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Autore: Il Professor What    20/04/2018    1 recensioni
Il Dottore, come sappiamo, viaggia nel tempo e nello spazio, a bordo della sua macchina e con i suoi compagni. La serie e gli altri media ci hanno fatto vedere che, occasionalmente, il nostro Signore del Tempo preferito ha visitato anche il nostro paese. Ma se ci fossero state altre avventure, che la serie non ci ha mostrato?
Questa è la prima di tredici storie dove il Dottore interagisce con la storia del nostro paese. Nell'abbazia di San Gaudenzio, 1302, Dante Alighieri e i Guelfi Bianchi si sono riuniti per cercare di tornare a Firenze. Un misterioso Monaco promette loro una sicura vittoria, con l'aiuto di qualche arma strana. Dante si oppone strenuamente, ed è appoggiato dal Primo Dottore e dal suo compagno, Steven Taylor, che quel Monaco lo conoscono bene...
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 1
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Doctor Who: The Italian Adventures'
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7. Part 6

Ma buongiorno a tutti e ben ritrovati, e complimenti a me per essere per la prima volta puntuale negli aggiornamenti! (coro da stadio) Sì, sì, lo so, è stato difficile, ma prometto di fare meglio in futuro. 
Bene, signori, come preannunciato, questo è l'ultimo capitolo della prima avventura italiana del nostro Dottore. Ringrazio già in anticipo chi ha messo la storia fra le preferite, chi ha recensito (soprattutto Alessia, sei la migliore!), e chi l'ha inserita fra le seguite. Mi auguro accoglierete anche le prossime dodici con un simile entusiasmo. 
Non perdiamo quindi altro tempo e andiamo al gran finale! 

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“Ah, amico mio” disse il Monaco, girando intorno alla gabbia del Dottore. “Ma sul serio dobbiamo incontrarci ogni volta in questo modo? Dì la verità, ti stai vendicando per qualche scherzo all’Accademia, vero?”

“Vedo che la tua limitata capacità di intendere non è migliorata con gli anni, Mortimus” replicò freddamente il Dottore. “Davvero ti ostini a non capire la pericolosità delle tue azioni?”

“Io sto solo aiutando l’umanità ad evolversi nella direzione di un fulgido destino!”

“Tentando di assassinare uno dei più grandi poeti del mondo?”

“Naah, quello era un bluff” sbuffò il Monaco, agitando impaziente una mano. “Contavo sul fatto che Scarpetta sarebbe stato così disperato da accettare perfino il mio aiuto. Non avrei mai permesso che Dante morisse: uno dei più grandi poeti dell’umanità!”

“Parole di grande elogio, gliele riferirò quando esco da qui.”

“Ah, sempre il tipo pieno di speranza, eh, Theta? O dovrei dire ostinazione? Davvero, amico mio, ti ammiro molto per questo.”

“La pianti di chiamarmi amico, ti spiace?” urlò il Dottore. “Io e te non siamo più amici da molto tempo, e anche prima non mi pare avessimo questo grande rapporto.”

“Theta, così mi ferisci” si lamentò il Monaco, portandosi una mano al cuore. “E dire che ero pronto a perdonarti il fatto che mi hai abbandonato su quel maledetto pianeta di ghiaccio.”

“Molto generoso da parte tua.”

“Sì, alla fine ho concluso che non avrei mai dovuto cercare vendetta per quell’affare dei Vichinghi, dopotutto non è stato niente di grave. Dì quello che vuoi, Theta, ma ancora non sono divenuto ubriaco di potere, o di guerra, o di morte, come Koschei o Magnus. A proposito, sai che sono scappati entrambi anche loro, vero? Pare che alla fine, in un modo o in un altro, noi dieci stiamo tutti mettendo in pratica il nostro sogno.”

“E forse non dovremmo” commentò il Dottore, in tono serio. “Che diritto abbiamo di intervenire nella storia di altre razze, o pianeti?”

“Diritto?” esclamò Mortimus, alzandosi in piedi come una molla. “E proprio tu lo dici, Theta? Tu, che sei stato il primo a scappare? Tu, che eri il nostro capo? Noi abbiamo una responsabilità! Per quale motivo non dovremmo mettere a disposizione le nostre conoscenze?”

“E traumatizzare il corso della storia, causando paradossi che non saranno sanati mai! Ogni specie ha il diritto di vivere la propria evoluzione nella sua maniera! È lo stesso motivo per cui mi sono sempre opposto che noi fossimo portati da bambini di fronte allo Scisma: come puoi sottoporre chi non è pronto a una cosa del genere? Finirebbe per impazzire!”

“Stai forse alludendo a me, Theta?” sogghignò il Monaco. “Hai sempre pensato che io fossi pazzo. Ma un pazzo può forse pensare bene a quello che fa, come io ho fatto? Pensaci, Theta: noi potremmo lavorare assieme, guidare l’umanità verso un destino più grande. Con il nostro aiuto, Colombo potrà viaggiare nello spazio, altro che sull’oceano, e Fermi non scoprirà semplicemente la radio, inventerà il teletrasporto!”

“E tu ci pensi a tutto a cosa significa mettere in mano a degli ingenui una conoscenza che non possono capire? Chi ti dice che questo davvero migliorerà le cose? Ho viaggiato nella storia umana, ho visto di cosa sono capaci gli uomini, e sì, anch’io ne ho ammirato la grandezza, ma ne ho visto anche la capacità distruttiva!”

“Ma noi li guideremmo!”

“E toglieremmo loro la libertà di sbagliare, e una specie che non commette errori non si evolverà mai!”

Il suono della campana del convento rimbombò nella sala di controllo del TARDIS, interrompendo la discussione: otto rintocchi, lenti e regolari, riempirono le pareti della stanza.

“Mi spiace davvero interrompere, Theta” disse allora il Monaco, “ma il dovere mi chiama. Fra un’ora gli uomini di Bastiera inizieranno ad assalire l’abbazia con le armi che ho loro dato, e prima che lo facciano, io mi devo presentare là dicendo di essere stato aggredito, e che mi hanno rubato alcuni dei miei fucili. Mi darò un colpo in testa prima, così da essere credibile – un po’ di sangue fa sempre effetto sulle menti umane” continuò a spiegare, mentre si avvicinava alla console e pigiava un paio di tasti per avviare lo scanner. “Giusto il tempo di controllare se là fuori è tutto in ordine, e…”

Il sorriso si congelò sul volto del Monaco quando nessuna immagine riempì lo schermo. Incredulo, tornò a premere tasti, pensando si trattasse di un problema tecnico, ma niente: lo schermo continuò a essere grigio, come il ferro, e altrettanto impenetrabile.

***

Un’ora prima

“È quasi l’ora” mormorò Steven, dando una fuggevole occhiata all’orologio da polso nascosto sotto il mantello. “Io inizio a scendere” annunciò a Dante. Il poeta, seduto al suo tavolo, annuì, e ordinò a Lapo di stare presso la porta, e dirgli quando Steven sarebbe uscito dall’abbazia. “Buona fortuna, messer Sarti” aggiunse poi, mentre Steven usciva. Il pilota si voltò indietro e annuì brevemente nella sua direzione, prima di scendere nel cortile dove Scarpetta e Bastiera avevano radunato i loro uomini, e li stavano schierando come linea di difesa attorno al cortile. Cautamente, Steven si infilò in mezzo agli uomini di Scarpetta, gli stessi che quel pomeriggio l’avevano aiutato a seppellire i fumogeni tutt’intorno all’abbazia, e si fece strada, nascosto tra loro, fino al portone ancora aperto per accogliere i monaci di ritorno dall’accampamento di Bastiera.

“È arrivato, messere” disse Lapo a Dante, rientrando brevemente nella stanza. Annuendo, il poeta afferrò la misteriosa bacchetta metallica affidatagli dal Dottore – un “cacciavite sonico”, l’aveva chiamato. Rapidamente, il poeta ricordò le istruzioni dategli: premere il pulsante rosso, quello poco sotto la cima, non appena i monaci fossero rientrati. Se tutto fosse andato come previsto, nello stesso istante Steven sarebbe uscito dal cancello, iniziando a farsi strada fino al campo di Bastiera.

I monaci arrivarono, e le guardie, uomini fidati di Scarpetta Ordelaffi, li lasciarono passare. Quando anche l’ultimo fu entrato, Steven velocemente attraversò il portone, lanciandosi verso la foresta. Il sole ormai calava in fretta, e il pilota sapeva che aveva relativamente poco tempo per raggiungere l’accampamento prima che i fumogeni iniziassero a fare il proprio lavoro. Li aveva installati lui personalmente quel pomeriggio, con l’aiuto degli uomini di Scarpetta, ufficialmente inviati per un’altra ricognizione nei dintorni. Sotto la sua guida, Steven li aveva piazzati su tre file di quattro ordigni ciascuno, così che il loro effetto coprisse tutta la parte di bosco fra l’abbazia e il campo di Bastiera.

Un sibilo alla sua destra gli annunciò che Dante aveva rispettato il programma: i fumogeni erano stati messi in funzione. Ben presto, nella foresta sarebbe stato impossibile vedere qualsiasi cosa: quelli erano fumogeni pensati apposta per la Terza Guerra dei Dalek, il loro fumo era stato geneticamente programmato per danneggiare i sensori ottici di quei robot. Trattenendo il fiato, Steven prese a correre, tirando fuori la pistola che il Dottore gli aveva fatto recapitare dal TARDIS: non c’era tempo da perdere.

***

“Ho l’impressione che l’attacco dovrà essere rinviato” commentò il Dottore sorridendo sarcastico. “Messer Bastiera non può mandare i suoi uomini a combattere alla cieca, vero?”

“Oh, andiamo,” domandò il Monaco. “Credi davvero che basti questo a fermarci? Mi basta fare una breve analisi” disse premendo un altro pulsante “e presto saprò di cosa si tratta. Poi, prenderò provvedimenti.”

Tre colpi alla porta del TARDIS interruppero il Monaco, mentre la voce di un uomo, al di fuori, urlava che Bastiera dei Tosinghi gli domandava spiegazioni su quello che stava succedendo. Sbuffando, il Monaco si diresse alla porta, che aprì leggermente per rispondere: aveva appena messo fuori la testa, però, che si ritrovò spinto di nuovo dentro con la forza.

“Buonasera” sogghignò Steven, entrando. “Mi scusi questa entrata brusca, padre, ma le notti sono abbastanza rigide, in questo periodo.”

“Ottimo lavoro, ragazzo mio, ottimo lavoro” applaudì il Dottore, all’interno della gabbia. “Monaco, ti spiace disattivare le sbarre? Steven è infreddolito, e temo che la sua presa sul grilletto potrebbe non essere salda come al solito.”

“Ma per favore!” esclamò il Monaco. “Come se davvero tu, o uno dei tuoi compagni, foste capaci di commettere un omicidio! Andiamo, Theta, non ti aspett… No, no, fermo!” urlò quando vide Steven alzare la pistola verso i comandi.

“Hai ragione, non commetteremmo mai un omicidio a sangue freddo” continuò il Dottore, in tono calmo. “Ma danneggiare il tuo TARDIS? Oh, di quello ne siamo capaci.”

“Siete pazzi?” esclamò il Monaco, impaurito. “Se… se lui spara lì, il TARDIS potrebbe partire senza alcun controllo! Saremmo tutti persi nello spazio e nel tempo!”

“Allora ti consiglio di impedirgli di farlo e farmi uscire, così stiamo tutti più tranquilli” affermò il Dottore mentre Steven aggiustava la mira. Al che, il Monaco, ormai del tutto terrorizzato, si alzò in piedi e, in fretta, corse verso la console. Premette due tasti, e le sbarre laser della gabbia sparirono, rilasciando il Dottore.

“Mille grazie. Ora, Steven, ti spiace fare accomodare il nostro amico da qualche parte mentre io vedo di sistemare un po’ di cose?”

Annuendo, Steven afferrò il Monaco per la tonaca e lo costrinse a sedersi, mentre il Dottore, toltasi la tonaca, iniziava ad armeggiare sul quadro dei comandi. In silenzio, il Monaco osservò impotente il collega, e un tempo amico, che premeva pulsanti e tirava leve, pericolosamente vicino alla zona delle coordinate. Lo stava per mandare da qualche altra parte, lo sapeva, in qualche angolo sperduto dell’universo, dove avrebbe dovuto ricominciare di nuovo tutto da capo. Che fosse maledetto!

“Ecco qui” disse il Dottore. “Coordinate impostate, e partenza impostata. Mortimus, ti consiglio di prepararti, dovrai essere nella tua forma migliore per il Consiglio.”

“Il cosa?” esclamò il Monaco, capendo. “Mi stai rimandando su Gallifrey?”

“Esattamente. Visto che imprigionarti su mondi sconosciuti a quanto pare non serve, tanto vale che ti affidi direttamente alle mani del nostro popolo. Il vecchio Borusa saprà cosa fare con te.”

“N-non puoi farlo” balbettò il Monaco. “Sarò considerato un traditore… Mi imprigioneranno!”

“Questo non è affare mio. Andiamo, Steven, qui abbiamo finito” disse il Dottore, facendo cenno al suo compagno di precederlo fuori. Avevano fatto solo pochi passi, però, quando un soldato di Bastiera, con un fucile in mano, entrò nel TARDIS, le cui porte il Dottore aveva lasciato aperte. Tutto accadde in un attimo: il soldato, vedendoli, prese la mira, Steven velocemente abbassò la pistola e gli si buttò addosso, il soldato inciampò e il colpo di fucile partì, andando a colpire proprio la colonna di vetro al centro della console.

“Oh, per la miseria!” urlò il Dottore, spaventato, mentre sul tubo di vetro iniziavano a comparire delle crepe. Il colpo aveva danneggiato l’unità di contenimento delle onde Huon, compromettendo le norme di sicurezza che permettevano all’energia di fluire tranquillamente nel motore. Con il vetro danneggiato, il tubo adesso non era forse più in grado di contenere l’energia. “Presto, Steven! Fuori di qui!” urlò il Dottore, spingendo il compagno verso l’uscita. Il Monaco, però, si alzò in piedi e corse alla console, premendo il pulsante per chiudere le porte in faccia al Dottore e a Steven.

“Voi venite a Gallifrey con me!” esclamò il Monaco.

“Lo vedremo!” rispose Steven, buttandosi sul Monaco e allontanandolo dai comandi. Veloce, il Dottore tornò alla console e premette di nuovo il pulsante di apertura delle porte, precipitandosi poi di corsa verso l’uscita. Sul punto di uscire, però, si ricordò del soldato di Bastiera lì disteso, e tornò indietro, cercando di sollevarlo.

“Steven! Una mano!” urlò il Dottore al compagno, che stava ancora tenendo il Monaco impegnato. Steven, richiamato, lanciò il Monaco contro la parete, con abbastanza forza da tramortirlo (sperava), e si affrettò a raggiungerlo per sollevare l’uomo. Proprio in quel momento, però, il TARDIS iniziò a boccheggiare, sotto l’effetto combinato del passaggio dell’energia Huon nel tubo di contenimento e delle porte aperte. Il Dottore barcollò e cadde, così come Steven, che però riuscì quantomeno a cadere contro le porte del TARDIS, aggrappandosi ad esse. Tenendosi stretto con un braccio, Steven fece forza e rotolò sull’altro fianco, quello esterno, e usando tutte le proprie energie, spinse fuori la guardia. Liberi dal peso, Steven e il Dottore furono capaci di prodursi in un ultimo sforzo e infine saltare fuori, un attimo prima che il TARDIS del Monaco iniziasse, gemendo e boccheggiando, il processo di dematerializzazione. Senza aspettare di vedere cosa sarebbe successo al Monaco, il Dottore e Steven corsero via, sorreggendo la guardia, dall’innaturale luce dorata che si allargava alle loro spalle.

I difensori dell’abbazia, da lontano, videro una colonna di luce alzarsi verso il cielo. Dalla sua stanza, Dante si fece il segno della croce. Bastiera e Scarpetta si guardarono negli occhi, indecisi e impauriti, e riconobbero velocemente che nessuno dei due si aspettava questo sviluppo. Pertanto, entrambi trattennero i propri uomini dall’uscire, o dall’agire in qualsiasi modo.

Dentro il TARDIS, l’energia sibilava e sfrigolava, danneggiando le pareti e i comandi, mentre viaggiava nel flusso spaziotemporale. Pezzi sempre più grossi di apparecchiatura si staccavano, cadendo a terra, e si spezzavano sul pavimento del TARDIS. Ancora incosciente, il Monaco venne colpito da alcuni di questi pezzi, oltre a essere sballottato di qua e di là dai movimenti bruschi della macchina. Dopo un colpo particolarmente forte, la sua mano prese a brillare, ma prima che la rigenerazione potesse cominciare, la macchina improvvisamente si fermò. Le porte si aprirono, lasciando entrare un’alta figura femminile, che prese ad avvicinarsi al Signore del Tempo svenuto.

***

“No, non credo sia morto” disse il Dottore, qualche ora più tardi, seduto di fronte a una coppa di vino nella stanza di Dante, assieme al poeta, Steven, Scarpetta e Lapo. “Il TARDIS è comunque riuscito a partire, quindi qualsiasi danno ha sostenuto è avvenuto al di fuori del flusso temporale. Credo che, alla fine, si ritroverà di nuovo scaraventato in qualche punto nello spazio e nel tempo.”

“Quindi dobbiamo aspettarci di rivederlo ancora?” sbuffò Steven, seduto a gambe incrociate vicino alla porta.

“Sì, ragazzo mio, è una possibilità” ammise il Dottore. “Speravo di rimandarlo sul nostro pianeta a essere processato, ma purtroppo temo che, con un TARDIS in quello stato, difficilmente ci arriverà.”

“Comunque sia, la dobbiamo ringraziare, Dottore” disse Dante, entrando nella conversazione. “Io personalmente per avermi salvato la vita, e tutti noi per averci impedito di fare un errore colossale.”

“Non molti saranno d’accordo con l’ultima frase” aggiunse Scarpetta. “Specialmente non Bastiera. Quando ha saputo che il Monaco era scomparso, ha subito iniziato a dire che la responsabilità era vostra, che eravate mandati dai Neri o roba del genere per sabotarci. Ovviamente io gli ho imposto di calmarsi, ma non è scontato che, ancora una volta, la sua posizione trovi sostenitori. Dopotutto, ora che il Monaco se ne è andato, gli Ubaldini hanno ritirato la loro offerta di alleanza una volta per tutte.”

“E con ciò?” rispose Dante. “L’ho detto più di una volta: piuttosto che tornare a Firenze in modo indegno o disonorevole, preferisco non tornare affatto. Troveremo un’altra via, Ordelaffi, non si preoccupi.”

“Avete tutti i miei auguri” disse il Dottore. “E ora”, aggiunse alzandosi dalla sedia, “penso sia il caso che anche io e Steven riprendiamo la nostra strada.”

“Siete sicuri?” domandò Dante. “A me e a messer Ordelaffi farebbe molto piacere se veniste con noi a Forlì per un po’ di tempo. Mi piacerebbe leggerle altre parti del mio poema, mi è sembrato che le apprezzasse.”

“E così è, messere, ma mi permetto di insistere: temo sia proprio il caso che andiamo.”

“Almeno accettate un segno della nostra gratitudine e riconoscenza, un nostro ricordo…” intervenne Scarpetta.

“Quello sì, volentieri” disse il Dottore, giulivo. “Messer Alighieri, non avrebbe per caso un biglietto da visita, o qualcosa con il suo nome sopra? Perdoni le eccentricità di un vecchio, ma tendo a fare la collezione di autografi delle personalità che incontro.”

“Non si preoccupi, glielo stendo subito” sorrise Dante, prendendo la penna e un pezzo di pergamena. “Ecco qua” disse, dopo cinque minuti. “E grazie ancora di tutto, Dottore.”

“Grazie a lei, messer Alighieri” rispose il Dottore, stringendogli la mano. “I versi che mi ha recitato l’altra sera hanno significato per me. Lei è davvero un grande poeta. Accetti un consiglio e inizi a lavorare a quel poema, il più presto possibile, prima che l’ispirazione svanisca.”

“Lo farò” fu la risposta di Dante. “E lei, Dottore, si ricordi quello che le ho detto a proposito di Ulisse: cercare la conoscenza è giusto, ma solo se essa serve per un progresso effettivo.”

“Può stare certo che ne farò tesoro” sorrise il Dottore.

***

“Torneranno mai a Firenze?” domandò Steven, quando furono ormai in vista del TARDIS, e la scorta armata loro assegnata da Scarpetta Ordelaffi si fu allontanata.

“No, purtroppo” sospirò il Dottore, aprendo la porta ed entrando nella console. “Messer Alighieri morirà a circa vent’anni dopo questa data, a Ravenna, senza essere mai rientrato in città.”

“Mi dispiace per lui.”

“Già, è triste, ma d’altra parte, ragazzo mio, è proprio da quest’esperienza dell’esilio che troverà la forza per scrivere il suo poema. Chissà, magari se non fosse stato esiliato non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe vissuto giorno per giorno, con il sogno del poema, senza mai scrivere una riga, e alla fine si sarebbe portato nella tomba il rimpianto per la grande opera che non ha mai compiuto.”

Mi ricorda qualcuno, sorrise il TARDIS tramite il legame telepatico, strappando un sorriso al vecchio Signore del Tempo.

“Certo, non è facile. Significa abbandonare tutto, persino gli affetti più cari a volte, e prepararsi a settimane, mesi, anni di fatica e dolore. Ma in fondo, così nasce ogni grande opera ed esperienza: è nel dolore che nasce la bellezza.”

“Le va di fare il filosofo oggi?” commentò Steven ridendo.

“Be’, cosa vuoi, ragazzo mio… Ho seguito una lezione di Platone all’Accademia una volta, e proprio sulla dialettica. Ne ho discusso a lungo con lui dopo, è stato un confronto interessante. Mi ha lasciato una certa… propensione al monologo. Ma hai ragione, basta parlare: vediamo di ripartire, eh, che ne dici?”

Steven annuì, e le mani del Signore del Tempo iniziarono di nuovo a scorrere sulla console del TARDIS, di nuovo animate dalla forza e dall’energia di quando erano partiti. La macchina del tempo rispose vibrando di contentezza, pronta a un nuovo viaggio, a una nuova avventura. Alzando lo sguardo, il Dottore si vide riflesso nel tubo di contenimento della console, i suoi occhi nuovamente brillanti per l’entusiasmo, le rughe meno evidenti, e un’aria più giovane del solito che lo faceva scintillare come se si stesse rigenerando per la prima volta. “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” mormorò fra sé, preparandosi a ricominciare il viaggio, eccitato al pensiero delle meraviglie che avrebbe incontrato.

NOTE DELL'AUTORE

- Mortimus è, stando ad alcuni romanzi, il vero nome del Monaco, così come Koschei e Magnus sarebbero rispettivamente i veri nomi del Maestro e del Comandante (War Chief), un altro Signore del Tempo rinnegato che appare nell'ultimo serial del Secondo Dottore, "The War Games". Sempre nei romanzi, viene detto che, nell'Accademia dei Signori del Tempo, il Dottore e questi bei soggetti facevano parte della Decina (Deca), un gruppo di dieci giovani Signori del Tempo che criticavano la politica di non interferenza di Gallifrey.
- La Terza Guerra dei Dalek è un terzo conflitto fra l'umanità e le citate creature, ed è un evento storico menzionato nella novelisation del primo serial contenente il personaggio di Steven. Durante questo conflitto, Steven viene dirottato su Mechanus, il pianeta su cui resta prigioniero fino all'incontro con il Dottore, Ian, Barbara e Vicki nella serie tv.
- Borusa è uno dei Signori del Tempo più importanti nella storia della serie, e in quella personale del Dottore, di cui è stato insegnante all'Accademia. Sarà anche Cancelliere, Lord Presidente e Cardinale a Gallifrey, prima di diventare villain nella storia The Five Doctors, dove ben quattro incarnazioni del Dottore (Uno, Due, Tre e Cinque - Quattro si vede in immagini di repertorio ma non compare, da qui il titolo) si riuniranno per sconfiggerlo.
- In un altro serial più tardi, The Two Doctors, il Sesto Dottore tirerà fuori dalla sua famigerata giacca multicolore una specie di quaderno, dove il Dottore ha collezionato i biglietti da visita di numerosi uomini celebri, fra cui - appunto - Dante Alighieri. Ho pensato sarebbe stato divertente spiegarne l'origine.
-  Anche se effettivamente sia Quattro sia Undici avranno occasione di incontrare il filosofo in audiodrammi e fumetti, che Uno abbia incontrato Platone discutendo con lui di dialettica è invenzione mia.

Bene, e direi che con questo ho detto tutto. E' stata una gran bella prima tappa di questo viaggio nel TARDIS attraverso la storia d'Italia. Ringrazio ancora tutti quelli che ci hanno accompagnato, e vi dò appuntamento fra dieci giorni con la prossima avventura, con protagonisti il Secondo Dottore, Jamie McCrimmon e Zoe Heriot, dal titolo: "C'era una volta un pezzo di legno".

  
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