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Autore: QueenInTheNorth    15/05/2018    8 recensioni
Vi chiedete mai cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente? Se dopo l'incoronazione di Jon Snow a Re del Nord nuove forze fossero scese in campo? Se vecchie profezie fossero tornate alla luce e la Canzone si fosse rivelata? Quanto può una decisione diversa cambiare le sorti dei Sette Regni?
La ruota continua a girare, nuovi re si faranno avanti e la terra tremerà ancora per il ruggito dei draghi.
Ma la Lunga Notte è vicina, gli Estranei attendono pazienti, e nell'ora più buia tutte le vostre certezze vacilleranno. Stavolta gli uomini sono soli e l'amore forse non basterà più a salvarli.
Siete pronti a perdere ogni speranza?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Sansa Stark, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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The Lonely She-wolf                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                               


Jon

 

Il vento non si era placato nemmeno un secondo e dopo ben tre giorni di viaggio ancora soffiava furioso rendendo particolarmente arduo il cammino già difficoltoso a causa della neve. I cavalli avanzavano a fatica e più di una volta la comitiva si era dovuta arrestare per attendere un animale rimasto indietro.

La mattina la nebbia tardava ad alzarsi e il sole era ormai un ricordo lontano. Si era già fortunati se trascorreva una giornata senza nevicare.

Jon era più nervoso e irritabile ogni giorno che passava. Era arrivato perfino a redarguire aspramente un suo compagno semplicemente per aver imbrigliato le redini facendo perdere tempo al gruppo. In seguito si era scusato. “Mi dispiace” aveva detto passandosi una mano sul volto, “so di essere intrattabile, ma la verità è che sono molto preoccupato…” Tutti gli avevano risposto che non doveva loro alcuna spiegazione.

Già, io sono il re.

Oramai neanche quel pensiero gli dava alcuna gioia: le ansie che aveva comportato quel titolo avevano cancellato tutto il resto. Temeva per Davos e Brienne ancora nelle mani di una dubbia alleata. Temeva per Sansa che aveva abbandonato insieme a Ditocorto. Temeva per la sua gente e per il Nord, stretto com’era tra gli Estranei e i draghi. Temeva addirittura per Spettro, nonostante il meta-lupo gli avesse più volte dimostrato di sapersela cavare benissimo da solo.

Ed ho paura per me? si chiedeva durante le interminabili cavalcate Ho paura di morire? Non era ancora capace di darsi una risposta. Se da un lato la morte avrebbe significato liberazione, dall’altro avrebbe comportato l’abbandono forzato di tutto ciò in cui credeva, di tutto ciò che stava proteggendo. E dopo cosa sarebbe rimasto?

Jon era sempre più convinto di dover rivestire un ruolo importante nella guerra contro gli Estranei. Era quasi arrivato a credere alle parole di Melisandre.

Quasi.

In effetti faticava a credere di essere stato scelto da un dio sconosciuto per adempiere a un destino che non era il suo. Ma allora perché era tornato? Perché il suo corpo non era semplicemente rimasto a marcire, o più probabilmente a bruciare, come tutti gli altri cadaveri? Perché la vita l’aveva richiamato indietro? Tutte quelle domande gli perforavano il cervello e Jon non era in grado neppure di azzardare una risposta.

Di notte sognava di draghi e rose blu e si svegliava con quella strana canzone nelle orecchie. A volte però veniva colto dagli incubi e vedeva Sansa morire trafitta da una freccia come Ygritte, o Davos decapitato come suo padre, o Tormund pugnalato come Robb. A volte vedeva la testa di Spettro dondolargli davanti agli occhi come quella di Cagnaccio, che Ramsay aveva buttato ai suoi piedi.

Finalmente, all’alba del quarto giorno, giunsero a Porto Bianco. Per Jon era la prima volta in quella città e fu lieto di avere una scusa per allontanare quei tetri pensieri. Ser Marlon Manderly, cugino di lord Wyman, li aveva accolti  nella sua dimora. “E’ un onore per me poter ospitare il Re del Nord in persona” aveva detto con voce eccitata, “non pensavo sareste arrivati così presto.”

Jon aveva sorriso, borbottando frasi di circostanza ed accettando di malavoglia un invito a cena. Durante il pasto tentò di richiamare l’attenzione sull’imminente partenza.

“Ma come?” esclamò sorpreso Marlon “Non vi fermate neanche un po’? Alla gente di qui farebbe così piacere se…”

“Mi dispiace” lo interruppe Jon sforzandosi di essere gentile ma desiderando solamente andare a letto, “ma abbiamo una missione urgente da portare a termine. Partiremo domani per la Roccia del Drago.” 

Marlon rimase a bocca aperta. “M-ma, ma” balbettò con la forchetta a metà strada tra la bocca e il piatto, “non credo sia una buona idea. Da quanto mi è stato riferito hai già inviato degli ambasciatori e ormai è troppo rischioso far salpare altre navi. Gli Uomini di Ferro…”

“Non mi interessa degli Uomini di Ferro!” sbottò Jon con troppa veemenza. Accorgendosi di aver attirato sguardi perplessi si affrettò a ricomporsi. “Chiedo scusa, mio signore” disse con voce calma, “sto approfittando della tua generosa ospitalità senza porti il dovuto rispetto. Tutto quello che dici è vero, ma io non posso attendere. Se non raggiungo la Roccia del Drago entro pochi giorni, il Nord potrebbe ritrovarsi nei guai. Mi serve il tuo aiuto…”

Marlon rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi sorrise. “Ma certo!” esclamò battendo le mani “Ti fornirò tutto il necessario per la partenza, nonché un nave nuova ovviamente.”

“Non ce n’è bisogno” protestò Jon, “le navi di Stannis andranno più che bene…”

“Non se ne parla” s’impuntò Marlon. “Quelle navi sono arrivate da noi distrutte e mezze congelate, che razza di signore sarei se non fossi neanche in grado di fornire al mio re una barca decente?” Jon mormorò un “grazie” sommesso e Marlon parve soddisfatto. Poi l’occhio gli cadde sulla spada che Jon portava alla cintura. “Acciaio di Valyria, vero?” chiese senza aspettarsi una vera risposta “Mi sembra leggermente rovinata…” Jon dovette ammettere che aveva ragione: a Grande Inverno aveva tentato di affilarla, ma le pietre si erano frantumate.

“Qui a Porto Bianco c’è una bottega dove si riparano tutti i tipi di armi” confessò Marlon strizzando l’occhio, “e mi dicono che il fabbro sia particolarmente bravo con l’acciaio di Valyria…”

Così il mattino seguente di buon’ora Jon, seguendo le indicazioni di ser Manderly, raggiunse la bottega in questione. Era un piccolo locale, povero ma curato, che mostrava una certa attenzione ai dettagli da parte del proprietario. Entrò e tentò di abituare gli occhi alla penombra. L’unica stanza era affollata da oggetti di lavoro ed utensili, tutti puliti e in ordine, ma inesorabilmente logorati dal tempo.

“Buongiorno, signore, in cosa posso esserti utile?” 

Jon quasi sobbalzò. Si voltò e fu estremamente sorpreso dal ritrovarsi di fronte un ragazzo di pochi anni più giovane di lui, con il viso sporco di fuliggine ed i denti scintillanti in un sorriso.

“Ecco, io” iniziò Jon sentendosi improvvisamente a disagio, “vorrei far affilare la mia spada…” Estrasse Lungo Artiglio e il giovane quasi gliela strappò di mano. “Acciaio di Valyria” mormorava, “ottima fattura anche se credo che l’impugnatura non sia quella originale. Per affilarla ci impiegherò tre giorni.”

Jon sgranò gli occhi. “Come tre giorni?” chiese sentendosi abbastanza idiota. 

Il ragazzo lo squadrò quasi con diffidenza. “Sono pieno di lavoro” spiegò accennando agli oggetti intorno a lui, “se sono fortunato ci impiegherò due giorni, ma servirà un supplemento…”

Jon perse la pazienza. “Ascolta, ragazzino” disse con voce gentile ma decisa, “la mia nave salpa tra mezz’ora, quindi per quell’ora la mia spada deve essere pronta. Ti pagherò quanto vorrai.” 

Il ragazzo sollevò un sopracciglio. “Ho altre priorità” disse indifferente, “sono un lavoratore onesto io, cosa direi agli altri signori che attendono le loro armi entro un’ora?”

Jon decise di giocarsi la sua ultima carta. “Diresti che non hai potuto rifiutare un lavoretto” disse studiando l’espressione del ragazzo, “al Re del Nord.”

La frase sortì l’effetto sperato ed il giovane perse in un attimo tutta la sua baldanza rivelandosi per quello che era: un ragazzino sbalordito. O terrorizzato.

“I-io io” farfugliò il ragazzo, “non sapevo. S-sono desolato altrimenti mai avrei… E’ stato un equivoco, io non sapevo…”

“Ehi, ehi, ehi” lo tranquillizzò Jon portando le mani avanti, “va tutto bene. Non ti devi scusare per nulla. Adesso io ho solo bisogno di una spada affilata e poi toglierò il disturbo.”

“Certo, mio signore” disse il giovane visibilmente rincuorato, “subito, mio signore.” E Lungo Artiglio fu pronta nel tempo record di un quarto d’ora. Jon ammirò il risultato e constatò soddisfatto che era davvero ottimo: la spada non era mai stata così splendente. 

Ma al momento del pagamento il ragazzo scosse la testa. “No mio signore non posso accettare” rispose con umiltà. Jon si costrinse ad insistere, ma, davanti al rifiuto ostinato del giovane, rimise in tasca il denaro. Stava per uscire quando fu colpito da un’idea folgorante seppur folle. Si voltò e guardò il ragazzo negli occhi. “Senti” gli disse dosando il tono di voce per non apparire invadente, “sei un bravo ragazzo ed io avrei bisogno di uno scudiero che mi aiuti con le armi. Che ne dici? Ti interesserebbe partire con noi?” 

La reazione che ottenne fu la più imprevedibile. Il giovane quasi lo abbracciò nel tentativo di contenere la propria gioia. “Sarebbe un onore!” esclamò cercando un contegno “Quando si parte?” 

Jon sorrise. “Immediatamente” rispose uscendo dalla bottega. La facilità con cui quel giovane aveva abbandonato il proprio lavoro per seguire di fatto uno sconosciuto lo aveva sorpreso. Probabilmente non amava particolarmente la sua vita e attendeva solo l’occasione per disfarsene.

Nel giro di un’ora la Lupa Solitaria aveva preso il largo e la costa quasi non si vedeva più. Marlon aveva fatto mille promesse e augurato mille fortune, mentre il nuovo scudiero si era immediatamente calato nel suo ruolo, sistemando la cabina di Jon e lavando anche il pavimento sul ponte. Jon sospettava che fosse anche in grado di cucinare e lavorare a maglia se solo gliel’avesse chiesto. Gli altri uomini della scorta invece trascorrevano il loro tempo giocando a dadi o ubriacandosi, ma Jon non aveva voglia di rimetterli in riga. Voleva concentrarsi solamente sul viaggio, che da quanto sapeva durava almeno tre giorni, e su ciò che avrebbe potuto trovare una volta raggiunta la meta.

Quando il ragazzo era venuto a conoscenza della loro destinazione si era incupito e Jon avrebbe potuto giurare di aver visto un’ombra calare sui suoi occhi. Tuttavia decise di non indagare, cercando al tempo stesso di distrarre il giovane da qualunque cosa la sua mente stesse elaborando in quel momento. In fin dei conti non era l’unico ad essere tormentato da brutti ricordi o presagi funesti.

Due giorni trascorsero senza nemmeno che Jon se ne rendesse conto. La vita sulla nave era monotona e noiosa, ma almeno libera dalle angosciose preoccupazioni che invece sentiva rinascere via via che si avvicinavano alla meta. La terza sera andò a dormire presto: la mattina dopo sarebbero con ogni probabilità giunti alla Roccia del Drago e doveva essere in ottima forma per poter sperare di affrontare Daenerys Targaryen. Per la prima volta si chiese che aspetto avesse, che profumo emanassero i suoi capelli e che tono avrebbe avuto la sua voce. Sarebbe stata dolce come il miele o fredda come l’acciaio? Con quei pensieri futili in mente si addormentò.

Fu bruscamente svegliato da qualcuno che lo stava scuotendo con veemenza. “Mio signore, ci attaccano!” stava urlando affannato il ragazzo e Jon ebbe appena il tempo di riconoscere il luogo in cui si trovava che l’intera nave sussultò. Dal ponte giungevano delle grida. Jon ringraziò gli déi per essere andato a letto vestito, afferrò Lungo Artiglio e si precipitò fuori.

La nebbiolina che avvolgeva la scena e la scarsa luce gli suggerirono che doveva essere appena l’alba. I suoi uomini stavano issando le vele, tentando disperatamente di virare. Jon non impiegò molto tempo per comprendere il motivo di tanta agitazione.

Un’enorme imbarcazione si stava lentamente avvicinando alla Lupa Solitaria e sventolava il vessillo della piovra. In un attimo Jon ricordò gli avvertimenti di Marlon Manderly.

Uomini di Ferro… Ma chi li comanda?

Avevano saputo che Balon Greyjoy era morto, ma non si avevano notizie riguardo al suo successore. In ogni caso quello non era il momento giusto per pensarci. 

Jon sguainò la spada. “Sono pirati” urlò per farsi sentire da tutti, “molto abili nella navigazione: non possiamo seminarli. Dobbiamo affrontarli.”

“Ma sono troppi…” balbettò un soldato terrorizzato. 

Jon lo fulminò con lo sguardo. “Cosa credevi?” gli chiese freddamente “Vi voglio entro cinque secondi nelle postazioni di combattimento, dobbiamo difendere la nave: se affonda” Jon fece una pausa, “siamo morti.”

Tutti gli uomini si sparpagliarono e Jon corse a poppa protendendosi oltre la balaustra di sicurezza. Ora la nave era vicinissima e si scorgevano distintamente i marinai. Improvvisamente una pioggia di frecce si riversò sull’imbarcazione.

“ATTENTI!” Jon si gettò a terra, ma presto scoprì che le frecce erano indirizzate alle vele e alle corde. Vogliono fermare la nave, si rese conto Jon.

“Ammainate le vele!” ordinò, nonostante gli sguardi perplessi dell’equipaggio “Fate come vi dico, così almeno non verranno distrutte.” E potremo usarle ancora, pensò correndo ad aiutare a tirare le funi. Sempre se saremo ancora vivi da qui a un’ora.

Senza più il supporto delle vele la nave si arrestò, completamente in balìa del movimento delle onde, che fortunatamente non erano troppo alte. Jon sentì esclamazioni di vittoria provenire dalla nave nemica, ma si impose di ignorarle. “Appena tenteranno di salire” urlò agitando la spada, “dobbiamo riuscire a buttarli in mare, quindi…” 

Non fece in tempo a finire di parlare che la Lupa Solitaria cozzò contro l’imbarcazione nemica appena emersa dalla nebbia. La potenza del contraccolpo lo fece quasi cadere a terra. Quando riacquistò l’equilibrio, vide con orrore che cinque uomini erano già a bordo. Strinse in pugno Lungo Artiglio e respirò profondamente. Va bene, si disse mettendosi a correre. Iniziamo...

Incrociò la spada con il primo assalitore e riuscì a respingerlo fino alla balaustra. Quando questi mirò alla gola sbilanciandosi in avanti, Jon lo colpì alla spalla facendolo precipitare in acqua. Si accorse di avere già le braccia sporche di sangue fin quasi al gomito. Vide che un suo compagno era in difficoltà contro due avversari e si precipitò ad aiutarlo.

Il nuovo aggressore era più abile del precedente e Jon dovette indietreggiare. Quando l’uomo si lanciò in avanti con un grido di guerra, Jon usò l’albero maestro come scudo e lo sentì vibrare per la violenza del colpo. Come previsto, la lama del nemico era rimasta incastrata e Jon non perse tempo, decapitandolo di netto. Un grido d’agonia attirò la sua attenzione e voltandosi vide il compagno di prima accasciarsi a terra con le viscere in mano. Trattenendo la repulsione, Jon tagliò la corda più vicina ed un enorme gancio da carico investì in pieno l’aggressore, che già si stava lanciando su un’altra vittima. 

In quel momento la nave tremò di nuovo e questa volta Jon finì a terra. Un uomo si lanciò su di lui roteando un’accetta, e Jon dovette rotolare via per evitare di essere colpito. L’aria era attraversata da uno stormo di frecce: sembrava di essere ritornati alla Battaglia dei Bastardi, ma adesso non c’era nessuno che avrebbe potuto salvarli. 

Vide il suo scudiero corrergli incontro. “Vieni, presto!” urlava venendo dalla prua. Era sporco e insanguinato ma fortunatamente illeso. Perfino in quelle circostanze Jon non poté fare a meno di notare con piacere l’abbandono delle formalità.

“Ce ne sono troppi” stava ansimando il ragazzo, “ne stanno arrivando una ventina dal lato sinistro. Dyacron mi ha mandato a chiedere rinforzi…” Jon sentì la testa girargli. Una ventina di uomini, pensò disperato. E non sono nemmeno finiti. Avrebbe voluto mettersi ad urlare, ma sapeva di dover mantenere la calma.

“Molto bene” disse fingendo una disinvoltura che non provava affatto. “Matyas, impedisci agli Uomini di Ferro di salire a poppa… Io devo andare.” Matyas annuì e corse via. Jon credette di rivedere Grenn nel suo estremo e mortale tentativo di proteggere il portale della Barriera al Castello Nero.

Stringendo i denti, si affrettò a seguire il ragazzo, che nel frattempo aveva tirato fuori la sua mazza di ferro. “L’ho fatta io” aveva detto tutto orgoglioso solo il giorno prima. Arrivati a prua, la situazione si rivelò più drammatica del previsto.

Almeno quindici Uomini di Ferro erano già sul ponte e stavano distruggendo tutto ciò che trovavano. Dyacron eroicamente stava combattendo da solo contro minimo cinque avversari per respingerli sulla loro nave. Jon corse avanti per cercare di aiutarlo, ma fu ostacolato da un altro guerriero che lo costrinse a difendersi. Mentre frenava a fatica i fendenti poderosi dell’altro, vide Dyacron cadere oltre il parapetto colpito al torace.

“NO!” urlò furibondo e menò un colpo imprimendo tutta la sua forza. La lama dell’uomo si frantumò. Jon non si fermò per chiedersi il motivo e affondò Lungo Artiglio nel cuore del nemico.

“Bene” disse una voce calma alla sua destra. Jon si voltò trovandosi di fronte un uomo sorridente con lunghi capelli corvini ed occhi scuri. “Non pensavo un colpo potesse arrivare a spezzare una spada” continuò lo sconosciuto avanzando, “ma non importa… Tu sei Jon Snow, vero? Ho sentito tanto parlare delle tue presunte imprese… re Euron non vede l’ora di incontrarti.” Jon lo fissò interdetto.

Euron?

L’uomo dovette immaginare i suoi pensieri perché scoppiò a ridere. “Euron Greyjoy” specificò, “Occhio di Corvo, Re delle Isole di Ferro. Ah, e io sono Heryet, il capitano della Donna Vedova.” Jon si accorse che due uomini gli si stavano avvicinando alle spalle. Strinse in pugno Lungo Artiglio e si preparò ad attaccare.

"Non lo farei se fossi in te” lo avvertì con un sospiro Heryet, “sarebbe tutto inutile.” Le grida intorno a lui erano insostenibili e Jon non poteva tollerare l’idea che degli uomini stessero morendo mentre lui era lì ad ascoltare le chiacchiere di un esaltato.

“Cosa volete da noi?” 

Heryet non rispose e si girò verso il resto del suo gruppo. “Ricordate gli ordini di sua altezza” disse alzando le mani, “uccideteli tutti e date fuoco a questa nave.” Jon non riuscì a contenere la rabbia e si lanciò contro Heryet. Prima che potesse anche solo sfiorarlo, si sentì afferrare per le braccia e trascinare a forza indietro. Qualcuno gli torse il polso finché la lama non gli scivolò dalle dita. Heryet si voltò nuovamente verso di lui.

“Ti avevo detto di non fare sciocchezze” gli ricordò. Poi si rivolse ai due uomini che tenevano Jon. “Portatelo sulla nave” ordinò, “e poi tornate qui a finire l’opera.” Mentre veniva trascinato via, Jon vide i suoi uomini cadere uno dopo l’altro. Tentò di divincolarsi, ma i due erano troppo forti. Stanno morendo per colpa mia, pensò lacerato dal senso di colpa.

Una volta sulla Donna Vedova uno dei due uomini lo sbatté contro l’albero maestro mentre l’altro gli legò i polsi con nodi così stretti che Jon non riusciva nemmeno a muovere le dita. Lungo Artiglio era abbandonata ai suoi piedi.

“Non preoccuparti” lo rassicurò ridendo Heryet, “forse Euron deciderà addirittura di risparmiarti la vita.” Presto gli altri soldati furono di ritorno. “Tutti morti” disse un uomo con il volto deturpato da una cicatrice. “Bene” sussurrò Heryet, “procedete…”

Quando vide gli uomini incoccare frecce infuocate puntandole sulla Lupa Solitaria, Jon sentì qualcosa risvegliarsi in lui. L’apatia lo abbandonò e lottò fino a recidere le corde che gli stavano incidendo i polsi. Senza curarsi delle esclamazioni di sorpresa, raccolse la spada e corse verso la prua scansando due soldati allibiti.

“Prendetelo!” stava urlando Heryet “No, no, niente frecce: prendetelo vivo!”

Jon arrivò a prua e saltò oltre il parapetto. I piedi quasi sdrucciolarono e si aggrappò al legno con tale forza che le schegge gli ferirono le mani. Davanti a lui si ergeva la sua nave, ma era troppo lontana per essere raggiunta con un salto. Jon strinse le labbra mentre sentiva gli uomini avvicinarsi ogni secondo di più. Poi chiuse gli occhi. Proprio quando stava per lasciarsi cadere nell’acqua gelida, l’aria fu lacerata da un suono stridente, di come Jon non ne aveva mai sentiti. Sollevò la testa e ciò che vide lo lasciò senza fiato.

Il drago volava così vicino che Jon poteva sentire sul viso l’aria mossa dalle sue immense ali. Era una creatura gigantesca, con occhi profondi e una chiostra di denti aguzzi. Le sue scaglie brillavano di luce verde smeraldo. Per un lunghissimo istante Jon e il drago si limitarono a fissarsi, poi l’animale volò avanti.

Jon si voltò lentamente, in tempo per vedere la ciurma di Heryet fuggire inorridita. La rabbia gli crebbe nel cuore e d’un tratto seppe esattamente cosa doveva fare. “Fuoco!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola, sapendo che il drago avrebbe capito, che l’avrebbe aiutato.

E il drago sputò fuoco.

Tra le fiamme che divampavano Jon riuscì a scorgere l’animale librarsi in volo, non senza accennare un ultimo saluto. Jon gli sorrise come si sorride ad un vecchio amico e, con nelle orecchie le urla dei nemici che bruciavano, saltò nel vuoto.

Riuscì ad aggrapparsi ad una grossa fune spellandosi i palmi già sanguinanti e, facendo forza con le braccia, tentò di issarsi sulla sua nave. Ma la corda cedette all’improvviso e Jon si preparò a precipitare in acqua, quando delle mani lo afferrano aiutandolo a salire a bordo.

Frastornato dalle troppe emozioni, Jon quasi non riconobbe il suo scudiero, che gli stava sorridendo entusiasta. Evidentemente era riuscito in qualche modo a sfuggire alla carneficina, magari fingendosi morto. La gioia che Jon provava dal sapere almeno il ragazzo al sicuro era fatta a pezzi dal dolore per la sorte del resto dei suoi compagni.

“Ce l’hai fatta!” stava esclamando il giovane “Non ho idea di come, ma ce l’hai fatta, mio signore!” Jon intuì che il ragazzino non aveva avuto modo di vedere il drago. Meglio così, pensò. Si aggrappò alla sua spalla per alzarsi.

“Jon” gli disse guardandolo negli occhi, “chiamami Jon. So che è strano, ma io ancora non conosco il tuo nome...” 

Gli occhi del ragazzo si illuminarono. “Gendry” rispose, “Gendry Waters, e sono amico di tua sorella Arya.”

 

Arya

 

Alla fine con la Fratellanza senza Vessilli c’era andata sul serio. Si era resa conto che probabilmente in quel modo sarebbe potuta giungere a Grande Inverno più in fretta. E potrò tenerli d’occhio, pensava per nulla convinta dai principi morali di Beric e Thoros, per non parlare del Mastino.

Per sicurezza teneva sempre Nymeria vicina ed aveva più volte accennato quasi distrattamente al branco di lupi a sua detta famelici che seguivano silenziosi la comitiva. Se il suo obiettivo era quello di far in modo che nessuno si trovasse ad una distanza da lei minore di cinque metri, Arya poteva ritenersi soddisfatta. E si dava il caso che il suo obbiettivo fosse proprio quello.

Di giorno avanzava in testa al gruppo, aprendo la strada con la sua meta-lupa e continuando a cacciare per conto proprio. Si rifiutava infatti di mangiare il cibo che Beric distribuiva alle ore dei pasti e ci teneva anche a mostrare la sua indipendenza.

Una volta aveva sottratto a Nymeria e al suo branco un cinghiale e l’aveva portato fiera vicino al fuoco dove sedevano gli altri, intenti a consumare il loro misero pasto. Tutti l’avevano fissati sbalorditi e anche un po’ invidiosi.

“Ma l’hai cacciato da sola?” aveva chiesto stupito Beric. Arya aveva sollevato un sopracciglio. “Ovvio” aveva risposto sedendosi a mangiare, “sono brava con l’arco…”

“Ma se tu nemmeno ce l’hai un arco!” aveva obbiettato il Mastino “Scommetto che dietro quel cinghiale ci sta lo zampino della tua lupa…” 

Arya l’aveva guardato con sufficienza. “E io scommetto che muori dalla voglia di assaggiarlo” aveva detto masticando avidamente, “ma a me sembra di ricordare che preferisci il pollo, non è così?” Sandor non aveva trovato nulla con cui controbattere e Arya era tornata soddisfatta al suo pasto. Certo, dopo aveva dovuto affrontare l’ira di Nymeria e dei suoi lupi, ma ne era valsa la pena.

La quarta sera di viaggio ad Arya toccò andare a cercare la legna per il fuoco e il Mastino insistette ad accompagnarla. Mentre si inoltravano nel bosco nessuno dei due parlò. Sandor si mise a cercare bastoni secchi ed asciutti, ma Arya non aveva voglia di condurre un lavoro così minuzioso. Quindi si arrampicò agilmente sull’albero poco lontano, adocchiò il ramo più secco e morto e lo prese a colpi di spada finché non lo tranciò. Quando Sandor si voltò con pochi piccoli fuscelli tra le braccia, si ritrovò di fronte Arya intenta a fare a pezzi con disinvoltura l’enorme ramo caduto.

“Diamine, come sei brava a tagliarlo” esclamò il Mastino lasciando cadere a terra il suo scarso raccolto.

“Mi hanno insegnato a farlo sulle persone” mentì Arya senza alzare lo sguardo, “so squartarle benissimo.” 

Sandor Clegane scoppiò a ridere. “Certo… E chi mai te l’avrebbe insegnato?”

“Quell’assassino di cui ti parlavo quella volta” rispose pronta Arya sapendo di non dire completamente una bugia. Il Mastino aveva smesso di ridere. “E dove sarebbe?” chiese in tono più serio ora. Arya interruppe il lavoro e sollevò lo sguardo. “A Braavos” rispose, “nella casa del Bianco e del Nero. Io facevo parte degli Uomini senza Volto, so cambiare faccia se voglio.”

“Sì, questa è buona, ragazzina!” scherzò Sandor ed Arya tornò alla propria attività “Così sembra che esistano dei tuoi parenti ancora in vita…” disse il Mastino dopo qualche attimo di silenzio. Arya buttò a terra il bastone che stava sfrondando.

“Non sembra: è così!”

Sandor sollevò le sopracciglia. “Questo è quello che speri tu” le disse, “ma è possibile che quando arriverai saranno già morti come tuo fratello e…” Si interruppe solo quando Arya gli puntò Ago alla gola.

“Per tua informazione ricordo ancora dove si trova il cuore” sibilò lei, “e la mia famiglia non è morta. Mio fratello Jon è Re del…”

“Sì, sì, certo” disse Sandor alzando gli occhi al cielo, “il fratello che ti ha regalato la spada dal nome di merda. Senti un po’, questo Jon ha un meta-lupo?”

Arya pensò a Spettro. “Sì” rispose sulla difensiva.

“Perché non vorrei essere là quando cuciranno la sua testa sul cadavere di tuo fratello…”

Arya non ci vide più dalla rabbia. Brandì la spada ed assestò un fendente al volto sfregiato di Sandor, mirando però al lato sano. Comparve un taglio poco profondo, da cui uscì un rivoletto di sangue.

“La prossima volta che parli della mia famiglia” lo avvertì minacciosa Arya, “potrai dire addio a quel che resta della tua faccia.” Poi si voltò e fece per andarsene.

“Ehi” la richiamò il Mastino, “non serve arrivare a misure così drastiche: stavo solo scherzando. I tuoi amici senza volto non ti hanno insegnato cos’è l’ironia?”

“No” rispose Arya girandosi appena, “mi hanno insegnato ad uccidere.” E si allontanò nel fitto del bosco.

Arrivò al campo che doveva ancora sbollire la rabbia. Afferrò le proprie cose e le trascinò nell’angolo più isolato della radura. Nymeria le corse incontro. Aveva le fauci insanguinate ed Arya capì che doveva essere di ritorno dalla caccia. Gettò in terra le pellicce e si cacciò sotto.

Non sopportava quello che Sandor le aveva detto, soprattutto perché sapeva che era tutto vero. Aveva messo a nudo le sue paure più profonde e questo Arya non riusciva a tollerarlo. Non poteva permettere a nessuno di vedere il suo lato debole. La prossima volta, tentò di convincersi. La prossima volta lo ucciderò veramente. Ma sapeva che non l’avrebbe fatto.

I sentimenti che provava per il Mastino erano più che mai confusi e incomprensibili e Arya credeva di impazzire. Era sicura di odiarlo, ma al tempo stesso lo ammirava. E non sapeva neppure perché.

Si girò sul fianco destro nel tentativo di prendere sonno: in quel momento non le interessava minimamente della legna che avrebbe dovuto consegnare e che invece non era mai arrivata a destinazione. Nymeria le si accoccolò vicino e finalmente Arya riuscì ad addormentarsi.

Si svegliò la mattina seguente con lo stomaco che brontolava per la fame e realizzò di non aver mangiato nulla la sera prima. Nymeria era scomparsa ed Arya imprecò a bassa voce all’idea di dover andare a caccia da sola. Si tirò a sedere e si guardò intorno. I membri della Fratellanza erano seduti in cerchio poco lontano ed Arya decise di raggiungerli. Preparandosi ad una ramanzina per la legna, si sedette accanto a Thoros.

“Buongiorno” disse tenendo gli occhi bassi. “Ce ne hai messo di tempo!” esclamò divertito Beric “Pensavamo non ti saresti più svegliata…” 

Arya non rispose, disegnando sulla terra umida scarabocchi con un bastoncino. “Per ieri sera…” iniziò, ma Thoros scoppiò a ridere. “Sandor ha portato anche il tuo carico” disse bevendo un sorso dalla sua fiaschetta. Arya era sbalordita. 

“Eh già” intervenne il Mastino comparendo dal nulla con in mano due piccoli polli spennati, “non te l’aspettavi, vero?” Le lanciò uno dei due polletti. “Ah, e avevi ragione” le disse sedendosi, “non c’è niente di più buono del pollo.” Arya addentò il misero pasto con fame vorace e lo divorò in pochi secondi. “Direi che vivere coi lupi ti fa bene” ridacchiò Thoros alzandosi.

Nel giro di un’ora erano di nuovo in marcia. Stavolta Arya fece in modo che la sua caccia agli scoiattoli capitasse casualmente vicino al Mastino. “Grazie per prima” disse controvoglia, “ma non ce n’era bisogno: so cavarmela da sola.”

“Su questo non ci sono dubbi” assentì Sandor, “ma chi è troppo bravo ad uccidere non può essere bravo anche a tutto il resto.”

“Ah, e allora tu oltre a urlare e trapassare gente con la spada non sai fare nient’altro?”

“Esattamente” rispose a sorpresa il Mastino, “tutti i lavori di merda che svolgono le altre persone non mi interessano.” Arya rimase suo malgrado colpita dalla risposta e per un po’ non disse nulla.

“Beric ha detto che è probabile che arriveremo a Grande Inverno entro oggi” disse infine Sandor, “cosa conti di fare, ragazzina? Vuoi sul serio giocare a nascondino?” 

Arya gli lanciò un’occhiataccia. “Certo” rispose decisa, “voi potete chiedere ospitalità al castello, ma io mi travestirò da servetta e spierò i miei fratelli.”

“Naturalmente” disse ironico il Mastino, “e ovviamente nessuno ti farà domande riguardo alla tua spada, al tuo denaro o al fatto che ti porti un fottuto branco di lupi dietro…”

Arya avrebbe voluto strangolarlo. “Il branco si disperderà nella Foresta del Lupo” sibilò, “e troverò il modo di nascondere Nymeria.”

“Sicuro” disse Sandor sogghignando, “ma dimmi piuttosto: tua sorella è a Grande Inverno?”

“Sì ed è proprio lei che devo tenere d’occhio.”

“Non me ne frega un cazzo dei tuoi stupidi piani” disse annoiato il Mastino, “sono solo interessato a quell’uccelletto.” Arya calciò un sasso.

Sperando che si sia trasformato in lupo.

Nel primo pomeriggio le torri di Grande Inverno apparvero all’orizzonte. Arya si era imposta di non provare emozioni, ma a quella vista fu travolta dai ricordi. Niente sarebbe mai più stato come prima. Sentì le lacrime inumidirle gli occhi e se le asciugò con un gesto rabbioso.

“La piccola lady ha un cuore” disse ironico il Mastino, ma Arya non gli prestò attenzione. Sono a casa, realizzò ancora incredula, stavolta sul serio. Per la prima volta comprese veramente il motivo per cui non sarebbe mai potuta diventare Nessuno.

In un’ora erano arrivati a Città dell’Inverno, dove la comitiva si fermò. Il branco di lupi si era appostato nel bosco e Arya era riuscita a convincere Nymeria a seguirlo. Il Mastino aveva ragione: un meta-lupo avrebbe attirato troppe attenzioni.

Grazie al denaro rubato un po’ alle Torri Gemelle e un po’ a Delta delle Acque, Arya affittò una stanza tutta per sé, il più lontano possibile da quelle dei suoi compagni di viaggio. Non riuscendo a rimanere ferma in quella piccola camera trasandata, si cambiò d’abito ed uscì.

Non temeva che qualcuno avrebbe potuto riconoscerla come Arya Stark: era passato troppo tempo e lei era troppo cambiata. Finse quindi di essere una contadinella appena arrivata dal Moat Cailin e ne approfittò per racimolare informazioni dai passanti.

“La vita è migliorata enormemente da quando Jon Snow è re” le disse un calzolaio, “sei fortunata a non aver vissuto la tirannia di quei mostri.”

“Il mio bambino era malato” raccontò una donna, “e il re si è addirittura offerto di farlo visitare dal maestro Wolkan del castello. E’ venuto a prenderlo a cavallo!” Arya era felice di sentire notizie positive riguardo al governo di Jon, ma doveva indagare anche su sua sorella. “Ho sentito dire che c’è una lady a Grande Inverno” azzardò in tono di noncuranza, “che impressione ne hai avuto?” 

La donna rifletté per qualche attimo. “Ecco, diciamo che lei non si fa vedere molto” disse in tono pensieroso, “ma da quel che ho capito è merito suo se l’esercito della Valle è sceso in battaglia contro i Bolton.” Arya era confusa: perché mai la Valle sarebbe dovuta scendere in guerra?

“Comunque potremo vedere presto il suo operato” continuò la donna raccogliendo il secchio che aveva appoggiato a terra, “il re le ha affidato il titolo mentre è via.” Arya credette di poter udire il suo cuore frantumarsi. “Perché?” chiese agitata “Il re se n’è andato?” 

La donna la fissò incuriosita. “E’ partito due giorni fa, non ho capito bene per dove…” Arya sentì la testa girarle: ancora una volta era arrivata troppo tardi.

“Ti senti bene?” le chiese preoccupata la ragazza “Sei impallidita…” Arya si sforzò di sorridere. “Sì sto bene” disse in tono convincente, “grazie mille per le spiegazioni: per me è tutto così nuovo.” La donna sorrise e si allontanò nella folla. Arya aveva la testa vuota.

“E quindi niente fratello, eh?” le chiese la voce inconfondibile di Sandor Clegane alla sua destra. Arya non aveva voglia di scherzare. “Piantala” gli disse incamminandosi verso la locanda dove alloggiavano. Il Mastino le venne dietro.

“Dai non prendertela” la incoraggiò, “hai sempre tua sorella.”

Meraviglioso. Come si permetteva Jon ad andarsene proprio ora? Forse inviare un corvo sarebbe stato davvero meglio.

In quel momento la strada fu attraversata da urla e un cavallo sfrecciò loro davanti, come incurante del ghiaccio che imprigionava le strade. Arya dovette arretrare e sentì il Mastino bestemmiare. L'uomo a cavallo portava il vessillo della Valle e dietro procedeva assai più adagio un altro purosangue con in groppa un cavaliere dai capelli scuri e la carnagione olivastra. Arya era certa di averlo già visto da qualche parte, ma non sapeva bene dove.

“Petyr Baelish” sibilò con odio Sandor e Arya d’un trattò ricordò. Si trattava del tipo che aveva raccontato a lei e Sansa la storia della cicatrice del Mastino e che non l’aveva riconosciuta ad Harrenhal. Dopo la morte di Lysa era probabile che governasse lui la Valle, facendo le veci del piccolo Robin Arryn. Che fosse lui l’alleato che aveva garantito la vittoria del Nord? Tuttavia Sandor sembrava pronto ad uccidere l’uomo seduta stante.

“Le donne dicono che Sansa è riuscita ad ottenere l’appoggio della Valle” spiegò Arya, “quindi Baelish non è un nemico.”

“Stronzate” disse il Mastino sputando a terra, “di Baelish non ci si può fidare e se tua sorella è così idiota da farlo è meglio se le ricordi cosa è successo a vostro padre…”

Arya si rabbuiò. “Cosa c’entra mio padre?”

Sandor si voltò a fissarla negli occhi. “Davvero non lo sai?” le chiese piuttosto stupito “E’ stato quel figlio di puttana a tradire Ned Stark. Io c’ero: l’ho visto. Tuo padre si aspettava il suo supporto e si è ritrovato un coltello puntato alla gola. E lo sai che cosa gli ha detto quello stronzo? Ti avevo detto di non fidarti di me. Non mi sorprenderebbe la possibilità che stia architettando qualcosa per rovesciare anche tuo fratello. A te e a tua sorella conviene tenere gli occhi aperti.”

Detto questo, Sandor si allontanò, lasciando Arya sola con la sua rabbia. Cersei Lannister, Gregor Clegane, pensò stringendo i denti, Petyr Baelish. Estrasse Ago ed iniziò a mulinarla fingendo di combattere un nemico invisibile.

Infilzali con la punta.

“Nessuno toccherà la mia famiglia” mormorò Arya con decisione, “e nessuno avrà più la possibilità di tradirla.” Decise che avrebbe tenuto d’occhio Baelish e allo stesso tempo avrebbe tentato di avvertire Sansa senza rivelarsi. L’effetto sorpresa era la sua arma più affidabile. Evidentemente nemmeno Sansa era a conoscenza di quanto avvenuto tra Baelish e loro padre, altrimenti mai avrebbe chiesto il suo aiuto in battaglia.

Ad Arya non restava altra scelta se non quella di giocare nell’ombra. Non che poi le servisse una seconda scelta, perché quando la vendetta fa sentire il suo richiamo, nessuna sfida appare troppo impegnativa. E in Arya la voglia di vendetta ruggiva più forte che mai.

 

Bran

 

Lyanna stava ridendo. Era così carina nell’abitino blu con ricami d’argento e Bran credette di rivedere Arya. Erano davvero molto simili, ma Lyanna possedeva una grazia e una delicatezza che Arya non aveva mai avuto. Bran si guardò intorno.

La sala da ballo era piuttosto affollata e la musica permeava dolcemente l’aria. In pista giovani coppie danzavano e l’atmosfera era serena. Lyanna era seduta in disparte e ascoltava le battute di un signore con una folta barba rossiccia.

“Siete molto spiritoso, lord Whent” stava dicendo con un sorriso, “non avrei mai creduto che conosceste così tante storie…”

“Oh, voi mi lusingate, lady Lyanna” si schermì lord Whent, “ma aspettate di ascoltare il racconto delle ribellioni dei Blackfyre e del mio avo che…”

“Perdonatemi, lord Whent” si intromise un giovane alto ed attraente con lunghi capelli neri, “posso rubarvi lady Lyanna per un po’?”

“Ma certo, Robert!” esclamò il lord ridendo “Chi sono io per mettermi fra due innamorati?”

Lyanna si alzò e Robert le baciò galantemente la mano. “Siete splendida, mia signora” le disse in un sussurro, “volete darmi l’onore di questo ballo?” 

Lyanna annuì. “Certo” rispose sollevando un sopracciglio, “ma quante volte ti devo dire di darmi del tu?” Robert rise e i due entrarono in pista.

Bran non poteva ancora credere ai propri occhi. Quello era Robert Baratheon, lo stesso re grasso e volgare che era venuto a Grande Inverno. “Un tempo Robert era uno dei giovani più affascinanti dei Sette Regni” raccontava sempre suo padre e ora Bran doveva ammettere che avesse ragione.

Si avvicinò alla coppia nel tentativo di ascoltare i loro discorsi. Lyanna e Robert si tenevano per mano e ballavano dondolando dolcemente.

“Danzi benissimo, Lyanna” sussurrò Robert, “quando ci sposeremo potremo finalmente riaprire il padiglione da ballo di mia madre…” 

Bran vide un’ombra calare sul volto di Lyanna. “Sarebbe magnifico” mormorò con voce forzatamente eccitata, “però vorrei poter portare anche il mio cavallo: adoro cavalcare.” 

Robert le sorrise radioso. “Naturalmente” le assicurò, “tutti i cavalli che vuoi. Potrei regalarti un purosangue meraviglioso come dono di nozze…”

“Oh, non ce n’è bisogno” lo interruppe Lyanna, “il mio Ghiaccio è il cavallo migliore del mondo.”

“Come vuoi” disse Robert leggermente deluso. Continuarono a danzare per qualche minuto, poi la musica terminò e Robert si allontanò. Rimasta sola, Lyanna si diresse verso il balcone e Bran la seguì.

Nonostante le tante decorazioni e le numerose candele aromatiche il castello di Harrenhal rimaneva una fortezza inquietante e grottesca. Lyanna si sporse ad osservare il paesaggio.

“Non pensavo di poterti trovare qui…”

Sia Lyanna che Bran si voltarono e videro Rhaegar avanzare tranquillamente. Indossava un meraviglioso mantello rosso scarlatto con ricamato il drago dei Targaryen.

“Fa piuttosto freddo” osservò il principe, “meglio se rientri…” Lyanna scoppiò a ridere. “Io sono cresciuta nel Nord” gli ricordò, “conosco il vero freddo.” 

Rhaegar le si avvicinò. “Ti piace ballare?” le chiese appoggiandosi al davanzale. Lyanna sbuffò.

“Lo detesto” ammise irritata, “ma non so perché tutti credono che debba piacermi per forza.” Assunse una posa fiera e corrucciò la fronte. “Come ballate bene, lady Lyanna!” disse imitando una voce cavernosa, “Come siete elegante, lady Lyanna! Come sapete cucire bene, lady Lyanna!” 

Sospirò, incurvando la schiena. “A volte vorrei seriamente trapassarli con una spada…” mormorò, improvvisamente pensierosa.

Rhaegar le prese la mano. “A volte bisogna fingere di essere quello che non si è” le spiegò, “per sopravvivere.” Lyanna alzò gli occhi al cielo, allontanandosi. “Sì” disse con sarcasmo, “ed immagino che a te sia successo parecchie volte, non è così?”

“Esattamente” annuì con tristezza Rhaegar e Lyanna si voltò stupita.

“Ma tu sei un principe…”

Rhaegar abbassò lo sguardo. “Già” disse malinconico, “ed ho tante responsabilità. Non ho potuto dedicarmi agli studi come avrei voluto e ho dovuto imparare a combattere.”

“E non ti piace?” chiese Lyanna sbalordita “Io darei qualsiasi cosa se mio padre mi desse il permesso di addestrarmi.”

“Non tutti sono come te” le disse sorridendo il principe, “io odio anche solo l’idea di dover uccidere una persona.”

“E se quella persona minacciasse la tua famiglia?” chiese Lyanna curiosa “Le persone che ami…” 

Rhaegar sospirò. “Allora lotterei fino alla morte” sussurrò e la scena cambiò.

Era una giornata di luce e Bran si ritrovò in un prato incolto all’ombra di grandi alberi. Lyanna e Rhaegar erano seduti in riva ad un laghetto. Dovevano essere passati diversi giorni dal loro primo incontro, perché entrambi apparivano più disinvolti e sinceri. Lyanna afferrò Rhaegar per le spalle.

“Guarda quel pesce!” urlò euforica “E’ di tutti i colori… Eccone un altro!” 

Rhaegar rideva e tentava di mantenere l’equilibrio per non cadere in acqua. “Lyanna, stai attenta” la supplicò scherzoso, “così mi bagni!” 

Lyanna fece un sorrisetto perfido. “Ah, credi di essere bagnato?” gli chiese con finto stupore “Prendi questo allora!” E lo schizzò con l’acqua gelida. 

Rhaegar lanciò un’esclamazione sorpresa. “Ma è gelida!” gridò tentando di sgrullare i vestiti zuppi. Lyanna non aveva più fiato a furia di ridere. “E’ vero che un drago non può sputare fuoco se è bagnato?” chiese tirando indietro i capelli. “Può darsi” rispose vago Rhaegar, “ma ha sempre le zanne!” E la spinse in acqua.

Questa volta fu Lyanna ad urlare. “Brutto maleducato!” lo insultò fingendosi furiosa “E’ così che si trattano le signore?” Continuarono a giocare nell’acqua come bambini e Bran si ritrovò a ridere con loro. Poi la scena cambiò di nuovo.

Stavolta era in corso un temporale. Bran sobbalzò quando un tuono lacerò il cielo e sentì qualcun’altro emettere un gridolino.

“E’ solo un tuono, Lyanna” stava dicendo Rhaegar accarezzandole i capelli. I due avevano trovato rifugio in una minuscola caverna. 

Lyanna era scossa dal tremito. “Dobbiamo tornare ad Harrenhal” disse guardando il principe negli occhi. “Se Robert scoprisse dove sono stata…”

“Dirò che ti ho trovata nel bosco durante il temporale” la rassicurò Rhaegar, “e che ti ho aiutata a tornare indietro.” Lyanna scosse la testa. “Robert non ti crederà” lo avvertì, “hai visto come reagisce ogni volta che mi guardi dopo la fine del torneo…”

“Essere principe ha i suoi vantaggi” disse Rhaegar sedendosi, “e poi Robert è pur sempre mio cugino…” 

Lyanna non sembrava molto convinta, ma si sedette accanto al principe. “Non credi che tuo padre sia preoccupato?” gli chiese tirando le ginocchia al petto. Rhaegar fece un sorriso amaro. “Mio padre?” le chiese sarcastico “Lui mi odia…” 

Lyanna strinse le labbra. “Non è possibile che sia così matto come dicono…”

“Fidati, è possibile” mormorò Rhaegar. “Non sai la leggenda? Ogni volta che nasce un Targaryen gli déi lanciano una monetina per decidere se diventerà un grande o un folle.”

“Quindi i tuoi figli potrebbero essere matti?” chiese Lyanna timidamente. “Rhaenys ed Aegon sono due bambini deliziosi” le disse Rhaegar con gli occhi lucidi, “ma spero abbiano ripreso più da loro padre che da loro nonno.”

“Semmai avessi un altro figlio” gli chiese Lyanna avvicinandosi, “e fosse femmina, la chiameresti Visenya?”

“Non avrò altri figli” le confidò con rammarico Rhaegar, “un altro parto sarebbe fatale per Elia.”

“Ma l’avresti chiamata Visenya?”

“Sì, Lyanna” le rispose finalmente il principe, “l’avrei chiamata Visenya.”

“E se fosse stato un maschio?”

“Non potrei mai avere un altro figlio maschio” disse seccamente Rhaegar e Bran si chiese cosa mai lo spingesse ad una tale affermazione. Probabilmente anche Lyanna si stava chiedendo la stessa cosa, ma preferì non indagare.

Un altro tuono scosse la terra e Lyanna si strinse al fianco di Rhaegar che l’abbracciò. Piano, senza che nemmeno se ne accorgessero, le loro bocche si incontrarono e Bran dovette voltarsi arrossendo. Tutto ciò che aveva visto confermava la sua teoria. Lyanna e Rhaegar si amavano, pensò Bran con le gocce di pioggia che gli scivolavano fra i capelli. Ma quale fu il prezzo di tale amore?

La scena mutò di nuovo e Bran si ritrovò in quello che non trovò difficoltà a riconoscere come un Parco degli Déi. Era diverso da quello curato di Grande Inverno ed appariva molto più selvaggio. Sotto le fronde dell’enorme albero-diga erano radunate poche persone. Avvicinandosi, Bran riuscì a contarne solamente quattro.

Rhaegar attendeva ai piedi dell’albero, il mantello che ondeggiava nella brezza. All’improvviso Bran comprese cosa stava succedendo e fu colto da una vertigine.

Si stanno sposando.

Lyanna avanzava splendida in un vestito semplicissimo e Bran comprese che non poteva rischiare di indossarne uno migliore: era una matrimonio segreto. Ma Rhaegar era già sposato, pensò Bran, per poi ricordarsi che la poligamia era sempre stata comune fra i Targaryen.

Lyanna dava il braccio a quello che Bran riconobbe essere ser Arthur Dayne, mentre Rhaegar era in piedi affianco a Oswell Whent, l’uomo con il sigillo del pipistrello già visto alla Torre della Gioia.

“Chi viene qui stasera al cospetto degli Antichi Déi?” chiese Oswell con voce profonda. 

Arthur Dayne si fece avanti. “Lyanna Stark” rispose voltandosi verso la fanciulla, “una ragazza nobile che viene per sposarsi.”

“Chi la chiede in sposa?”

“Rhaegar Targaryen” rispose il principe avanzando, “principe di Roccia del Drago ed erede al Trono di Spade. Chi la dà in sposa?”

“Ser Arthur Dayne, membro della Guardia Reale.”

“Lady Lyanna” proseguì ser Whent, “accetti quest’uomo come marito?” 

Lyanna non esitò neanche un istante. “Lo voglio.” 

Il cavaliere sorrise. “Allora io vi dichiaro marito e moglie davanti agli Antichi Déi!” disse alzando le braccia. 

Lyanna saltò al collo di Rhaegar e lo baciò con trasporto. “Il resto non conta” sussurrò tra lacrime di commozione, “adesso ci siamo solo noi.” Rhaegar sorrise. “Aggiusterò anche tutto il resto” le assicurò, “sarai la mia regina…”

“Rhaegar” li interruppe imbarazzato Arthur Dayne, “dovreste firmare entrambi il documento…”

“Subito” disse Rhaegar avvicinandosi e tenendo per mano la sua nuova sposa. Anche Bran li seguì, sperando di poter leggere cosa c’era scritto sul foglio che Rhaegar aveva preso in mano. Con grandi difficoltà riuscì a decifrarlo.

Da oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico cuore. Che gli Antichi Déi concedano loro molti figli e benedicano questa unione.

Poco sotto la data, era scarabocchiata la firma del testimone, Arthur Dayne, alla quale presto si aggiunsero quelle di Rhaegar e Lyanna.

“Mi raccomando, Arthur” disse Rhaegar all’amico, “conserva questo documento con attenzione. Se dovessero esserci problemi sai dove metterlo al sicuro.” 

Arthur annuì. “Devo spedirlo al mio amico della Cittadella” assentì, “lo so. Ma voi che farete? Non potete rimanere qui…” 

Rhaegar strinse le labbra. “Io e Lyanna ne abbiamo già parlato” rispose con voce grave, “fuggiremo stanotte verso Dorne. Credo di conoscere un posto sicuro dove andare. Poi io tornerò ad Approdo del Re per chiarire la questione con gli Stark e i Baratheon.”

“Allora noi verremo con voi” disse Arthur e, vedendo che Rhaegar apriva la bocca per parlare aggiunse: “No! Non provare ad obbiettare. Siamo le guardie reali e dobbiamo proteggere il futuro re e la futura regina. Andremo io, Oswell e credo anche Gerald vorrà venire...” 

Rhaegar sembrava incerto. “Sentite…”

“Non voglio sentire ragioni” disse Arthur dandogli una pacca sulle spalle, “non puoi lasciarci indietro.” 

Rhaegar rimase qualche secondo in silenzio, poi annuì. “E sia” disse per poi voltarsi verso Lyanna. “Non temere, ti prometto che andrà tutto bene…”

La scena perse consistenza lentamente e Bran tornò in sé, aprendo gli occhi nella neve gelida. Si trovò davanti Meera con le braccia incrociate.

“Bran” lo sgridò, “non devi più farlo. E’ pericoloso!”

“Non capisci” disse Bran scuotendo la testa, “ho capito tantissime cose e…”

“Sì, molto bene” tagliò corto Meera, “torniamo nella caverna: è tardi e devo ancora raccogliere la legna.”

“No!” disse Bran quasi gridando e Meera si fermò impietrita. “Devi ascoltarmi” la supplicò Bran, “devo andare alla Barriera.” 

Meera lo fissò esterrefatta. “E si può sapere perché’?” chiese con voce implorante. Bran si puntellò sui gomiti per tirarsi su.

“Ho visto Lyanna e Rhaegar sposarsi” spiegò e Meera si coprì la bocca con le mani, “e ciò quindi significa che mio fr- cugino Jon non è un bastardo.” Bran prese un bel respiro quasi come a doversi ancora convincere di quello che stava per dire.

“E’ il legittimo erede al Trono di Spade” sussurrò. “Capisci ora? Devo trovare Jon e parlargli, devo andare al Castello Nero.” 

Meera si morse il labbro. “E’ pericoloso…”

“Non più di restare qui.”

Meera annuì, seppur con reticenza. “Va bene” si arrese, “raccolgo la roba e andiamo.”

Ci vollero appena cinque minuti per raccattare i loro pochi averi e si misero subito in viaggio. Oltre gli alberi-diga la Barriera si stagliava maestosa contro il cielo plumbeo. Bran deglutì a fatica. Meera lo aiutò a raggiungere il grande portale e lo adagiò nella neve. Dalla cima della Barriera risuonò uno squillo di corno. Presto il cancello si spalancò e ne uscirono due Guardiani della Notte dall’aria sospettosa.

“E voi chi siete?” chiese il più basso dei due “Pensavamo si trattasse di ranger di ritorno.”

“Portateci al Castello Nero” disse Bran, “dobbiamo vedere Jon Snow.” I due si fissarono per qualche attimo.

“Chi sei ragazzino?” chiese il Guardiano che ancora non aveva parlato “E come fai a conoscere Jon Snow?” 

Bran decise di essere sincero, per quanto poteva. “Sono suo fratello” spiegò sentendo una fitta al cuore, “Brandon Stark di Grande Inverno.” 

Il Guardiano basso sospirò. “Meglio se ti accompagniamo da Edd” decise, “ci sono un po’ di cose che deve spiegarti…”

 

Tyrion

 

Per una volta dopo tanto tempo il sole era tornato a splendere: nessuna nube all’orizzonte, nessun vento fastidioso. Sembrava una normale giornata di fine estate.

Tyrion inspirò profondamente, cercando di godersi quella meravigliosa sensazione finché poteva. Aiutandosi con una sedia raggiunse la scrivania ed afferrò la spilla del Primo Cavaliere. Ogni volta che se l’appuntava al petto riviveva l’emozione di quando Daenerys gliel’aveva concessa. Era stato un gesto così inaspettato, soprattutto pensando che fino a due mesi prima la regina avrebbe volentieri infilzato la testa del Folletto su una picca. Tyrion tentava di non pensarci. La mia bellissima testa, si disse massaggiandosi il collo.

Quella mattina Daenerys aveva imposto a tutti quelli rimasti sull’isola di svegliarsi al sorgere del sole e Tyrion aveva obbedito piuttosto controvoglia. Daenerys gli aveva ripetuto fino alla nausea che, non sapendo l’orario esatto dell’arrivo di Jon Snow e del suo seguito, dovevano essere pronti a tutto. Per Tyrion quel ragionamento non aveva molto senso, dato che teoricamente il Re del Nord avrebbe potuto attraccare anche di notte per dare fuoco alla Roccia del Drago indisturbato, ma aveva evitato di obbiettare.

Daenerys in quei giorni era stata intrattabile e Tyrion temeva per questa nuova missione diplomatica. Perché per la regina la massima diplomazia consisteva nel far giustiziare i propri nemici dagli Immacolati invece di vederli arrostiti dai suoi draghi. Tutta la faccenda era problematica.

Tyrion aveva paura che Jon potesse in qualche modo far salire la rabbia della regina. Se dovesse finire ucciso, pensava mentre si vestiva, avremo l’intero Nord contro e niente Piogge di Castamere da cantare.Non che Tyrion volesse in qualsiasi modo replicare l’orrore delle Nozze Rosse, anzi, ma non riusciva davvero a trovare un altro mezzo che potesse arrestare la furia vendicativa del Nord. Furia del tutto giustificata, doveva ammettere, considerando quanti Stark sono morti in questi anni.

Il Nord non avrebbe tollerato un’altra vittima e Daenerys non poteva permettersi di sbagliare. Tyrion la voleva aiutare, ma si era reso conto che da qualche tempo la regina non prendeva più molto sul serio i suoi consigli. Inviare l’esercito nell’Altopiano è stata una follia, pensò il nano infilandosi la camicia. Adesso se Euron ci attaccasse non potremmo difenderci.

Ormai era chiaro che Daenerys puntasse tutto sul potere distruttivo dei suoi draghi, ma Tyrion sapeva che non era sufficiente. Poteva ottenere ottimi risultati riducendo in cenere le flotte, ma a terra lo scontro diventava complicato. E poi, come raccontavano le storie della conquista di Aegon Targaryen, in caso di nebbia o fumo i draghi non sarebbero riusciti a volare. Era da matti anche sperare che Jon Snow avrebbe portato più di cento uomini in viaggio, uomini che tra l’altro non era sicuro sarebbero stati messi al servizio di Daenerys. In pratica siamo nella merda, concluse Tyrion allacciandosi le scarpe. Finalmente era pronto.

Con la regina e gli altri aveva appuntamento nella sala del trono e, con la sua solita andatura ciondolante, vi si recò perdendosi un paio di volte durante il percorso. Fece il suo ingresso che gli altri erano già tutti dentro e se ne vergognò.

“Ehm” tentò di scusarsi, “non trovavo le mutande…”

“Già” ribatté ironica Obara Sand, “e io non trovavo la mia lancia. Ah no, aspetta: me l’hai portata via!” Tyrion incassò senza commentare. Quella psicopatica ce l’aveva ancora con lui: era meglio ricordarsi di sbarrare la porta per la notte.

“Allora” esordì il Folletto battendo le mani, “ci sono novità?” 

Varys si fece avanti. “Nessuna novità in particolare” disse incrociando le mani dietro la schiena, “ma le vedette dicono di aver avvistato il possibile rogo di una nave nella notte.”

“E questo cosa significa?” chiese Daenerys vagamente allarmata. “Non significa nulla per ora, vostra grazia” proseguì con calma Varys, “possiamo solo aspettare.”

“Credete che quella” si intromise Missandei, “fosse la sua nave?” Tyrion non voleva neanche pensarci. Se è successo qualcosa a Jon Snow mentre era in viaggio verso di noi, pensò inspirando profondamente, tanto vale scavarci già la fossa.

Daenerys evidentemente non afferrava la gravità dell’ipotesi. “Non è detto che fosse una nave” disse con noncuranza, “i miei draghi spesso colpiscono uccelli mentre volano sul mare, è possibile che le vedette abbiano visto solo una fiammata.” Tyrion si trattenne dal sottolineare che c’è differenza fra una nave che brucia e un piccione carbonizzato.

“Non dobbiamo saltare a conclusioni affrettate” disse camminando in cerchio, “atteniamoci al piano…” Poi si accorse di un piccolo dettaglio. "A proposito” disse muovendo l’indice, “qual è il piano?”

A quel punto Verme Grigio fece un passo avanti con l’aria di chi adesso metteva le cose a posto senza scomporsi e soprattutto senza sorridere manco sotto minaccia di tortura. “Noi Immacolati proteggeremo il castello” disse con il suo solito tono grave, “per evitare attacchi o imboscate. I Dothraki, i dorniani e Obara pattuglieranno la spiaggia. La regina, Missandei e Varys attenderanno nella sala del trono, mentre tu andrai incontro a Jon Snow.”

Tyrion spalancò la bocca esterrefatto. “E perché io?” chiese ripensando al disastroso incontro con Oberyn Martell. “Tu lo conosci” gli spiegò Daenerys, “puoi accoglierlo e dirgli che abbiamo intenzioni pacifiche.”

Già, pensò amareggiato Tyrion, come quella di bruciare il Nord se non dovesse accettare un’alleanza, o quella di uccidere i suoi uomini per lo stesso motivo. Tuttavia annuì. “Conta pure su di me.” Aveva intenzione di spiegare a Jon in modo schietto e perfino brutale le regole del gioco in cui si era cacciato.

In quel momento fece irruzione un guerriero dothraki dall’aria piuttosto agitata. Scambiò qualche battuta con Daenerys nella sua lingua incomprensibile in seguito alle quali la regina si alzò in piedi di scatto.

“Che è successo?” chiese Tyrion preoccupato.

“Dice che Brienne è riuscita a fuggire” disse Daenerys visibilmente alterata, “come è potuto succedere?”

“E ser Davos?” chiese Varys chinando leggermente il capo.

“No, lui è rimasto” rispose Daenerys dirigendosi verso la porta. “Verme Grigio, vieni dobbiamo andare a interrogarlo. Voi altri attenetevi al piano. Quando la nave attracca suonate il corno della spiaggia.” Dopo che la regina e il capo degli Immacolati furono usciti, Tyrion iniziò a guardarsi le punte dei piedi per sfuggire a quella situazione imbarazzante. “Bene” azzardò muovendosi verso la porta, “credo proprio che andrò in spiaggia…”

“Non così in fretta, nano” lo bloccò Obara, “prima ridammi la mia lancia.” 

Tyrion si dovette trattenere dall’alzare gli occhi al cielo. “Ma quante volte te lo devo dire?!” esplose gesticolando “Non ho idea di dove la regina l’abbia messa!”

“Ma alle mie sorelle le avete ridato le armi” osservò con odio Obara.

“Ovvio” rispose Tyrion aprendo la porta, “loro sono andate in guerra. Adesso se mi vuoi scusare…”

Con un piccolo cenno di saluto indirizzato a Varys, scomparve per le scale. Osò tirare un sospiro di sollievo solo quando la sabbia della spiaggia gli si cominciò ad appicciare alle scarpe. Senza fretta si incamminò verso il porto, sperando che in qualche modo Jon capisse dove avrebbe dovuto attraccare. Giunto ad un molo libero si sedette sugli ormeggi e tirò un sospiro. Non restava altro che attendere.

Stranamente si ritrovò a pensare alla sua famiglia, evento che non capitava da molti mesi. Pensò al piccolo Tommen, così dolce ed innocente, ed immaginò cosa avesse potuto provare mentre si gettava da una finestra di Approdo del Re. Pensò alla delicatezza di Myrcella, con i suoi meravigliosi boccoli dorati, e al mistero della sua morte. Gli avevano detto solamente che era stata uccisa, ma Tyrion non aveva mai avuto il coraggio di chiedere da chi. Aveva paura che la risposta l’avrebbe sconvolto. Poi pensò a Cersei e alla sua determinazione; così malvagia e così ammirevole allo stesso tempo. Lei alla fine regina lo era diventata per davvero, seppure si sperasse che il suo regno avrebbe visto presto il tramonto. Pensò anche a Jaime ed all’abbraccio in quella cella maleodorante. Sentiva la sua mancanza, almeno un pochino.

E poi pensò a suo padre e allo sguardo che gli aveva lanciato prima che Tyrion scoccasse il secondo dardo. Non sei affatto mio figlio aveva detto, ma ormai quelle parole non potevano più ferire Tyrion. Nonostante Tywin Lannister gli avesse reso l’esistenza un inferno, il figlio nano e non voluto lo ammirava ancora. Non certo per le sue doti da genitore, bensì per la forza che sembrava emanare la sua persona. E in questo Tyrion non avrebbe mai potuto eguagliarlo.

Le sue riflessioni furono interrotte dalla comparsa nel suo campo visivo di quella che poteva essere una nave. Aguzzando lo sguardo, Tyrion ne ebbe la conferma. Correndo alla massima velocità consentita dalle sue gambe storte, raggiunse un Dothraki di ronda poco lontano.

“Ehm” disse affannato, “devi suonare il corno.” Poi si rese conto che il suo interlocutore non aveva la minima idea di quello che gli stava dicendo. Così Tyrion cercò di aiutarsi con i gesti e finalmente l’uomo borbottò qualcosa nella sua lingua e si allontanò correndo. Poco dopo sull’isola si propagò il suono vibrante del corno. Almeno Daenerys avrebbe avuto il tempo di prepararsi.

La nave era sempre più vicina e Tyrion sentiva crescere il nervosismo. Si sentiva maledettamente fuori luogo, ma allo stesso tempo sapeva che entrambi i sovrani che si apprestavano a decidere le sorti dei Sette Regni avevano bisogno del suo aiuto.

Via via che l’imbarcazione si avvicinava, Tyrion capì che qualcosa non andava. Le vele in molti punti erano a brandelli ed il legno era attraversato da colpi d’ascia e spada. Sembra sia stata attaccata, pensò Tyrion rabbrividendo. Nessuno sarebbe così pazzo da affrontare un viaggio del genere con una barca ridotta così male. Finalmente la nave attraccò e Tyrion venne avanti cercando di mascherare l’agitazione.

Il primo a scendere fu un ragazzino dai capelli neri che si guardava intorno guardingo. Tyrion ebbe la sensazione di averlo già visto. Poi scese Jon Snow.

La prima impressione di Tyrion fu di completo stupore. Se si era immaginato una copia cresciuta del ragazzino che aveva lasciato alla Barriera, si era completamente sbagliato. Nell’uomo che aveva davanti non era rimasto nulla del giovane ingenuo e appassionato di un tempo. Il suo volto era segnato dalle cicatrici e il suo corpo era diventato più solido e possente. Ma la cosa che colpì maggiormente Tyrion furono i suoi occhi. In essi era visibile una sofferenza che andava oltre la capacità d’immaginazione degli esseri umani, ma anche il fuoco determinato di chi ha visto il dolore e non vuole che altri lo sperimentino.

Rimasero per qualche secondo fermi a fissarsi. Poi Tyrion ebbe il coraggio di avanzare e porgere la mano. Jon esitò solo un momento prima di stringerla. “Tyrion Lannister” lo salutò con voce indecifrabile, “sono anni che non ci si vede.”

“Già” assentì Tyrion lisciandosi inutilmente la barba ispida, “vedo che ne hai fatta di strada, da semplice recluta dei Guardiani della Notte a Re del Nord.” 

Jon non si scompose. “Posso dire la stessa cosa di te a quanto pare” osservò sorridendo, “passare da essere un bastardo agli occhi di tuo padre a essere nominato Primo Cavaliere della Regina non deve essere stato facile.”

E’ bastato uccidere mio padre.

“Hai proprio ragione” disse ridendo, “ma ora dimmi: cos’è successo alla nave? E questo ragazzo è la tua unica scorta?” Jon si rabbuiò e Tyrion temette di aver chiesto la cosa sbagliata.

“Siamo stati attaccati” rispose Jon senza tentare di mascherare l’amarezza, “e la nave è quasi bruciata. E’ un miracolo che sia arrivata fin qui. Ero partito da Grande Inverno con venti uomini” fece una pausa abbassando lo sguardo, “e Gendry è l’unico sopravvissuto…” Tyrion osservò di nuovo il ragazzino: non appariva eccessivamente provato dall’esperienza.

“Lui è Gendry Waters” lo presentò Jon, “ha lavorato come apprendista fabbro ad Approdo del Re, è probabile che tu l’abbia incontrato almeno una volta.”

“Piacere di conoscerti, Gendry” lo salutò Tyrion per poi tornare a rivolgersi a Jon. “Sai chi vi ha attaccato?”

Jon annuì. “Gli Uomini di Ferro” rispose, “dovevano averci spiato per giorni: sapevano esattamente quanti eravamo e non hanno attaccato con un numero eccessivo di uomini: solo quelli necessari per abbattere una ventina di soldati. Dicevano di agire per ordine di Euron Greyjoy.”

Tyrion strinse i denti. “Sì, è il nuovo re delle Isole di Ferro… Si è alleato con Cersei e da quel che sappiamo sta compiendo scorrerie lungo le coste del Nord. Ma tu come hai fatto a sopravvivere?”

Jon sospirò passandosi una mano tra i capelli. “Quei soldati avevano l’ordine di uccidere tutti sulla nave” disse a bassa voce, “eccetto me. Avrebbero dovuto portarmi dal loro re, non so bene neanche perché. E ce l’avrebbero fatta se non fosse stato per quel drago…” 

Tyrion credette di sentire il suo cuore fermarsi per un secondo. Drago?

“E’ comparso dal nulla” raccontò Jon con trasporto, “e mi ha permesso di fuggire sulla mia nave dove fortunatamente ho trovato Gendry ancora vivo.”

“Sei sicuro che si trattasse di un drago?” chiese Tyrion scettico “E non magari di qualche uccello di grandi dimensioni?”

Jon sollevò un sopracciglio. “Credimi, Tyrion, solo i draghi sputano fuoco.”

Tyrion era, se possibile, ancora più frastornato. “Ha sputato fuoco?” chiese con un filo di voce. Com’era potuto succedere? I draghi di Daenerys non avevano mai attaccato le navi senza l’ordine specifico della loro madre, perché mai uno di loro avrebbe dovuto aiutare Jon?

“Sì” annuì Jon, “io gli ho detto di sputare fuoco e lui l’ha fatto. L’intera nave è bruciata.” 

Quella situazione era assurda.

“Tu parli alto valyriano?” chiese Tyrion ricordando la parola valyriana che Daenerys utilizzava per ordinare ai draghi di far fuoco.

“No, cosa c’entra questo?”

Tyrion scosse la testa. “Lascia perdere” disse incredulo, “ma dimmi almeno di che colore era il drago…”

“Verde” rispose subito Jon, “verde smeraldo.”

“Rhaegal…”

“Rhaegal?”

“Il nome del drago che hai visto” rispose Tyrion, “come avrai certamente intuito si tratta di uno dei draghi della regina.” Tyrion si passò una mano sul volto respirando profondamente: e ora chi lo spiegava a Daenerys che la lealtà di uno dei suoi draghi era piuttosto flessibile? 

Cercando di salvare le apparenze, Tyrion sorrise. “Bene” disse in tono solenne, “parleremo dopo di questi eventi. Ora è tempo per te di incontrare la regina…” Non gli sfuggì l’improvviso pallore sul viso di Jon e provò compassione. Mentre si avviavano verso il castello, gli diede un colpetto rassicurante sulla schiena. Non temere, pensò amareggiato, non è Daenerys in sé ad essere folle, sono le sue ambizioni a renderla implacabile.

E così si incamminarono lungo un sentiero che appariva ad entrambi senza ritorno.  

 

 

 "Alcuni dicono che al destino non si comanda, che il destino non è una cosa nostra. Ma io so che non è così: il nostro destino vive con noi."

 


N.D.A.


Bentornati a tutti! Inizio col dire che sono particolarmente affezionata a questo capitolo in quanto il pov di Jon, ancora oggi, resta uno dei miei preferiti in assoluto ^_^ e ritengo che sia il primo punto di svolta con anche il primo combattimento (non so se si possa definire battaglia, forse più che altro un attacco)....
Premetto dicendo che non sono assolutamente un'esperta di tecniche di guerra o di combattimento al di fuori di ciò che i libri e la serie mostrano, quindi vi prego di essere clementi perchè qui, proprio come nelle future battaglie, ce l'ho messa davvero tutta per rendere la situazione originale e mai uguale. Probabilmente non è precisa da un punto di vista tecnico, però spero chiuderete un occhio XD 

Prima che me lo chiedate vi dico subito che Gendry spiegherà più avanti il motivo per cui si trovava a Porto Bianco e non ad Approdo del Re come aveva suggerito Davos, quindi non preoccupatevi. Inoltre alcuni di voi potrebbero chiedersi come mai abbia rivelato la sua identità solo alla fine e questo è perchè non sapeva che effettivamente il Re del Nord era Jon, ha sentito per la prima volta il suo nome durante il combattimento quando è entrato in scena Heryet e ha ricordato le storie che sono sicura Arya gli ha raccontato. 
Un'altra precisazione che mi sento in dovere di fare (altrimente Azaliv mi strangola XD) riguarda la visione di Rhaegar e Lyanna. Le prime scene hanno luogo subito dopo il grande torneo, mentre il matrimonio ha luogo l'anno successivo, quando i due si rivedono in circostanze ancora da chiarire ad Harrenhal. Io ho seguito la teoria secondo cui si erano sposati sull'Isola dei Volti, anche se la settima stagione ha poi smentito mostrandoci un matrimonio a Dorne e davanti ai Sette Déi. Ho comunque preferito non cambiarlo perchè ritengo che sull'Isola dei Volti sia molto più poetico :-) 
Ah e sì, Jon ha comandato Rhaegal senza parlare in valyriano XD XD 

Spero il capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere che ne pensate! Che ne dite del piano di Arya? Lo approvate o pensate stia sbagliando tutto? E soprattutto cosa accadrà ora? 
Prossimo capitolo ci sarà finalmente l'incontro atteso da tutte le Jonerys ;-) 

Come al solito ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione e posso dirvi che ancora, dopo più due mesi, ancora l'effetto è lo stesso di quando le leggevo per la prima volta. In ordine ringrazio: giona, NightLion, __Starlight__, Spettro94 ( ti prometto che torno subito a Occhi di stelle O.O, ho avuto molto da fare ma mi farò perdonare) e leila91, che ringrazio ancora tantissimo per la splendida sorpresa...
Tuttavia questo capitolo lo dedico ad Azaliv87, sperando non mi sia morta alla comparsa di Rhaegal o dopo alle scene di Rhaegar e Lyanna XD XD XD 

Fatemi sapere e alla prossima! 

PS: anche stavolta la citazione viene da un film Diseny (Pixar), ossia Ribelle-The Brave... Interpretazione liberissima :-)

 

 

 

 

 

   
 
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