The Lonely She-wolf
Il
vento non si era placato nemmeno un secondo e dopo ben tre giorni di
viaggio ancora soffiava furioso rendendo particolarmente arduo il
cammino già difficoltoso a causa della neve. I cavalli avanzavano a
fatica e più di una volta la comitiva si era dovuta arrestare per
attendere un animale rimasto indietro.
La
mattina la nebbia tardava ad alzarsi e il sole era ormai un ricordo
lontano. Si era già fortunati se trascorreva una giornata senza
nevicare.
Jon
era più nervoso e irritabile ogni giorno che passava. Era arrivato
perfino a redarguire aspramente un suo compagno semplicemente per aver
imbrigliato le redini facendo perdere tempo al gruppo. In seguito si
era scusato. “Mi dispiace” aveva detto passandosi una mano sul volto,
“so di essere intrattabile, ma la verità è che sono molto preoccupato…”
Tutti gli avevano risposto che non doveva loro alcuna spiegazione.
Già,
io sono il re.
Oramai
neanche quel pensiero gli dava alcuna gioia: le ansie che aveva
comportato quel titolo avevano cancellato tutto il resto. Temeva per
Davos e Brienne ancora nelle mani di una dubbia alleata. Temeva per
Sansa che aveva abbandonato insieme a Ditocorto. Temeva per la sua
gente e per il Nord, stretto com’era tra gli Estranei e i draghi.
Temeva addirittura per Spettro, nonostante il meta-lupo gli avesse più
volte dimostrato di sapersela cavare benissimo da solo.
Ed ho paura per me? si
chiedeva durante le interminabili cavalcate Ho paura di morire? Non
era ancora capace di darsi una risposta. Se da un lato la morte avrebbe
significato liberazione, dall’altro avrebbe comportato l’abbandono
forzato di tutto ciò in cui credeva, di tutto ciò che stava
proteggendo. E dopo cosa sarebbe rimasto?
Jon
era sempre più convinto di dover rivestire un ruolo importante nella
guerra contro gli Estranei. Era quasi arrivato a credere alle parole di
Melisandre.
Quasi.
In
effetti faticava a credere di essere stato scelto da un dio sconosciuto
per adempiere a un destino che non era il suo. Ma allora perché era
tornato? Perché il suo corpo non era semplicemente rimasto a marcire, o
più probabilmente a bruciare, come tutti gli altri cadaveri? Perché la
vita l’aveva richiamato indietro? Tutte quelle domande gli perforavano
il cervello e Jon non era in grado neppure di azzardare una risposta.
Di
notte sognava di draghi e rose blu e si svegliava con quella strana
canzone nelle orecchie. A volte però veniva colto dagli incubi e vedeva
Sansa morire trafitta da una freccia come Ygritte, o Davos decapitato
come suo padre, o Tormund pugnalato come Robb. A volte vedeva la testa
di Spettro dondolargli davanti agli occhi come quella di Cagnaccio, che
Ramsay aveva buttato ai suoi piedi.
Finalmente,
all’alba del quarto giorno, giunsero a Porto Bianco. Per Jon era la
prima volta in quella città e fu lieto di avere una scusa per
allontanare quei tetri pensieri. Ser Marlon Manderly, cugino di lord
Wyman, li aveva accolti nella sua dimora.
Jon
aveva sorriso, borbottando frasi di circostanza ed accettando di
malavoglia un invito a cena. Durante il pasto tentò di richiamare
l’attenzione sull’imminente partenza.
“Ma
come?” esclamò sorpreso Marlon “Non vi fermate neanche un po’? Alla
gente di qui farebbe così piacere se…”
“Mi
dispiace” lo interruppe Jon sforzandosi di essere gentile ma
desiderando solamente andare a letto, “ma abbiamo una missione urgente
da portare a termine. Partiremo domani per la Roccia del Drago.”
Marlon
rimase a bocca aperta.
“Non
mi interessa degli Uomini di Ferro!” sbottò Jon con troppa veemenza.
Accorgendosi di aver attirato sguardi perplessi si affrettò a
ricomporsi. “Chiedo scusa, mio signore” disse con voce calma, “sto
approfittando della tua generosa ospitalità senza porti il dovuto
rispetto. Tutto quello che dici è vero, ma io non posso attendere. Se
non raggiungo la Roccia del Drago entro pochi giorni, il Nord potrebbe
ritrovarsi nei guai. Mi serve il tuo aiuto…”
Marlon
rimase in silenzio per una manciata di secondi, poi sorrise. “Ma
certo!” esclamò battendo le mani “Ti fornirò tutto il necessario per la
partenza, nonché un nave nuova ovviamente.”
“Non
ce n’è bisogno” protestò Jon, “le navi di Stannis andranno più che
bene…”
“Non
se ne parla” s’impuntò Marlon. “Quelle navi sono arrivate da noi
distrutte e mezze congelate, che razza di signore sarei se non fossi
neanche in grado di fornire al mio re una barca decente?” Jon mormorò
un “grazie” sommesso e Marlon parve soddisfatto. Poi l’occhio gli cadde
sulla spada che Jon portava alla cintura.
“Qui
a Porto Bianco c’è una bottega dove si riparano tutti i tipi di armi”
confessò Marlon strizzando l’occhio, “e mi dicono che il fabbro sia
particolarmente bravo con l’acciaio di Valyria…”
Così
il mattino seguente di buon’ora Jon, seguendo le indicazioni di ser
Manderly, raggiunse la bottega in questione. Era un piccolo locale,
povero ma curato, che mostrava una certa attenzione ai dettagli da
parte del proprietario. Entrò e tentò di abituare gli occhi alla
penombra. L’unica stanza era affollata da oggetti di lavoro ed
utensili, tutti puliti e in ordine, ma inesorabilmente logorati dal
tempo.
“Buongiorno,
signore, in cosa posso esserti utile?”
Jon
quasi sobbalzò. Si voltò e fu estremamente sorpreso dal ritrovarsi di
fronte un ragazzo di pochi anni più giovane di lui, con il viso sporco
di fuliggine ed i denti scintillanti in un sorriso.
“Ecco,
io” iniziò Jon sentendosi improvvisamente a disagio, “vorrei far
affilare la mia spada…” Estrasse Lungo Artiglio e il giovane quasi
gliela strappò di mano.
Jon
sgranò gli occhi. “Come tre giorni?” chiese sentendosi abbastanza
idiota.
Il
ragazzo lo squadrò quasi con diffidenza.
Jon
perse la pazienza. “Ascolta, ragazzino” disse con voce gentile ma
decisa, “la mia nave salpa tra mezz’ora, quindi per quell’ora la mia
spada deve essere pronta. Ti pagherò quanto vorrai.”
Il
ragazzo sollevò un sopracciglio.
Jon
decise di giocarsi la sua ultima carta. “Diresti che non hai potuto
rifiutare un lavoretto” disse studiando l’espressione del ragazzo, “al
Re del Nord.”
La
frase sortì l’effetto sperato ed il giovane perse in un attimo tutta la
sua baldanza rivelandosi per quello che era: un ragazzino sbalordito. O
terrorizzato.
“I-io
io” farfugliò il ragazzo, “non sapevo. S-sono desolato altrimenti mai
avrei… E’ stato un equivoco, io non sapevo…”
“Ehi,
ehi, ehi” lo tranquillizzò Jon portando le mani avanti, “va tutto bene.
Non ti devi scusare per nulla. Adesso io ho solo bisogno di una spada
affilata e poi toglierò il disturbo.”
“Certo,
mio signore” disse il giovane visibilmente rincuorato, “subito, mio
signore.” E Lungo Artiglio fu pronta nel tempo record di un quarto
d’ora. Jon ammirò il risultato e constatò soddisfatto che era davvero
ottimo: la spada non era mai stata così splendente.
Ma
al momento del pagamento il ragazzo scosse la testa.
La
reazione che ottenne fu la più imprevedibile.
Jon
sorrise.
Nel
giro di un’ora la Lupa Solitaria aveva
preso il largo e la costa quasi non si vedeva più. Marlon aveva fatto
mille promesse e augurato mille fortune, mentre il nuovo scudiero si
era immediatamente calato nel suo ruolo, sistemando la cabina di Jon e
lavando anche il pavimento sul ponte. Jon sospettava che fosse anche in
grado di cucinare e lavorare a maglia se solo gliel’avesse chiesto. Gli
altri uomini della scorta invece trascorrevano il loro tempo giocando a
dadi o ubriacandosi, ma Jon non aveva voglia di rimetterli in riga.
Voleva concentrarsi solamente sul viaggio, che da quanto sapeva durava
almeno tre giorni, e su ciò che avrebbe potuto trovare una volta
raggiunta la meta.
Quando
il ragazzo era venuto a conoscenza della loro destinazione si era
incupito e Jon avrebbe potuto giurare di aver visto un’ombra calare sui
suoi occhi. Tuttavia decise di non indagare, cercando al tempo stesso
di distrarre il giovane da qualunque cosa la sua mente stesse
elaborando in quel momento. In fin dei conti non era l’unico ad essere
tormentato da brutti ricordi o presagi funesti.
Due
giorni trascorsero senza nemmeno che Jon se ne rendesse conto.
Fu
bruscamente svegliato da qualcuno che lo stava scuotendo con veemenza.
“Mio signore, ci attaccano!” stava urlando affannato il ragazzo e Jon
ebbe appena il tempo di riconoscere il luogo in cui si trovava che
l’intera nave sussultò. Dal ponte giungevano delle grida. Jon ringraziò
gli déi per essere andato a letto vestito, afferrò Lungo Artiglio e si
precipitò fuori.
La
nebbiolina che avvolgeva la scena e la scarsa luce gli suggerirono che
doveva essere appena l’alba. I suoi uomini stavano issando le vele,
tentando disperatamente di virare. Jon non impiegò molto tempo per
comprendere il motivo di tanta agitazione.
Un’enorme
imbarcazione si stava lentamente avvicinando alla Lupa
Solitaria e sventolava il vessillo della piovra.
In un attimo Jon ricordò gli avvertimenti di Marlon Manderly.
Uomini
di Ferro… Ma chi li comanda?
Avevano
saputo che Balon Greyjoy era morto, ma non si avevano notizie riguardo
al suo successore. In ogni caso quello non era il momento giusto per
pensarci.
Jon
sguainò la spada.
“Ma
sono troppi…” balbettò un soldato terrorizzato.
Jon
lo fulminò con lo sguardo.
Tutti
gli uomini si sparpagliarono e Jon corse a poppa protendendosi oltre la
balaustra di sicurezza. Ora la nave era vicinissima e si scorgevano
distintamente i marinai. Improvvisamente una pioggia di frecce si
riversò sull’imbarcazione.
“ATTENTI!”
Jon si gettò a terra, ma presto scoprì che le frecce erano indirizzate
alle vele e alle corde. Vogliono fermare la nave, si rese
conto Jon.
“Ammainate
le vele!” ordinò, nonostante gli sguardi perplessi dell’equipaggio
“Fate come vi dico, così almeno non verranno distrutte.” E potremo usarle ancora, pensò
correndo ad aiutare a tirare le funi. Sempre se saremo ancora vivi da qui a
un’ora.
Senza
più il supporto delle vele la nave si arrestò, completamente in balìa
del movimento delle onde, che fortunatamente non erano troppo alte. Jon
sentì esclamazioni di vittoria provenire dalla nave nemica, ma si
impose di ignorarle.
Non
fece in tempo a finire di parlare che la Lupa
Solitaria cozzò contro l’imbarcazione nemica
appena emersa dalla nebbia. La potenza del contraccolpo lo fece quasi
cadere a terra. Quando riacquistò l’equilibrio, vide con orrore che
cinque uomini erano già a bordo. Strinse in pugno Lungo Artiglio e
respirò profondamente. Va bene, si disse
mettendosi a correre. Iniziamo...
Incrociò
la spada con il primo assalitore e riuscì a respingerlo fino alla
balaustra. Quando questi mirò alla gola sbilanciandosi in avanti, Jon
lo colpì alla spalla facendolo precipitare in acqua. Si accorse di
avere già le braccia sporche di sangue fin quasi al gomito. Vide che un
suo compagno era in difficoltà contro due avversari e si precipitò ad
aiutarlo.
Il
nuovo aggressore era più abile del precedente e Jon dovette
indietreggiare. Quando l’uomo si lanciò in avanti con un grido di
guerra, Jon usò l’albero maestro come scudo e lo sentì vibrare per la
violenza del colpo. Come previsto, la lama del nemico era rimasta
incastrata e Jon non perse tempo, decapitandolo di netto. Un grido
d’agonia attirò la sua attenzione e voltandosi vide il compagno di
prima accasciarsi a terra con le viscere in mano.
In
quel momento la nave tremò di nuovo e questa volta Jon finì a terra. Un
uomo si lanciò su di lui roteando un’accetta, e Jon dovette rotolare
via per evitare di essere colpito. L’aria era attraversata da uno
stormo di frecce: sembrava di essere ritornati alla Battaglia dei
Bastardi, ma adesso non c’era nessuno che avrebbe potuto salvarli.
Vide
il suo scudiero corrergli incontro.
“Ce
ne sono troppi” stava ansimando il ragazzo, “ne stanno arrivando una
ventina dal lato sinistro. Dyacron mi ha mandato a chiedere rinforzi…”
Jon sentì la testa girargli. Una ventina di uomini, pensò
disperato. E non
sono nemmeno finiti. Avrebbe voluto mettersi
ad urlare, ma sapeva di dover mantenere la calma.
“Molto
bene” disse fingendo una disinvoltura che non provava affatto. “Matyas,
impedisci agli Uomini di Ferro di salire a poppa… Io devo andare.”
Matyas annuì e corse via. Jon credette di rivedere Grenn nel suo
estremo e mortale tentativo di proteggere il portale della Barriera al
Castello Nero.
Stringendo
i denti, si affrettò a seguire il ragazzo, che nel frattempo aveva
tirato fuori la sua mazza di ferro. “L’ho fatta io” aveva detto tutto
orgoglioso solo il giorno prima. Arrivati a prua, la situazione si
rivelò più drammatica del previsto.
Almeno
quindici Uomini di Ferro erano già sul ponte e stavano distruggendo
tutto ciò che trovavano. Dyacron eroicamente stava combattendo da solo
contro minimo cinque avversari per respingerli sulla loro nave. Jon
corse avanti per cercare di aiutarlo, ma fu ostacolato da un altro
guerriero che lo costrinse a difendersi. Mentre frenava a fatica i
fendenti poderosi dell’altro, vide Dyacron cadere oltre il parapetto
colpito al torace.
“NO!”
urlò furibondo e menò un colpo imprimendo tutta la sua forza. La lama
dell’uomo si frantumò. Jon non si fermò per chiedersi il motivo e
affondò Lungo Artiglio nel cuore del nemico.
“Bene”
disse una voce calma alla sua destra. Jon si voltò trovandosi di fronte
un uomo sorridente con lunghi capelli corvini ed occhi scuri. “Non
pensavo un colpo potesse arrivare a spezzare una spada” continuò lo
sconosciuto avanzando, “ma non importa… Tu sei Jon Snow, vero? Ho
sentito tanto parlare delle tue presunte imprese… re Euron non vede
l’ora di incontrarti.” Jon lo fissò interdetto.
Euron?
L’uomo
dovette immaginare i suoi pensieri perché scoppiò a ridere. “Euron
Greyjoy” specificò, “Occhio di Corvo, Re delle Isole di Ferro. Ah, e io
sono Heryet, il capitano della Donna Vedova.”
Jon si accorse che due uomini gli si stavano avvicinando alle spalle.
Strinse in pugno Lungo Artiglio e si preparò ad attaccare.
"Non
lo farei se fossi in te” lo avvertì con un sospiro Heryet, “sarebbe
tutto inutile.” Le grida intorno a lui erano insostenibili e Jon non
poteva tollerare l’idea che degli uomini stessero morendo mentre lui
era lì ad ascoltare le chiacchiere di un esaltato.
“Cosa
volete da noi?”
Heryet
non rispose e si girò verso il resto del suo gruppo.
“Ti
avevo detto di non fare sciocchezze” gli ricordò. Poi si rivolse ai due
uomini che tenevano Jon. “Portatelo sulla nave” ordinò, “e poi tornate
qui a finire l’opera.” Mentre veniva trascinato via, Jon vide i suoi
uomini cadere uno dopo l’altro. Tentò di divincolarsi, ma i due erano
troppo forti. Stanno
morendo per colpa mia, pensò lacerato dal
senso di colpa.
Una
volta sulla Donna Vedova uno
dei due uomini lo sbatté contro l’albero maestro mentre l’altro gli
legò i polsi con nodi così stretti che Jon non riusciva nemmeno a
muovere le dita. Lungo Artiglio era abbandonata ai suoi piedi.
“Non
preoccuparti” lo rassicurò ridendo Heryet, “forse Euron deciderà
addirittura di risparmiarti la vita.” Presto gli altri soldati furono
di ritorno. “Tutti morti” disse un uomo con il volto deturpato da una
cicatrice. “Bene” sussurrò Heryet, “procedete…”
Quando
vide gli uomini incoccare frecce infuocate puntandole sulla Lupa
Solitaria, Jon sentì qualcosa risvegliarsi in
lui. L’apatia lo abbandonò e lottò fino a recidere le corde che gli
stavano incidendo i polsi. Senza curarsi delle esclamazioni di
sorpresa, raccolse la spada e corse verso la prua scansando due soldati
allibiti.
“Prendetelo!”
stava urlando Heryet “No, no, niente frecce: prendetelo vivo!”
Jon
arrivò a prua e saltò oltre il parapetto. I piedi quasi sdrucciolarono
e si aggrappò al legno con tale forza che le schegge gli ferirono le
mani. Davanti a lui si ergeva la sua nave, ma era troppo lontana per
essere raggiunta con un salto. Jon strinse le labbra mentre sentiva gli
uomini avvicinarsi ogni secondo di più. Poi chiuse gli occhi. Proprio
quando stava per lasciarsi cadere nell’acqua gelida, l’aria fu lacerata
da un suono stridente, di come Jon non ne aveva mai sentiti. Sollevò la
testa e ciò che vide lo lasciò senza fiato.
Il
drago volava così vicino che Jon poteva sentire sul viso l’aria mossa
dalle sue immense ali. Era una creatura gigantesca, con occhi profondi
e una chiostra di denti aguzzi. Le sue scaglie brillavano di luce verde
smeraldo. Per un lunghissimo istante Jon e il drago si limitarono a
fissarsi, poi l’animale volò avanti.
Jon
si voltò lentamente, in tempo per vedere la ciurma di Heryet fuggire
inorridita. La rabbia gli crebbe nel cuore e d’un tratto seppe
esattamente cosa doveva fare.
E
il drago sputò fuoco.
Tra
le fiamme che divampavano Jon riuscì a scorgere l’animale librarsi in
volo, non senza accennare un ultimo saluto. Jon gli sorrise come si
sorride ad un vecchio amico e, con nelle orecchie le urla dei nemici
che bruciavano, saltò nel vuoto.
Riuscì
ad aggrapparsi ad una grossa fune spellandosi i palmi già sanguinanti
e, facendo forza con le braccia, tentò di issarsi sulla sua nave. Ma la
corda cedette all’improvviso e Jon si preparò a precipitare in acqua,
quando delle mani lo afferrano aiutandolo a salire a bordo.
Frastornato
dalle troppe emozioni, Jon quasi non riconobbe il suo scudiero, che gli
stava sorridendo entusiasta. Evidentemente era riuscito in qualche modo
a sfuggire alla carneficina, magari fingendosi morto. La gioia che Jon
provava dal sapere almeno il ragazzo al sicuro era fatta a pezzi dal
dolore per la sorte del resto dei suoi compagni.
“Ce
l’hai fatta!” stava esclamando il giovane “Non ho idea di come, ma ce
l’hai fatta, mio signore!” Jon intuì che il ragazzino non aveva avuto
modo di vedere il drago. Meglio così, pensò.
Si aggrappò alla sua spalla per alzarsi.
“Jon”
gli disse guardandolo negli occhi, “chiamami Jon. So che è strano, ma
io ancora non conosco il tuo nome...”
Gli
occhi del ragazzo si illuminarono.
Arya
Alla
fine con la Fratellanza senza Vessilli c’era andata sul serio. Si era
resa conto che probabilmente in quel modo sarebbe potuta giungere a
Grande Inverno più in fretta. E potrò tenerli d’occhio, pensava
per nulla convinta dai principi morali di Beric e Thoros, per non
parlare del Mastino.
Per
sicurezza teneva sempre Nymeria vicina ed aveva più volte accennato
quasi distrattamente al branco di lupi a sua detta famelici che
seguivano silenziosi la comitiva. Se il suo obiettivo era quello di far
in modo che nessuno si trovasse ad una distanza da lei minore di cinque
metri, Arya poteva ritenersi soddisfatta. E si dava il caso che il suo
obbiettivo fosse proprio quello.
Di
giorno avanzava in testa al gruppo, aprendo la strada con la sua
meta-lupa e continuando a cacciare per conto proprio. Si rifiutava
infatti di mangiare il cibo che Beric distribuiva alle ore dei pasti e
ci teneva anche a mostrare la sua indipendenza.
Una
volta aveva sottratto a Nymeria e al suo branco un cinghiale e l’aveva
portato fiera vicino al fuoco dove sedevano gli altri, intenti a
consumare il loro misero pasto. Tutti l’avevano fissati sbalorditi e
anche un po’ invidiosi.
“Ma
l’hai cacciato da sola?” aveva chiesto stupito Beric. Arya aveva
sollevato un sopracciglio. “Ovvio” aveva risposto sedendosi a mangiare,
“sono brava con l’arco…”
“Ma
se tu nemmeno ce l’hai un arco!” aveva obbiettato il Mastino “Scommetto
che dietro quel cinghiale ci sta lo zampino della tua lupa…”
Arya
l’aveva guardato con sufficienza.
La
quarta sera di viaggio ad Arya toccò andare a cercare la legna per il
fuoco e il Mastino insistette ad accompagnarla. Mentre si inoltravano
nel bosco nessuno dei due parlò. Sandor si mise a cercare bastoni
secchi ed asciutti, ma Arya non aveva voglia di condurre un lavoro così
minuzioso. Quindi si arrampicò agilmente sull’albero poco lontano,
adocchiò il ramo più secco e morto e lo prese a colpi di spada finché
non lo tranciò. Quando Sandor si voltò con pochi piccoli fuscelli tra
le braccia, si ritrovò di fronte Arya intenta a fare a pezzi con
disinvoltura l’enorme ramo caduto.
“Diamine,
come sei brava a tagliarlo” esclamò il Mastino lasciando cadere a terra
il suo scarso raccolto.
“Mi
hanno insegnato a farlo sulle persone” mentì Arya senza alzare lo
sguardo, “so squartarle benissimo.”
Sandor
Clegane scoppiò a ridere.
“Quell’assassino
di cui ti parlavo quella volta” rispose pronta Arya sapendo di non dire
completamente una bugia. Il Mastino aveva smesso di ridere. “E dove
sarebbe?” chiese in tono più serio ora. Arya interruppe il lavoro e
sollevò lo sguardo.
“Sì,
questa è buona, ragazzina!” scherzò Sandor ed Arya tornò alla propria
attività “Così sembra che esistano dei tuoi parenti ancora in vita…”
disse il Mastino dopo qualche attimo di silenzio. Arya buttò a terra il
bastone che stava sfrondando.
“Non sembra:
è così!”
Sandor
sollevò le sopracciglia. “Questo è quello che speri tu” le disse, “ma è
possibile che quando arriverai saranno già morti come tuo fratello e…”
Si interruppe solo quando Arya gli puntò Ago alla gola.
“Per
tua informazione ricordo ancora dove si trova il cuore” sibilò lei, “e
la mia famiglia non è morta. Mio fratello Jon è Re del…”
“Sì,
sì, certo” disse Sandor alzando gli occhi al cielo, “il fratello che ti
ha regalato la spada dal nome di merda. Senti un po’, questo Jon ha un
meta-lupo?”
Arya
pensò a Spettro. “Sì” rispose sulla difensiva.
“Perché
non vorrei essere là quando cuciranno la sua testa sul cadavere di tuo
fratello…”
Arya
non ci vide più dalla rabbia. Brandì la spada ed assestò un fendente al
volto sfregiato di Sandor, mirando però al lato sano. Comparve un
taglio poco profondo, da cui uscì un rivoletto di sangue.
“La
prossima volta che parli della mia famiglia” lo avvertì minacciosa
Arya, “potrai dire addio a quel che resta della tua faccia.” Poi si
voltò e fece per andarsene.
“Ehi”
la richiamò il Mastino, “non serve arrivare a misure così drastiche:
stavo solo scherzando. I tuoi amici senza volto non ti hanno insegnato
cos’è l’ironia?”
“No”
rispose Arya girandosi appena, “mi hanno insegnato ad uccidere.” E si
allontanò nel fitto del bosco.
Arrivò
al campo che doveva ancora sbollire la rabbia. Afferrò le proprie cose
e le trascinò nell’angolo più isolato della radura. Nymeria le corse
incontro. Aveva le fauci insanguinate ed Arya capì che doveva essere di
ritorno dalla caccia. Gettò in terra le pellicce e si cacciò sotto.
Non
sopportava quello che Sandor le aveva detto, soprattutto perché sapeva
che era tutto vero. Aveva messo a nudo le sue paure più profonde e
questo Arya non riusciva a tollerarlo. Non poteva permettere a nessuno
di vedere il suo lato debole. La prossima volta, tentò
di convincersi. La
prossima volta lo ucciderò veramente. Ma
sapeva che non l’avrebbe fatto.
I
sentimenti che provava per il Mastino erano più che mai confusi e
incomprensibili e Arya credeva di impazzire. Era sicura di odiarlo, ma
al tempo stesso lo ammirava. E non sapeva neppure perché.
Si
girò sul fianco destro nel tentativo di prendere sonno: in quel momento
non le interessava minimamente della legna che avrebbe dovuto
consegnare e che invece non era mai arrivata a destinazione. Nymeria le
si accoccolò vicino e finalmente Arya riuscì ad addormentarsi.
Si
svegliò la mattina seguente con lo stomaco che brontolava per la fame e
realizzò di non aver mangiato nulla la sera prima. Nymeria era
scomparsa ed Arya imprecò a bassa voce all’idea di dover andare a
caccia da sola. Si tirò a sedere e si guardò intorno. I membri della
Fratellanza erano seduti in cerchio poco lontano ed Arya decise di
raggiungerli. Preparandosi ad una ramanzina per la legna, si sedette
accanto a Thoros.
“Buongiorno”
disse tenendo gli occhi bassi. “Ce ne hai messo di tempo!” esclamò
divertito Beric “Pensavamo non ti saresti più svegliata…”
Arya
non rispose, disegnando sulla terra umida scarabocchi con un bastoncino.
“Eh
già” intervenne il Mastino comparendo dal nulla con in mano due piccoli
polli spennati, “non te l’aspettavi, vero?”
Nel
giro di un’ora erano di nuovo in marcia. Stavolta Arya fece in modo che
la sua caccia agli scoiattoli capitasse casualmente vicino al Mastino.
“Su
questo non ci sono dubbi” assentì Sandor, “ma chi è troppo bravo ad
uccidere non può essere bravo anche a tutto il resto.”
“Ah,
e allora tu oltre a urlare e trapassare gente con la spada non sai fare
nient’altro?”
“Esattamente”
rispose a sorpresa il Mastino, “tutti i lavori di merda che svolgono le
altre persone non mi interessano.” Arya rimase suo malgrado colpita
dalla risposta e per un po’ non disse nulla.
“Beric
ha detto che è probabile che arriveremo a Grande Inverno entro oggi”
disse infine Sandor, “cosa conti di fare, ragazzina? Vuoi sul serio
giocare a nascondino?”
Arya
gli lanciò un’occhiataccia.
“Naturalmente”
disse ironico il Mastino, “e ovviamente nessuno ti farà domande
riguardo alla tua spada, al tuo denaro o al fatto che ti porti un
fottuto branco di lupi dietro…”
Arya
avrebbe voluto strangolarlo. “Il branco si disperderà nella Foresta del
Lupo” sibilò, “e troverò il modo di nascondere Nymeria.”
“Sicuro”
disse Sandor sogghignando, “ma dimmi piuttosto: tua sorella è a Grande
Inverno?”
“Sì
ed è proprio lei che devo tenere d’occhio.”
“Non
me ne frega un cazzo dei tuoi stupidi piani” disse annoiato il Mastino,
“sono solo interessato a quell’uccelletto.” Arya calciò un sasso.
Sperando
che si sia trasformato in lupo.
Nel
primo pomeriggio le torri di Grande Inverno apparvero all’orizzonte.
Arya si era imposta di non provare emozioni, ma a quella vista fu
travolta dai ricordi. Niente sarebbe mai più stato come prima. Sentì le
lacrime inumidirle gli occhi e se le asciugò con un gesto rabbioso.
“La
piccola lady ha un cuore” disse ironico il Mastino, ma Arya non gli
prestò attenzione. Sono
a casa, realizzò ancora incredula, stavolta sul serio. Per la prima
volta comprese veramente il motivo per cui non sarebbe mai potuta
diventare Nessuno.
In
un’ora erano arrivati a Città dell’Inverno, dove la comitiva si fermò.
Il branco di lupi si era appostato nel bosco e Arya era riuscita a
convincere Nymeria a seguirlo. Il Mastino aveva ragione: un meta-lupo
avrebbe attirato troppe attenzioni.
Grazie
al denaro rubato un po’ alle Torri Gemelle e un po’ a Delta delle
Acque, Arya affittò una stanza tutta per sé, il più lontano possibile
da quelle dei suoi compagni di viaggio. Non riuscendo a rimanere ferma
in quella piccola camera trasandata, si cambiò d’abito ed uscì.
Non
temeva che qualcuno avrebbe potuto riconoscerla come Arya Stark: era
passato troppo tempo e lei era troppo cambiata. Finse quindi di essere
una contadinella appena arrivata dal Moat Cailin e ne approfittò per
racimolare informazioni dai passanti.
“La
vita è migliorata enormemente da quando Jon Snow è re” le disse un
calzolaio, “sei fortunata a non aver vissuto la tirannia di quei
mostri.”
“Il
mio bambino era malato” raccontò una donna, “e il re si è addirittura
offerto di farlo visitare dal maestro Wolkan del castello. E’ venuto a
prenderlo a cavallo!” Arya era felice di sentire notizie positive
riguardo al governo di Jon, ma doveva indagare anche su sua sorella.
La
donna rifletté per qualche attimo.
“Comunque
potremo vedere presto il suo operato” continuò la donna raccogliendo il
secchio che aveva appoggiato a terra, “il re le ha affidato il titolo
mentre è via.” Arya credette di poter udire il suo cuore frantumarsi.
La
donna la fissò incuriosita.
“Ti
senti bene?” le chiese preoccupata la ragazza “Sei impallidita…” Arya
si sforzò di sorridere. “Sì sto bene” disse in tono convincente,
“grazie mille per le spiegazioni: per me è tutto così nuovo.” La donna
sorrise e si allontanò nella folla. Arya aveva la testa vuota.
“E
quindi niente fratello, eh?” le chiese la voce inconfondibile di Sandor
Clegane alla sua destra. Arya non aveva voglia di scherzare. “Piantala”
gli disse incamminandosi verso la locanda dove alloggiavano. Il Mastino
le venne dietro.
“Dai
non prendertela” la incoraggiò, “hai sempre tua sorella.”
Meraviglioso. Come
si permetteva Jon ad andarsene proprio ora? Forse inviare un corvo
sarebbe stato davvero meglio.
In
quel momento la strada fu attraversata da urla e un cavallo sfrecciò
loro davanti, come incurante del ghiaccio che imprigionava le strade.
Arya dovette arretrare e sentì il Mastino bestemmiare. L'uomo a cavallo
portava il vessillo della Valle e dietro procedeva assai più adagio un
altro purosangue con in groppa un cavaliere dai capelli scuri e la
carnagione olivastra. Arya era certa di averlo già visto da qualche
parte, ma non sapeva bene dove.
“Petyr
Baelish” sibilò con odio Sandor e Arya d’un trattò ricordò. Si trattava
del tipo che aveva raccontato a lei e Sansa la storia della cicatrice
del Mastino e che non l’aveva riconosciuta ad Harrenhal. Dopo la morte
di Lysa era probabile che governasse lui la Valle, facendo le veci del
piccolo Robin Arryn. Che fosse lui l’alleato che aveva garantito la
vittoria del Nord? Tuttavia Sandor sembrava pronto ad uccidere l’uomo
seduta stante.
“Le
donne dicono che Sansa è riuscita ad ottenere l’appoggio della Valle”
spiegò Arya, “quindi Baelish non è un nemico.”
“Stronzate”
disse il Mastino sputando a terra, “di Baelish non ci si può fidare e
se tua sorella è così idiota da farlo è meglio se le ricordi cosa è
successo a vostro padre…”
Arya
si rabbuiò. “Cosa c’entra mio padre?”
Sandor
si voltò a fissarla negli occhi. “Davvero non lo sai?” le chiese
piuttosto stupito “E’ stato quel figlio di puttana a tradire Ned Stark.
Io c’ero: l’ho visto. Tuo padre si aspettava il suo supporto e si è
ritrovato un coltello puntato alla gola. E lo sai che cosa gli ha detto
quello stronzo? Ti avevo detto di non fidarti di me.
Non mi sorprenderebbe la possibilità che stia architettando qualcosa
per rovesciare anche tuo fratello. A te e a tua sorella conviene tenere
gli occhi aperti.”
Detto
questo, Sandor si allontanò, lasciando Arya sola con la sua rabbia. Cersei Lannister, Gregor Clegane,
pensò stringendo i denti, Petyr Baelish. Estrasse Ago ed
iniziò a mulinarla fingendo di combattere un nemico invisibile.
Infilzali
con la punta.
“Nessuno
toccherà la mia famiglia” mormorò Arya con decisione, “e nessuno avrà
più la possibilità di tradirla.” Decise che avrebbe tenuto d’occhio
Baelish e allo stesso tempo avrebbe tentato di avvertire Sansa senza
rivelarsi. L’effetto sorpresa era la sua arma più affidabile.
Evidentemente nemmeno Sansa era a conoscenza di quanto avvenuto tra
Baelish e loro padre, altrimenti mai avrebbe chiesto il suo aiuto in
battaglia.
Ad
Arya non restava altra scelta se non quella di giocare nell’ombra. Non
che poi le servisse una seconda scelta, perché quando la vendetta fa
sentire il suo richiamo, nessuna sfida appare troppo impegnativa. E in
Arya la voglia di vendetta ruggiva più forte che mai.
Bran
Lyanna
stava ridendo. Era così carina nell’abitino blu con ricami d’argento e
Bran credette di rivedere Arya. Erano davvero molto simili, ma Lyanna
possedeva una grazia e una delicatezza che Arya non aveva mai avuto.
Bran si guardò intorno.
La
sala da ballo era piuttosto affollata e la musica permeava dolcemente
l’aria. In pista giovani coppie danzavano e l’atmosfera era serena.
Lyanna era seduta in disparte e ascoltava le battute di un signore con
una folta barba rossiccia.
“Siete
molto spiritoso, lord Whent” stava dicendo con un sorriso, “non avrei
mai creduto che conosceste così tante storie…”
“Oh,
voi mi lusingate, lady Lyanna” si schermì lord Whent, “ma aspettate di
ascoltare il racconto delle ribellioni dei Blackfyre e del mio avo che…”
“Perdonatemi,
lord Whent” si intromise un giovane alto ed attraente con lunghi
capelli neri, “posso rubarvi lady Lyanna per un po’?”
“Ma
certo, Robert!” esclamò il lord ridendo “Chi sono io per mettermi fra
due innamorati?”
Lyanna
si alzò e Robert le baciò galantemente la mano. “Siete splendida, mia
signora” le disse in un sussurro, “volete darmi l’onore di questo
ballo?”
Lyanna
annuì.
Bran
non poteva ancora credere ai propri occhi. Quello era Robert Baratheon,
lo stesso re grasso e volgare che era venuto a Grande Inverno. “Un
tempo Robert era uno dei giovani più affascinanti dei Sette Regni”
raccontava sempre suo padre e ora Bran doveva ammettere che avesse
ragione.
Si
avvicinò alla coppia nel tentativo di ascoltare i loro discorsi. Lyanna
e Robert si tenevano per mano e ballavano dondolando dolcemente.
“Danzi
benissimo, Lyanna” sussurrò Robert, “quando ci sposeremo potremo
finalmente riaprire il padiglione da ballo di mia madre…”
Bran
vide un’ombra calare sul volto di Lyanna.
Robert
le sorrise radioso.
“Oh,
non ce n’è bisogno” lo interruppe Lyanna, “il mio Ghiaccio è il cavallo
migliore del mondo.”
“Come
vuoi” disse Robert leggermente deluso. Continuarono a danzare per
qualche minuto, poi la musica terminò e Robert si allontanò. Rimasta
sola, Lyanna si diresse verso il balcone e Bran la seguì.
Nonostante
le tante decorazioni e le numerose candele aromatiche il castello di
Harrenhal rimaneva una fortezza inquietante e grottesca. Lyanna si
sporse ad osservare il paesaggio.
“Non
pensavo di poterti trovare qui…”
Sia
Lyanna che Bran si voltarono e videro Rhaegar avanzare tranquillamente.
Indossava un meraviglioso mantello rosso scarlatto con ricamato il
drago dei Targaryen.
“Fa
piuttosto freddo” osservò il principe, “meglio se rientri…” Lyanna
scoppiò a ridere. “Io sono cresciuta nel Nord” gli ricordò, “conosco il
vero freddo.”
Rhaegar
le si avvicinò.
“Lo
detesto” ammise irritata, “ma non so perché tutti credono che debba
piacermi per forza.” Assunse una posa fiera e corrucciò la fronte.
“Come ballate bene, lady Lyanna!” disse imitando una voce cavernosa,
“Come siete elegante, lady Lyanna! Come sapete cucire bene, lady
Lyanna!”
Sospirò,
incurvando la schiena.
Rhaegar
le prese la mano. “A volte bisogna fingere di essere quello che non si
è” le spiegò, “per sopravvivere.” Lyanna alzò gli occhi al cielo,
allontanandosi.
“Esattamente”
annuì con tristezza Rhaegar e Lyanna si voltò stupita.
“Ma
tu sei un principe…”
Rhaegar
abbassò lo sguardo. “Già” disse malinconico, “ed ho tante
responsabilità. Non ho potuto dedicarmi agli studi come avrei voluto e
ho dovuto imparare a combattere.”
“E
non ti piace?” chiese Lyanna sbalordita “Io darei qualsiasi cosa se mio
padre mi desse il permesso di addestrarmi.”
“Non
tutti sono come te” le disse sorridendo il principe, “io odio anche
solo l’idea di dover uccidere una persona.”
“E
se quella persona minacciasse la tua famiglia?” chiese Lyanna curiosa
“Le persone che ami…”
Rhaegar
sospirò.
Era
una giornata di luce e Bran si ritrovò in un prato incolto all’ombra di
grandi alberi. Lyanna e Rhaegar erano seduti in riva ad un laghetto.
Dovevano essere passati diversi giorni dal loro primo incontro, perché
entrambi apparivano più disinvolti e sinceri. Lyanna afferrò Rhaegar
per le spalle.
“Guarda
quel pesce!” urlò euforica “E’ di tutti i colori… Eccone un altro!”
Rhaegar
rideva e tentava di mantenere l’equilibrio per non cadere in acqua.
Lyanna
fece un sorrisetto perfido.
Rhaegar
lanciò un’esclamazione sorpresa.
Questa
volta fu Lyanna ad urlare. “Brutto maleducato!” lo insultò fingendosi
furiosa “E’ così che si trattano le signore?” Continuarono a giocare
nell’acqua come bambini e Bran si ritrovò a ridere con loro. Poi la
scena cambiò di nuovo.
Stavolta
era in corso un temporale. Bran sobbalzò quando un tuono lacerò il
cielo e sentì qualcun’altro emettere un gridolino.
“E’
solo un tuono, Lyanna” stava dicendo Rhaegar accarezzandole i capelli.
I due avevano trovato rifugio in una minuscola caverna.
Lyanna
era scossa dal tremito.
“Dirò
che ti ho trovata nel bosco durante il temporale” la rassicurò Rhaegar,
“e che ti ho aiutata a tornare indietro.” Lyanna scosse la testa.
“Robert non ti crederà” lo avvertì, “hai visto come reagisce ogni volta
che mi guardi dopo la fine del torneo…”
“Essere
principe ha i suoi vantaggi” disse Rhaegar sedendosi, “e poi Robert è
pur sempre mio cugino…”
Lyanna
non sembrava molto convinta, ma si sedette accanto al principe.
Lyanna
strinse le labbra.
“Fidati,
è possibile” mormorò Rhaegar. “Non sai la leggenda? Ogni volta che
nasce un Targaryen gli déi lanciano una monetina per decidere se
diventerà un grande o un folle.”
“Quindi
i tuoi figli potrebbero essere matti?” chiese Lyanna timidamente.
“Rhaenys ed Aegon sono due bambini deliziosi” le disse Rhaegar con gli
occhi lucidi, “ma spero abbiano ripreso più da loro padre che da loro
nonno.”
“Semmai
avessi un altro figlio” gli chiese Lyanna avvicinandosi, “e fosse
femmina, la chiameresti Visenya?”
“Non
avrò altri figli” le confidò con rammarico Rhaegar, “un altro parto
sarebbe fatale per Elia.”
“Ma
l’avresti chiamata Visenya?”
“Sì,
Lyanna” le rispose finalmente il principe, “l’avrei chiamata Visenya.”
“E
se fosse stato un maschio?”
“Non
potrei mai avere un altro figlio maschio” disse seccamente Rhaegar e
Bran si chiese cosa mai lo spingesse ad una tale affermazione.
Probabilmente anche Lyanna si stava chiedendo la stessa cosa, ma
preferì non indagare.
Un
altro tuono scosse la terra e Lyanna si strinse al fianco di Rhaegar
che l’abbracciò. Piano, senza che nemmeno se ne accorgessero, le loro
bocche si incontrarono e Bran dovette voltarsi arrossendo. Tutto ciò
che aveva visto confermava la sua teoria. Lyanna e Rhaegar si amavano, pensò
Bran con le gocce di pioggia che gli scivolavano fra i capelli. Ma quale fu il prezzo di tale amore?
La
scena mutò di nuovo e Bran si ritrovò in quello che non trovò
difficoltà a riconoscere come un Parco degli Déi. Era diverso da quello
curato di Grande Inverno ed appariva molto più selvaggio. Sotto le
fronde dell’enorme albero-diga erano radunate poche persone.
Avvicinandosi, Bran riuscì a contarne solamente quattro.
Rhaegar
attendeva ai piedi dell’albero, il mantello che ondeggiava nella
brezza. All’improvviso Bran comprese cosa stava succedendo e fu colto
da una vertigine.
Si
stanno sposando.
Lyanna
avanzava splendida in un vestito semplicissimo e Bran comprese che non
poteva rischiare di indossarne uno migliore: era una matrimonio segreto. Ma Rhaegar era già sposato, pensò
Bran, per poi ricordarsi che la poligamia era sempre stata comune fra i
Targaryen.
Lyanna
dava il braccio a quello che Bran riconobbe essere ser Arthur Dayne,
mentre Rhaegar era in piedi affianco a Oswell Whent, l’uomo con il
sigillo del pipistrello già visto alla Torre della Gioia.
“Chi
viene qui stasera al cospetto degli Antichi Déi?” chiese Oswell con
voce profonda.
Arthur
Dayne si fece avanti.
“Chi
la chiede in sposa?”
“Rhaegar
Targaryen” rispose il principe avanzando, “principe di Roccia del Drago
ed erede al Trono di Spade. Chi la dà in sposa?”
“Ser
Arthur Dayne, membro della Guardia Reale.”
“Lady
Lyanna” proseguì ser Whent, “accetti quest’uomo come marito?”
Lyanna
non esitò neanche un istante.
Il
cavaliere sorrise.
Lyanna
saltò al collo di Rhaegar e lo baciò con trasporto.
“Rhaegar”
li interruppe imbarazzato Arthur Dayne, “dovreste firmare entrambi il
documento…”
“Subito”
disse Rhaegar avvicinandosi e tenendo per mano la sua nuova sposa.
Anche Bran li seguì, sperando di poter leggere cosa c’era scritto sul
foglio che Rhaegar aveva preso in mano. Con grandi difficoltà riuscì a
decifrarlo.
Da
oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e
Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico
cuore. Che gli Antichi Déi concedano loro molti figli e benedicano
questa unione.
Poco
sotto la data, era scarabocchiata la firma del testimone, Arthur Dayne,
alla quale presto si aggiunsero quelle di Rhaegar e Lyanna.
“Mi
raccomando, Arthur” disse Rhaegar all’amico, “conserva questo documento
con attenzione. Se dovessero esserci problemi sai dove metterlo al
sicuro.”
Arthur
annuì.
Rhaegar
strinse le labbra.
“Allora
noi verremo con voi” disse Arthur e, vedendo che Rhaegar apriva la
bocca per parlare aggiunse: “No! Non provare ad obbiettare. Siamo le
guardie reali e dobbiamo proteggere il futuro re e la futura regina.
Andremo io, Oswell e credo anche Gerald vorrà venire...”
Rhaegar
sembrava incerto.
“Non
voglio sentire ragioni” disse Arthur dandogli una pacca sulle spalle,
“non puoi lasciarci indietro.”
Rhaegar
rimase qualche secondo in silenzio, poi annuì.
La
scena perse consistenza lentamente e Bran tornò in sé, aprendo gli
occhi nella neve gelida. Si trovò davanti Meera con le braccia
incrociate.
“Bran”
lo sgridò, “non devi più farlo. E’ pericoloso!”
“Non
capisci” disse Bran scuotendo la testa, “ho capito tantissime cose e…”
“Sì,
molto bene” tagliò corto Meera, “torniamo nella caverna: è tardi e devo
ancora raccogliere la legna.”
“No!”
disse Bran quasi gridando e Meera si fermò impietrita. “Devi
ascoltarmi” la supplicò Bran, “devo andare alla Barriera.”
Meera
lo fissò esterrefatta.
“Ho
visto Lyanna e Rhaegar sposarsi” spiegò e Meera si coprì la bocca con
le mani, “e ciò quindi significa che mio fr- cugino Jon non è un
bastardo.” Bran prese un bel respiro quasi come a doversi ancora
convincere di quello che stava per dire.
“E’
il legittimo erede al Trono di Spade” sussurrò. “Capisci ora? Devo
trovare Jon e parlargli, devo andare al Castello Nero.”
Meera
si morse il labbro.
“Non
più di restare qui.”
Meera
annuì, seppur con reticenza. “Va bene” si arrese, “raccolgo la roba e
andiamo.”
Ci
vollero appena cinque minuti per raccattare i loro pochi averi e si
misero subito in viaggio. Oltre gli alberi-diga la Barriera si
stagliava maestosa contro il cielo plumbeo. Bran deglutì a fatica.
Meera lo aiutò a raggiungere il grande portale e lo adagiò nella neve.
Dalla cima della Barriera risuonò uno squillo di corno. Presto il
cancello si spalancò e ne uscirono due Guardiani della Notte dall’aria
sospettosa.
“E
voi chi siete?” chiese il più basso dei due “Pensavamo si trattasse di
ranger di ritorno.”
“Portateci
al Castello Nero” disse Bran, “dobbiamo vedere Jon Snow.” I due si
fissarono per qualche attimo.
“Chi
sei ragazzino?” chiese il Guardiano che ancora non aveva parlato “E
come fai a conoscere Jon Snow?”
Bran
decise di essere sincero, per quanto poteva.
Il
Guardiano basso sospirò.
Tyrion
Per
una volta dopo tanto tempo il sole era tornato a splendere: nessuna
nube all’orizzonte, nessun vento fastidioso. Sembrava una normale
giornata di fine estate.
Tyrion
inspirò profondamente, cercando di godersi quella meravigliosa
sensazione finché poteva. Aiutandosi con una sedia raggiunse la
scrivania ed afferrò la spilla del Primo Cavaliere. Ogni volta che se
l’appuntava al petto riviveva l’emozione di quando Daenerys gliel’aveva
concessa. Era stato un gesto così inaspettato, soprattutto pensando che
fino a due mesi prima la regina avrebbe volentieri infilzato la testa
del Folletto su una picca. Tyrion tentava di non pensarci. La mia bellissima testa, si
disse massaggiandosi il collo.
Quella
mattina Daenerys aveva imposto a tutti quelli rimasti sull’isola di
svegliarsi al sorgere del sole e Tyrion aveva obbedito piuttosto
controvoglia. Daenerys gli aveva ripetuto fino alla nausea che, non
sapendo l’orario esatto dell’arrivo di Jon Snow e del suo seguito,
dovevano essere pronti a tutto. Per Tyrion quel ragionamento non aveva
molto senso, dato che teoricamente il Re del Nord avrebbe potuto
attraccare anche di notte per dare fuoco alla Roccia del Drago
indisturbato, ma aveva evitato di obbiettare.
Daenerys
in quei giorni era stata intrattabile e Tyrion temeva per questa nuova
missione diplomatica. Perché per la regina la massima diplomazia
consisteva nel far giustiziare i propri nemici dagli Immacolati invece
di vederli arrostiti dai suoi draghi. Tutta la faccenda era
problematica.
Tyrion
aveva paura che Jon potesse in qualche modo far salire la rabbia della
regina. Se dovesse
finire ucciso, pensava mentre si vestiva, avremo l’intero Nord contro e niente
Piogge di Castamere da cantare.Non che Tyrion volesse in
qualsiasi modo replicare l’orrore delle Nozze Rosse, anzi, ma non
riusciva davvero a trovare un altro mezzo che potesse arrestare la
furia vendicativa del Nord. Furia del tutto giustificata, doveva
ammettere, considerando
quanti Stark sono morti in questi anni.
Il
Nord non avrebbe tollerato un’altra vittima e Daenerys non poteva
permettersi di sbagliare. Tyrion la voleva aiutare, ma si era reso
conto che da qualche tempo la regina non prendeva più molto sul serio i
suoi consigli. Inviare
l’esercito nell’Altopiano è stata una follia, pensò
il nano infilandosi la camicia. Adesso se Euron ci attaccasse non potremmo
difenderci.
Ormai
era chiaro che Daenerys puntasse tutto sul potere distruttivo dei suoi
draghi, ma Tyrion sapeva che non era sufficiente. Poteva ottenere
ottimi risultati riducendo in cenere le flotte, ma a terra lo scontro
diventava complicato. E poi, come raccontavano le storie della
conquista di Aegon Targaryen, in caso di nebbia o fumo i draghi non
sarebbero riusciti a volare. Era da matti anche sperare che Jon Snow
avrebbe portato più di cento uomini in viaggio, uomini che tra l’altro
non era sicuro sarebbero stati messi al servizio di Daenerys. In pratica siamo nella merda, concluse
Tyrion allacciandosi le scarpe. Finalmente era pronto.
Con
la regina e gli altri aveva appuntamento nella sala del trono e, con la
sua solita andatura ciondolante, vi si recò perdendosi un paio di volte
durante il percorso. Fece il suo ingresso che gli altri erano già tutti
dentro e se ne vergognò.
“Ehm”
tentò di scusarsi, “non trovavo le mutande…”
“Già”
ribatté ironica Obara Sand, “e io non trovavo la mia lancia. Ah no,
aspetta: me l’hai portata via!” Tyrion incassò senza commentare. Quella
psicopatica ce l’aveva ancora con lui: era meglio ricordarsi di
sbarrare la porta per la notte.
“Allora”
esordì il Folletto battendo le mani, “ci sono novità?”
Varys
si fece avanti.
“E
questo cosa significa?” chiese Daenerys vagamente allarmata. “Non
significa nulla per ora, vostra grazia” proseguì con calma Varys,
“possiamo solo aspettare.”
“Credete
che quella” si intromise Missandei, “fosse la sua nave?” Tyrion non
voleva neanche pensarci. Se è successo qualcosa a Jon Snow mentre
era in viaggio verso di noi, pensò inspirando
profondamente, tanto
vale scavarci già la fossa.
Daenerys
evidentemente non afferrava la gravità dell’ipotesi. “Non è detto che
fosse una nave” disse con noncuranza, “i miei draghi spesso colpiscono
uccelli mentre volano sul mare, è possibile che le vedette abbiano
visto solo una fiammata.” Tyrion si trattenne dal sottolineare che c’è
differenza fra una nave che brucia e un piccione carbonizzato.
“Non
dobbiamo saltare a conclusioni affrettate” disse camminando in cerchio,
“atteniamoci al piano…” Poi si accorse di un piccolo dettaglio. "A
proposito” disse muovendo l’indice, “qual è il piano?”
A
quel punto Verme Grigio fece un passo avanti con l’aria di chi adesso
metteva le cose a posto senza scomporsi e soprattutto senza sorridere
manco sotto minaccia di tortura. “Noi Immacolati proteggeremo il
castello” disse con il suo solito tono grave, “per evitare attacchi o
imboscate. I Dothraki, i dorniani e Obara pattuglieranno la spiaggia.
La regina, Missandei e Varys attenderanno nella sala del trono, mentre
tu andrai incontro a Jon Snow.”
Tyrion
spalancò la bocca esterrefatto. “E perché io?” chiese ripensando al
disastroso incontro con Oberyn Martell. “Tu lo conosci” gli spiegò
Daenerys, “puoi accoglierlo e dirgli che abbiamo intenzioni pacifiche.”
Già, pensò
amareggiato Tyrion, come
quella di bruciare il Nord se non dovesse accettare un’alleanza, o
quella di uccidere i suoi uomini per lo stesso motivo. Tuttavia
annuì.
In
quel momento fece irruzione un guerriero dothraki dall’aria piuttosto
agitata. Scambiò qualche battuta con Daenerys nella sua lingua
incomprensibile in seguito alle quali la regina si alzò in piedi di
scatto.
“Che
è successo?” chiese Tyrion preoccupato.
“Dice
che Brienne è riuscita a fuggire” disse Daenerys visibilmente alterata,
“come è potuto succedere?”
“E
ser Davos?” chiese Varys chinando leggermente il capo.
“No,
lui è rimasto” rispose Daenerys dirigendosi verso la porta. “Verme
Grigio, vieni dobbiamo andare a interrogarlo. Voi altri attenetevi al
piano. Quando la nave attracca suonate il corno della spiaggia.” Dopo
che la regina e il capo degli Immacolati furono usciti, Tyrion iniziò a
guardarsi le punte dei piedi per sfuggire a quella situazione
imbarazzante.
“Non
così in fretta, nano” lo bloccò Obara, “prima ridammi la mia lancia.”
Tyrion
si dovette trattenere dall’alzare gli occhi al cielo.
“Ma
alle mie sorelle le avete ridato le armi” osservò con odio Obara.
“Ovvio”
rispose Tyrion aprendo la porta, “loro sono andate in guerra. Adesso se
mi vuoi scusare…”
Con
un piccolo cenno di saluto indirizzato a Varys, scomparve per le scale.
Osò tirare un sospiro di sollievo solo quando la sabbia della spiaggia
gli si cominciò ad appicciare alle scarpe. Senza fretta si incamminò
verso il porto, sperando che in qualche modo Jon capisse dove avrebbe
dovuto attraccare. Giunto ad un molo libero si sedette sugli ormeggi e
tirò un sospiro. Non restava altro che attendere.
Stranamente
si ritrovò a pensare alla sua famiglia, evento che non capitava da
molti mesi. Pensò al piccolo Tommen, così dolce ed innocente, ed
immaginò cosa avesse potuto provare mentre si gettava da una finestra
di Approdo del Re. Pensò alla delicatezza di Myrcella, con i suoi
meravigliosi boccoli dorati, e al mistero della sua morte. Gli avevano
detto solamente che era stata uccisa, ma Tyrion non aveva mai avuto il
coraggio di chiedere da chi. Aveva paura che la risposta l’avrebbe
sconvolto. Poi pensò a Cersei e alla sua determinazione; così malvagia
e così ammirevole allo stesso tempo. Lei alla fine regina lo era
diventata per davvero, seppure si sperasse che il suo regno avrebbe
visto presto il tramonto. Pensò anche a Jaime ed all’abbraccio in
quella cella maleodorante. Sentiva la sua mancanza, almeno un pochino.
E
poi pensò a suo padre e allo sguardo che gli aveva lanciato prima che
Tyrion scoccasse il secondo dardo. Non sei affatto
mio figlio aveva detto, ma ormai quelle parole
non potevano più ferire Tyrion. Nonostante Tywin Lannister gli avesse
reso l’esistenza un inferno, il figlio nano e non voluto lo ammirava
ancora. Non certo per le sue doti da genitore, bensì per la forza che
sembrava emanare la sua persona. E in questo Tyrion non avrebbe mai
potuto eguagliarlo.
Le
sue riflessioni furono interrotte dalla comparsa nel suo campo visivo
di quella che poteva essere una nave. Aguzzando lo sguardo, Tyrion ne
ebbe la conferma. Correndo alla massima velocità consentita dalle sue
gambe storte, raggiunse un Dothraki di ronda poco lontano.
“Ehm”
disse affannato, “devi suonare il corno.” Poi si rese conto che il suo
interlocutore non aveva la minima idea di quello che gli stava dicendo.
Così Tyrion cercò di aiutarsi con i gesti e finalmente l’uomo borbottò
qualcosa nella sua lingua e si allontanò correndo. Poco dopo sull’isola
si propagò il suono vibrante del corno. Almeno Daenerys avrebbe avuto
il tempo di prepararsi.
La
nave era sempre più vicina e Tyrion sentiva crescere il nervosismo. Si
sentiva maledettamente fuori luogo, ma allo stesso tempo sapeva che
entrambi i sovrani che si apprestavano a decidere le sorti dei Sette
Regni avevano bisogno del suo aiuto.
Via
via che l’imbarcazione si avvicinava, Tyrion capì che qualcosa non
andava. Le vele in molti punti erano a brandelli ed il legno era
attraversato da colpi d’ascia e spada. Sembra sia stata attaccata, pensò
Tyrion rabbrividendo. Nessuno sarebbe così pazzo da affrontare
un viaggio del genere con una barca ridotta così male.
Finalmente la nave attraccò e Tyrion venne avanti cercando di
mascherare l’agitazione.
Il
primo a scendere fu un ragazzino dai capelli neri che si guardava
intorno guardingo. Tyrion ebbe la sensazione di averlo già visto. Poi
scese Jon Snow.
La
prima impressione di Tyrion fu di completo stupore. Se si era
immaginato una copia cresciuta del ragazzino che aveva lasciato alla
Barriera, si era completamente sbagliato. Nell’uomo che aveva davanti
non era rimasto nulla del giovane ingenuo e appassionato di un tempo.
Il suo volto era segnato dalle cicatrici e il suo corpo era diventato
più solido e possente. Ma la cosa che colpì maggiormente Tyrion furono
i suoi occhi. In essi era visibile una sofferenza che andava oltre la
capacità d’immaginazione degli esseri umani, ma anche il fuoco
determinato di chi ha visto il dolore e non vuole che altri lo
sperimentino.
Rimasero
per qualche secondo fermi a fissarsi. Poi Tyrion ebbe il coraggio di
avanzare e porgere la mano. Jon esitò solo un momento prima di
stringerla.
“Già”
assentì Tyrion lisciandosi inutilmente la barba ispida, “vedo che ne
hai fatta di strada, da semplice recluta dei Guardiani della Notte a Re
del Nord.”
Jon
non si scompose.
E’
bastato uccidere mio padre.
“Hai
proprio ragione” disse ridendo, “ma ora dimmi: cos’è successo alla
nave? E questo ragazzo è la tua unica scorta?” Jon si rabbuiò e Tyrion
temette di aver chiesto la cosa sbagliata.
“Siamo
stati attaccati” rispose Jon senza tentare di mascherare l’amarezza, “e
la nave è quasi bruciata. E’ un miracolo che sia arrivata fin qui. Ero
partito da Grande Inverno con venti uomini” fece una pausa abbassando
lo sguardo, “e Gendry è l’unico sopravvissuto…” Tyrion osservò di nuovo
il ragazzino: non appariva eccessivamente provato dall’esperienza.
“Lui
è Gendry Waters” lo presentò Jon, “ha lavorato come apprendista fabbro
ad Approdo del Re, è probabile che tu l’abbia incontrato almeno una
volta.”
“Piacere
di conoscerti, Gendry” lo salutò Tyrion per poi tornare a rivolgersi a
Jon. “Sai chi vi ha attaccato?”
Jon
annuì. “Gli Uomini di Ferro” rispose, “dovevano averci spiato per
giorni: sapevano esattamente quanti eravamo e non hanno attaccato con
un numero eccessivo di uomini: solo quelli necessari per abbattere una
ventina di soldati. Dicevano di agire per ordine di Euron Greyjoy.”
Tyrion
strinse i denti. “Sì, è il nuovo re delle Isole di Ferro… Si è alleato
con Cersei e da quel che sappiamo sta compiendo scorrerie lungo le
coste del Nord. Ma tu come hai fatto a sopravvivere?”
Jon
sospirò passandosi una mano tra i capelli. “Quei soldati avevano
l’ordine di uccidere tutti sulla nave” disse a bassa voce, “eccetto me.
Avrebbero dovuto portarmi dal loro re, non so bene neanche perché. E ce
l’avrebbero fatta se non fosse stato per quel drago…”
Tyrion
credette di sentire il suo cuore fermarsi per un secondo.
“E’
comparso dal nulla” raccontò Jon con trasporto, “e mi ha permesso di
fuggire sulla mia nave dove fortunatamente ho trovato Gendry ancora
vivo.”
“Sei
sicuro che si trattasse di un drago?” chiese Tyrion scettico “E non
magari di qualche uccello di grandi dimensioni?”
Jon
sollevò un sopracciglio. “Credimi, Tyrion, solo i draghi sputano fuoco.”
Tyrion
era, se possibile, ancora più frastornato. “Ha sputato fuoco?” chiese
con un filo di voce. Com’era potuto succedere? I draghi di Daenerys non
avevano mai attaccato le navi senza l’ordine specifico della loro
madre, perché mai uno di loro avrebbe dovuto aiutare Jon?
“Sì”
annuì Jon, “io gli ho detto di sputare fuoco e lui l’ha fatto. L’intera
nave è bruciata.”
Quella
situazione era assurda.
“Tu
parli alto valyriano?” chiese Tyrion ricordando la parola valyriana che
Daenerys utilizzava per ordinare ai draghi di far fuoco.
“No,
cosa c’entra questo?”
Tyrion
scosse la testa. “Lascia perdere” disse incredulo, “ma dimmi almeno di
che colore era il drago…”
“Verde”
rispose subito Jon, “verde smeraldo.”
“Rhaegal…”
“Rhaegal?”
“Il
nome del drago che hai visto” rispose Tyrion, “come avrai certamente
intuito si tratta di uno dei draghi della regina.” Tyrion si passò una
mano sul volto respirando profondamente: e ora chi lo spiegava a
Daenerys che la lealtà di uno dei suoi draghi era piuttosto flessibile?
Cercando
di salvare le apparenze, Tyrion sorrise.
E
così si incamminarono lungo un sentiero che appariva ad entrambi senza
ritorno.
Premetto dicendo che non sono assolutamente un'esperta di tecniche di guerra o di combattimento al di fuori di ciò che i libri e la serie mostrano, quindi vi prego di essere clementi perchè qui, proprio come nelle future battaglie, ce l'ho messa davvero tutta per rendere la situazione originale e mai uguale. Probabilmente non è precisa da un punto di vista tecnico, però spero chiuderete un occhio XD
Prima che me lo chiedate vi dico subito che Gendry spiegherà più avanti il motivo per cui si trovava a Porto Bianco e non ad Approdo del Re come aveva suggerito Davos, quindi non preoccupatevi. Inoltre alcuni di voi potrebbero chiedersi come mai abbia rivelato la sua identità solo alla fine e questo è perchè non sapeva che effettivamente il Re del Nord era Jon, ha sentito per la prima volta il suo nome durante il combattimento quando è entrato in scena Heryet e ha ricordato le storie che sono sicura Arya gli ha raccontato.
Un'altra precisazione che mi sento in dovere di fare (altrimente Azaliv mi strangola XD) riguarda la visione di Rhaegar e Lyanna. Le prime scene hanno luogo subito dopo il grande torneo, mentre il matrimonio ha luogo l'anno successivo, quando i due si rivedono in circostanze ancora da chiarire ad Harrenhal. Io ho seguito la teoria secondo cui si erano sposati sull'Isola dei Volti, anche se la settima stagione ha poi smentito mostrandoci un matrimonio a Dorne e davanti ai Sette Déi. Ho comunque preferito non cambiarlo perchè ritengo che sull'Isola dei Volti sia molto più poetico :-)
Ah e sì, Jon ha comandato Rhaegal senza parlare in valyriano XD XD
Spero il capitolo vi sia piaciuto e fatemi sapere che ne pensate! Che ne dite del piano di Arya? Lo approvate o pensate stia sbagliando tutto? E soprattutto cosa accadrà ora?
Prossimo capitolo ci sarà finalmente l'incontro atteso da tutte le Jonerys ;-)
Come al solito ringrazio tutti quelli che hanno lasciato una recensione e posso dirvi che ancora, dopo più due mesi, ancora l'effetto è lo stesso di quando le leggevo per la prima volta. In ordine ringrazio: giona, NightLion, __Starlight__, Spettro94 ( ti prometto che torno subito a Occhi di stelle O.O, ho avuto molto da fare ma mi farò perdonare) e leila91, che ringrazio ancora tantissimo per la splendida sorpresa...
Tuttavia questo capitolo lo dedico ad Azaliv87, sperando non mi sia morta alla comparsa di Rhaegal o dopo alle scene di Rhaegar e Lyanna XD XD XD
Fatemi sapere e alla prossima!
PS: anche stavolta la citazione viene da un film Diseny (Pixar), ossia Ribelle-The Brave... Interpretazione liberissima :-)