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Autore: BabaYagaIsBack    27/04/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"Life ain't fair
And this growin' up stuff man I don't know
I just don't wanna let you go."

-The night before the life goes on, Carrie Underwood



 

 

Terre d'Israele, Notte dei Tempi

Levi si inchinò esattamente come faceva ogni volta che vi era qualche sorta di evento importante: al cospetto di un funzionario straniero, alle cerimonie, durante le benedizioni prima della battaglia. Le sue ginocchia toccarono il pavimento in pietra e la sensazione che ne scaturì fu strana, diversa da qualsiasi altra cosa avesse avvertito nelle ultime ore. La durezza dell'arenaria era reale, così come il calore che ne riscaldava la superficie e sembrava amplificarsi sulla sua pelle, lasciandolo comunque bramoso.

Salomone lo fissò perplesso, mettendo bene in mostra il fatto che non riuscisse a capire il senso di quel gesto proprio in un momento simile. Avevano appena finito di sbarazzarsi dei corpi di Tamar e Yael trasportandoli per i corridoi addormentati del palazzo, salendo e scendendo scalinate utilizzate per lo più dalla servitù. Erano arrivati nei pressi della lavanderia, dove qualche povera martire stava già lavorando cercando di far meno rumore possibile, e poi avevano deviato per raggiungere le sponde dello Yarmuk, il fiume che attraversava tutta la città. Bardati nei loro mantelli, avevano cercato di muoversi nelle ombre che anticipavano l'alba e una volta arrivati a destinazione, certi che la corrente avrebbe portato via ogni cosa, avevano lasciato che l'acqua inghiottisse le salme di quelle due giovani donne.
Levi non aveva posto alcuna domanda al suo Sovrano, aveva eseguito le sue richieste esitando solo nel momento in cui i suoi occhi avevano nuovamente incontrato quelli vitrei di Tamar. Un brivido lo aveva scosso sin nelle interiora, ma era rimasto muto e aveva finito di avvolgere il corpo in uno dei teli con cui Salomone aveva fatto ornare il proprio letto a baldacchino.
Per tutto quel tempo non si erano quasi rivolti la parola. Le uniche cose che erano sfuggite dalle loro labbra si potevano riassumere in una manciata di indicazioni.
Come erano sgattaiolati fuori da palazzo, così ci erano tornati, muovendosi al pari di ladri nonostante fossero le figure più importanti all'interno delle mura dell'intera città. Un velo di colpa si era posato sul Generale, mentre il Re aveva continuato a incedere con le spalle dritte, fiere, quasi quell'omicidio avesse per lui il valore di un successo.
Levi aveva rimuginato sul suo atteggiamento e su ciò che era accaduto fin quando non erano tornati nelle stanze di Salomone e, a quel punto, si era inginocchiato. Qualsiasi cosa il Sovrano avesse fatto, pensò, lo aveva fatto per lui.

«Qum 'al haragelayim, akh (Alzati, fratello)» gli disse, passandosi una mano in viso. Salomone era stanco, il suo aspetto era ben lontano da quello che Levi si ricordava. Emaciato, con grosse occhiaie e i capelli scompigliati, una benda stretta intorno al polso sinistro, era l'ombra dell'uomo che aveva lasciato a palazzo prima di partire per l'ennesima battaglia - eppure le sue labbra avevano una piega felice, serafica.
Il Generale non si mosse. Che fosse un ordine o meno, poco gli importava.
Nonostante gli frullassero per la mente decine di domande a cui aveva deciso momentaneamente di non dar risposta, era certo che dovesse, prima di qualsiasi altra cosa, fare quello: ringraziarlo. Una voce lontana continuava a dirgli che quell'uomo si era spinto al di là dell'indicibile per lui - e se ci si soffermava con attenzione poteva addirittura sentirlo. Dentro di sé il Generale percepiva la vita pulsare come mai prima d'allora. Avvertiva ogni singola vibrazione che smuoveva l'aria e faceva tremare impercettibilmente il terreno; la sua vista nelle ombre della sera sembrava essere più acuta, carpire anche il movimento più lieve. Si percepiva diverso, anche se non avrebbe potuto dire con precisione in che modo.

Salomone scrollò il capo. Levi lo capì dal tintinnio degli orecchini che gli pendevano ai lati del viso. «Mah sheatah 'osseh? (cosa stai facendo?)» gli chiese, chinandosi sulle ginocchia come un padre che cerca lo sguardo del figlio.
Levi non alzò lo sguardo, non subito, quantomeno: «Lo meshaneh mah atah 'assiyta, ani modeh lekhe, akh (qualsiasi cosa tu abbia fatto, ti ringrazio, fratello)» Quando poi ebbe finito, i suoi occhi incontrarono quelli dolci e familiari dell'amico con cui aveva condiviso gli ultimi ventisei inverni. Li vide riempirsi di lacrime, arrossarsi e rendere il grigio delle sue iridi ancora più vivo, come se fosse argento fuso.
«Akh...» la voce di Salomone sembrò già sul punto di spezzarsi, così gli rivolse un sorriso quanto più grato possibile; ma al posto di venire avvolto dalle sue braccia, come aveva pensato, il Generale si ritrovò a vederlo sgattaiolare via. Trascinando i piedi nudi sull'arenaria il Re si portò alla finestra, poi oltre sulla piccola balconata e lì, forse provando a cacciare indietro le lacrime, si aggrappò alla pietra del parapetto chinando il capo sulla città sopita.

«Al todi li (non ringraziarmi).» La voce di Salomone giunse amara alle orecchie di Levi che d'improvviso, sentendo la preoccupazione montare alla gola come un conato, si alzò.
La brezza notturna smuoveva appena le tende di lino, le vesti imbrattate di sangue che l'uomo teneva ancora addosso. Persino i suoi capelli, fili color terra, danzavano lenti nel silenzio.
«Ani... 'assiyti mashehu kol kakhe nora... (io... ho fatto qualcosa di così orribile...)»
Il Generale mosse un passo verso l'amico: «La'olam lo qal liretsoakh (uccidere non è mai semplice)» anche se non era certo di star dicendo il vero.
«Lo... Lo, akh (No... no, fratello)» la testa del Re cadde all'indietro, come se fosse esasperato. La punta del naso dritta verso la luna, le sopracciglia corrugate: «Ani medaber shel mah sheett ani 'assiyti lekhe (parlo di quello che ho fatto a te)» sospirò, mentre una lacrima gli scivolava al lato del viso.
«Lamah atah mitekavenn? (cosa vuoi dire?)» Levi non seppe che fare, se avvicinarsi o restare lì. Una parte di lui gli suggeriva di non muoversi e chiudere quel discorso, di non approfondire, mentre un'altra lo supplicava di affiancare il proprio migliore amico e farsi spiegare cosa volesse dire il sogno fatto poco prima.
Ci fu del silenzio dopo quella domanda, istanti che divennero lunghissimi, sfiancanti, poi Salomone tornò a guardare la città: «Bitsa'eti kefirah, Levi (ho compiuto un'eresia)» con una mano si portò via la lacrima. «Heveti lekhe akhorah minn hametim, akh... 'al gakhamah (ti ho portato indietro dalla morte, fratello... per capriccio)» un'altra pausa, un singulto: «ki beli lekha ani efes (perchè senza te sono niente). Levadi ba'olam hazeh (solo in questo mondo).»
Il Generale corrugò la fronte. Stava parlando seriamente? Ma la risposta era ben evidente di fronte a lui. Bastava guardare il modo in cui il Sovrano si stava atteggiando, pensare ai corpi di cui si erano sbarazzati, delle sensazioni che provava, dell'incubo in cui era rimasto intrappolato - e del bruciore al petto che non lo aveva abbandonato da quando il serpente ci si era infilato dentro. Con le dita sfiorò quel punto. La viscosità del sangue lo accolse, seguito subito da lembi di pelle in rilievo, incisi come cotenna. Abbassò lo sguardo. Un simbolo strano, un disegno che aveva già visto tra gli appunti sgualciti che Salomone aveva redatto negli ultimi anni. D'improvviso capì.
L'uomo davanti a lui aveva sfidato Dio, aveva accolto gli insegnamenti eretici degli stranieri e li aveva dominati come nessuno prima d'allora, soggiogando il potere al suo volere. E tutto per lui.
«Atah akh sheli, hivetakheta li shela'olam lo tukhal af pa'am natush (tu sei mio fratello, avevi promesso che non mi avresti mai abbandonato).»

Levi si avvicinò, silenzioso.

«Khayim, Levi (una vita, Levi). Eykhe yakholeti lekhayott khayim bile'adeykha? (come potrei vivere una vita senza di te?)»
Gli venne da sorridere. Già, come avrebbe fatto? Lui che non era in grado di dire di no, di difendersi da coloro che volevano il suo trono e il regno. Lui che l'unica volta che aveva impugnato una lama era riuscito a ferirlo facendola roteare senza senso, che preferiva passare le ore con i suoi animali, le piante che tanto amorevolmente curava...

«Atah hayakhid sheani yakhol mishepakhatt (tu sei l'unico che io possa chiamare famiglia)» ironicamente nemmeno i suoi figli avevano ricevuto tale onore, ancor meno le donne con cui li aveva concepiti. Levi sapeva che non stava mentendo.

Lo affiancò, posandogli una mano sulla spalla.

«Vaani habayetah (ed io sono tornato)» gli sussurrò, ingoiando la paura di scoprire cosa tutto ciò comportasse. Sentiva di essere diverso da prima, di non assomigliare più a nessuna persona al mondo, eppure Salomone aveva bisogno di lui, quindi non si sarebbe tirato indietro.
Nuovamente si inginocchiò, ma stavolta tenne gli occhi fissi in quelli dell'amico: «Bakhayim haeleh shehe'enaqeta li, ani mavetiakh lekhe shelo af pa'am lo ahases (In questa vita che mi hai dato, ti prometto che non esiterò mai). Ett haguf sheli tamid yiheyeh akhed hakelim bayadayim shelekha ki ett, hamelekhe sheli, zeh hayah messugal latalush li 'al yedey hagoral mibassar ra'ott (il mio corpo sarà strumento nelle tue mani perché tu, mio re, sei stato capace di strapparmi dal fato infausto). Ett qoli ya'aneh 'al raq lasheelott shelekha veatah titekhanann 'adayinn rakhamim mimeni (la mia voce risponderà solamente alle tue domande e ti pregherà ancora di avere pietà di me). Ett kharevi sheani lesherutekha 'akheshav velatamid (la mia spada è al tuo servizio ora e per sempre). Ett hadam sheli yishafekhe likhevod mizeh shevu'att, mishum bishevilekhe ani amutt 'od meah pe'amim vaani ikhezur meah veekhad meha'olam hhrugym (il mio sangue sarà versato in onore di questo giuramento, perché per te morirei altre cento volte e ne tornerei centouno dal mondo dei caduti).»

 


 

 

Di fronte alla porta chiusa della stanza di Noah, che aveva accettato con riluttanza di partire con loro, Levi si sfiorò il petto sotto alla t-shirt provando a elaborare le parole giuste da dire; ma ce ne erano? Persino prima aveva faticato a trovarne, perché per quanto fosse certo che in lui vivesse l'anima del suo Re si rendeva conto che il nuovo Hagufah era una persona completamente diversa da quella con cui aveva vissuto per decine di centinaia d'anni: di Salomone restavano pochi ricordi che facevano la loro comparsa sotto forma di flashback, qualche vaga nozione di lingua ebraica e il potere dell'Ars, ma il resto sembrava più un susseguirsi di lacune piuttosto che di certezze. E non poteva negare che dopo quanto accaduto ai fratelli quella situazione stesse diventando snervante.

La mano di Zenas gli si poggiò sulla spalla stringendosi appena: «So che sei preoccupato, akh, ma dobbiamo pensare ai preparativi per la partenza» gli ricordò, come se potesse dimenticarsene; come se non sentisse il ticchettio dell'orologio farsi sempre più intenso.
«Sì» sbuffò strofinandosi gli occhi: «sì, hai ragione.» Noah non avrebbe partecipato a quella conversazione, era chiaro, ma loro dovevano comunque pensare a come agire. Di lì a poche ore sarebbero dovuti fuggire con o senza un piano, in modo da sfruttare il caos cittadino, peccato non avessero nemmeno una meta.
«Quindi non lo coinvolgiamo?» Alexandria si era accovacciata vicino a una delle finestre e ogni tanto lanciava sguardi indagatori oltre le tende. Sembrava provata, addosso ancora i segni dello scontro notturno, eppure non si era mossa da lì nemmeno quando Noah aveva annunciato che li avrebbe seguiti. Era assente, immersa in pensieri che Levi avrebbe tanto voluto conoscere, per questo dalle sue labbra uscì ancora quella domanda.
«Non vuole esserlo, altrimenti sarebbe qui.» Prese l'ennesima boccata di nicotina da un filtro ormai eccessivamente inumidito. Lei annuì, tornando poi a guardare la strada sotto al palazzo.
A cosa diamine stava pensando?
Scrollò il capo: «Vediamo di sbrigarci, così entro sera saremo in viaggio» spense la sigaretta, si alzò dal divano e si diresse verso la cucina, dove poco prima aveva abbandonato tre tazze fumanti. Il profumo del tè al bergamotto e melissa riempiva l'aria cercando di infondere una pace che dubitava avrebbero trovato, ma a cui avrebbe tanto voluto aggrapparsi. Osservò il liquido bollente. Riflessi verdi tremolanti ne solcavano la superficie ambrata, creando un gioco di sfumature in cui si vide riflesso. La sua espressione tradiva ogni tentativo d'apparire sereno.

Zenas d'improvviso prese parola, spezzando il silenzio: «Abbiamo ancora dei risparmi? Oppure dovremmo pesare sulle spalle del ragazzo?» Alexandria lo aveva aiutato a ripulirsi: come una brava infermiera lo aveva accompagnato in bagno, gli aveva sfilato i vestiti con premura e lavato il corpo da tutto il sangue che aveva addosso. Levi l'aveva spiata dallo stipite della porta mentre, con attenzione, aveva strofinato il corpo del fratello evitando la medicazione che lui stesso gli aveva fatto. Era rimasto lì anche quando lo aveva asciugato con i pochi salviettoni intonsi e lo aveva rivestito. Una volta finito, si era offerto di farlo riaccomodare sul divano in modo che potesse riposare ancora un po' - e da lì non si era più mosso.
«Io ho ancora qualcosa» gli occhi della ragazza caddero sul fratello. L'unica di loro abbastanza lungimirante da tenere la carta di credito sempre nella tasca della giacca. Avevano evitato di usate i suoi soldi per non lasciare tracce, ma visto che ormai erano stati scoperti potevano concedersi un prelievo senza lasciare ulteriori tracce.

«Quanto?» Da sopra la spalla Levi le lanciò un'occhiata indagatrice. Aveva bisogno di capire quanto in là si sarebbero potuti spingere.
Z'év ricambiò l'occhiata: «Abbastanza, akh
«Non è sufficiente» soffiò, portando poi un silenzio grave. Sua sorella tornò a guardare fuori dalla finestra: «Venti mila.»
Abbastanza, sì.
Afferrando la tazza si volse, dando così le spalle alla cucina. Ovunque fossero andati, per qualche settimana o mese avrebbero potuto cavarsela se fossero stati attenti.

«Marsiglia» eruppe senza preavviso Zenas, catturando l'attenzione dei fratelli.
Nakhaš lo guardò confuso. Provò a mettere insieme tutti i fili che avevano condotto l'uomo a quella proposta. La casa che Salomone aveva comprato nei pressi di Marsiglia, sulla costa ovest, non era certo l'opzione migliore che lui avrebbero svelto. Italia, Austria e Francia in fin dei conti non distavano molto tra di loro, inoltre la villa era abbastanza isolata da impedire una fuga inosservata in caso di attacco.
«Andiamo lì» aggiunse, mordendosi il labbro.
«Perché? Potrebbero trovarci nel giro di qualche settimana.»
Zenas fece ciondolare la testa prima da un lato e poi dall'altro, quasi stesse cercando di trovare i motivi per cui aveva optato per quel luogo.
«Oppure no» affermò spostando giusto lo sguardo, incuriosendolo. Levi si sistemò, appoggiandosi al tavolo e attese. Negli occhi del fratello una luce maliziosa che conosceva. «Faranno il nostro stesso ragionamento, akh. Più lontano possibile da qui. Di conseguenza metteranno uno dei loro in ogni aeroporto, controlleranno i nomi dei passeggeri e noi non abbiamo documenti falsi con cui registrarci... Marsiglia è perfetta.»
Vero, pensò. Zenas aveva mosso un'osservazione corretta: allontanarsi troppo, ora, li avrebbe messi a rischio.
«Inoltre il ragazzo deve sapere di essere libero di tornare a casa in qualsiasi momento. Siamo le sue guardie, ma lui non è un carcerato.» Altro punto a favore di quella proposta, anche se egoisticamente sperò fosse una probabilità irreale.

«E» intervenne Alexandria dal suo angolino: «quella è una delle case più isolate. Potremmo provare a insegnargli un po' di alchimia. Le basi teoriche, quantomeno. Magari cercare di fargli compiere qualche trasmutazione senza ci siano occhi altrui a vederlo.»
«Ci sono anche alcuni dei diari di Salomone, lì... potrebbe essergli utile leggerli.»

Nakhaš fissò prima Z'év e poi Akràv, soppesando con cura ciò che avevano detto. Tornare in quella casa non sarebbe stato positivo solo per Noah, per la sua "riabilitazione", se così la si poteva chiamare, ma anche per loro. In quelle mura avrebbero potuto trovare un po' di tranquillità, il calore di un passato che pareva essere un sogno. Forse nei nascondigli ideati da Salomone avrebbero potuto trovare spunti per rintracciare gli altri fratelli, visto che si era premurato di ricongiungersi solo con Alexandria. In mezzo a qualche foto sbiadita, tra le cartoline, in quei diari citati da Zenas il suo migliore amico poteva aver raccolto tracce - perché era certo che nessuno di loro si fosse realmente staccato dalla vita che avevano vissuto con lui.

«Da lì?»
A rispondere fu ancora il fratello, nonostante Levi stesse guardando da tutt'altra parte: «Vedremo strada facendo, akh. La priorità è Noah. Dobbiamo proteggerlo, prepararlo a qualsiasi cosa il Fato abbia in serbo per lui.»

Silenzio.
Noah prima di tutto. Salomone sopra a ogni loro desiderio. Forse trovarlo e raccontargli chi era, cosa aveva fatto, perché dovesse restare con loro non era poi stata la mossa più saggia. Quel povero ragazzo era stato condannato.

Con un sospiro Nakhaš riappoggiò la tazza dove l'aveva presa, massaggiandosi il setto. Si sentiva stanco, dubbioso, eppure era conscio di non aver tempo per concedersi simili lussi né di fare passi indietro. Il suo egoismo aveva avuto la meglio, ancora.

Annuì.
Sì, sarebbero andati a Marsiglia.

«Alex» la chiamò con un filo di voce: «lascia tracce. Dobbiamo depistarli.»
Lei corrugò le sopracciglia.
«Bagnati le mani, poi tocca qualche oggetto. Se ci sono delle cartoline in casa afferrane una, lasciala in giro. Magari scrivi su un foglio qualche orario di voli o treni. Le tracce inumidite di sangue potrebbero far credere a quei bastardi che abbiamo fatto qualche scelta frettolosa. Li depisteremo così.» Fece una lunga pausa, riflettendo. Forse non avrebbero mai trovato l'appartamento di Noah, ma in caso ci fossero riusciti... beh, avrebbero trovato tutto pronto.
«Pochi indizi. Un occhio esterno non deve pensare che sia successo qualcosa all'Hagufah. Inoltre devono sembrare vere e proprie distrazioni da parte nostra.»

Z'èv sembrò rifletterci e nella sua esitazione Levi riprese parola: «Akràv, tu occupati dei biglietti del treno. Prenota a nome di Noah Dietrich, quattro posti in economy.  Vedi anche per il noleggio di un'auto quando arriveremo là» fece scivolare le dita lungo il naso, sulle guance per poi accarezzare il mento. C'erano così tante cose da fare e il tempo gli sembrava minimo. Dovevano preparare le valige, vedere se l'alibi dell'Hagufah fosse stabile, camuffarsi, scegliere il tragitto da percorrere e, infine, partire - il tutto in una manciata d'ore al massimo.
Si morse il labbro: «Tra poco esco» annunciò.
«Dove vai?» il tono acuto di Alexandria gli strinse lo stomaco, i suoi occhi grandi di preoccupazione gli fecero sentire una punta di colpa a ridosso della gola.
«Bisogna recuperare qualcosa per renderci meno riconoscibili, akhòt. I tuoi capelli non passano inosservati e Zenas ha bisogno di stampelle.»
Non parve rassicurarla. Dopo Venezia dubitava che lo avrebbe lasciato uscire a cuor leggero con il Cultus alle calcagna. Lei non più abituata a provare una simile paura, lui a vederla così scossa.
«Non farò ritardi stavolta, ve lo prometto.»

 
 

 

Yarmuk : fiume affluente del Giordano. Attraversa la Siria, la Giordania e Israele con una lunghezza totale di 120,80 km.

(Non assicuro la corretta traduzione e sintassi delle parti in ebraico)

   
 
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