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Autore: Diamond96    29/04/2018    0 recensioni
Timida, solitaria e continuamente presa in giro dai suoi compagni, Lisa ha una vita complicata fino all'arrivo di un ragazzo che le ruba il cappuccino. Il cappuccino, il centro del loro amore.
- Perché non mi lasci il tuo numero? Potremmo sentirci ancora.
- Dammi un buon motivo per farlo.
- Sono quelli che ti ruba il cappuccino.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ed eccomi con il terzo capito! Scusate se ci ho messo un po', ma è stato un po' difficile per me scriverlo. Spero di aggiornarvi prima la prossima volta. Fatemi sapere se vi piace questo proseguimento, intanto io preparerò il seguito. Buona lettura a tutti! 

 

La verità sui falliti 

 

Erano passate ormai alcune settimane da quando i due giovani si erano conosciuti. Avevano passato altre brevi serate insieme per il solito cappuccino, avevano parlato e scoperto molte cose l’uno dell’altro. La tensione tra loro era ormai solo un ricordo, il loro legame si faceva più forte di giorno in giorno. Nonostante le vite separate, uno a lavoro e l’altra a scuola, trovavano sempre del tempo per quel rapporto. Lui le scriveva spesso, il più delle volte scherzando e lei, con la timidezza lasciata parzialmente alle spalle, le rispondeva senza troppi timori. Era felice ogni volta che vedeva il suo nome sul telefonino. 

Nel suo mondo fatto di lezione e studio, però, le cose non erano sicuramente migliorate. Portava a casa buoni voti, ma non belle esperienze. Nicole e il suo gruppo non avevano smesso di tormentarla. Le avevano rubato soldi, l’avevano derisa di fronte a tutti, l’avevano messa in ridicolo con i loro scherzi infantili, le avevano fatto del male. Tante volte era tornata dalla sua famiglia con un ginocchio o un gomito sbucciato e i vestiti rovinati. Doveva sempre fare attenzione quando era con Andrea a non urtare qualcosa per non lamentarsi del dolore, svelando così il suo segreto. Era anche costretta a indossare pantaloni fino alla caviglia e maglie a maniche lunghe per non mostrare quelle parti del corpo rovinate, cuocendosi sotto il calore del sole che iniziava ad emanarsi. 

Quel giorno non fece differenza. Mentre se ne stava nel piazzale fuori dalla struttura scolastica ad aggiornare Serena sul proseguimento della sua storia con il barista, in attesa che dessero il permesso per entrare a scuola in quella mattinata di venerdì, la bulla comparve vicino alle due ragazze con il suo classico ghigno malefico. Lisa la osservò, provando ad immaginare cosa le stesse passando per la testa, ormai rassegnata al suo destino.  

- Sei felice in questi giorni. – commentò Nicole. A quanto pare si era accorta che alla rossa stava succedendo qualcosa di bello e quale momento migliore avrebbe avuto per distruggere quei suoi sogni, se non quello in cui era più contenta? – Come mai? 

- Lasciala stare! – le ordinò Serena, ma venne subito spinta via, precisando che non faceva parte della conversazione. Lisa non parlò, preferì restare in silenzio in attesa che la bionda finisse le sue torture. Questa insistette, dicendole che di lei poteva fidarsi, cosa ovviamente non vera, provando a convincere l’altra a parlare, ma non ottenne niente. A quel punto cambiò tattica, mettendole un braccio intorno al collo e fingendosi un’amica, continuando a farle quella domanda.  

La sua vittima iniziava ad essere stufa, non sapeva se risponderle con la verità e accontentarla, o mandarla a quel paese rischiando di finire nei guai. Ripensò a tutte quelle volte che si era dovuta nascondere da sua madre e suo fratello, da Serena. Da Andrea. Tutto per non farsi vedere debole, per non vedere quei volti preoccupati per lei. Per il timore che il ragazzo di cui si stava infatuando potesse provare vergogna nell’uscire con una fallita. Decise che quello era il suo momento. Basta farsi maltrattare ogni singolo giorno. Basta tornare a casa a testa bassa, fingendo che andasse tutto bene. Basta coprire le sue ferite e i suoi lividi quando usciva. Basta sopportare in silenzio. Mise da parte tutta la sua paura, tirando fuori il coraggio che reprimeva da troppo tempo e si tolse quel braccio dal collo. Appoggiò veloce due mani sul petto della bulla e le diede uno spintone, facendola indietreggiare di qualche passo. – Adesso basta! – le gridò furiosa, stufa di quella situazione. – Perché non te la prendi con qualcun altro? Lasciami in pace! 

Nicole rimase sorpresa. Non si aspettava tale reazione, non da Lisa, ma fu proprio questo a riempirla di gioia. Da anni aspettava quel momento. Finalmente poteva rendere la sua giornata un disastro, poteva recarle sofferenze ancora più grandi, poteva sentirsi ancora più forte di quello che era. – Come osi?! – sul suo volto si formarono alcune rughe mostrando uno sguardo arrabbiato, quando, in realtà, era compiaciuta. Reagì allo stesso modo della sua vittima, spingendola con forza. – Come ti permetti?! Non puoi parlarmi così! – le si avvicinò notando che la rossa aveva perso tutta la sua grinta. Si era resa conto dell’enorme errore che aveva commesso. La bionda alzò un pugno e, con tutta la potenza che aveva in corpo, la colpì in pieno volto. Lisa sentì l’anello che l’altra aveva al dito sulla sua pelle, provocandole un dolore atroce. Poi un altro, e un altro ancora. Si fermò solo quando uno dei professori le gridò contro, ordinandole di smettere. Questo prese entrambe le studentesse per le braccia, trascinandole con lui in presidenza. Non sapeva cos’era successo e non voleva nemmeno entrare nei dettagli. Quello che aveva visto era fin troppo. 

 

Dopo ore di discussione, uscirono accompagnate dai loro genitori. Silvia, la madre di Lisa, era preoccupata quanto furiosa, più con se stessa che con la bionda violenta. Per tutti quegli anni non si era mai accorta di niente, non era mai riuscita a leggere lo sguardo triste della sua bambina. L’aveva lasciata andare a scuola con quella carogna viziata, permettendole di torturarla in quel modo. Se suo marito fosse stato vivo, tutto quello non sarebbe mai accaduto pensò. Lui amava la sua piccola, era sempre lì, pronto a proteggerla e a farla sorridere. L’avrebbe cresciuta forte e fiera e avrebbe fatto di lei il suo più grande tesoro. Purtroppo, era morto molti anni prima in un incidente d’auto e la donna aveva dovuto cavarsela da sola, ma non era bastato. Era lì, con quella famiglia che la disgustava. Non solo per la ragazza viziata, ma anche per quelle due persone che si prendevano cura di lei e se ne infischiavano di quello che accadeva fuori dalle mura domestiche. 

- Potete stare certi che vostra figlia non la passera liscia! Porgerò denuncia per questo! – era furiosa perché il preside non aveva fatto assolutamente niente. “Sono cose che capitano tra adolescenti” fu il suo commento. Silvia non la pensava così. Nessuno poteva toccare la sua bambina, non potevano farla franca così. Sapeva benissimo come funzionavano quelle cose, la bulla non si sarebbe di certo fermata. 

- E cosa credi di fare? – chiese sicuro di sé l’uomo mentre si sistemava la cravatta. Aveva fretta di tornare nel suo ufficio, non capendo il senso della sua presenza. – Noi possiamo permetterci il miglior avvocato della città, e voi? Al massimo riuscite a pagarvi l’affitto. – su quello aveva ragione. Una sola persona che lavorava e manteneva due figli non aveva i soldi per un avvocato. Non sarebbe riuscita ad andare in tribunale e a vincere la causa. Si ripromise che si sarebbe vendicata, avrebbe punito quel mostro che torturava sua figlia. 

 

Passarono a prendere Marco alle elementari che non capiva il perché di tanto anticipo. Non trovava una spiegazione alla donna furibonda, lui non aveva fatto niente, e osservava la sorella con la faccia piena di tagli e lividi. Si era rifiutata di andare in ospedale, non voleva che le mettessero dei punti lasciandole poi delle cicatrici anche se, molto probabilmente, le sarebbero rimaste comunque. Le prese la mano spaventato, ricevendo un sorriso sforzato ma senza risposta. 

Arrivarono presto a casa, dove Silvia si affrettò a prendere cotone e disinfettante per la ragazza dal volto triste. Si vergognava di quella situazione. L’ultima cosa che non voleva era essere scoperta. Era pentita di aver risposto a Nicole, avrebbe dovuto far finta di niente. Tutto quello non sarebbe accaduto se fosse stata al suo gioco come faceva sempre. 

- Perché non mi hai mai detto niente? – le chiese la madre mentre tamponava le ferite. Lisa si limitò ad abbassare lo sguardo. Che spiegazione poteva darle? – Da quanto va avanti? – continuò la donna, nella speranza di ottenere qualche spiegazione, ma la voce della sua piccola non si fece sentire nemmeno questa volta. A quel punto si abbassò sulle ginocchia, accarezzando quel volto che tanto amava. – A me puoi dirlo. Sono tua madre, ti proteggerò sempre. 

- E come? – gridò la rossa nell’udire quelle parole. – Come pensi di proteggermi? Io ho provato a difendermi e guarda cos’è successo! – ripensò al suo errore, pentendosi ancora. Perché era capitato proprio a lei? – Ha ragione il padre di Nicole. Non possiamo fare niente. Dovrò subirmi le sue torture a vita e ora sarà ancora peggio! – si alzò in lacrime scappando nella sua camera, lasciando Silvia e Marco soli ad osservarla mentre si allontanava, pieni di domande e nessuna risposta. Non capivano come aiutarla. 

Inzuppò il cuscino. Un pianto misto a singhiozzi riempiva la stanza. Era distrutta, non resisteva più. Con che coraggio sarebbe tornata a scuola la settimana successiva? Tutti l’avrebbero derisa e la sua bulla personale le sarebbe saltata addosso, ancora più arrabbiata di quanto non lo fosse di solito. L’avrebbe picchiata, o presa in giro, o spinta per terra o, magari, giù dalle scale. Il tutto solo per ripicca. Non sapeva cos’aveva contro di lei, se lo chiedeva tutte le volte che la vedeva avvicinarsi. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto ciò, una ragazza gentile come lei? 

 

Due giorni dopo, se ne stava al parco con Marco. Lui saltava e giocava con gli altri bambini, sull’altalena o a rincorrersi. Si godeva quei giorni di gioia con i suoi piccoli amici, mentre Lisa era intenta a leggere un altro libro preso dalla biblioteca. Prima di uscire, era stata ore in bagno a coprire i suoi lividi con fondotinta e cipria e ci sarebbe riuscita perfettamente se non fossero stati tanto marcati. Da vicino si potevano notare, ma, finché fosse stata alla larga dalla gente che aveva intorno, nessuno si sarebbe accorto di niente. Dopo quel brutto momento a scuola, l’ultima cosa che avrebbe voluto era essere osservata da dei perfetti sconosciuti. 

Il fratellino, intanto, correva in mezzo ai vari giochi cercando di prendere un altro ragazzino, quando vide in lontananza un cane grande e grosso, dal manto corto e tutto nero, fatta eccezione per zampe, petto e muso che erano marroni. Aveva anche due macchie sopra gli occhi che sembravano delle sopracciglia. Incuriosito gli si avvicinò, tutto contento quando si accorse che l’animale scodinzola e tirava il guinzaglio per raggiungere il bambino e dargli una leccata sul viso. Questo lo accontentò, stringendo l’enorme collo fra le sue minuscole braccia. Il padrone, che si era spaventato all’arrivo del piccolo, era felice nel vedere quella scenetta. Sapeva che il suo cucciolone non era cattivo, ma non sapeva mai cosa aspettarsi quando qualcuno li raggiungeva con tanta velocità ed eccitazione. Infine, gli chiese dov’erano i suoi genitori, prima di trovarseli di fronte arrabbiati con lui per avergli permesso di accarezzare un cane come il suo. 

- La mia mamma è a casa, il mio papà in cielo. – rispose Marco, continuando a strofinare le sue mani sul morbido pelo. Il ragazzo si dispiacque, cercando dunque informazioni su chi l’avesse accompagnato. – Mia sorella. – indicò con un dito la rossa seduta su una coperta appoggiata sul prato. Lui sorrise, riconoscendola immediatamente. Si stupì di come fosse piccolo il mondo. Fischiò, attirando la sua attenzione che, cadde subito sul più piccolo. Spalancò occhi e bocca per l’imbarazzo e, lasciando il libro e la borsa, corse da lui allontanandolo, tenendolo fisso per un braccio. 

- Sei una cattiva sorella. Dovresti tenere d’occhio meglio il tuo fratellino. – la sgridò Andrea, facendo l’occhiolino al bambino che cercava di avvicinarsi al cane. Era preso solo da quello. Lei arrossì, più che per la battuta, per avergli permesso di conoscere suo fratello. 

- Non sapevo che passassi di qua. – si sistemò i capelli che, con la leggera brezza che accompagnava quella giornata, si erano spostati sul volto risultando un po’ disordinati.  

- Portavo a spasso Thor. – diede una pacca sulla spalla del suo rottweiler prima di proseguire. – Nemmeno tu mi hai detto che venivi. 

- Vengo tutte le domeniche con Marco. – mise una mano sulla testa del più piccolo, evitando di continuare la frase. Se avesse saputo prima cosa sarebbe successo, quel giorno avrebbe fatto un’eccezione rimanendo a casa. 

- A questo punto, ti va di unirti a me? O hai da fare? – fece cenno con la testa verso la coperta su cui era seduta Lisa fino a qualche minuto prima per farle capire a cosa si riferisse, ma lei negò per accettare l’offerta contenta. A quel punto il biondo fece caso al volto della ragazza, riconoscendo alcuni segni nascosti male dal fondotinta, tra cui un taglio sul labbro e uno sul sopracciglio. Si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima. – Che hai fatto alla faccia? 

- Come? – la rossa si impietrì. Si era completamente dimenticata dei suoi lividi e aveva fatto l’errore di avvicinarsi troppo alla persona sbagliata. Cercò in fretta una scusa. – Sono…sono caduta dalle scale.  

- Cosa?! Stai bene ora? – il ragazzo era preoccupato, ma anche confuso. Quei segni rivelavano una bugia in quelle parole, ne era sicuro. Non sembrava affatto che fosse caduta. Lei lo rassicurò, correndo a prendere le sue cose prima che lui potesse farle altre domande. Non era brava ad improvvisare bugie, avrebbe finito per obbligarla a dirle la verità e non voleva assolutamente che lui ne venisse a conoscenza. 

- Non è vero. – commentò Marco quando la sorella fu abbastanza lontana. Andrea lo guardò confuso, chiedendo spiegazioni. – Non è caduta dalle scale. È successo a scuola, è stata una sua amichetta. 

- Gli amici non fanno questo. – iniziava a capire. In effetti la ragazza aveva più la faccia di chi avesse fatto a botte. Ora si rendeva conto dei vari segni che aveva scoperto sul suo corpo durante le loro precedenti uscite, le mani graffiate, le unghie rotte, il dolore alle ginocchia, i vestiti che la coprivano nonostante il caldo. Finalmente aveva ottenuto le risposte a tutti i suoi dubbi, ma preferiva che fosse lei a dirglielo. Non intendeva aprire un discorso che, molto probabilmente, lei non voleva approfondire. Quando si sarebbe sentita pronta, gliene avrebbe parlato personalmente. 

Presto tornò Lisa e uscirono insieme dal parco, andando verso Corso 3 Novembre. Il piccolo Marco provò a convincere il biondo a lasciarli tenere il cane, ma questo rifiutò dicendo che era troppo grande per lui e lo avrebbe trascinato in giro. Il bambino, però, non si diede per vinto e iniziò a piagnucolare e il ragazzo finì per cedere, permettendogli di aiutarlo a tenere il guinzaglio. Subito dopo, prese la mano della rossa tra la sua, fissandola negli occhi nonostante l’imbarazzo di lei. – Tu tieni me, nel caso dovesse vedere un gatto e partire all’inseguimento. – scherzò. In realtà, quel gesto non era né per ridere né per corteggiare. Lo fece solo per conforto. Sentendo che qualcuno era con lei, che non era sola, sperava di farla aprire con lui. 

 

Era lunedì pomeriggio e se ne stava al bancone a servire i pochi clienti che c’erano a quell’ora. La mente altrove, alle parole che aveva udito il giorno prima da Marco. Era preoccupato. Quante volte era capitato e lui non si era mai accorto di niente? Aveva sempre avuto la risposta davanti a sé, doveva solo leggere meglio quello che dicevano gli occhi di quella povera ragazza. Era davvero stato così stupido? Quante occasione aveva avuto durante quelle settimane per intravedere la verità, invece si era incentrato solo sulla bellezza di tali momenti.  

Il suo capo lo stava guardando confuso mentre una donna aspettava di ordinare, davanti a quel ragazzo incantato, finché non si decise di prendere il suo posto e servirla. – Va tutto bene? – lo svegliò da quel sogno immaginario. Andrea si voltò verso di lui senza dire una parola. Stava ancora pensando a quello che poteva fare. Si era promesso di non parlarne con Lisa finché non lo avesse fatto lei, ma quanto tempo avrebbe dovuto aspettare? Poteva accadere di tutto, un giorno avrebbe persino potuto scoprire che lei non c’era più a causa degli idioti che si trovava a scuola. Non poteva attendere oltre, aveva il timore di quello che sarebbe successo se non fosse intervenuto. Chiese così di lasciare il suo posto di lavoro, inventandosi che non stava molto bene. 

 

Da circa mezz’ora era piazzato sull’orlo del cancello che separava la strada dal cortile. Secondo le informazioni che le aveva dato in passato la ragazza, quello doveva essere l’orario in cui le lezioni terminavano e, infatti, gli studenti iniziavano a scappare da quel posto, frettolosi di tornare alle loro vite fuori dall’ambito scolastico. Qualcuno gli passò davanti con dei punti interrogativi in testa, domandandosi chi fosse quello sconosciuto. Nessuno lo aveva mai visto. Nemmeno i pochi insegnanti che stavano uscendo con le loro macchine lo conoscevano. Ovvio, non era mai stato lì.  

Finalmente vide una chioma rossa in lontananza e riconobbe il suo volto. A testa bassa, raggiungeva piano l’uscita. Ogni tanto si voltava per controllare intorno a sé o qualche studente le dava una spallata passando. Lui restò fermo al suo posto, osservando attentamente la situazione. Voleva capire meglio. Poi arrivò una bionda alle spalle della ragazza spaventata. La spinse di lato, cominciando a parlarle. Da quella distanza non poteva distinguere le parole, ma si rese subito conto che non si trattava di una conversazione piacevole. Era lei, quella era la bulla che dava fastidio alla sua Lisa. Decise che era arrivato il momento di farsi avanti. Passo dopo passo si avvicinava alle due, le orecchie tese cercando di comprendere qualche parola. – Sei solo una sfigata. – riuscì a sentire quando fu abbastanza vicino. La sua vittima non rispose, mantenne solo lo sguardo sul pavimento. Era spaventata e non reagiva. Lui continuava a camminare verso di loro, il volto serio e gli occhi puntati sulla bionda. Era a pochi metri quando questa alzò un braccio preparando un pugno, ma, proprio in quell’istante si accorse del biondo vicino a loro. Lo osservò confusa, non capendo chi fosse e, in un attimo, si sentì stritolare il polso con una forza impressionante. – Lasciami! Mi fai male! – gridò in preda al dolore, ma non ottenne la pietà del suo aggressore. Lui le si avvicinò portando le sue labbra accanto all’orecchio di quella ragazza tutt’altro che indifesa. 

- Trovati un altro hobbies o giuro che questa sarà l’ultima volta che aprirai bocca. – le sussurrò, spingendola via. Per poco non perse l’equilibrio cadendo a terra. Osservò il biondo incredula, passando poi al suo polso che era già rosso a causa della presa. Riportò lo sguardo sul ragazzo arrabbiata, ma molto più terrorizzata. Aveva paura. Non ci volle molto prima che si rendesse conto che non stava scherzando. Sarebbe successo qualcosa di brutto, ne era certa. Non era una persona normale, nascondeva un animo oscuro. Se lo sentiva.  

La gente intorno si fermò per assistere alla scena. Alcuni spaventati come Nicole, altri contenti che qualcuno le avesse finalmente fatto abbassare le arie. Anche le sue amiche nascondevano un sorriso per quella scenetta, attente a non farsi vedere dalla bionda. Andrea non si preoccupò del pubblico, anzi, tornò dalla povera vittima che lo guardava in lacrime. In parte per il segreto svelato, in parte per la gioia nell’averlo visto salvarla. I loro sguardi erano intensi, inseparabili. Lui le mise una mano dietro la schiena avvicinandola a sé, scrutando ancora più in quegli occhi lucidi. Piano raggiunse le labbra carnose ricoperte di un lucidalabbra che le faceva risaltare, sentì il suo respiro sulla sua pelle, la carne contro la sua. Lisa, inizialmente sorpresa, si lasciò andare in quel bacio. Davanti a tutti i due si stringevano, ignari del tempo che passava, pieni di emozioni.  

- Hai una tuta da ginnastica? - chiese appena separati, continuando a fissare quei due occhi azzurri. 

- A casa...perché? - lo guardava confusa, non riuscendo a comprendere il ragazzo. Cosa poteva avere a che fare una tuta con quel momento? Lui sorrise e, senza dare spiegazioni, la portò via da quel branco di ragazzini curiosi, mantenendo un braccio intorno al suo collo così che potesse sentirsi fiera di se stessa e andarsene a testa alta, dopo tutti quegli anni in cui non aveva fatto altro che mantenere uno sguardo basso per non incrociare quello degli altri. 

 

Da circa un'ora si stava allenando sotto le indicazioni del suo istruttore personale. Andrea si era offerto di pagarle la palestra e le stava insegnando qualche tecnica base per difendersi, nel caso altri bulli se la fossero presa con lei. Mentre le faceva tirare pugni al sacco, si era fatto raccontare quello che accadeva a scuola con Nicole, spiegando che aveva avuto le sue prime informazioni dal piccolo Marco. In un primo momento fu difficile farla parlare, ma, dentro di sé, Lisa sapeva che era arrivato il momento della verità. Non poteva più inventarsi scuse per le sue ferite e il suo malumore, era stata scoperta e avrebbe dovuto confessare tutto. Gli disse di tutte le volte che era stata derisa, di quando le rubavano di soldi, o aveva dovuto consegnare i propri compiti ad altri che non li avevano fatti sapendo dove poterli prendere al momento del bisogno, o di quelle occasioni in cui era stata attaccata fisicamente, precisando che avevano iniziato a picchiarla solo nell'ultimo periodo. Mentre raccontava tirava fuori tutto il suo sfogo, riversava la sua rabbia sul sacco rosso che penzolava davanti a lei, dimenticandosi delle regole che le erano appena state insegnate. Il biondo le alzava le braccia, portando i pugni all'altezza della mascella, ricordandole che doveva proteggersi sempre il volto, le piegava le ginocchia quando raddrizzava le gambe, per avere una difesa migliore durante l'incasso di un colpo.  Finché lui non decise di farla smettere, togliendole i guantoni e facendola sedere sulla panca che c'era in sala.  

- Devi migliorare un po' la tecnica, ma te la cavi. - commentò, come se non avesse udito una parola, cosa assolutamente non vera. Aveva ascoltato tutto, memorizzando ogni singolo dettaglio, ma non si era intromesso in quel lungo discorso. Si limitò a fare una sola domanda. - Perché non me ne hai parlato prima? 

Lei lo fissò triste, ricordandosi tutte le sue paranoie.  - Non volevo sembrarti una fallita. - ammise alla fine, abbassando lo sguardo, ma lui le prese delicatamente il mento e lo sollevò, lasciandole un sorriso non di felicità, ma di compassione.  

- Non sei tu la fallita. - Lisa non capiva. Come poteva non esserlo? Non riusciva a difendersi dai suoi compagni, stava sempre in silenzio a subire ogni genere di tortura. Come poteva quel ragazzo pensarla diversamente? - La vera fallita è quella Nicole. - ora ci capiva ancora meno. Lui diede una pacca sulla sua gamba, incitando la rossa a sedervisi sopra. - Sai perché i bulli se la prendono con le persone più deboli, come te? - scosse la testa, aspettando il resto della frase. - Perché sono invidiosi e lo stesso vale per Nicole. Sa che tu hai un grande cuore, che hai tutte le qualità per avere tutto quello che vuoi, amici compresi. Lei, gli amici, se li deve fare per forza utilizzando la violenza. Quando hai paura di qualcuno non osi contraddirlo e, per evitare di mettertelo contro, inizi ad assecondarlo. Così un bullo può sentirsi soddisfatto, credendo di essere amato, e se la prende con quegli più deboli per poter mantenere la sua posizione di superiorità. In realtà, sa benissimo di essere inferiore alle sue vittime. È consapevole di essere il vero fallito e si nasconde fingendosi il migliore. 

Lisa era sorpresa di quelle parole. Non l'aveva mai pensata in quel modo, si era sempre considerata una debole. Pensava che Nicole si comportasse in quel modo solo per il gusto di vederla soffrire, ma, dopo quel discorso, iniziava a ricredersi. - E tu come lo sai? 

- Perché ero come lei. 

   
 
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