Daniel percorse lentamente il lungo
corridoio est che portava alle scale per il primo piano, contando il numero dei
suoi passi con insolita attenzione, perso nel turbinio dei suoi pensieri.
Alzando la testa vide aprirsi sulla sua sinistra un arco con una scalinata che
saliva oltre un piccolo pianerottolo.
Svoltando e percorrendo i primi
gradini, Daniel notò anche che i quadri di quest’ala dovevano essere probabilmente
di medici del passato; ne riconobbe avanzando uno che doveva essere di Dilys Derwent, una delle
guaritrici più famose della storia del Mondo Magico, nonché preside di
Hogwarts, si disse osservando gli abiti di cui era vestita e incrociandone
brevemente lo sguardo prima che questa sparisse di punto in bianco dalla
cornice.
Daniel rimase un attimo sorpreso da
ciò ma non fece in tempo a porsi molte domande che i suoi occhi colsero la
scritta in cima alla doppia porta situata all’estremità della scalinata,
sentendo nuovamente un groppo formarglisi in gola: era arrivato all’entrata
dell’infermeria. Aprendo lentamente la doppia porta che dava accesso a
quell’ala del castello, Daniel vide un piccolo corridoio che si apriva su una
grande camerata, molto lunga, piena di letti bianchi disposti ad intervalli
regolari sui due lati; anche il pavimento era formato da lunghi lastroni di
pietra chiari mentre le larghe arcate gotiche erano fatte di una pietra scura
tendente al marrone, colore che continuava nei lunghi lampadari sul soffitto.
Il cuore di Daniel mancò un battito
nel vedere l’esile sagoma di Galen Brannis distesa sul secondo letto sulla destra, il ragazzo
stava chiaramente dormendo, il volto posato all’ingiù sul collo, sorretto da
tre cuscini; al braccio destro aveva una specie di tutore che glielo bloccava
ad angolo retto. Il giovane Tassorosso non fece in tempo a fare che pochi passi
in avanti, quando il rumore di una sagoma alle sue spalle lo fece voltare
all’improvviso: davanti a lui si stagliava una strega alta con i capelli grigi
raccolti e coperti da un lungo velo bianco che le ricadeva sulle spalle,
l’uniforme rossa scura e bianca con uno strano appunto sul petto assomigliante
ad una fiala ed un'espressione determinata e preoccupata al tempo stesso sul
volto.
La donna lo squadrò un attimo prima
di rivolgergli la parola, nella mano destra stringeva una bottiglia perlacea,
con uno scheletro in rilevo nella parte superiore:
“Non puoi parlargli, se è questo
che vuoi.”
“Ma…”esordì Daniel cercando di
spiegare.
“Niente “ma”, signor Nightingale,
il Quidditch può aspettare” lo bloccò la donna con
sguardo deciso. “Ha avuto una brutta frattura al braccio ed è un bene che si
sia addormentato. Se vuole fargli una visita, non ho niente in contrario ma non
lo svegli, lo farebbe solo soffrire inutilmente.”
Daniel annuì, zittendosi di colpo.
L’espressione della donna parve
distendersi un po’. Tirando fuori la bacchetta, pronunciò poche parole ed una
sedia di legno apparve accanto a lei.
“Può usare questa, se vuole” disse.
Poi con un leggero sorriso s’incamminò nell’ufficio a sinistra accostando
leggermente la porta di legno ma lasciando parte dell’anta aperta.
Daniel gettò un occhio alla
targhetta su di essa che recava la scritta “Poppy
Chips”.
Madama Chips non era sinceramente
una strega da contrariare, si disse Daniel alzando la sedia mentre i suoi passi
riecheggiavano nella grande camerata. Arrivato infine a destinazione, si
sedette alla sinistra del letto di Galen, notando
subito che questi era immerso in un sonno disturbato probabilmente da qualcosa;
ogni tanto muoveva la testa da un lato all’altro del cuscino mentre con la mano
sinistra sembrava voler prendere un oggetto invisibile, grattando ad intervalli
regolari la superfice del lenzuolo.
Daniel si mise a fissarlo con aria
interrogativa, vedendo i lineamenti del viso contrarsi leggermente,
probabilmente doveva trovarsi nel mezzo di un sogno di grande intensità. Gli
occhi del giovane Tassorosso caddero sulla mano sinistra del suo compagno di
casa, che giaceva ora a palmo aperto vicino a lui, notando un piccolo punto
grigio al centro. Senza pensarci Daniel allungò la mano incuriosito, prendendo
quella più piccola del ragazzo; al tatto la pelle era liscia ma c’era un
leggero ispessimento al centro del palmo.
In una frazione di secondo qualcosa
sembrò accadere dentro il sogno di Galen.
Improvvisamente Daniel sentì la sua mano tremare forte come in uno spasmo
incontrollato che tradiva una grande paura. La testa del ragazzo iniziò a
muoversi freneticamente da una parte all’altra mentre dei piccoli frammenti di
frasi iniziarono ad uscirgli dalla bocca.
“La…lasciami, non ho fatto…”
“Che vuoi fa…fare con quel co…colt…coltello?”
“NOOO!”
Daniel non ci capiva niente ma non
ebbe il tempo di pensare che d’un tratto Galen si
svegliò di soprassalto, la fronte sudata ed un’espressione di puro terrore sul
volto. La mano sinistra gli era scattata via come una frusta da quella di
Daniel, di cui non sembrava nemmeno essersi accorto, mentre se le portava sotto
lo sterno ad aprirsi leggermente il pigiama abbottonato, come per controllare
qualcosa.
Ci volle qualche secondo, capì
Daniel, perché Galen si rendesse conto di avere
sognato. Nel contatto delle sue dita col petto apparentemente illeso, il
ragazzo sembrò uscire dal sogno; aveva ancora il respiro affannato, era bianco
cadaverico e con la mano destra che gli tremava.
“Ehi…” gli disse piano Daniel
toccandogli il braccio, con tono rassicurante. Non sapeva cosa Galen avesse sognato, ma aveva ben conosciuto nel suo
passato dei bruschi risvegli simili.
L’espressione dell’altro ed il
movimento repentino del braccio gli fecero capire però che qualcosa non andava.
Lo sguardo di Galen quando lo incrociò era stravolto,
quasi al limite della follia. Per un lungo istante Daniel ebbe paura; sì paura
che Galen potesse aggredirlo come un animale ferito
da qualcosa che lui non poteva vedere.
Con incredibile rapidità, un
battito di ciglia, l’espressione era sparita. Davanti a lui c’era un ragazzo
con l’aria timida ed impaurita, lo stesso che aveva conosciuto sul campo di Quidditch.
“E…Ehi…” gli rispose ansimante,
mettendolo a fuoco per la prima volta.
Daniel sentì una repentina sensazione
di calore salirgli alle guance. Per un lungo istante le parole gli morirono in
gola mentre il suo sguardo si perdeva tra i lineamenti del volto dell’altro. Fu
un rumore di passi dietro di loro a riportare bruscamente Daniel alla realtà.
Il ragazzo si voltò appena in tempo
per vedere la sagoma di Madama Chips avvicinarsi con passo svelto e con
espressione preoccupata e adirata al tempo stesso. Daniel seppe nel momento in
cui i loro sguardi s’incrociarono che si era cacciato nei guai.
“Cosa le avevo detto, signor
Nightingale?!” esordì la strega ergendosi in tutta la sua altezza.
“Ma non sono stato…” cominciò
Daniel tentando di spiegare.
“Non mi interessa. Come le ho già
detto il Quidditch può aspettare. Il signor Brannis ha bisogno di assoluto riposo!”
“Ahia” disse Galen
toccandosi il braccio destro con un’espressione di dolore sul volto.
“Visto?!” continuò madama Chips con
sguardo severo rivolta a Daniel: “La visita è finita. Se ne vada immediatamente,
signor Nightingale”.
Daniel si alzò, guardando la strega
che controllava con apprensione il braccio del ragazzo. In una frazione di
secondo lo sguardo di Galen s’incrociò al suo ed una
lampadina parve accendersi nella testa di quest’ultimo:
“Com’è an…andato il mio
pro…provino?” chiese a Daniel con evidente apprensione e trepidazione.
Daniel stava per rispondergli quando
lo sguardo duro di Madama Chips li sorprese entrambi:
“Ho detto FUORI, signor
Nightingale! O devo chiamare il signor Gazza!”
Daniel a malincuore distolse gli
occhi da Galen e si avviò verso la porta col cuore
pesante. Si voltò un attimo prima di uscire dalla grande camerata per vedere Galen che tentava di ignorare il dolore al braccio mentre
Madama Chips ci stava applicando una pomata, voltata di spalle.
In quell’istante Daniel ebbe
un’idea; voltatosi, uscì a gambe levate dall’infermeria. Corse giù dalle scale,
diretto al piano terra, superò rapidamente il bivio per la Sala Grande e prese
il corridoio che portava alle cucine. Trovò subito l’angolo lontano dalla vista,
dove erano impilati alcuni barili che nascondevano l’entrata alla sala comune
di Tassorosso.
Due minuti dopo eccolo riuscire e
fare rapidamente la strada al contrario con un aeroplanino di carta ed un
piccolo specchio portatile fra le mani. Sperò in cuor suo di non aver perso il
tocco. Si sentiva addosso una grande energia.
Arrivato alle doppie porte
dell’infermeria notò con sollievo che la porta non era stata chiusa da madama
Chips; aiutandosi con lo specchietto vide che l’ingresso della grande camerata
era libero ma si accorse, inarcandolo maggiormente di lato, che la porta
dell’ufficio era aperta, segno che non avrebbe potuto passare senza essere visto.
Cercò di abbassarsi per osservare il letto di Galen;
una volta individuatolo, vide che il suo compagno di casa era sveglio, con un’espressione
corrucciata sul volto.
Daniel cercò di mettersi
dall’angolazione migliore possibile e poi con la bacchetta toccò velocemente
l’aeroplanino di carta pronunciando: “Protrahe volatum”.
Una breve aura azzurra sembrò
uscire dalla sua bacchetta prima di scomparire apparentemente nel nulla. Con un
grande respiro Daniel leccò le ali dell’areoplanino e prendendo due passi di
rincorsa lo lanciò verso l’alto. Il piccolo pezzo di carta superò agilmente
l’ingresso ed entrò nella grande camerata puntando sul letto di Galen; fu all’ultimo che iniziò a perdere quota improvvisamente,
ma fu allora che, invece di cadere verso il basso, prolungò in una planata che
lo condusse fino a picchiare sulla guancia destra di Galen.
Il ragazzo fu colto di sorpresa ed
emise un piccolo gridolino, prima di accorgersi di cosa lo avesse colpito.
Daniel si ritrasse dietro il muro, appena in tempo per sfuggire allo sguardo
indagatore di madama Chips che si era affacciata all’improvviso dal suo ufficio.
Non vedendo niente la strega si diresse verso l’entrata della grande camerata;
per fortuna Galen ebbe la prontezza di ficcare
l’aeroplanino sotto le coperte appena in tempo, fingendo di dormire. Volgendo
lo sguardo madama Chips emise un piccolo sbuffo prima di rimettersi al lavoro
dietro alla sua scrivania.
Daniel non ebbe il coraggio di
riaffacciarsi, attendendo in silenzio una qualche sorta di messaggio segreto
dall’infermeria. I secondi passavano lentamente, il ragazzo chiuse gli occhi
appiattendosi contro la colonna dietro cui si era nascosto. Fu dopo quasi un
minuto di trepidante attesa che Daniel sentì un rumore leggero provenire
dall’infermeria. Avvicinandosi all’entrata, usando il piccolo specchio cercò di
ritrovare il letto di Galen. Il cuore gli saltò un
battito quando vide il volto del ragazzino solcato da due lunghi rivoli di
lacrime, con la mano sinistra teneva stretto il pezzo di carta mentre con
l’altra si stringeva forte al petto il tutore con un gran sorriso stampato sul
volto. Daniel ebbe l’impressione di incontrarne per un secondo gli occhi lucidi
prima che lo specchietto gli cadesse di mano all’improvviso.
Con un sobbalzo il ragazzo tentò di
ricomporsi afferrando i cocci e precipitandosi giù dalle scale solo per andare
dritto dritto a sbattere contro Colin Canon che aveva
appena imboccato il corridoio. I due si ritrovarono sul freddo pavimento di
pietra del pianerottolo. Fu Colin il primo dei due a riprendersi dalla botta.
“Ahio!”
esclamò rimettendosi in piedi a fatica, guardando Daniel accanto a lui ancora
mezzo frastornato. “E’ questo il modo di scendere dalle scale, Dan?!” disse con
aria contrariata.
Lo sguardo gli si bloccò vedendo
l’espressione dell’amico, il tono arrabbiato sparì completamente dalla voce.
“Tutto bene?” disse tendendogli una mano per rimettersi in piedi.
“Sì, certo” rispose Daniel
tirandosi su. “Scusa Co…” il giovane Tassorosso non fece in tempo a finire la
frase che si rese conto di avere gli occhi lucidi. Con la manica dell’uniforme
si asciugò i lucciconi ricomponendosi.
Colin scosse la testa prima di
proseguire. “Ti stavo cercando, Dan”.
A quelle parole l’attenzione di
Daniel si focalizzò sul Grifondoro. “Dimmi….” disse con un sorriso.
“Seguimi...è giunto in momento di
mostrarti qualcosa di molto importante” disse l’altro con un sorriso che gli si
estendeva per metà viso.
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Luna percorse a brevi passi il
tratto in cui il sentiero che dal castello portava al limitare della Foresta
Proibita, oltre la capanna di Hagrid, si addentrava
tra gli alberi, perdendosi nel manto di erba e foglie che segnavano l’inizio
della boscaglia.
Poco più avanti la ragazza scorse
una radura a lei familiare, facendo pochi passi oltre, a piedi scalzi, sentì le
piccole vibrazioni che ben conosceva. Prima ancora di riuscire a vedere
l’oscura sagoma dragonide che sorvolò l’area dove gli
alberi erano ancora radi, Luna avvertì la presenza dei Thestral.
Ciò che la colpì nell’avanzare sul manto di foglie, scorgendone una piccola
famigliola poco più avanti, sul limitare di una grande pozza intenta a bere
lentamente, fu una presenza che non si sarebbe mai aspettata di trovare.
La ragazza s’incuriosì nel vedere
nascosto dietro un basso cespuglio poco oltre la sagoma di un ragazzo. Era alto
con i capelli castano scuri mossi, portava un grande quaderno e sembrava
scribacchiarci qualcosa sopra con un carboncino; osservando meglio l’uniforme
del ragazzo, col cappuccio calato dietro, vide che si trattava di un Serpeverde.
Scandendo verso la radura, la
ragazza s’inserì nella scena lateralmente. Il primo ad avvertire la sua
presenza fu un cucciolo solitario di Thestral che
riposava al limitare degli alberi della radura; stirandosi sulle gambe si
diresse verso la ragazza rapidamente emettendo un suono stridulo. Arrivato a
pochi passi da lei, la fissò con i grandi occhi scuri sporgenti come in attesa
di qualcosa. Luna sorrise e, cercando nella borsa che portava a tracolla, ne
tirò fuori una coppia di ali di pollo che aveva accuratamente avvolto in un
fazzoletto di carta. Il cucciolo lanciò un altro piccolo grido stridulo
avvicinandosi timidamente di qualche altro passo.
Luna prese le ali e gliele tirò
davanti con un sorriso. Con un appetito vorace nel giro di un secondo il
cucciolo le stava già divorando, spolpandole col piccolo becco aguzzo. Luna
osservò la scena immersa in una profonda tranquillità. Riesaminando lentamente
i ricordi di quella mattina si sentì sollevata del fatto che Galen se la fosse cavata solo con un braccio rotto. Aveva
osservato il suo provino dal lato nord degli spalti, praticamente invisibile
agli altri studenti. Aveva tenuto le dita incrociate per l’amico, osservandolo
con trepidazione per tutto il tempo ed a stento era riuscita a trattenersi nel
corrergli incontro quando il ragazzo era precipitato per terra. In compenso era
stata la prima ad andarlo a trovare in infermeria. In
realtà da quanto aveva capito nello sfogo isterico dell’amico, il braccio rotto
era forse il minore dei problemi. La ragazza sospirò sperando in un miracolo;
sapeva bene che Zacharias non aveva stima di lui, sperò
solo che gli desse una chance per entrare in squadra visto che stavolta, se non
fosse stato per il bolide, avrebbe fatto un provino quasi perfetto; i due
avevano volato per decine di ore quell’estate.
Un pensiero che però gli stava
ronzando nella mente che non riusciva a togliersi. Qualcosa dentro di lei le
diceva che c’era qualcos’altro che turbava Galen. Era
come una sensazione, aveva provato a cercare conferma nelle parole dell’amico,
abbandonando presto il suo proposito visto la condizione di shock emotivo in
cui si trovava. Era meglio provare a riaffrontare il discorso dopo qualche ora
di sonno. La ragazza incrociò le dita, chiudendo per un attimo gli occhi. Un
rumore di passi dietro di lei la fece tornare alla realtà; voltandosi vide che
il ragazzo che non conosceva le si era avvicinato.
“Non hai freddo ai piedi?” le
chiese porgendole una mano per aiutarla a rialzarsi.
Luna indugiò qualche attimo prima
di prenderla. Il ragazzo non sembrava avere cattive intenzioni, era solo dubbio
quello che leggeva nei suoi occhi marroni.
“No, per niente. Anzi, alle volte
ho più freddo con le scarpe che senza, specialmente a lezione.” disse la
ragazza prendendola e ritrovandosi in piedi in un istante; il ragazzo l’aveva
praticamente quasi sollevata col braccio.
“Davvero?!” le chiese l’altro con
sguardo interrogativo.
Luna gli sorrise. “Beh, non tutti i
geloni dipendono dalla temperatura del pavimento, no?”
Il ragazzo la guardò alzando un
sopracciglio poi qualcosa nel suo sguardo sembrò scattare e le rispose
accennando un mezzo sorriso: “No…direi di no”.
“E’ la prima volta che vieni in
questa radura? Non ti avevo mai visto prima….” le chiese Luna, lasciandolo. Le
guance dell’altro si colorirono leggermente, non accorgendosi di averle tenuto
la mano decisamente più a lungo del dovuto.
“No, è la prima volta. Non sapevo
che i Thestral vivessero qua.” le rispose l’altro,
guardando la scena davanti a loro.
Un lungo silenzio cadde fra i due.
“Stavi disegnando poco fa?” gli
chiese infine la ragazza indicando la borsa a tracolla.
Il ragazzo alzò il sopracciglio
destro, sorpreso, poi le rispose: “Sì, mi rilassa alle volte. ” Con lo sguardo
il giovane Serpeverde squadrò tutta la radura,
apparentemente in cerca di qualcosa, passarono diversi secondi prima che le
rivolgesse nuovamente la parola:
“Non c’è modo di arrivare
dall’altro lato senza metterli in allarme!” sibilò fra i denti rivolto a se
stesso più che alla ragazza.
Luna esaminò la radura in silenzio,
poi gli toccò la mano destra, facendogli riportare lo sguardo su di sé. “C’è un
modo.” disse accennando un sorriso. “Solo dovrai essere molto silenzioso”.
“Sarò un’ombra!” disse l’altro con
sguardo determinato, sorpreso dalla frase della ragazza.
Distogliendo lo sguardo Luna emise
un sospiro poi gli disse. “Togliti le scarpe.”
“Cosa?!” rispose l’altro.
“Togliti le scarpe.” riprese lei
con tono sognante.
“E perché dovrei?” intervenne il
ragazzo guardandola a metà fra lo stupito e l’incredulo.
“Perché sei troppo pesante. Ti
farai sicuramente scoprire” gli disse la ragazza.
Il giovane Serpeverde
sembrò valutare attentamente la scena poi con uno sbuffo le disse: “ E va
bene”.
Sfilandosi lentamente le scarpe ed
i calzini toccò con i piedi il terreno del bosco ed una smorfia gli attraversò
il viso.
“Perfetto” le disse Luna
sorridendogli. “Ora fai molto piano”.
Con queste parole la ragazza si
spostò lentamente da un cespuglio ad un altro. Dando il tempo al ragazzo,
decisamente meno agile e furtivo di lei di starle dietro. Riuscì anche ad
ingannare un Thestral che si era avvicinato
pericolosamente al loro cespuglio, quando il ragazzo aveva sbagliato la
capriola, riuscendosi a nascondersi all’ultimo secondo ma con un fruscio di
foglie fin troppo evidente. Luna non si perse d’animo e, prendendo la bacchetta
sistemata dietro l’orecchio sinistro, pronunciò a bassissima voce, con un colpo
di polso: “ Lepus advola”.
All’improvviso una lepre comparve
magicamente dalla sua bacchetta, diretta a più non posso verso l’estremità
opposta della radura. Il Thestral che si stava
avvicinando perse attenzione per il loro cespuglio e si lanciò
all’inseguimento, facendo tirare a entrambi un sospiro di sollievo.
“Scusami…” le disse il ragazzo con
tono basso.
Luna non lo sentì quasi, facendo un
altro balzo verso il penultimo cespuglio. Dopo qualche minuto i due erano
giunti a destinazione, proprio dietro la famigliola di Thestral
che nel frattempo si era messa comodamente a sedere al centro della radura,
ignara della loro presenza.
Luna osservò il Serpeverde
tirare fuori il blocco da disegno ed il carboncino. Osservando da vicino lo
schizzo che il ragazzo stava buttando giù, Luna rimase colpita dalla sua
abilità con la matita. Anche lei non se la cavava male ma il ragazzo era un
talento nato. Ogni tanto ne leccava la lunghezza, stringendo lentamente gli
occhi per poi rimettersi a disegnare. Nel
giro di una decina di minuti l’intera scena aveva preso forma con un dettaglio
impressionante. Luna squadrò meglio il volto del ragazzo. Non l’aveva mai visto
prima ma se il suo sesto senso non si sbagliava doveva essere di uno o due anni
più grande di lei; non sembrava far parte di vari gruppetti di bulletti che
ogni tanto le nascondevano le cose, vedendolo così da vicino sembrava un tipo
solitario.
“Fatto” disse piano il ragazzo
finendo di mettere gli ultimi tratti di ombreggiatura alla grande quercia sulla
destra della radura. Alzando lo sguardo vide gli occhi di Luna che lo
guardavano e le sue guance si colorarono nuovamente di un leggero color rosa.
Passandosi una mano nella folta chioma
di capelli mossi, parve ricomporsi e, accennando un sorriso, vedendo la collana
di foglie che la ragazza portava al collo, le disse:
“Bella, chi te l’ha….”
Non fece in tempo a finire la frase
che il rumore del fruscio d’ali di due gufi irruppe nella radura con i loro
versi tipici. Rilevando l’intrusione, i Thestral si
dispersero rapidamente addentrandosi maggiormente nella foresta e scomparendo
alla vista.
Luna vide i due pennuti fare un
largo giro di perlustrazione per poi puntare sul loro cespuglio, facendo cadere
loro addosso due buste abbastanza pesanti prima di tornare da dove erano
venuti, probabilmente la voliera del castello.
Fu il ragazzo il primo a rimettersi
in piedi ed osservare meglio il plico. “Che strano, dev’essere una consegna
speciale, e dal Ministero della Magia per giunta.” esclamò con stupore
guardando il sigillo di ceralacca inciso sul retro. Luna prese fra le mani la
sua con aria dubbiosa.
“Theodore Nott”
disse la voce del ragazzo all’improvviso, facendole distogliere lo sguardo. Il
giovane Serpeverde le stava porgendo la mano con un
sorriso appena accennato.
Luna si stupì della formalità del
ragazzo, ma non disse nulla. Osservò la sua mano per un attimo prima di
prenderla; aveva una mano che era il doppio della sua quasi, osservò la ragazza,
mentre gliela stringeva con singolare delicatezza.
“Luna Lovegood” le rispose con gli
occhi bulbosi ancora più in fuori del normale. Una strana sensazione di
formicolio allo stomaco si era impadronita di lei.
Theodore, lasciandole andare la
mano, spezzò il sigillo aprendo la busta, tirandone fuori una decina di fogli.
I grandi caratteri che decoravano l’intestazione del primo foglio fecero
aggrottare la fronte ad entrambi.
“Sono….” cominciò Theodore
“…Guai” concluse Luna.
Note dell’autore. Ecco qua la prima
parte di un lungo capitolo. Stavolta ho preferito dividerlo per facilità di
lettura e anche per separare meglio le parti relative ai vari personaggi. Su
Theodore Nott l’ho praticamente creato da zero, spero
vi piaccia. Le uniformi di Hagwarts in questa continuity hanno un cappuccio sul retro, bordato con i
colori della casa di appartenenza. Il cappello da mago/strega viene usato solo
quando fa freddo o in occasioni formali.