Ma
buongiorno a tutti e ben ritrovati, e complimenti a me per essere per
la prima volta puntuale negli aggiornamenti! (coro da stadio)
Sì, sì, lo so, è stato difficile, ma prometto di
fare meglio in futuro.
Bene, signori, come preannunciato, questo è l'ultimo capitolo
della prima avventura italiana del nostro Dottore. Ringrazio già
in anticipo chi ha messo la storia fra le preferite, chi ha recensito
(soprattutto Alessia, sei la migliore!), e chi l'ha inserita fra le
seguite. Mi auguro accoglierete anche le prossime dodici con un simile
entusiasmo.
Non perdiamo quindi altro tempo e andiamo al gran finale!
“Ah, amico mio” disse il
Monaco, girando intorno alla gabbia del Dottore. “Ma sul serio dobbiamo
incontrarci ogni volta in questo modo? Dì la verità, ti stai vendicando per
qualche scherzo all’Accademia, vero?”
“Vedo che la tua limitata
capacità di intendere non è migliorata con gli anni, Mortimus” replicò
freddamente il Dottore. “Davvero ti ostini a non capire la pericolosità delle
tue azioni?”
“Io sto solo aiutando
l’umanità ad evolversi nella direzione di un fulgido destino!”
“Tentando di assassinare
uno dei più grandi poeti del mondo?”
“Naah, quello era un
bluff” sbuffò il Monaco, agitando impaziente una mano. “Contavo sul fatto che
Scarpetta sarebbe stato così disperato da accettare perfino il mio aiuto. Non
avrei mai permesso che Dante morisse: uno dei più grandi poeti dell’umanità!”
“Parole di grande elogio,
gliele riferirò quando esco da qui.”
“Ah, sempre il tipo pieno
di speranza, eh, Theta? O dovrei dire ostinazione? Davvero, amico mio, ti
ammiro molto per questo.”
“La pianti di chiamarmi
amico, ti spiace?” urlò il Dottore. “Io e te non siamo più amici da molto
tempo, e anche prima non mi pare avessimo questo grande rapporto.”
“Theta, così mi ferisci”
si lamentò il Monaco, portandosi una mano al cuore. “E dire che ero pronto a
perdonarti il fatto che mi hai abbandonato su quel maledetto pianeta di
ghiaccio.”
“Molto generoso da parte
tua.”
“Sì, alla fine ho
concluso che non avrei mai dovuto cercare vendetta per quell’affare dei Vichinghi,
dopotutto non è stato niente di grave. Dì quello che vuoi, Theta, ma ancora non
sono divenuto ubriaco di potere, o di guerra, o di morte, come Koschei o
Magnus. A proposito, sai che sono scappati entrambi anche loro, vero? Pare che
alla fine, in un modo o in un altro, noi dieci stiamo tutti mettendo in pratica
il nostro sogno.”
“E forse non dovremmo”
commentò il Dottore, in tono serio. “Che diritto abbiamo di intervenire nella
storia di altre razze, o pianeti?”
“Diritto?” esclamò
Mortimus, alzandosi in piedi come una molla. “E proprio tu lo dici, Theta? Tu,
che sei stato il primo a scappare? Tu, che eri il nostro capo? Noi abbiamo una
responsabilità! Per quale motivo non dovremmo mettere a disposizione le nostre
conoscenze?”
“E traumatizzare il corso
della storia, causando paradossi che non saranno sanati mai! Ogni specie ha il
diritto di vivere la propria evoluzione nella sua maniera! È lo stesso motivo
per cui mi sono sempre opposto che noi fossimo portati da bambini di fronte
allo Scisma: come puoi sottoporre chi non è pronto a una cosa del genere?
Finirebbe per impazzire!”
“Stai forse alludendo a
me, Theta?” sogghignò il Monaco. “Hai sempre pensato che io fossi pazzo. Ma un
pazzo può forse pensare bene a quello che fa, come io ho fatto? Pensaci, Theta:
noi potremmo lavorare assieme, guidare l’umanità verso un destino più grande.
Con il nostro aiuto, Colombo potrà viaggiare nello spazio, altro che
sull’oceano, e Fermi non scoprirà semplicemente la radio, inventerà il
teletrasporto!”
“E tu ci pensi a tutto a
cosa significa mettere in mano a degli ingenui una conoscenza che non possono
capire? Chi ti dice che questo davvero migliorerà le cose? Ho viaggiato nella
storia umana, ho visto di cosa sono capaci gli uomini, e sì, anch’io ne ho
ammirato la grandezza, ma ne ho visto anche la capacità distruttiva!”
“Ma noi li guideremmo!”
“E toglieremmo loro la
libertà di sbagliare, e una specie che non commette errori non si evolverà mai!”
Il suono della campana
del convento rimbombò nella sala di controllo del TARDIS, interrompendo la
discussione: otto rintocchi, lenti e regolari, riempirono le pareti della stanza.
“Mi spiace davvero interrompere,
Theta” disse allora il Monaco, “ma il dovere mi chiama. Fra un’ora gli uomini
di Bastiera inizieranno ad assalire l’abbazia con le armi che ho loro dato, e
prima che lo facciano, io mi devo presentare là dicendo di essere stato
aggredito, e che mi hanno rubato alcuni dei miei fucili. Mi darò un colpo in
testa prima, così da essere credibile – un po’ di sangue fa sempre effetto
sulle menti umane” continuò a spiegare, mentre si avvicinava alla console e
pigiava un paio di tasti per avviare lo scanner. “Giusto il tempo di
controllare se là fuori è tutto in ordine, e…”
Il sorriso si congelò sul
volto del Monaco quando nessuna immagine riempì lo schermo. Incredulo, tornò a premere
tasti, pensando si trattasse di un problema tecnico, ma niente: lo schermo
continuò a essere grigio, come il ferro, e altrettanto impenetrabile.
***
Un’ora prima
“È quasi l’ora” mormorò
Steven, dando una fuggevole occhiata all’orologio da polso nascosto sotto il
mantello. “Io inizio a scendere” annunciò a Dante. Il poeta, seduto al suo
tavolo, annuì, e ordinò a Lapo di stare presso la porta, e dirgli quando Steven
sarebbe uscito dall’abbazia. “Buona fortuna, messer Sarti” aggiunse poi, mentre
Steven usciva. Il pilota si voltò indietro e annuì brevemente nella sua
direzione, prima di scendere nel cortile dove Scarpetta e Bastiera avevano
radunato i loro uomini, e li stavano schierando come linea di difesa attorno al
cortile. Cautamente, Steven si infilò in mezzo agli uomini di Scarpetta, gli
stessi che quel pomeriggio l’avevano aiutato a seppellire i fumogeni
tutt’intorno all’abbazia, e si fece strada, nascosto tra loro, fino al portone ancora
aperto per accogliere i monaci di ritorno dall’accampamento di Bastiera.
“È arrivato, messere”
disse Lapo a Dante, rientrando brevemente nella stanza. Annuendo, il poeta
afferrò la misteriosa bacchetta metallica affidatagli dal Dottore – un
“cacciavite sonico”, l’aveva chiamato. Rapidamente, il poeta ricordò le
istruzioni dategli: premere il pulsante rosso, quello poco sotto la cima, non
appena i monaci fossero rientrati. Se tutto fosse andato come previsto, nello
stesso istante Steven sarebbe uscito dal cancello, iniziando a farsi strada
fino al campo di Bastiera.
I monaci arrivarono, e le
guardie, uomini fidati di Scarpetta Ordelaffi, li lasciarono passare. Quando
anche l’ultimo fu entrato, Steven velocemente attraversò il portone,
lanciandosi verso la foresta. Il sole ormai calava in fretta, e il pilota
sapeva che aveva relativamente poco tempo per raggiungere l’accampamento prima
che i fumogeni iniziassero a fare il proprio lavoro. Li aveva installati lui
personalmente quel pomeriggio, con l’aiuto degli uomini di Scarpetta,
ufficialmente inviati per un’altra ricognizione nei dintorni. Sotto la sua
guida, Steven li aveva piazzati su tre file di quattro ordigni ciascuno, così
che il loro effetto coprisse tutta la parte di bosco fra l’abbazia e il campo
di Bastiera.
Un sibilo alla sua destra
gli annunciò che Dante aveva rispettato il programma: i fumogeni erano stati
messi in funzione. Ben presto, nella foresta sarebbe stato impossibile vedere
qualsiasi cosa: quelli erano fumogeni pensati apposta per la Terza Guerra dei
Dalek, il loro fumo era stato geneticamente programmato per danneggiare i
sensori ottici di quei robot. Trattenendo il fiato, Steven prese a correre,
tirando fuori la pistola che il Dottore gli aveva fatto recapitare dal TARDIS: non
c’era tempo da perdere.
***
“Ho l’impressione che
l’attacco dovrà essere rinviato” commentò il Dottore sorridendo sarcastico. “Messer
Bastiera non può mandare i suoi uomini a combattere alla cieca, vero?”
“Oh, andiamo,” domandò il
Monaco. “Credi davvero che basti questo a fermarci? Mi basta fare una breve
analisi” disse premendo un altro pulsante “e presto saprò di cosa si tratta.
Poi, prenderò provvedimenti.”
Tre colpi alla porta del
TARDIS interruppero il Monaco, mentre la voce di un uomo, al di fuori, urlava
che Bastiera dei Tosinghi gli domandava spiegazioni su quello che stava
succedendo. Sbuffando, il Monaco si diresse alla porta, che aprì leggermente
per rispondere: aveva appena messo fuori la testa, però, che si ritrovò spinto
di nuovo dentro con la forza.
“Buonasera” sogghignò
Steven, entrando. “Mi scusi questa entrata brusca, padre, ma le notti sono
abbastanza rigide, in questo periodo.”
“Ottimo lavoro, ragazzo
mio, ottimo lavoro” applaudì il Dottore, all’interno della gabbia. “Monaco, ti
spiace disattivare le sbarre? Steven è infreddolito, e temo che la sua presa
sul grilletto potrebbe non essere salda come al solito.”
“Ma per favore!” esclamò
il Monaco. “Come se davvero tu, o uno dei tuoi compagni, foste capaci di
commettere un omicidio! Andiamo, Theta, non ti aspett… No, no, fermo!” urlò
quando vide Steven alzare la pistola verso i comandi.
“Hai ragione, non commetteremmo
mai un omicidio a sangue freddo” continuò il Dottore, in tono calmo. “Ma
danneggiare il tuo TARDIS? Oh, di quello ne siamo capaci.”
“Siete pazzi?” esclamò il
Monaco, impaurito. “Se… se lui spara lì, il TARDIS potrebbe partire senza alcun
controllo! Saremmo tutti persi nello spazio e nel tempo!”
“Allora ti consiglio di
impedirgli di farlo e farmi uscire, così stiamo tutti più tranquilli” affermò il
Dottore mentre Steven aggiustava la mira. Al che, il Monaco, ormai del tutto
terrorizzato, si alzò in piedi e, in fretta, corse verso la console. Premette
due tasti, e le sbarre laser della gabbia sparirono, rilasciando il Dottore.
“Mille grazie. Ora, Steven,
ti spiace fare accomodare il nostro amico da qualche parte mentre io vedo di
sistemare un po’ di cose?”
Annuendo, Steven afferrò
il Monaco per la tonaca e lo costrinse a sedersi, mentre il Dottore, toltasi la
tonaca, iniziava ad armeggiare sul quadro dei comandi. In silenzio, il Monaco
osservò impotente il collega, e un tempo amico, che premeva pulsanti e tirava
leve, pericolosamente vicino alla zona delle coordinate. Lo stava per mandare
da qualche altra parte, lo sapeva, in qualche angolo sperduto dell’universo,
dove avrebbe dovuto ricominciare di nuovo tutto da capo. Che fosse maledetto!
“Ecco qui” disse il
Dottore. “Coordinate impostate, e partenza impostata. Mortimus, ti consiglio di
prepararti, dovrai essere nella tua forma migliore per il Consiglio.”
“Il cosa?” esclamò il Monaco, capendo. “Mi stai rimandando su
Gallifrey?”
“Esattamente. Visto che
imprigionarti su mondi sconosciuti a quanto pare non serve, tanto vale che ti
affidi direttamente alle mani del nostro popolo. Il vecchio Borusa saprà cosa
fare con te.”
“N-non puoi farlo”
balbettò il Monaco. “Sarò considerato un traditore… Mi imprigioneranno!”
“Questo non è affare mio.
Andiamo, Steven, qui abbiamo finito” disse il Dottore, facendo cenno al suo
compagno di precederlo fuori. Avevano fatto solo pochi passi, però, quando un
soldato di Bastiera, con un fucile in mano, entrò nel TARDIS, le cui porte il
Dottore aveva lasciato aperte. Tutto accadde in un attimo: il soldato,
vedendoli, prese la mira, Steven velocemente abbassò la pistola e gli si buttò
addosso, il soldato inciampò e il colpo di fucile partì, andando a colpire
proprio la colonna di vetro al centro della console.
“Oh, per la miseria!”
urlò il Dottore, spaventato, mentre sul tubo di vetro iniziavano a comparire
delle crepe. Il colpo aveva danneggiato l’unità di contenimento delle onde Huon,
compromettendo le norme di sicurezza che permettevano all’energia di fluire
tranquillamente nel motore. Con il vetro danneggiato, il tubo adesso non era forse
più in grado di contenere l’energia. “Presto, Steven! Fuori di qui!” urlò il
Dottore, spingendo il compagno verso l’uscita. Il Monaco, però, si alzò in
piedi e corse alla console, premendo il pulsante per chiudere le porte in
faccia al Dottore e a Steven.
“Voi venite a Gallifrey
con me!” esclamò il Monaco.
“Lo vedremo!” rispose
Steven, buttandosi sul Monaco e allontanandolo dai comandi. Veloce, il Dottore
tornò alla console e premette di nuovo il pulsante di apertura delle porte,
precipitandosi poi di corsa verso l’uscita. Sul punto di uscire, però, si ricordò
del soldato di Bastiera lì disteso, e tornò indietro, cercando di sollevarlo.
“Steven! Una mano!” urlò
il Dottore al compagno, che stava ancora tenendo il Monaco impegnato. Steven,
richiamato, lanciò il Monaco contro la parete, con abbastanza forza da
tramortirlo (sperava), e si affrettò a raggiungerlo per sollevare l’uomo. Proprio
in quel momento, però, il TARDIS iniziò a boccheggiare, sotto l’effetto
combinato del passaggio dell’energia Huon nel tubo di contenimento e delle porte
aperte. Il Dottore barcollò e cadde, così come Steven, che però riuscì
quantomeno a cadere contro le porte del TARDIS, aggrappandosi ad esse.
Tenendosi stretto con un braccio, Steven fece forza e rotolò sull’altro fianco,
quello esterno, e usando tutte le proprie energie, spinse fuori la guardia. Liberi
dal peso, Steven e il Dottore furono capaci di prodursi in un ultimo sforzo e infine
saltare fuori, un attimo prima che il TARDIS del Monaco iniziasse, gemendo e
boccheggiando, il processo di dematerializzazione. Senza aspettare di vedere
cosa sarebbe successo al Monaco, il Dottore e Steven corsero via, sorreggendo
la guardia, dall’innaturale luce dorata che si allargava alle loro spalle.
I difensori dell’abbazia,
da lontano, videro una colonna di luce alzarsi verso il cielo. Dalla sua
stanza, Dante si fece il segno della croce. Bastiera e Scarpetta si guardarono
negli occhi, indecisi e impauriti, e riconobbero velocemente che nessuno dei
due si aspettava questo sviluppo. Pertanto, entrambi trattennero i propri
uomini dall’uscire, o dall’agire in qualsiasi modo.
Dentro il TARDIS, l’energia
sibilava e sfrigolava, danneggiando le pareti e i comandi, mentre viaggiava nel
flusso spaziotemporale. Pezzi sempre più grossi di apparecchiatura si staccavano,
cadendo a terra, e si spezzavano sul pavimento del TARDIS. Ancora incosciente,
il Monaco venne colpito da alcuni di questi pezzi, oltre a essere sballottato
di qua e di là dai movimenti bruschi della macchina. Dopo un colpo particolarmente
forte, la sua mano prese a brillare, ma prima che la rigenerazione potesse
cominciare, la macchina improvvisamente si fermò. Le porte si aprirono, lasciando
entrare un’alta figura femminile, che prese ad avvicinarsi al Signore del Tempo
svenuto.
***
“No, non credo sia morto”
disse il Dottore, qualche ora più tardi, seduto di fronte a una coppa di vino
nella stanza di Dante, assieme al poeta, Steven, Scarpetta e Lapo. “Il TARDIS è
comunque riuscito a partire, quindi qualsiasi danno ha sostenuto è avvenuto al
di fuori del flusso temporale. Credo che, alla fine, si ritroverà di nuovo scaraventato
in qualche punto nello spazio e nel tempo.”
“Quindi dobbiamo
aspettarci di rivederlo ancora?” sbuffò Steven, seduto a gambe incrociate
vicino alla porta.
“Sì, ragazzo mio, è una
possibilità” ammise il Dottore. “Speravo di rimandarlo sul nostro pianeta a
essere processato, ma purtroppo temo che, con un TARDIS in quello stato,
difficilmente ci arriverà.”
“Comunque sia, la
dobbiamo ringraziare, Dottore” disse Dante, entrando nella conversazione. “Io
personalmente per avermi salvato la vita, e tutti noi per averci impedito di
fare un errore colossale.”
“Non molti saranno
d’accordo con l’ultima frase” aggiunse Scarpetta. “Specialmente non Bastiera. Quando
ha saputo che il Monaco era scomparso, ha subito iniziato a dire che la
responsabilità era vostra, che eravate mandati dai Neri o roba del genere per
sabotarci. Ovviamente io gli ho imposto di calmarsi, ma non è scontato che,
ancora una volta, la sua posizione trovi sostenitori. Dopotutto, ora che il
Monaco se ne è andato, gli Ubaldini hanno ritirato la loro offerta di alleanza
una volta per tutte.”
“E con ciò?” rispose
Dante. “L’ho detto più di una volta: piuttosto che tornare a Firenze in modo
indegno o disonorevole, preferisco non tornare affatto. Troveremo un’altra via,
Ordelaffi, non si preoccupi.”
“Avete tutti i miei
auguri” disse il Dottore. “E ora”, aggiunse alzandosi dalla sedia, “penso sia
il caso che anche io e Steven riprendiamo la nostra strada.”
“Siete sicuri?” domandò
Dante. “A me e a messer Ordelaffi farebbe molto piacere se veniste con noi a
Forlì per un po’ di tempo. Mi piacerebbe leggerle altre parti del mio poema, mi
è sembrato che le apprezzasse.”
“E così è, messere, ma mi
permetto di insistere: temo sia proprio il caso che andiamo.”
“Almeno accettate un
segno della nostra gratitudine e riconoscenza, un nostro ricordo…” intervenne
Scarpetta.
“Quello sì, volentieri”
disse il Dottore, giulivo. “Messer Alighieri, non avrebbe per caso un biglietto
da visita, o qualcosa con il suo nome sopra? Perdoni le eccentricità di un
vecchio, ma tendo a fare la collezione di autografi delle personalità che
incontro.”
“Non si preoccupi, glielo
stendo subito” sorrise Dante, prendendo la penna e un pezzo di pergamena. “Ecco
qua” disse, dopo cinque minuti. “E grazie ancora di tutto, Dottore.”
“Grazie a lei, messer
Alighieri” rispose il Dottore, stringendogli la mano. “I versi che mi ha
recitato l’altra sera hanno significato per me. Lei è davvero un grande poeta.
Accetti un consiglio e inizi a lavorare a quel poema, il più presto possibile,
prima che l’ispirazione svanisca.”
“Lo farò” fu la risposta
di Dante. “E lei, Dottore, si ricordi quello che le ho detto a proposito di
Ulisse: cercare la conoscenza è giusto, ma solo se essa serve per un progresso
effettivo.”
“Può stare certo che ne
farò tesoro” sorrise il Dottore.
***
“Torneranno mai a
Firenze?” domandò Steven, quando furono ormai in vista del TARDIS, e la scorta
armata loro assegnata da Scarpetta Ordelaffi si fu allontanata.
“No, purtroppo” sospirò
il Dottore, aprendo la porta ed entrando nella console. “Messer Alighieri
morirà a circa vent’anni dopo questa data, a Ravenna, senza essere mai rientrato
in città.”
“Mi dispiace per lui.”
“Già, è triste, ma
d’altra parte, ragazzo mio, è proprio da quest’esperienza dell’esilio che
troverà la forza per scrivere il suo poema. Chissà, magari se non fosse stato
esiliato non l’avrebbe mai fatto. Avrebbe vissuto giorno per giorno, con il
sogno del poema, senza mai scrivere una riga, e alla fine si sarebbe portato
nella tomba il rimpianto per la grande opera che non ha mai compiuto.”
Mi
ricorda qualcuno, sorrise il TARDIS tramite il legame
telepatico, strappando un sorriso al vecchio Signore del Tempo.
“Certo, non è facile.
Significa abbandonare tutto, persino gli affetti più cari a volte, e prepararsi
a settimane, mesi, anni di fatica e dolore. Ma in fondo, così nasce ogni grande
opera ed esperienza: è nel dolore che nasce la bellezza.”
“Le va di fare il
filosofo oggi?” commentò Steven ridendo.
“Be’, cosa vuoi, ragazzo
mio… Ho seguito una lezione di Platone all’Accademia una volta, e proprio sulla
dialettica. Ne ho discusso a lungo con lui dopo, è stato un confronto
interessante. Mi ha lasciato una certa… propensione al monologo. Ma hai
ragione, basta parlare: vediamo di ripartire, eh, che ne dici?”
Steven annuì, e le mani del Signore del Tempo iniziarono di nuovo a scorrere sulla console del TARDIS, di nuovo animate dalla forza e dall’energia di quando erano partiti. La macchina del tempo rispose vibrando di contentezza, pronta a un nuovo viaggio, a una nuova avventura. Alzando lo sguardo, il Dottore si vide riflesso nel tubo di contenimento della console, i suoi occhi nuovamente brillanti per l’entusiasmo, le rughe meno evidenti, e un’aria più giovane del solito che lo faceva scintillare come se si stesse rigenerando per la prima volta. “Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” mormorò fra sé, preparandosi a ricominciare il viaggio, eccitato al pensiero delle meraviglie che avrebbe incontrato.
NOTE DELL'AUTORE
-
Mortimus è, stando ad alcuni romanzi, il vero nome del Monaco,
così come Koschei e Magnus sarebbero rispettivamente i veri nomi
del Maestro e del Comandante (War Chief), un altro Signore del Tempo
rinnegato che appare nell'ultimo serial del Secondo Dottore, "The War
Games". Sempre nei romanzi, viene detto che, nell'Accademia dei Signori
del Tempo, il Dottore e questi bei soggetti facevano parte della Decina
(Deca), un gruppo di dieci giovani Signori del Tempo che criticavano la
politica di non interferenza di Gallifrey.
- La Terza Guerra dei Dalek è un terzo conflitto fra
l'umanità e le citate creature, ed è un evento storico
menzionato nella novelisation del
primo serial contenente il personaggio di Steven. Durante questo
conflitto, Steven viene dirottato su Mechanus, il pianeta su cui resta
prigioniero fino all'incontro con il Dottore, Ian, Barbara e Vicki
nella serie tv.
- Borusa è uno dei Signori del Tempo più importanti nella
storia della serie, e in quella personale del Dottore, di cui è
stato insegnante all'Accademia. Sarà anche Cancelliere, Lord
Presidente e Cardinale a Gallifrey, prima di diventare villain nella storia The Five Doctors,
dove ben quattro incarnazioni del Dottore (Uno, Due, Tre e Cinque -
Quattro si vede in immagini di repertorio ma non compare, da qui il
titolo) si riuniranno per sconfiggerlo.
- In un altro serial più tardi, The Two Doctors,
il Sesto Dottore tirerà fuori dalla sua famigerata giacca
multicolore una specie di quaderno, dove il Dottore ha collezionato i
biglietti da visita di numerosi uomini celebri, fra cui - appunto -
Dante Alighieri. Ho pensato sarebbe stato divertente spiegarne
l'origine.
- Anche se effettivamente sia Quattro sia Undici
avranno occasione di incontrare il filosofo in audiodrammi e
fumetti, che Uno abbia incontrato Platone discutendo con lui di
dialettica è invenzione mia.
Bene, e direi che con questo ho detto tutto. E' stata una gran bella prima tappa di questo viaggio nel TARDIS attraverso la storia d'Italia. Ringrazio ancora tutti quelli che ci hanno accompagnato, e vi dò appuntamento fra dieci giorni con la prossima avventura, con protagonisti il Secondo Dottore, Jamie McCrimmon e Zoe Heriot, dal titolo: "C'era una volta un pezzo di legno".