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Autore: mononokehime    03/05/2018    1 recensioni
Talvolta ciò che ci rimane più impresso della realtà sono i dettagli che la compongono.
Questo è particolarmente vero per Carter Mason, accanita osservatrice del mondo che la circonda; proprio questa sua ossessione per i particolari la legherà indissolubilmente ad uno sconosciuto sulla metro, che farà di tutto per ritrovare.
DAL TESTO:
In quel momento la metro frenò bruscamente e Carter, non più appoggiata ad un sostegno, perse l'equilibrio sbilanciandosi all'indietro contro il corpo di una persona che la afferrò per il fianco sinistro, colta alla sprovvista.
Ancora frastornata, nel tentativo di recuperare l'equilibrio la ragazza abbassò lo sguardo sulla mano che la stringeva. Era una mano grande, giovane e maschile, le dita affusolate ma non per questo sottili.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Da un certo punto di vista prendere la metro di mattina era anche peggio che prenderla la sera.
Innanzitutto c’era molta più gente; spesso Carter si ritrovava appiccicata a diversi corpi di estranei, e la sua ferrea selettività per le persone a cui autorizzava un contatto fisico la portava a convivere con un disgusto viscerale per tutta la durata del viaggio. Inoltre, se la sera aveva almeno la consolazione che il tragitto in metro fosse l’unica cosa che la separava da una notte di meritato riposo, di mattina non era così; una volta scesa sulla banchina di St. Johns Wood, infatti, la aspettava ancora una lunga giornata lavorativa.
La ragazza emise un sospiro di sconforto al solo pensiero, mentre tentava di mantenere quanta più distanza possibile dai due signori un po’ attempati che chiacchieravano ad alta voce proprio accanto a lei.
La metro prese a rallentare, e Carter lesse di sfuggita il nome della stazione di Kilburn sui cartelli della banchina prima di riportare la propria attenzione dallo schermo del cellulare. Selezionò la playlist che più di ogni altra era in grado di isolarla dal mondo ed avviò la riproduzione casuale; quando nelle sue orecchie si diffusero le prime note di The Holy Drinker di Steven Wilson lei sorrise appena, chiudendo gli occhi, finalmente un po’ più in pace con ciò che la circondava.
Il volume delle cuffie era talmente alto che quasi non si accorse che la metro era ripartita dopo essersi fermata a Kilburn; il brano era già iniziato da un paio di minuti, e Carter era completamente assorbita nel seguire il complesso intreccio delle varie linee melodiche irregolari e dissonanti.
Nel momento in cui la musica si interruppe di colpo la ragazza ripiombò drasticamente nella realtà, e riaprì gli occhi smarrita per capire cosa fosse successo. Quello che vide le fece sprofondare lo stomaco e seccare la gola.
Il suo sconosciuto era accanto a lei, con lo stesso sorriso furbo di poche sere prima, e teneva in mano il microfono delle cuffie di Carter – plausibilmente era stato lui stesso a mettere di proposito la musica in pausa.
Quella mano. La mano sinistra che era ormai incisa irreversibilmente nella memoria di lei si trovava ad appena un paio di centimetri dalla sua guancia.
«Una ragazza che ascolta Steven Wilson non dovrebbe avere paura di un dipendente di Tesco. La sua musica è parecchio più inquietante di me»
Carter deglutì a vuoto, ancora sbalordita. Non solo lui era sulla metro insieme a lei ad un orario improbabile, non solo era di una bellezza sfolgorante che le faceva quasi male al cuore, ma sembrava anche conoscere bene uno dei suoi artisti preferiti.
Ed era di nuovo lì impalata come una stupida davanti a lui, senza essere in grado di dire una parola.
Lui tuttavia non sembrò turbato dal suo silenzio teso; difatti ridacchiò, lasciando andare il cavetto delle cuffie e passandosi la mano tra i lunghi capelli castani.
«Forse se mi presento sembrerò meno spaventoso» scherzò poi, un lampo giocoso nei luminosi occhi verdi. «Mi chiamo Harry, e ti assicuro che non ho intenzione di mangiarti o qualcosa di simile. Questo ti può tranquillizzare?»
Harry. Non aveva mai neppure considerato questo nome, ma ora che gliel’aveva detto era come se non potesse che essere così. Era a dir poco perfetto per lui, ed il modo in cui l’aveva pronunciato aveva fatto tremare qualcosa all’altezza dello stomaco di Carter.
Quest’ultima si obbligò a recuperare un barlume di lucidità, e dopo essersi schiarita la gola riuscì a rispondere.
«I suoi lavori non sono inquietanti, sono solo tristi» puntualizzò, per poi rendersi conto del fatto che non aveva neppure risposto alla sua presentazione ma aveva semplicemente polemizzato. Avrebbe voluto picchiarsi da sola.
Harry sorrise scoprendo i denti, e la fossetta sulla guancia sinistra ricomparve.
«Questo è un punto di vista interessante» replicò, alzando le mani con aria divertita. «E dimmi un po’, io ti sembro inquietante?»
Carter si prese un paio di secondi per osservare il suo viso da vicino con gli occhi socchiusi, come se avesse preso sul serio la domanda di Harry, quindi scosse la testa.
«No, per niente» rispose infine, non riuscendo a fare a meno di sorridere a sua volta. Quella situazione assurda stranamente non la destabilizzava come avrebbe creduto; al contrario, si sentiva in qualche modo quasi a proprio agio.
«Meno male, perché ero convinto di averti spaventata a morte» commentò Harry con una risatina. «Mi sono tolto un peso»
«Non preoccuparti, non è stata colpa tua» lo rassicurò Carter, già più disinvolta. «Sono io che sono una frana quando si tratta di interagire con le persone. Per giunta ero esausta dalla giornata di lavoro, il che tendenzialmente peggiora le cose»
Harry non sembrò turbato da quell’improvviso fiume di parole, anzi; il suo sorriso si fece se possibile ancora più luminoso mentre annuiva con aria comprensiva.
«Che lavoro fai?» domandò genuinamente interessato, lasciando andare l’intero corpo contro il palo di sostegno a cui era appoggiato.
«Lavoro vicino ad Abbey Road, al Beatles Coffee Shop di St. Johns Wood» rispose lei, al che lo sguardo di Harry si illuminò.
«Wow, davvero?» chiese entusiasta, facendo ridacchiare Carter. «Non ridere, questo è molto meglio che fare i doppi turni da Tesco Extra»
«In effetti non posso darti torto» riconobbe la ragazza, le labbra ancora piegate in un sorriso spontaneo. «Il mio lavoro mi piace, sto a contatto con parecchi appassionati di musica»
«Avevo intuito che i tuoi gusti musicali fossero parecchio colti» replicò lui, indicando con il mento le cuffie nere di Carter. «Cos’altro ascolti?»
Lei si morse l’interno della guancia con aria pensierosa.
«Mah… dipende dal periodo» ammise, stringendosi nelle spalle. «Ultimamente quasi solo Steven Wilson e Porcupine Tree, ma un paio di mesi fa ero a dir poco fissata con gli Opeth. Ogni tanto recupero vecchi classici come Queen e Led Zeppelin, anche se più spesso mi piace esplorare alla ricerca di musica semisconosciuta»
Harry emise un fischio ammirato.
«Non capita spesso di trovare ragazze che sappiano apprezzare la buona musica» commentò con il suo più bel sorriso. Carter sentì le gambe farsi improvvisamente molli ed il respiro mancarle; non riusciva a credere di star davvero parlando con il suo sconosciuto, a quella distanza così irrisoria. Era quasi tentata di pizzicarsi una guancia per capire se stesse sognando oppure no.
Chiacchierarono di musica per alcuni altri minuti, quindi in prossimità di Neasden Harry alzò la testa e guardò fuori dagli ampi finestrini.
«Temo di essere quasi arrivato alla mia fermata» osservò il ragazzo, piegando leggermente il capo di lato. Carter trattenne un sospiro, strappata di colpo a quella bolla di spensieratezza, e tentò di nascondere al meglio l’espressione delusa.
«A che ora finisci di lavorare oggi?»
La domanda di Harry le piovve addosso completamente inattesa, e la ragazza alzò di scatto lo sguardo verso il suo viso. Gli occhi limpidi di lui erano inchiodati a quelli di Carter, in attesa di una risposta; poteva quasi sentirli bruciare sulla propria pelle.
«Alle quattro» riuscì a mormorare, colta alla sprovvista per l’ennesima volta. Harry annuì, le labbra distese nell’ampio sorriso che aveva il potere di far saltare qualche battito al cuore della ragazza.
La metro ormai aveva smesso di rallentare, fermandosi alla banchina di Neasden. La massa di passeggeri che dovevano scendere iniziò ad accalcarsi vicino alle porte, e quando queste si aprirono Harry riuscì a rivolgere solo un breve cenno di saluto a Carter prima di dover uscire a sua volta.
Lei restò aggrappata al palo giallo, come se con quel gesto tentasse di rimanere aggrappata anche alla consapevolezza che quell’incontro fosse avvenuto sul serio e che non fosse solo uno scherzo della propria immaginazione.
Poi, in un gesto quasi automatico, Carter guardò attraverso l’ampio finestrino di fronte a lei, incontrando lo sguardo di Harry che sorrise ed agitò una mano, quindi indietreggiò di qualche passo tenendo gli occhi inchiodati ai quelli della ragazza per poi voltarsi e dirigersi verso il sottopassaggio mentre la metro ripartiva.
 
***
 
«Sono dodici sterline e novantanove pence, signora. Vuole un sacchetto?»
Carter sospirò quando la donna a cui aveva appena venduto una t-shirt se ne andò senza ringraziare né salutare. Non riusciva a capire perché per le persone fosse così difficile usare il minimo grado di cortesia spiccia con i dipendenti dei negozi; ogni cliente di questo tipo contribuiva immancabilmente ad aggiungere un velo di malumore dentro di lei, portandola a fine giornata a sentirsi oppressa dal peso di tutta la maleducazione con cui aveva avuto a che fare.
Gli orologi analogici esposti in vetrina indicavano appena le tre e un quarto del pomeriggio; mancavano ancora tre lunghi quarti d’ora alla fine del suo turno lavorativo, e la ragazza era parecchio più assente del solito. In genere il suo lavoro non le dispiaceva, a dispetto della scortesia della gran parte dei clienti; spesso le capitava di incontrare nostalgici che avevano vissuto in prima persona il successo dei Beatles, e con loro talvolta intratteneva piacevoli discorsi scambiando aneddoti e curiosità che poi riciclava con altri clienti meno esperti per invogliarli all’acquisto.
Tuttavia quella giornata era trascorsa come in un limbo nebuloso, a causa dell’incontro mattutino con Harry sulla metropolitana. Non riusciva a smettere di pensare al suo sorriso nel momento in cui lei aveva alzato lo sguardo quando la musica si era interrotta; le era sembrato un sorriso quasi trionfante e soddisfatto, e si era chiesta più volte il perché di quell’impressione.
Harry era un personaggio decisamente particolare e complesso da decifrare. Mentre parlavano i suoi occhi verdi e luminosi erano rimasti fissi in quelli di Carter, come a non volersi perdere neppure una parola della loro conversazione; era raro trovare persone che le dedicassero una tale incondizionata attenzione, e se da un lato questo poteva intimorire dall’altro era indubbiamente lusinghiero ed affascinante.
Non parlava a vanvera, anzi: sembrava che ogni sua parola fosse rivestita di un’attenzione quasi studiata, di una consapevolezza consolidata, e la sua parlata lenta vi si accompagnava alla perfezione. Avevano parlato di musica per quasi tutto il viaggio, ed i suoi interventi erano stati sempre precisi e puntuali; era evidente che conosceva bene l’argomento, e questo non aveva fatto che aggiungere punti a vantaggio del proprio posto nella classifica di Carter – non che non fosse già in un’ottima posizione, per la verità.
Il tintinnio del grappolo di campanellini appesi vicino alla porta riportò alla realtà la ragazza, che alzò di scatto lo sguardo pronta ad accogliere il cliente che stava entrando.
I suoi occhi incontrarono inaspettatamente quelli verdissimi di Harry, che non mancò di sfoderare il suo sorriso mozzafiato nel constatare che effettivamente si trovava nel posto giusto. Quando Carter si fu ricordata come respirare ricambiò il sorriso, mentre il ragazzo si avvicinava al bancone.
«Non mi aspettavo di vederti qui» ammise lei con sincerità, al che Harry ridacchiò divertito passandosi una mano tra i lunghi capelli sciolti.
«Credevo fosse palese, visto che ti avevo chiesto a che ora avresti finito di lavorare» replicò, appoggiandosi all’esigua superficie libera del bancone. «E pensare che non so nemmeno il tuo nome»
«Carter» rispose lei, con una risatina un po’ imbarazzata che sapeva di scuse. «Mi chiamo Carter»
Harry annuì, come a voler registrare il suo nome nella propria mente con la solita metodica attenzione che lo contraddistingueva, quindi prese a guardarsi intorno affascinato.
Esaminò le decine di prodotti esposti sugli scaffali, che arrivavano fino al soffitto per ottimizzare lo spazio ridottissimo del locale; ogni tanto prendeva in mano un libro che sfogliava con cura, sorridendo o corrugando le sopracciglia a seconda di quello che leggeva, oppure una tazza con la stampa della famigerata copertina di Abbey Road, o ancora cd e vinili.
Sembrava particolarmente affascinato dai vinili.
«Vuoi che ti prepari qualcosa?» propose Carter, che da dietro le alte macchine per il caffè non aveva smesso un secondo di guardarlo. «Espresso, americano, cioccolata calda?»
Lui si voltò verso di lei, con una copia di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band ancora tra le mani ed il suo bel sorriso sulle labbra.
«Una cioccolata la berrò volentieri» accettò annuendo, tornando poi ad esaminare la copertina dell’album. «Dio, questo è probabilmente il disco più bello che abbiano mai pubblicato»
Carter ridacchiò mentre mescolava il preparato al cacao con il latte.
«Io preferisco Help!, ma è un’opinione di parte» confessò, stringendosi nelle spalle. «Sono praticamente cresciuta ascoltandolo; mio papà mi cantava sempre I’ve just seen a face quando ero piccola»
Il sorriso di Harry si allargò, e Carter per un secondo si incantò ad osservare la forma della fossetta sulla sua guancia sinistra. Tuttavia si riscosse quasi subito, e sollevò la lattiera in acciaio infilandovi la cannuccia del vapore della macchinetta.
 
I’ve just seen a face
I can’t forget the time or place
Where we just met…
 
La ragazza si bloccò nel riconoscere le parole che Harry stava canticchiando. Gli lanciò un’occhiata furtiva, notando che era tornato ad esaminare la copertina del vinile senza però smettere di cantare sottovoce tra sé e sé. Aveva una voce così accattivante che Carter sentì la bocca improvvisamente secca, mentre lo ascoltava rapita con la lattiera ancora in mano.
Per fortuna pochi secondi dopo la porta si aprì con il consueto tintinnio di campanelli, obbligando Carter a tornare alla realtà; una coppia con un bambino era entrata nel negozio ed aveva subito iniziato a curiosare tra gli scaffali. La ragazza versò la cioccolata in una tazza bianca porgendola ad Harry, che sorrise nel ringraziarla e posò alcune monete sul bancone prima di tornare a girare per il minuscolo locale con il naso per aria.
Era una sensazione stranamente piacevole far scivolare lo sguardo lungo la sua figura longilinea, catturare la sua espressione concentrata – resa quasi impenetrabile dalle sopracciglia appena aggrottate – e tentare di indovinare con quanta forza le labbra di lui fossero premute l’una contro l’altra.
Il tempo sembrò quasi scorrere su binari diversi dal solito, perché la fine del turno di Carter arrivò molto prima di quanto lei stessa avrebbe creduto.
La porta del Beatles Coffee Shop si spalancò ancora, ma dalla forza sproporzionata con cui sbatté fu sufficiente alla ragazza per capire di chi si trattasse.
«Ehi, Carrie! Grazie al cielo ce l’ho fatta ad arrivare in tempo, pensa che il bus ha forato lungo la strada e siamo dovuti scendere tutti. Ho fatto la strada più o meno di corsa»
Carter ridacchiò suo malgrado, ignorando il proprio odio per quello stupido soprannome che la sua collega Baylee si ostinava ad affibbiarle.
«Solo a te succedono queste cose, B» commentò in risposta con un sogghigno, guadagnandosi una linguaccia. «Non è stato un mese fa che l’autista del bus su cui eri salita si è messo a litigare con un passeggero e sei arrivata con più di venti minuti di ritardo?»
«Due mesi» sbuffò Baylee, togliendosi il giubbotto ed infilandolo sotto al bancone. «E mi pare di averti già offerto abbastanza milkshake al cioccolato per rimediare, anche se non era colpa mia»
Carter alzò le spalle con fare casuale mentre recuperava il proprio giubbotto, e appena prima che iniziasse ad infilarlo Baylee la prese per un braccio e la fece voltare verso il muro, avvicinandosi al suo orecchio.
«Hai visto quella specie di dio greco con i capelli ricci e gli occhi verdi?» sussurrò elettrizzata, al che Carter trattenne una risatina. «Non so che darei per sapere se ce l’ha lungo come i suoi capelli»
«Bayles!» replicò lei a mezza voce, a metà tra l’incredulo ed il divertito. «Non fare l’idiota, ti sente»
«Macché, è troppo concentrato su quella stupida biografia di George Harrison per badare a me» minimizzò Baylee, tornando a lanciargli un’occhiata da dietro la propria spalla con un sospiro. «Ma poi, che sto a pensare? Figurati se uno così sexy è pure single»
Carter corrugò la fronte, un’ombra di dubbio che la rannuvolò spiacevolmente. Non aveva mai nemmeno preso in considerazione quest’eventualità, e la cosa la infastidiva parecchio oltre che piantarle una stilettata di prematura delusione nello stomaco.
La sua collega doveva aver percepito il suo cambio di umore perché fece per dire qualcosa, ma quando Carter si infilò in fretta il giubbotto ed uscì da dietro il bancone si interruppe con il labbro inferiore stretto tra i denti.
«Buon lavoro, B» la salutò la ragazza, agitando una mano. «Ci vediamo domani!»
Harry aveva posato il libro e seguito i suoi movimenti negli ultimi secondi, rivolgendole un caldo sorriso quando i loro sguardi si incrociarono. Con un cenno del capo invitò Carter ad uscire con lui, e la porta del Beatles Coffee Shop si richiuse dietro di loro con un tintinnio di campanelli lasciando Baylee a bocca spalancata dietro al bancone.
 
***
 
«Dove stiamo andando, esattamente?»
Harry prese un sorso dal proprio bicchiere di carta, restando in silenzio diversi secondi come se stesse riflettendo profondamente su cosa rispondere.
«Non ne ho la più pallida idea» replicò infine con semplicità disarmante. Carter non poté fare a meno di scoppiare a ridere alla sua aria platealmente menefreghista, innescando subito un ampio sorriso sulle labbra di lui.
Stavano camminando da circa mezz’ora dopo aver lasciato St. Johns Wood; si erano fermati solo da Starbucks perché Harry aveva espresso il desiderio di un frappuccino, ed aveva voluto offrire un milkshake al cioccolato a Carter nonostante le sue proteste. La ragazza si sentiva a disagio quando gli altri spendevano soldi per lei, ma sotto sotto non poteva fare a meno di gongolare perché Harry a quanto pare aveva colto dalla conversazione con Baylee che le piacevano i milkshake al cioccolato, e se n’era ricordato quando erano arrivati davanti alla famosa caffetteria.
«Sei terribilmente disorganizzato per aver scelto tu di monopolizzare il mio tempo libero» lo provocò Carter, al che Harry sollevò le sopracciglia con un sorriso sorpreso.
«Nessuno ti ha obbligata a seguirmi» si difese prontamente, con aria furba. «Se sei qui vuol dire che dopotutto non ti dispiace»
La ragazza scosse la testa con una risata ed alzò le mani in segno di resa.
«Touché»
Continuarono a camminare a passo tranquillo per alcuni minuti, prendendo di tanto in tanto qualche sorso delle loro bevande, finché la voce di Harry spezzò il silenzio.
«Adesso me lo puoi dire perché quella sera da Tesco sei scappata così?»
A quelle parole Carter strabuzzò gli occhi ed il milkshake che stava bevendo le andò di traverso, portandola a tossire ripetutamente. Il ragazzo ridacchiò, aspettando che la tosse di lei si calmasse per avere una risposta.
«Non so di cosa stai parlando» bofonchiò Carter dopo essersi ripresa, per nulla intenzionata a dissotterrare quell’evento imbarazzante. Harry arricciò le labbra in una smorfia, piegando la testa di lato.
«Lo sai perfettamente, invece» insistette, socchiudendo gli occhi. «Perché ti saresti quasi soffocata con un sorso di milkshake, altrimenti?»
Lei sospirò a denti stretti, stringendo un po’ di più la presa sul bicchiere di carta.
«È solo che non mi aspettavo che tirassi fuori l’argomento» tentò di giustificarsi, ma guadagnò solo una risata trionfante da parte di Harry.
«Quindi ammetti di sapere di cosa sto parlando» tornò alla carica implacabile, lanciandole un’occhiata furba.
Era un osso duro.
«Sì, so perfettamente di cosa stai parlando» si arrese Carter, roteando gli occhi. «Perché ti interessa tanto?»
Harry alzò le spalle con fare casuale, senza però perdere il sorriso.
«Considerala semplice curiosità» tergiversò, ammiccando nella sua direzione. «Avanti, sputa il rospo»
Carter serrò le palpebre, consapevole del fatto che lui non avrebbe desistito fino a quando non avrebbe ottenuto ciò che voleva, e prese un altro sospiro. D’improvviso si decise a raccontargli la verità; dopotutto aveva dato per scontato di non ritrovarlo nemmeno più, perciò se lui se la fosse data a gambe non sarebbe stata una gran perdita.
Giusto?
«Ok, ascolta» espirò Carter, massaggiandosi una tempia. «Te lo dirò, e tu sarai liberissimo di dileguarti all’istante. Solo… non metterti a ridere, per favore. D’accordo?»
Harry si sforzò a fatica di ricacciare indietro il sorriso per assumere un’espressione più seria, quindi annuì e con un cenno la invitò a cominciare. La ragazza sospirò per l’ennesima volta, mordendosi l’interno di una guancia, poi si fece coraggio e prese a raccontare.
«Una sera di qualche giorno fa ero in metro mentre tornavo da lavoro. Ad un certo punto la metro ha frenato, io sono caduta all’indietro e tu mi hai presa al volo. Non ho fatto in tempo a girarmi perché sei sceso subito dopo, e per qualche motivo assurdo non riuscivo a smettere di chiedermi che faccia avessi; per questo, quando la sera dopo ti ho visto scendere a Neasden, ti ho seguito fino da Tesco. Non mi aspettavo che mi rivolgessi la parola, perciò appena l’hai fatto sono andata nel panico e sono scappata»
L’espressione di Harry si era fatta sempre più sbalordita secondo dopo secondo, mentre Carter parlava; lei aveva evitato il suo sguardo per tutto il tempo, perciò quando tornò a posare il suo sguardo sul suo viso dopo aver finito di raccontare si sentì quasi mancare per l’aria allibita del ragazzo di fronte a sé.
Durò pochi secondi, tuttavia, perché Harry scoppiò a ridere gettando la testa all’indietro e Carter deglutì a vuoto, sgomenta e leggermente spaesata. La lunga fossetta sulla guancia sinistra di lui era più marcata che mai, e forse fu questo che le permise di non rimanere indispettita dalla sua ilarità.
«Ti avevo chiesto di non ridere» borbottò comunque, abbassando lo sguardo e calciando via un piccolo sasso per darsi un contegno. «Così è ancora più imbarazzante»
«È vero, ti chiedo scusa» replicò Harry con gli occhi che brillavano divertiti, rendendo palese il fatto che in realtà non fosse affatto pentito del proprio comportamento. Carter sbuffò, riprendendo a camminare, e lui la seguì prontamente.
«Così eri tu quella che avevo acchiappato in metro?»
La ragazza annuì rassegnata, inghiottendo la vergogna che la divorava da dentro e ringraziando il Cielo che Harry non le avesse dato della stalker.
«E sei stata così ossessionata dal pensiero che non hai potuto fare a meno di seguirmi?»
«Di’ un po’, ma lo fai apposta?» chiese esasperata Carter, fermandosi e girandosi verso di lui. «A questo punto avrei preferito che tu scappassi»
Harry ridacchiò, piegando la testa di lato nel guardarla.
«Non credo proprio» la sfidò, le mani sui fianchi, mentre sulle sue labbra si disegnava il solito sorriso furbo. «Sembri piuttosto contenta che io sia ancora qui»
Carter aprì la bocca per replicare ma la richiuse subito dopo, rendendosi conto che Harry aveva fatto centro. Era indubbiamente sollevata che lui fosse rimasto e che sembrasse semplicemente divertito dalla situazione; questo le fece venire in mente ciò che le aveva detto Louis qualche sera prima, quando era tornata a casa dopo aver seguito Harry da Tesco.
«Inizia a darmi sui nervi il fatto che tu abbia sempre ragione» mugugnò, senza però riuscire ad evitare che gli angoli delle sue labbra si piegassero verso l’alto. L’espressione del ragazzo si fece trionfante, e prima che il cuore di lei sprofondasse ancora un pochino nel suo petto alla vista di quel viso sorridente si incamminarono di nuovo senza una meta, lasciandosi alle spalle quel discorso forse scomodo ma carico di inconsapevoli premesse.



Spazio autrice
Ciao gente <3
Eccoci di nuovo su questa piccola storia.
Che dire... Harry è rispuntato fuori dal nulla in metro, nel modo più semplice del mondo c: ormai io so a memoria praticamente tutte le fermate della Jubilee, ma per chi avesse ancora le idee confuse l'ordine delle fermate da casa di Carter al Beatles Coffee Shop - escluse quelle che non ci interessano - è questo: Wembley (dove abita Carter) > Neasden (dove c'è il Tesco in cui lavora Harry) > Kilburn (dov'è salito Harry)> St. Johns Wood (dove lavora Carter). Quindi nello scorso capitolo Carter non l'aveva visto salire perché lui era entrato nella metro dopo di lei [ricordate che il senso di marcia era opposto] ed era salito un vagone più indietro :')
Concludo il mio blaterare che probabilmente non interessa a nessuno hahah ^^ grazie di leggermi, a giovedì <3

Un abbraccio,
mononokehime

 
   
 
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