tenebrose, e Dante componeva accudito dal Dottore, la
sua pazienza venne premiata: dalla sua postazione, Steven osservò il Monaco
uscire dalla tenda, trascinando una rastrelliera piena di fucili verso la tenda
di Bastiera. Solo allora, Steven aveva deciso di tornare verso l’abbazia per
informare il Dottore. Fatti pochi passi, però, un’altra idea gli aveva
attraversato il cervello, pericolosa ma potenzialmente molto utile, se fosse
riuscita.
“Mi stai dicendo che ti
sei fatto catturare apposta?” chiese il Dottore, incredulo. Non appena aveva
saputo da Lapo cos’era successo, si era precipitato nella stanza del convento
dove Ordelaffi aveva ordinato di portare il prigioniero consegnatogli da Bastiera.
Dante aveva insistito per venire con lui, e soltanto la preoccupazione per
Steven era riuscita a indurre il Dottore a non insistere perché rimanesse a
letto; così che adesso si trovavano tutti e due lì, assieme a Scarpetta, ad
ascoltare il racconto del pilota.
“Ho pensato che, se
Bastiera mi avesse preso come spia, voi avreste avuto modo di parlargli e
capire cosa ha in mente. Del resto, io sono venuto qui con lei, Dottore, e l’ho
assistita nel curare messer Alighieri, immagino che questa sarà prova
sufficiente della mia innocenza.”
“È comunque una mossa
rischiosa” osservò Ordelaffi.
“Di più, è stupida!”
esclamò il Dottore, arrabbiato. “Adesso il Monaco sarà ancora più cauto di
prima, e avvicinarsi al suo TARDIS sarà impossibile! Senza parlare del fatto
che non è detto abbiamo rovinato il suo piano!”
“Oh, prego, Dottore, non
c’è di che” borbottò Steven, notevolmente deluso dall’accoglienza che stavano
ricevendo le sue azioni.
“Che ne dite di calmarci
tutti e provare a ragionare?” chiese Dante, l’unico ad avere conservato un briciolo
di pazienza nella stanza. “La mossa di messer Sarti è stata senza dubbio poco
prudente, ma ha ragione quando dice che ci offre l’opportunità per capire che cosa
ha in mente il Monaco. Non vi è dubbio che lui e Bastiera hanno un piano, e ora
che una presunta spia è stata scoperta, possiamo approfittare
dell’interrogatorio per farli cadere in una trappola.”
“Ammesso che non cambino
i piani nel frattempo” borbottò il Dottore.
“Non penso abbiamo altra
scelta, Dottore” spiegò Dante, adesso un po’ alterato. Un atteggiamento più
positivo, da parte del vecchio, sarebbe stato utile. “Non possiamo lasciare
andare lei e messer Sarti, ora che c’è un’accusa di spionaggio nei suoi
confronti.”
“Potreste farmi entrare
nel campo di Bastiera da un’altra parte, e…”
“E lei pensa di arrivare
alla tenda del Monaco stanotte?” obiettò ancora Dante. “E come farebbe a
tornare indietro, poi, qualsiasi cosa intende fare? Scommetto tutte le poche
sostanze che mi sono rimaste che sarà difesa attentamente, magari da soldati armati
con le sue diavolerie. No, Dottore, la cosa migliore da fare è capire cos’hanno
in mente, nel frattempo liberando messer Sarti dall’accusa, e poi stabilire la
mossa successiva sulle base delle nuove conoscenze.”
Contrariato, ma
consapevole del buon senso insito nel ragionamento del poeta, il Dottore
sbuffò, osservando Steven, mentre tamburellava con le dita sul pomello del suo
bastone. Alla fine, allargò le braccia, sconfitto. Il piano non gli piaceva, ma
effettivamente era la scelta migliore da fare.
“Lasci fare a me” lo
rassicurò allora Dante, capendo come si sentiva. “Sono stato priore, a Firenze,
e so come parlare a un’assemblea. Entro domani, lei e messer Sarti non avrete
più nulla di cui preoccuparvi.”
***
L’interrogatorio a Steven
si tenne nella stanza di Scarpetta, dopo la preghiera di terza. Bastiera era
arrivato almeno un paio d’ore prima, con una pesante scorta armata, che aveva
presentato come necessaria, visto che andava in giro sbraitando su un possibile
agguato dei Neri. Scarpetta non gli aveva dato ascolto, ma aveva visto
chiaramente, nello sguardo degli altri capi dei Bianchi, la paura suscitata
dalle sue parole. Anche per questo, aveva fatto in modo che nella stanza
fossero presenti in pochi: lui, Dante, Bastiera e gli altri tre capi più
eminenti, disposti a dare loro ascolto. Il Dottore non c’era. La sua presenza
era stata ritenuta non necessaria, e anzi, potenzialmente pericolosa, visto che
Scarpetta continuava a urlare ai quattro venti che era uno stregone pagato dai
Neri per far ammalare Dante.
“E poi sarebbe venuto a
curarmi?” chiese il poeta, accennando un sorriso. “Non mi sembra abbia molto
senso.”
“Certo che ce l’ha!”
esclamò Bastiera. “Quale maniera migliore avrebbero avuto lui e il suo compagno
per infiltrarsi fra di noi e raccogliere informazioni? Curando messer
Alighieri, il vecchio avrebbe conquistato la nostra fiducia!”
“Dev’essere un attore
veramente abile, allora” continuò il poeta. “A quanto mi ha raccontato messer
Ordelaffi, hanno dovuto insistere perché venisse qui a salvarmi la vita. Non
esattamente il comportamento di una spia, no?”
“Un’altra impostura!”
urlò Bastiera. “Vi ha fatto pensare che non gli interessasse, così lo avreste
ritenuto onesto e…”
“Incredibile, l’ha
pensato da solo?” commentò Steven, interrompendo la sfuriata del suo avversario
con aria sarcastica. “Messeri, dovreste dargli più credito a quest’uomo, a
quanto pare il cervello non gli serve solo come tappo per il collo.”
Soltanto la vicinanza
delle guardie impedì a Bastiera di buttarsi su Steven a questa uscita, mentre
Scarpetta alzava la voce per ammonire l’imputato a comportarsi in modo meno
insolente – anche se, alla sua sinistra, Dante stava cercando invano di
reprimere un ghigno soddisfatto per l’uscita di Steven.
“Quindi, riassumendo”
disse il poeta quando la calma fu ristabilita. “Quel che abbiamo qui è un uomo,
sorpreso, lo ammetto, in una posizione che parrebbe difficile. E tuttavia, egli
non nega che stava spiando qualcuno; solo, dice di non essere una spia dei
Neri, ma solo un avversario del Monaco, così come il Dottore che mi ha curato.”
“E non è un’ammissione di
colpevolezza? Il Monaco è nostro alleato!”
“Davvero? Non mi risulta
che abbiamo ancora accettato il suo aiuto, e l’uso delle sue armi – a parte per
messer Bastiera, si intende. Finché l’offerta non è accettata, egli non è
nostro alleato, ma solo nostro ospite. E comunque, tutto ciò che ci ha offerto
sono armi di distruzione e morte, al cui uso mi sono già opposto più e più
volte, e la cui origine è ignota.”
“Anche la cura con cui
lei, messer Alighieri, è guarito, è ignota” fece notare un altro capo dei
Bianchi. “E non sappiamo più di questo Dottore di quanto sappiamo del Monaco di
Bastiera.”
“Questo è vero, ma vorrei
farvi notare la differenza. Uno di loro è venuto da noi con un’offerta di armi
e di guerra, l’altro con la cura da una misteriosa malattia. Il primo ha
cercato di adularmi, il secondo non sarebbe venuto affatto se non fosse stato
convinto, e non ha chiesto alcuna ricompensa per avermi salvato la vita. Ora,
può darsi che tutto questo sia solo una recita, ma io vi chiedo: se doveste
giudicare dai fatti, e solo dai fatti, accaduti finora, quale dei due uomini vi
pare si sia comportato in modo più onorevole?”
“Bastiera, è tutta la
mattina che affermate che i Neri stiano progettando un attacco. Oltre alla
presenza di messer Sarti, che può essere spiegata in altri termini come ha
detto messer Dante, avete altre prove?” chiese allora Scarpetta, riportando
l’attenzione di tutti sul condottiero. Quest’ultimo, che si era calmato,
sogghignò, preparandosi a riferire ciò che lui e il Monaco avevano concordato
la sera prima.
“Ho mandato i miei
uomini, all’alba, a setacciare i dintorni. Entro mezzogiorno, dovrebbero
tornare. Per allora, mi diranno che cosa hanno trovato, e sapremo.”
“Quindi la risposta è no”
disse Dante. “Non vi sono altre prove di un attacco dei Neri, e…”
In quel momento, la porta
della stanza si spalancò, e alcuni uomini armati, recanti le insegne della
compagnia di Bastiera, entrarono velocemente riferendo di aver trovato, fra le
colline, tracce di un accampamento di uomini, abbandonati da poco. Uno di loro portava
con sé una borsa, rinvenuta sul posto, su cui era impresso il sigillo della
famiglia Donati.
“Ecco le vostre prove!”
esclamò Bastiera. “Neri, come ho sostenuto!”
“Tutto qui?” domandò Dante.
“Una borsa e la parola dei vostri uomini? Signori, andiamo, non crederete
davvero che…”
“Quanto siete disposti a
rischiare?” chiese allora Bastiera agli altri. “Mi sono mai dimostrato infedele
alla causa? Vi ho mai traditi, o ho dato segno di non essere degno di fiducia?
Oppure credete forse che i Neri siano troppo leali per non venire qui ad
assalirci, o quantomeno a sorvegliarci?”
“E che motivo avrebbero
di preoccuparsi? Non siamo in forze abbastanza per un attacco a Firenze.”
“Forse sì, invece. Se accettiamo
l’aiuto del Monaco, gli Ubaldini si sono dichiarati interessati a sostenerci.”
“E i Neri come saprebbero
del Monaco? O forse quest’ultimo, prima di venire a noi, è andato a proporre le
sue armi a loro? Perché se fosse così, io non mi andrei a fidare di un
mercenario!”
“Basta così” disse
Bastiera, alzandosi, e fermando, con un gesto della mano, la replica di Bastiera.
“Non ricaveremo nulla litigando fra noi in questo modo. Vediamo intanto di
finire la questione di messer Sarti: c’è qualcuno fra noi che lo ritiene
colpevole di spionaggio, senza un minimo dubbio?”
Nessuno parlò. Bastiera
fissò uno dopo l’altro in volto i capi dei Bianchi, ma ottenne solo sguardi di
diffidenza e paura, non di appoggio. Dante, al contrario, rizzò la testa,
inorgoglito nel vedere che la malattia non aveva diminuito le sue capacità, e
che la sua parola ancora contava in mezzo al suo partito.
“Molto bene,” disse
allora Scarpetta, “ciò significa che messer Sarti è prosciolto da ogni accusa,
ed è da ritenersi un uomo libero. Adesso, se messer Bastiera permette, vorrei
andare a vedere i resti di questo famoso campo dei Neri.”
***
“Bastiera progetta un
attacco sull’abbazia” mormorò Dante, più tardi quel pomeriggio. Scarpetta era
tornato da circa due ore: effettivamente, sulle colline ben tre accampamenti
abbandonati erano stati scoperti, tutti recanti qualche segno che li indicava
come abbandonati in fretta da soldati appartenenti al partito dei Neri. La
suggestione di Bastiera, che si stesse preparando un attacco, aveva preso forza
in mezzo ai Bianchi, e Scarpetta aveva acconsentito che si preparassero delle
difese provvisorie, nel caso si fossero fatti vivi. Aveva solo proibito l’uso
delle armi del Monaco, ricordando a tutti che il partito non aveva ancora
deciso di accettarne l’aiuto.
“E con i fucili” aggiunse
Steven. “In tal modo, i Bianchi poi approveranno l’utilizzo di quelli del
Monaco, se non altro per essere in pari.”
“E non mi meraviglierà se
poi il Monaco dicesse che sono stati rubati dalla sua tenda, pochi istanti
prima dell’assalto; magari si farà pure trovare legato o ferito per dare
credito alla sua storia” concluse il Dottore. “Dobbiamo agire in fretta. Devo entrare
nel suo TARDIS, oggi stesso.”
“E come?” chiese Dante.
“Bastiera tiene il suo accampamento sorvegliato, e il Monaco non si vede da
nessuna parte. Può darsi che la stia aspettando.”
“Sì, certo, è probabile”
disse il Dottore, “ma noi saremo più furbi e veloci di lui. Steven, ragazzo
mio, torna al TARDIS e prendi la roba che adesso ti scriverò… posso usare
quella pergamena, vero?” chiese il Dottore a Dante, che annuì. “Messer Dante,
dica a Ordelaffi che ho bisogno di una piccola guarnigione, quattro o cinque
uomini, per quando Steven tornerà. Dovranno aiutarlo a sistemare quello che
porterà indietro.”
“D’accordo” annuì Dante.
“Se vuole, lo accompagno io.”
“Assolutamente no!”
esclamò il Dottore. “Innanzitutto, come suo medico, insisto sul riposo, e poi,
messere, ho bisogno che lei rimanga qui. Ho un compito per lei.”
***
Quando scoccò la campana
dei vespri, cinque monaci dell’abbazia uscirono dal castello per portare il
cibo ai soldati di Bastiera. I soldati li lasciarono passare, come da
istruzioni ricevute, non senza controllare che le loro tonache non contenessero
armi. Una volta dentro, quattro di loro si posizionarono al centro
dell’accampamento per distribuire il cibo; uno, invece, si allontanò, diretto
verso una tenda in particolare, con la scusa di chiamare i soldati a raccolta.
Quando fu sicuro di non essere visto, ci entrò dentro, togliendosi il
cappuccio.
Il Dottore sospirò alla
vista del bellissimo Mark IV che gli si parò davanti. Nonostante l’affetto che
provava per il suo modello, gli era difficile non invidiare al Monaco
quell’apparecchiatura più moderna, quelle luci più scintillanti, quella grafica
più elegante. Scuotendosi (anche perché il TARDIS gli provocò una scossa
elettrica di gelosia) e ricordandosi cos’era venuto a fare, il Dottore fece un
passo verso la console, attivando così la trappola. Raggi laser emersero dal
pavimento, circondandolo a pochi passi da essa, e unendosi sul soffitto a
formare una solida gabbia.
NOTE DELL'AUTORE
- Theta è, ovviamente, il soprannome del Dottore già ai tempi di Gallifrey, così come ci è stato riferito in tempi recenti dall'Undicesimo Dottore. Visto che nel prossimo capitolo avremo un confronto fra il Monaco e il Dottore, vecchie conoscenze dai tempi dell'Accademia, mi sembrava giusto che si rivolgessero chiamandosi per nome (quello del Monaco è Mortimus) - anche se nella serie questo non avviene mai.
Bene, direi che è tutto. Ci vediamo il 20 per il gran finale, e stavolta cercherò di essere puntuale. A presto!