I
miei venti metri quadrati
Dodicesimo
Capitolo
Dieci
minuti di nobiltà
Era
dalla mattina presto che mia madre lambiccava attorno a uno stralcio di tulle
fucsia che imbottiva una gonna a frappe. Con tre aghi in bocca e il metro al
collo , mentre le sue mani correvano veloci sulla stoffa. Io ero decisamente
assente, non stavo pensando a nulla, mi ero svegliata presto, come al solito a
causa dei brutti sogni e da parecchio tempo mi ero rintanata sul divano con un biscotto in mano, che
però non accennavo a mangiare. Fuori il tempo si era fatto ancora
più uggioso del giorno prima , se era possibile.
“Cosa
ne pensi Rachele, tesoro?” domandò mia madre che si alzava presto
per poter cucire un po’ prima di andare al lavoro.
“Carino”
commentai senza guardarlo e volgendo lo sguardo verso il corridoio. Mi chiesi
che fine avesse fatto mio fratello, ovviamente quando mia madre non
l’aveva visto nel suo letto, quella mattina, si era presa un colpo, ma si
era subito tranquillizzata dopo che l’avevo informata della sua degenza
da Joyce.
Non
avrei mai capito da dove spuntava quella cieca fiducia
nell’impellicciato, perciò avevo smesso di badarci.
“Nikka
dice che è carino” brontolò guardando critica
l’imbastitura. Rizzai le orecchie e increspai le sopracciglia.
“Quando
l’ha visto Nikka?”mi informai accigliata. “Oh”
cominciò distratta lei “ieri sono andata da Marianna , e sua
figlia ha dato un’occhiata ai miei disegni”
Schioccai
la lingua. Sembrava che Nikka volesse rubarmi anche mia madre , oltre che mio
fratello.
“Forse
dovresti metterci qualche lustrino” azzardai dando attenzione alla
creazione di mia madre, mentre mi avvicinavo a Mr. Manichino.
Lei
mugugnò “Tesoro non saprei… secondo Nikka ultimamente uso
troppi lustrini, appesantiscono troppo… temo che abbia
ragione…” fece con voce preoccupata girando pensierosa attorno al
vestito.
Colpita
e affondata.
“credo
che dovresti seguire solo il tuo gusto” terminai indispettita ingoiando
il mio biscotto, mentre qualcuno suonava alla porta.
Andai
ad aprire, e forse lo feci con troppa veemenza, tanto che mio fratello fece un
passo indietro mentre io grugnivo “Chi è?”.
Se
prima ero di cattivo umore, di sicuro la vista di Mei mi tirò su il
morale, intabarrato in una giacca
gessata fucsia e un cappellino dall’aria fin troppo femminile.
“Non
chiedermi perché sono vestito così, è opera di
Joyce” si difese subito. Sorrisi e gli lanciai uno sguardo malizioso
“Chissà perché lo supponevo… e capisco anche
perché nessuno abbina più la lana con le paillettes”
continuai guardando disgustata il suo copricapo.
“Ho
deciso che andrò alla festa di Nikka” continuò torturandosi
le mani in grembo aspettando la mia sfuriata. E invece ebbe la mia benedizione.
“Perfetto” faceva troppo ridere perché la stupida festa di
Nikka potesse rovinarmi l’umore.
“Ma
non ti aiuterò” aggiunsi. Mei sobbalzò “Certo,
infatti… Joyce si è offerto di aiutarmi”. Mi astenni per cortesia dal fargli gli auguri.
“Bene
allora siamo a posto” trillai accennando a chiudergli la porta in faccia,
poi la riaprii “Dimenticavo, entra dalla finestra che mi vergogno a farti
passare dalla porta conciato così” spiegai, poi gli strizzai
l’occhio e richiusi l’uscio.
Joyce
se se stava seduto per terra con la schiena appoggiata al letto e le gambe distese
in avanti sul pavimento, intento a lambiccare col cellulare quando entrò
tranquillamente Nikka in mutande e canottiera di un rosa caldo e in mano un
piatto d’insalata.
“Ehi”
esclamò lui alzando gli occhi da quella che fino a pochi secondi prima
era stato il suo unico interesse “Giri in mutande con me nella
stanza?”
Nikka
alzò le spalle “Tanto tu sei gay” spiegò
tranquillamente lasciandosi cadere accanto a lui e mettendosi in bocca un
pezzetto di pomodoro e una foglia d’insalata.
“Ehi!
Basta con questa storia!! Io non sono gay!” esclamò accigliandosi
e voltandosi su un fianco per guardarla.
“Guarda
che non te ne devi vergognare! E poi lo sappiamo tutti che hai un tatuaggio sul
sedere con si scritto Darcy!”esclamò
allegra accavallando le gambe e mostrando al mondo le sue pantofole rosa
fashion.
“Ma
Darcy è un nome unisex!” cercò di difendersi inutilmente.
“Certo
certo bla bla bla!” lo scimmiottò lei dando attenzione alla sua
insalata. Joyce sbuffò e si lasciò scivolare sul pavimento
coperto da un tappeto.
“Beh,
allora? Che ci fai qui? Non sarai mica venuto a dirmi che non posso girare per
casa mia in desabie!!” scherzò allegramente infilzando con la forchetta un
pomodorino pericolosamente trasparente.
“Sono
venuto ad assicurarmi che non facessi del male al mio protetto”
spiegò con voce teatrale. Nikka lo guardò perplessa.
“Che
sarebbe?” chiese . “Mei Pavesi!” sbottò accigliato.
“
Di cos’hai paura? che lo mangi?” chiese con un risolino beffardo,
mentre Joyce lanciava uno sguardo disgustato al pranzo dell’amica.
“No,
non credo che rientri nei tuoi gusti… sono convinto che Mei sia
decisamente troppo calorico per i tuoi standard. Però potresti indurlo
al suicidio. Piuttosto hai intenzione di diventare trasparente?”
continuò.
“Non
si è mai abbastanza magri” fece con un sorriso mentre si sdraiava
sulla pancia di Joyce con l’intento di prendere dei tovagliolini
appoggiati su una mensola bassa.
“E
questo chi l’avrebbe detto scusa? Coco Chanel?” domandò lui
alzando un sopracciglio ma rimanendo comodamente sdraiato sul tappeto.
“Vedo
che sei informato” ridacchiò lei.
“Ho
sparato a caso..” fece con un grugnito schifato.
“A
proposito di Mei” continuò pulendosi la bocca con un tovagliolino
di carta. “L’ho visto ieri… ha un nuovo livido… sullo
zigomo… come se l’è fatto?” chiese seria guardandolo.
Joyce
strizzò gli occhi dovendo ammettere che il nuovo livido era decisamente
opera sua. “Beh, quello gliel’ho fatto io… ma non l’ho
fatto apposta… cioè c’è stato un malinteso e ho
rischiato di staccargli un dente… ma sono stato abbondantemente punito da
sua sorella!”.
Nikka
fece una smorfia “E’ sempre stata manesca” disse con un
po’ di rabbia repressa. Joyce alzò le sopracciglia come per
chiedersi per quale motivo Nikka dicesse una cosa del genere.
“Andavamo
alle medie insieme” sbottò “non so se ti ricordi, i
simpaticissimi gavettoni di aranciata, eccetera eccetera …”
continuò un po’ alterata.
“Beh
almeno con l’aranciata ha smesso” constatò lui soddisfatto.
“Sì,
e ha cominciato con il brodo di dado… ci ho rimesso i miei stivali di
Chanel” brontolò dando l’ultimo boccone rabbioso al suo
pranzo.
“E
voi quando vi siete conosciuti?” chiese fingendo disinteresse mentre
finiva di masticare il suo boccone vegetale.
Lui
sembrò pensarci, ma in realtà non aveva bisogno di ragionarci
nemmeno un secondo “Ci siamo conosciuti in un parco, mentre lei dava la
caccia a un opossum… avevamo otto anni. E’ stato qualche mese prima
che morisse suo padre”. Nikka non commentò.
Joyce
si alzò da terra scuotendosi la polvere dai pantaloni violetti.
“Devo andare all’Irish… Mei mi aspetta lì… ma prima
devo andare in bagno. Non è che avresti qualche cosa da leggere? Senza
leggere proprio non concludo nulla… e leggere la composizione chimica
dello shampoo mi pare triste” spiegò.
“Tu
in casa mia non fai proprio nulla!” sbraitò cacciandolo fuori a
calci. “Ehi calma! Sono questioni fisiologiche! Niente di personale ,
Nikka!” .
Nonostante
tutto lei non sembrò intenerirsi e il ragazzo venne malamente cacciato
fuori, d’altronde la regina della festa doveva prepararsi.
Nella
stessa città, ma in tutt’altra atmosfera Mei camminava lento ed
incerto con un foglietto accartocciato in mano, il suo senso
dell’orientamento non era un granché. Anche perché non
aveva avuto modo di allenarlo, stando sempre in casa. Le sue mete erano sempre
le stesse: scuola , edicola, negozio di computer e pochi altri.
Quella
via scritta con la calligrafia di Joyce non l’aveva mai sentita nominare,
e aveva dovuto procurarsi una piantina da internet per arrivare nelle
vicinanze.
Rimase
per qualche secondo a fissare la tenda verde speranza un po’ sdrucita e
arricciata, tanto con quel tempo uggioso di certo non serviva. Sulla tenda
stava scritto in caratteri semplici e bianchi “Irish”. Mei deglutì e increspò un
poco le labbra guardando le due sedie squallide e sporche che se ne stavano abbandonate
fuori dal locale.
Si
affacciò per poi entrare, mentre all’interno era tutto piuttosto
scuro e fumoso. Nella penombra riconobbe delle sagome, che parevano bere e
giocare a carte. “Salve” cominciò incerto e balbettante
“Stavo cercando Joyce” disse, un tizio gli rispose con uno sbuffo e
disse qualche cosa in una lingua strana che Mei non conosceva.
Dall’altro
capo del localino buio si levò un urlo “MEI” e uno
sgargiante Joyce con un enorme
cappello verde si accinse ad
attraversare la sala per il lungo passando sopra i tavoli, rovesciando pinte di
birra e rovinando mazzi di carte tra le proteste degli avventori.
Arrivatogli
accanto gli cinse le spalle con il braccio e urlò “Lui è
Mei!! Siate carini con lui, e soprattutto parlate in italiano! Va bene?” .
Dal locale si alzò un consenso insoddisfatto e qualcuno azzardò
un “Adesso mi ripaghi la birra però!”
“Eddy!”
continuò tranquillamente Joyce trascinando per la stanza il malcapitato
Mei “Quando vedi questo ragazzo offrigli una birra! E non parlare in gaelico!!
Mi raccomando!!”
“Sei
sempre bravo ad offrire coi soldi degli altri eh?” commentò un
uomo quasi calvo e con un dente in meno del normale, mentre puliva il bancone
con uno straccio bisunto, e Mei non capì se scherzava o era davvero
scocciato quindi preferì avvertire “Non si preoccupi, sono
astemio!”.
Joyce
lo strattonò tirandolo per il collo e rischiando di strangolarlo mentre
lo conduceva verso l’uscita e nel frattempo urlava “Eddy, sei il
solito taccagno!!”.
Poco
dopo si trovarono nuovamente sul marciapiede, la strada era vuota e il cielo
uggioso come prima che Mei entrasse.
“Che
posto è quello?” ansimò il ragazzo massaggiandosi il collo.
“E’ l’Irish!! Il ritrovo di tutti gli Irlandesi di questa
città! Ci troviamo lì , parliamo in gaelico, beviamo a carte e
festeggiamo San Patrizio”
“Non
pensavo che la percentuale di Irlandesi in questa città fosse
così folta…” fece Mei ancora senza voce, mentre
l’amico rispondeva con un’alzata di spalle sibillina.
“Vuoi
il cappello tipico dei lepri cani?” domandò porgendogli
l’enorme copricapo verde. Mei declinò gentilmente l’offerta.
A
quel punto bisognava avere un’idea, un’idea intelligente su come
conciarsi per la festa. L’Irlandese si appoggiò al muretto di un
passaggio che dava su un lurido canale, che avrebbe dovuto ricordare Venezia,
ma che di Venezia aveva solo la puzza, e si accese una sigaretta.
“Ebbene
mio prode Mei hai qualche proposta
intrigante?”. Mei si guardò un po’ in giro come se potesse
chiedere l’aiuto del pubblico.
“A
dire il vero non saprei”. Joyce non sembrò preoccupato, anzi diede
tutta l’attenzione alla sua sigaretta che aveva l’aria di essersi
spenta.
“Falso
allarme” disse rimettendosela in bocca “Allora pensiamo…
feste in maschera…carnevale: cosa ti viene in mente?”.
Mei
ci pensò. “Arlecchino?” domandò come se avesse paura
di sbagliare.
“Ti
vuoi vestire da arlecchino?” chiese tranquillo Joyce sempre comodamente
appoggiato al muretto mentre Mei se ne stava davanti a lui in piedi e intirizzito, con l’aria di chi
viene interrogato in una materia difficile.
Il
ragazzo si sbrigò a scuotere la testa. “Immaginavo”
sentenziò l’amico “passiamo oltre: carnevale di Rio…
no vabbè questo lo escludo io perché non credo che avresti
speranze di conquistare Nikka con un perizoma e una corona piumata… rimane
halloween… cosa pensi…?”
Mei
alzò gli occhi al cielo, forse sperando che la risposta fosse scritta
nelle nuvole.
“Zucche?”
“NO!
vampiri Mei! Vampiri! Ti vestirai da Vampiro… non puoi mica conquistare
Nikka vestito da zucca!!” sbraitò esaltato sbracciandosi senza un
motivo vero e proprio.
“Credi
che sia un travestimento carino? E poi comunque non mi piace Nikka!”
“Vabbè
non importa! Corri corri Mei ci aspetta la nostra grande impresa!!”
strillò sovraeccitato trascinandolo dove pareva lui.
“La
parte difficile sarà la dentiera… ma qualche cosa
troveremo!!” esclamò allegro continuando a tirarlo.
“Dentiera?
Che dentiera?”domandò preoccupato, ma l’Irlandese non si
degnò di dargli risposta.
Era
vero, la cosa difficile era la dentiera , ma non perché fosse difficile
da trovare, o troppo costosa, ma semplicemente perché era
incredibilmente scomoda. Storse la bocca un poco, sentendo i canini di plastica
scorrergli sulle labbra.
“Da
cosa sei vestito?” domandò Rachele che camminava accanto a lui
silenziosa e veloce nonostante i tacchi vertiginosi.
“Da
vampiro” rispose lui incerto.
“Originale”
commentò lei senza guardarlo. Mei arrossì “Grazie”
“Facevo
del sarcasmo” lo stroncò senza pietà. “E’ stata
un’idea di Joyce…” spiegò lui con gli occhi bassi.
Quelle parole rubarono alla sorella un sorriso “Allora immagino di dover
ringraziare di non vederti vestito da Lepricano” disse ridacchiando.
“E
tu da cosa sei vestita?” domandò guardandola senza capire. Si era
messa gli occhiali da vista anche se non ne aveva bisogno.
“Da
cliché…”. Mei sbatté le palpebre senza capire.
“Da
segretaria porno” spiegò lei con un sorriso. “Di quelle che
seducono il datore di lavoro?” chiese delucidazioni lui, incerto.
“Esatto…comunque…
sta sera con Nikka… non fare il nerd” disse, ma probabilmente le
costò molta fatica. Mei ci pensò su, per quanto sua sorella
detestasse Nikka non sembrava intenta a sabotarla per una volta.
“Sei
un bel cliché” disse con quel che avrebbe dovuto essere un
complimento. Lei lo prese come tale e sorrise mentre arrivavano a una villa
illuminata, il giardino era disseminato di candele e c’era gente vestita
in modo ambiguo e sgargiante ovunque.
“Bah…
tanti soldi spesi per questa idiozia” commentò Rachele sprezzante.
Ma Mei suppose che in fondo quelle cose eccessivamente costose ed eccentriche
piacessero anche a lei, se no non
si sarebbe certo presentata.
Oltrepassarono
a passo lento il cancello guardandosi intorno, Mei notò poco distante un
mangiafuoco. Sbatté le palpebre e si chiese in che razza di posto fosse
andato a finire, non ebbe tempo per pensarci ulteriormente, perché
davanti a loro apparvero come per magia una Nikka dal sorriso plastico e un
Joyce dal sorriso esaltato. Lei vestita di veli rosa, frappe e lustrini, Mei
suppose fosse una specie di odalisca. Mentre Joyce sfoggiava una camicia
floreale Hawaiana e un grosso medaglione di plastica con due serpenti
incrociati, dalla’aria decisamente pacchiana.
“Accidenti
Mei ti sei vestito da vampiro! Pensa che caso io sono vestito da
esorcista!” trillò gioviale.
“Joyce,
ma lo hai deciso tu che mi sarei dovuto vestire da vampiro” fece il
ragazzo incerto, Joyce, che del canto suo voleva dare un po’ di
spettacolo si rabbuiò.
“E
quello sarebbe un esorcista razza di idiota?” sbottò acida Rachele
“Gli esorcisti sono dei preti.. e comunque non si è mai visto un
esorcismo a un vampiro! E che roba è quella camicia? Non siamo mica alle
Hawaii!” . Joyce si voltò verso Nikka sperando in un po’ di
comprensione, o almeno di un po’ di spirito di contraddizione verso la
ragazza coi capelli blu.
“Mi
spiace ammetterlo ma devo darle piena ragione…” fece lei prima di
girarsi e continuare “e tu da cosa saresti travestita?” chiese
strafottente.
“Da
segretaria porno” rispose Rachele come se fosse una sfida.
“Raffinato”
fu il commento sarcastico della sua interlocutrice.
“Ciao”
saluto Joyce allegro facendo cenno a un tipo che scappò via impaurito.
Mei assottigliò gli occhi per vederlo meglio “Joyce ,
perché conosci Pallotti?”domandò accigliato.
“Oh,
è una lunga storia che riguarda nudità e cancelli”
spiegò tranquillamente. “Ha un ché di osceno” fece
lui con una smorfia.
“Di
osceno non c’è proprio niente” lo tranquillizzò
l’Irlandese con un sorriso che più che altro faceva paura.
“Il vampiro viene con me?”.
Mei che non si era reso conto che stava parlando con lui si guardo in giro, e
Nikka un po’ scocciata fu costretta a ripetere la frase e prenderlo per
un braccio perché capisse. Rachele si coprì il volto con la mano
e mugolò qualche cosa che poteva essere un “cosa ho fatto di male
per avere un fratello così invornito?”
Quando
finalmente Nikka e Mei riuscirono ad allontanarsi anche Rachele girò i
tacchi annunciando “Ho bisogno di alcol dopo questa scena assurda!”
.
“C’è
il free bar!” esclamò allegro Joyce rincorrendola.
Mei
sbatté addosso a una decina di persone mentre Nikka con una mano lo
tirava e con l’altra si teneva stretta i veli.
In
un batter d’occhio si trovò lanciato su un divanetto bianco con
accanto una Vanessa che per colpa della pettinatura, coi capelli raccolti
somigliava più del solito a un cavallo. Milly invece trangugiava una
millefoglie , Nikka ancora in piedi la fulminò con uno sguardo che
sembrava dire “CALORIEEEE”, e la malcapitata fu costretta
vergognosamente a lasciare andare la sua torta.
Poi
anche Nikka si lasciò cadere accanto a Mei.
“Allora
cosa vuoi fare?” chiese alzando le sopracciglia ed avvicinandosi di
più a lui. Mei di rimando aumentò la distanza che c’era tra
di loro spostandosi un po’ dall’altra parte.
Nikka
probabilmente se ne accorse, perché lo guardò male, e lui si rese
conto di aver fatto una tremenda gaffe. “Non saprei” rispose,
ritrovandosi a desiderare un cilicio per potersi punire come si deve. Ma che
diamine stava facendo? E per fortuna che non doveva fare l’impacciato!
Nikka
parve scocciarsi, lo fulminò con uno sguardo e si alzò
“Vado a prendere qualche cosa da bere, vuoi qualche cosa?”
sbottò come se non fosse neanche una domanda.
“Una
coca cola?” azzardò.
La
faccia che fece Nikka fu davvero indescrivibile mentre spariva tra la folla
alla ricerca del bar.
Era
sempre peggio! Come poteva essere così idiota? Ma perché diamine
era astemio? Forse vedere zio
Michele ubriacarsi tutti i Natali lo aveva scandalizzato, ma non poteva andare
avanti così! Una gaffe dopo l’altra , forse avrebbe potuto fare un
po’ il figo tenendo dello spumante nel bicchiere e senza berlo. E probabilmente avrebbe dovuto fare il
cavaliere ed andare lui a prendere da bere invece di mandarci Nikka.
Da
una parte e dall’altra si vide accerchiato da Milly e Vanessa, le amiche
succubi di Nikka.
“Allora
da cosa sei vestito?” chiese Milly facendo la sensuale, anche se il
risultato era una foca monaca spiaggiata che cercava di imitare una gatta. Mei
deglutì chiedendosi perché diamine si era ritrovato in quella
situazione.
“Ehm…
da vampiro…” rispose guardando disperato la mano di Milly che
passava sul suo petto.
“Già,
da vampiro idiota! Non vedi che ha i canini e il sangue che gli cola dalla
bocca?” strillò isterica Vanessa spostando con un colpetto la mano
di Milly per metterci poi la sua.
Mei
nel frattempo si guardava in giro sperando nell’arrivo di Superman, o di
Joyce vestito da Superman, o della provvidenza divina, o di qualsiasi altra
cosa letale che lo salvasse da quelle due.
Nikka
del canto suo non accennava a tornare, si era seduta al banco e aveva chiesto
un cuba libre appoggiando la testa alle mani. Quando glielo avevano portato si
era messa a giocherellare con il limone dopo averne buttato giù
metà in un sol colpo. “Diamine quanto è stupido..”
aveva sbuffato.
Che
cavolo ci doveva fare con quel ragazzo? Insomma quando l’aveva visto
aveva pensato che potesse essere come lei, assomigliarle insomma. Essere un
uomo di mondo che veste bene , è intelligente e piace alle ragazze. Non
ne aveva mai incontrati che riuscissero ad avere tutte e tre quelle
qualità e le era sembrato che con Mei si potesse fare un buon lavoro. Ma
dopo che Pallotti lo aveva picchiato si era rovinato tutto. E poi quel Mei non
era proprio uno che riuscisse a essere un attimino meno ingessato. La soluzione
a qui pensieri nefasti fu scolarsi
l’altra metà del bicchiere e ordinare del martini.
Sentì
una mano appoggiarsi sulla sua spalla e si voltò lentamente, già
un po’ annebbiata dall’alcol.
“Sei
bellissima sta sera…” disse con voce bassa il ragazzone vestito fa
giocatore di football americano che era apparso alle sue spalle.
“Io
sono sempre bellissima, Pallotti… e ora sparisci” bofonchiò
con voce strascicata.
“Ma
Nikka… ho prenotato il servizio limousine solo per noi due…”
, disse cercando di comprarsela almeno così, era mezza ubriaca e non
sarebbe stato difficile infinocchiarla.
Nikka scese barcollante dello sgabello con il quarto martini stretto in
mano. “Mai e poi mai…rimarrò da sola con te… vacci
pure da solo sulla tua limousine” sentenziò annebbiata.
“Nikka
verresti a ballare con me?” chiese un ragazzo vestito da quello che
poteva essere topolino, ma anche un contadino che si è messo il vestito
buono per la messa della domenica. Nikka fece un sorriso e si lanciò tra
le braccia del ragazzo “Sono tutta tua! Andiamo a ballare!!”
urlò.
Pallotti
sbatté un pugno sul tavolo scocciato e si guardò intorno
irritato. Poi vide qualche cosa che gli rallegrò la serata e ordino un
paio di cocktail.
Ottenuti
questi si avvicinò velocemente verso il centro del suo interesse.
“Verresti
in un posto tranquillo con me?” domandò gentile porgendo uno dei
due bicchieri. Rachele rispose con un sorriso e fece toccare i due bicchieri,
che se non fossero stati di plastica avrebbero fatto cin cin . “Va bene” disse “andiamo dove
vuoi”.
Nel
frattempo Mei si era trovato a sgranare il rosario sperando che Nikka tornasse
e si portasse via quelle due assatanate. Milly lo abbracciava da destra e
Vanessa a sinistra gli era quasi completamente in braccio, con il naso a pochi
centimetri dal suo. Gli avevano chiesto tutto quello che si potesse chiedere a
una persona, a quanti anni aveva perso il primo dentino e che numero di scarpe
portava!
Ci
sarebbe voluto un miracolo per salvarlo, anche perché Vanessa sembrava
davvero intenzionata a baciarlo. Strizzò gli occhi. Cercando di
allontanarsi un po’ dalla ragazza bionda che si stava avvicinando a occhi
chiusi, ottenendo soltanto di affondare nella spalla cicciotta di Milly.
L’angelo dell’apocalisse lo salvò
dicendo “ Baldi giovani! Cosa si fa qui? Vi posso rubare un attimo il
vampiro?”. Mei guardò
in alto e vide in piedi dietro al divanetto dove stava seduto lui un Joyce
allegro con una Guinnes in mano. Gli Irlandesi non amano smentirsi.
“Certo
Joyce arrivo subito” rispose il ragazzo alzandosi e liberandosi della
presa delle due sanguisughe , come se il divano stesse andando a fuoco. E si
allontanò quasi correndo.
“Mi
hai salvato la vita” ansimò.
“Non
ho mai visto delle odalische così brutte” su il laconico commento
di Joyce. “Hai perso la tua bella?”domandò poi. Mei fece
un’espressione arricciata, se si può dire, perché
più che altro era decisamente indefinibile.
“E’
andata a prendere da bere e non è più tornata, mi sa che ho fatto
qualche cosa di stupido” ammise.
“Forse
hai fatto qualche cosa di stupido, ma è tornata da te…” fece
l’amico.
“Cosa?”
replicò Mei prima di sentirsi tirato per il mantello di raso.
“Mei!” esclamò Nikka prima di abbracciarlo calorosamente,
mentre Joyce veniva inghiottito dalla folla.
“Che
bello vederti! Ti avevo perso!!” esclamò alzando la testa per
guardarlo, era davvero molto più bassa. Una ragazza in miniatura. Non
come sua sorella che era quasi alta quanto lui.
Avrebbe
voluto precisae che era lei a essere sparita , ma era palese che non fosse del
tutto lucida.
“Lo
sai che ho baciato Alberto Lombardi? Bacia benissimo” cantilenò
contenta senza volerne sapere di slacciare le braccia dalla sua vita. Come al solito lui non sapeva cosa
rispondere “ehm… mi fa piacere, sono contento per te…”
fece imbarazzato.
Lei
sorrise annebbiata e gli fece una carezza sulla guancia. “Sei davvero un
ragazzo dolce…” disse
nei fumi dell’alcol prima di rispondere ad Alberto che la chiamava
“Arrivo!”. Lo salutò con la mano e sparì per
l’ennesima volta.
Mei
sbuffò. E così quell’idiota era riuscito ad arraffarsi Nikka.
Beh, gli stava bene, così avrebbe imparato a non fare il nerd.
Uscì in giardino , dove non c’era quasi nessuno, a parte qualche
coppietta imboscata. E quelli che si avviavano a casa.
Stavo
guardando il falò quando arrivò Mei. “Che roba è che
brucia?” chiese con un insolito sprint passandosi la mano tra i capelli.
“Oh,
nulla di ché… i vestiti di Pallotti… o guarda lì ci
sono anche le mutande..” . Mio fratello mi guardò perplesso. Io
alzai le spalle divertita “Nessuno prende in giro i Pavesi, e soprattutto
: nessuno mi usa come seconda scelta!!” sentenziai.
“E
come avresti fatto a rubarglieli?” chiese sbigottito. Gli strizzai
l’occhio “Joyce docet” fu la semplice risposta.
“Andiamo
a casa?” chiese con aria un po’ triste. Annuii serenamente, essermi
vendicata su Pallotti mi aveva riempito di allegria. Mei non sembrava del mio stesso umore a
giudicare dallo sguardo truce e dalle mani nelle tasche, ma supposi fosse per
colpa di Nikka.
Stava
per avviarsi a piedi quando lo trattenni. “Oh no, sta sera si torna a
casa in limousine” annunciai.
“Limousine?”
ripeté lui perplesso. Sorrisi “Già, l’aveva prenotata
Pallotti, ma dato che adesso se ne sta andando in giro nudo come il sedere di
un macaco non ne avrà bisogno. E poi Joyce conosce l’autista, gli
sta insegnando il gaelico!” dissi aprendo la portiera della lussuosa
vettura e infilandomici. Mio fratello mi seguì guardingo.
Feci
un cenno con la testa “Quello è Ambrogio, l’autista come
quello della pubblicità dei cioccolatini” spiegai , mentre Joyce
cercava di convincerlo a scarrozzarlo a suo piacimento.
“Dai
Ambrogio! Cosa ti costa venirmi a prendere a scuola qualche volta! Io ti sto
insegnando il gaelico! Lo sai che se non impari Eddy non ti servirà mai
una birra!” diceva.
Ridacchiai,
e finalmente l’auto partì, con un Joyce lanciato in un’ardua
impresa, un Mei abbattuto e una me intenta a godersi i suoi dieci minuti di
nobiltà.
“Ambrogio? C’è dello
spumante? Che razza di limousine è senza spumante?”
Eccomi tornata con
il dodicesimo capitolo. Ringrazio davvero Niggle e Lidiuz93 che hanno
commentato il capitolo 11… è davvero bello sapere che a qualcuno
piace la mia storia! Spero che anche questo capitolo vi piaccia! Se volete
lasciatemi un commento , mi darebbe la carica per il prossimo!! E spero che
dopo l’orale riuscirò ad aggiornare in modo un pochino più
regolare!!
Baci Aki_Penn