Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: summers001    15/05/2018    2 recensioni
Post-MJ, pre-epilogo | POV Peeta | "Io e Peeta ricominciamo a crescere insieme."
Dal secondo capitolo:
"Aspetta!" la chiamo e sento la mia voce venire fuori con una certa urgenza. "Vuoi restare? Puoi aiutarci a ricostruire la recinsione, tagliare via le erbacce o..." continuo elencando una serie di mansioni che potrebbe coprire senza stancarsi troppo dopo una mattinata di caccia.
Devo essere pazzo, mi ripeto per la milionesima volta in questi ultimi mesi. Hai continuato a provare a parlarle per anni prima della mietitura, per mesi dopo i primi giochi, per settimane dopo i secondi e dopo la guerra. Perché ti aspetti qualcosa di diverso? Perché dovrebbe voler rimanere qui con me questa volta? Tra i detriti, la polvere e i ricordi che tanto la tormentano per di più.
[...] D'altronde la follia non è ripetere gli stessi gesti aspettandosi ogni volta un risultato diverso?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 

Capitolo 9



 

Da quando io e Katniss abbiamo cominciato a farci vedere sempre assieme, da quando abbiamo iniziato ad usare sempre di più il "noi" piuttosto che "io" o (e forse questa è una ipotesi più plausibile) da quando Sae mi ha visto uscire da casa di lei la mattina presto per poi spifferarlo a tutto il distretto, qualunque persona con cui parlassi si sentiva in dovere di dirmi la sua in tema di relazioni.

Il primo è stato il dottor Aurelius che, in una lunga chiacchierata telefonica in cui lui aveva stranamente parlato più di me, mi aveva detto così tante cose che si potevano riassumere in poche parole: quando cominci una relazione ci sono degli equilibri da stabilire o da creare, per meglio dire; gli equilibri si creano col tempo e avrei dovuto trovare la giusta dimensione per la nostra relazione, senza dimenticarmi di me e dei progressi che stavo facendo.

Poi è arrivata la volta di Sae. Fiuto pericolo da prima di incontrarla. Non faccio in tempo ad annusare l'aria fresca di primo mattino che me la ritrovo sotto al mio naso. Mi ha aspettato davanti alla porta di casa prima che andassi a lavoro, con fare serio e minaccioso. Stringe in mano un sacchetto che mi allunga e mi annuncia essere il mio pranzo. Stendo la mano, ma lei continua a stringere e non molla.

"Lo so, sai." mi dice solo, come se volesse spaventarmi, come se fosse un avvertimento.

"Lo so." rispondo solo.

Ci guardiamo per un lungo istante, io ancora con una mano allungata e lei ancora titubante a mollare il sacchetto. "Quella lì" si decide alla fine e dice indicando il piano di sopra dove dorme ancora Katniss. "è una ragazza d'oro." proferisce solo, ma so dove vuole andare a parare e più che essere spaventato, mi intenerisce il fatto che ci sia qualcuno a prendersi cura di lei. Vorrei rassicurarla, dirle che lo so, che l'amo per questo, che mi conosce, che sarò gentile, premuroso e rispettoso con lei, ma mi interrompe e continua con fare minaccioso. "Porta pazienza. Non spingerla e guai a te se smette di nuovo di mangiare!" mi dice puntandomi un dito addosso un paio di volte.

"Certo." riesco a rispondere, rendendomi conto che Sae è stata addirittura più terrificante della madre di Katniss, che qualche anno fa mi ha passivamente accettato come presenza costante nel salotto di casa sua. Mi massaggio il petto dove sono stato colpito, ma la donna non contenta mi scruta e, non avendo colto sufficiente dolore nella mia espressione, mi regala due pacche sulla schiena che le avrebbero sicuramente fatto vincere la peggiore edizione degli Hunger Games.

"Ho capito, ho capito." mi difendo "Se smette di mangiare è colpa mia." ripeto per sembrare più convincente.

E' solo allora, anche se con sguardo ancora torvo, che mi lascia il pranzo e se ne va, anche se non prima di avermi lanciato un'altra occhiataccia.

 

**

 

I lavori al distretto stanno procedendo velocemente. Diverse villette sono pronte per essere dipinte ed arredate. Mancano i condotti dell'acqua ed i fili dell'elettricità di cui noi capiamo poco, ma il nuovo governo ci ha promesso di inviarci tecnici dal distretto Quattro e dal distretto Tre per insegnarci. Li aspettavamo con l'ultimo treno, lo stesso che ha portato le bottiglie ad Haymitch, ma così non è stato, alimentando sfiducia e disappunto nei confronti delle istituzioni da parte dei miei compagni di lavoro.

Quello stesso treno però ci ha portato tre sorprese: Olivia, Alan e Connor. Alan, un omaccione grande e grosso, nuovo membro della nostra squadra. Era uno dei pezzi grossi della miniera e conosciuto da tutti nelle parti del Giacimento. Era compito suo arruolare i giovani che volevano guadagnare quei pochi spicci per campare le famiglie. Lo faceva con tristezza, compatendo i suoi compaesani e scegliendo sempre i più disperati. Olivia, sua moglie, viene invece dal Tredici. Si sono conosciuti durante il mio periodo di prigionia, sposati dopo meno di un mese ed ora sono qui per aiutarci. Porta gli stessi abiti gigi, i capelli chiari legati stretti dietro alla testa, favorendo ancora quella omologazione che li distingueva, ma è un'infermiera e ci fa comodo da queste parti. Suo fratello invece, Connor, ha solo tredici anni.

Connor ha deciso di lavorare con noi. Se lo trascina Alan ogni mattina e lo lascia sempre da parte a pitturare i muri. Guardandolo con quel pennello in mano, mi ricorda me stesso e mi ricorda Prim, che aveva la sua stessa età. E' la prima volta che mi fermo a pensare al fatto che ho quasi vent'anni, cioè quelli che aveva uno dei miei fratelli prima di morire.

Pulisco via una lacrima, mi costringo a pensare ad altro e mi avvicino al ragazzino con l'intenzione di farlo tornare a casa da sua sorella: un bambino non dovrebbe lavorare. Soprattutto se affamato, penso guardandolo sorreggersi la pancia. Lo raggiungo e gli indico il mio pasto. "Lo vuoi?" gli chiedo allungandogli il sacchetto di Sae.

"E tu?" mi domanda lui abbassando il pennello.

Non si fida di me e lo capisco. D'altra parte ero considerato un antirivoluzionario dove era cresciuto lui, senza dover aggiungere le parole tributo e vincitore alla mia descrizione. Gli lascio il sacchetto davanti ai piedi e prendo invece quello che era il suo pennello. "E' un pasticcio di carne." gli spiego, facendo un po' come faceva Katniss le prime volte che mi offriva il pranzo. "Non è avvelenato." aggiungo in tono gioviale. Poi senza neanche pensarci affondo il pennello nella vernice fino a porcarmi le dita.

La pittura verde sui polpastrelli mi ricorda qualcosa. Li scruto come se dentro potessi trovarci chissà quale grande rivelazione e poi decido di andare a braccio. Apro tutti i secchi di colore, rivelando un blu cielo, un arancione pallido ed un bianco ormai sporco e lì mi viene un'idea.

A metà mattina so di aver finalmente ottenuto la fiducia di Connor e di averlo fatto smettere di sudare per cominciare a disegnare, so di aver abbellito la facciata della triste nuova palazzina vicino alla stazione ed ho ritrovato uno dei tanti altri pezzi che mi mancava di me. Sono un pittore, ha ragione Katniss, lo sono sempre stato.

Dipingere su una tela è diverso dal dipingere su una parete, ma me la cavo. Mi allontano dalla parete colorata per ammirarla da lontano e poi mi avvicino di nuovo per migliorare i dettagli. Ad ora di pranzo Connor è diventato il mio assistente e mi passa i pennelli di diverse dimensioni bagnati nelle tempere. Ogni tanto si mette in piedi su una sedia per raggiungermi in altezza e disegna qualche foglia col verde.

Quando finiamo tutti i ragazzi si avvicinano a cerchio, ammirando la nostra opera d'arte. Micah ed Oliver mi sorridono e lanciano cenni di approvazione. Gli altri invece non sembrano convinti. Alan scrolla le spalle e poi torna a lavorare.

"Wow." commenta invece Thom secco.

Cerco di coinvolgerlo allora nel mio sprazzo di entusiasmo. Gli porto un braccio dietro alle spalle, sporcandolo di colore ed immergendolo in questa sinfonia di verde, blu ed arancione.

"Posso farlo su tutti gli altri edifici." gli propongo "Facciamo il distretto nuovo, colorato. Posso dipingere lì il mare" gli dico indicando una villetta "e lì delle persone" faccio passando a quella dopo "oppure dei paesaggi diversi per quartiere." continuo a proporre estasiato. Riesco già a vedere il nuovo Distretto Dodici davanti ai miei occhi, come se già esistesse: colorato, moderno, allegro, vivo.

"Sì, Peeta," mi interrompe con un tono che smorza il mio entusiasmo "ma dobbiamo finire di costruire. Dobbiamo portare l'acqua, l'elettricità, il gas e le fogne." mi elenca, numerando sulle dita tutto quello che ci manca.

Lo capisco: è una persona pratica e so che pensa partendo dalle basi e procedendo per livelli. Il livello su cui siamo fermi adesso è quello della costruzione. Ha ragione. Abbandono il pennello e torno da loro. "A lavoro!" rispondo solo, avviandomi come se fosse la cosa più bella del mondo.

Per tutto il resto del giorno mi dimentico di quel dipinto. Lavoro e mangio insieme agli altri. A tratti scherziamo tutti insieme, ci raccontiamo qualcosa come quello che abbiamo fatto il giorno prima, Micah ci informa sulla salute di suo padre che è in miglioramento ed Alan propone che Olivia gli dia un'occhiata.

A metà pomeriggio il cielo si è oscurato e preannuncia pioggia. Ha un aspetto singolare e strano: i nuvoloni grigi nascondono i forti e tenui raggi del tramonto, sottraendo alla vista il sole che cala. Luci arancioni e grigie si alternano sul distretto, come se fosse uno spettacolo coreografato e pilotato da Capitol City, come quando nelle arene il tempo cambiava dal giorno alla notte in uno schiocco di dita.

Stringo i pugni e mi riprendo subito. Raccolgo le mie cose insieme a tutti gli altri e poi mi fermo davanti a quel muro. Quello che mi sorprende più di tutto non è l'aver dipinto di nuovo, l'ho fatto anche qualche volta a Capitol ed ho disegnato tutte quelle persone sul nostro libro a casa. No, quello che mi stupisce è il soggetto che ho scelto: è un tramonto. Penso che è una bella coincidenza come i colori che ho scelto e quelli di questo pomeriggio coincidano, ma non è questo che mi ha turbato. Mi sforzo un po' di più e capisco: ho dipinto un ricordo.

Con il secchio di vernice ancora in mano, mi ci metto davanti e mi sforzo cercando di ricordare, perché so che è imporante: cosa mi sta suggerendo la mia testa? Cosa sto cercando di dirmi? Solo quando decido di andarmene mi torna in mente tutto. Mi faccio prendere da una euforia strana e corro a casa come se fosse la cosa più importante del mondo. Quando arrivo quasi sfondo la porta al posto di aprirla.

Al piano di sotto trovo solo Ranuncolo sul divano che ha alzato la testa spaventato, le orecchie girate verso di me e le pupille larghe che mi guardano. A terra arco e frecce sono abbandonati sul pavimento.

"Katniss?" la chiamo allora, sapendo che è in casa, forse tornata da poco, forse si sta lavando.

Per un attimo non mi risponde e di nuovo mi faccio prendere da quell'ansia inutile e immotivata, mia cicatrice dei giochi oltre alla mia gamba. Stringo un pugno e la chiamo di nuovo fino a che non mi chiama anche lei. La sua voce viene dalla sua stanza da letto, la nostra stanza da letto. La porta chiusa mi fa temere che sia di nuovo sotto alle coperte a guardare il vuoto e per un attimo mi dico che Sae mi aveva avvisato e che adesso mi ucciderà.

"Peeta?" mi chiama di nuovo lei non vedendomi arrivare e questo un po' mi smorza la tensione.

"Sei vestita?" le chiedo prima di entrare. Ho imparato dall'incidente di quella mattina. Vorrei comunque entrare e sbirciare, ma mi compare di nuovo la faccia di Sae che mi dice di portare pazienza ed allora stringo solo con impellenza il pomello della porta. E poi non lo farei, almeno così mi voglio convincere.

"Sì." risponde ed è Katniss ad aprire la porta.

Ha i capelli bagnati, i vestiti appiccicati addosso che le circondano le forme dei fianchi e del seno. E' cambiata: ogni giorno prende sempre più peso, le sue guance hanno un aspetto sano e le gambe hanno acquistato la tonicità di un tempo. E' persino più bella di come la ricordavo da prima della guerra. E' più grande, più matura, eppure ancora una ragazza. Ha tagliato le punte dei capelli, lo noto all'istante. Ora le poggiano sulle spalle, dove creano una pozza d'acqua sui vestiti.

"Stai bene?" mi chiede confusa dalle mie numerose incursioni a cui ancora non si è abituata.

Le faccio cenno di sì col capo. Dovrei scusarmi, chiederle di seguirmi, ma non sto nella pelle. Le prendo una mano sperando che mi assecondi e la tiro giù per le scale e fuori dalla porta d'ingresso. "Vieni." le intimo nel frattempo.

Katniss non si divincola, mi asseconda e mi segue a grandi passi, quasi correndo, però protesta. "Dove andiamo?" si lamenta lei, ma corre. Allora accellero il passo, evito calcinacci e pozzanghere per le strade e la porto fino al nostro posto di lavoro, dove ricomincio a camminare e mollo la presa.

"E' una sorpresa." le dico fiducioso.

Katniss si guarda attorno. Erano giorni che non veniva qui ed è stupita da quanto siamo riusciti a fare e costruire. Biascica qualcosa, forse dei complimenti a noi, la nostra squadra, ma nemmeno la ascolto. Potrà congratularsi con Thom quando lo vedrà.

Intanto continuo a correre finché ci siamo. Mi blocco di colpo davanti al muro colorato di quella casa e lo guardo di nuovo. Guardo il muro, poi guardo lei, avanti ed indietro, aspettando che dica qualcosa, qualunque cosa.

Katniss se ne sta in piedi più stupita di me. Sbatte gli occhi e resta a bocca aperta. Per un attimo temo di aver risvegliato qualche vecchio demone, ma quando sente i miei occhi addosso si gira e parla. "Wow. E'..." comincia e quasi trema.

"L'arena, l'ultimo tramonto." concludo io per lei.

Katniss è irrequieta. Cambia posizione sui piedi più di due volte. Si passa una mano sotto i capelli ancora bagnati e guarda di nuovo, sempre con timore, quello che ho dipinto. Forse ho sbagliato, sono stato stupido a portarla qui per farle rivivere una delle esperienze più dolorose e terrificanti che abbiamo vissuto insieme. Non so cosa mi aspettassi, forse una catarsi, come direbbe il dottor Aurelius. Speravo forse che tirar fuori dal nostro subconscio queste esperienze ci avrebbe liberato entrambi di un altro pezzo, come quando scriviamo il libro e ricordiamo di Rue e Faccia di Volpe. Che stupido, come ho potuto pensarlo?

Poi Katniss fa un'altra di quelle cose che mi sorprendono: abbassa lo sguardo e sorride. "Credevo non te lo ricordassi."

Si tratta di questo? E' solo questo? Pensava che me lo fossi dimenticato? Chiudo gli occhi e me lo ricordo, come se fosse un pas-pro: avevo un ciondolo, dentro c'erano delle foto; gliel'avevo dato e le avevo detto che la vita si misura in base al numero di persone che hanno bisogno di te, che in una mano ne stava stringendo due e che quindi lei era più preziosa di me, era matematica; lei mi aveva bisbigliato che aveva bisogno di me e mi aveva baciato. Era un bacio vero, uno di quelli a cui mi ero aggrappato durante la prigionia.

Riapro gli occhi e torno da lei. "Lo credevo anch'io." le dico sorridendo anch'io.

Katniss continua a guardare con gli occhi, mentre con la testa è altrove. Poi si gira verso di me. Mi sorprende ad ammirarla ed abbassa lo sguardo. Mi chiedo cosa le passi per la testa, se davanti a quel ricordo provi paura, vergogna o dolore. "Non so mai che dire davanti ai tuoi quadri." dice alla fine, incrociando le braccia e stringendosi nelle spalle, a volersi scusare del suo silenzio. Guarda di nuovo quel tramonto, poi guarda me e poi di nuovo a terra.

No, non è dolore. No, Katniss piange ed urla con me, mi parla di Prim, di Finnick, dei giochi. No, non è questo. Quanto sono stato stupido? Katniss è imbarazzata di quelle confidenze fatte sotto quella luce arancione. Ora siamo solo io e lei. Ora non recitiamo, non c'è tutta la nazione a guardarci. Ed ora lo so che è vero che lei ha bisogno di me ed io di lei. Mi commuovo e mentre rumori di tuoni vengono dal cielo e le nuvole coprono la luce, il cuore mi batte all'impazzata nel petto, pieno di un calore che mi sale fino alla testa e mi fa sentire leggero.

La abbraccio e le stringo la vita. Mi accuccio un po' e sono sulla sua spalla. "Non è bello come quello vero, ma un po' si avvicina." E' rigida sotto il mio tocco. Dietro al suo collo, tra i capelli, vedo la sua pelle sollevarsi in tanti piccoli bozzetti. Anche il suo respiro è cambiato. E' diventato veloce e meno ampio, come se per un attimo avesse dimenticato come si respira.

"Più di un po'."

"Ti piace?" le chiedo e le sue reazioni mi fanno diventare intraprendente. Le sposto i capelli con una mano e le raggiungo il collo. La accarezzo prima con la punta del naso e poi le lascio una scia di baci da sotto l'attaccatura di capelli fino a dove sento il pulsante battito della sua carotide.

Katniss intreccia le dita alle mie, reclina il capo e mi offre ancora più spazio. Fa un cenno col mento e poi aggiunge un mugugno che interpreto come un "sì". Mi chiedo solo per un momento se si riferisca all'affresco o ai baci.

Stringe le labbra e non si abbandona a questo momento. No, che sto facendo? Con grande dispiacere lascio la sua pelle. La mia mano è ancora persa tra quei capelli color della pece. Appena la lascio andare, quelli le piombano di nuovo ai lati del viso.

Katniss si gira e mi guarda. Mi preparo alla ramanzina, invece il suo viso è rilassato. Mi guarda mentre sorride e mi fa rimbalzare con dita delicate un riccio sulla testa. Sogghigna guardandolo. Poi con le dita scende ai lati della testa. Chiudo gli occhi perché non voglio vedere il mondo, ma sentire solo il suo tocco addosso. Sento il suo respiro sulla pelle e so che si è fatta più vicina.

Quando credo che mi stia per baciare invece mi lascia ad agognare quel bacio. "Sei ancora sporco di vernice." dice invece e mi pulisce con un dito umido una guancia.

Non oso aprire gli occhi. Per me va bene così, basta così. Mi tirano i pantaloni e provo impazienza nello star fermo, ma mi accontento. "Vuoi lavarmi tu?" le chiedo malizioso, ritrovando un po' della spensieratezza della mia età. Appena mi rendo conto di averlo detto davvero ed ad alta voce, apro gli occhi terrorizzato e li allontano vergognandomi come un verme davanti a lei. "Scusa." le chiedo. Mi aspetto che alzi i tacchi e se ne vada, perché so quanto pudica, quanto candida, perfetta ed immacolata lei sia.

Katniss invece sorride. "Non fa niente." bisbiglia divertita ed anche un po' imbarazzata, con le guance rosse e lo sguardo basso. Sorrido allo stesso modo anch'io, estasiato da quell'espressione da bambina.

Con un'unghia intanto lei continua il suo lavoro e mi scrosta la vernice dalle spalle, poi mi accarezza e scende sul mio petto e adesso sono io quello immobile con la pelle d'oca. E' così incredibile che penso di essermele immaginate tutte queste cose. Prendo le sue mani ed intreccio le dita come aveva fatto lei poco fa. La guardo e lei mi guarda. Prendo un respiro profondo perché mi sembra di non respirare.

La conclusione perfetta sarebbe darle un bacio adesso, davanti a questo tramonto dipinto che ci riporta indietro nel tempo, ma non riesco a staccarmi dai suoi occhi e forse anche per Katniss è così, perché mi guarda come persa o rapita, come se stesse ammirando un paesaggio.

"Ti amo." le confesso invece. E' stato spontaneo e va bene. Quasi mi metto a ridere perché è bello poterglielo dire. In un qualche recesso della mia mente, una parte di me vuole suggerirmi che è presto, che sarei dovuto entrare in punta di piedi nel suo cuore, che conosco Katniss e lei ha paura dell'affetto, ma questa è la nuova Katniss e tutto quello che sapevo di lei non conta più.

"Davvero?" mi chiede, mentre i suoi occhi grigi si inumidiscono.

Penso a quanto sia singolare come domanda. Mi domando se stesse aspettando che glielo dicessi, se già lo sapesse o se ne avesse avuto il dubbio. Me la figuro nel letto da sola, in quelle notti ancora solitarie, a domandarsi cosa provo io per lei, mentre io dall'altro lato del vialetto facevo lo stesso. "Certo." le dico alla fine. Allungo una mano, le asciugo una lacrima, poi ne cade subito un'altra ed un'altra ancora, veloce, sempre più veloce.

Alzo gli occhi, guardo in alto e mi riempio di lacrime cadute dal cielo anch'io. Piove e piove a dirotto. Mi rigiro la maglia sopra alla testa, ma ormai è tardi e sono fradicio. Cerco Katniss che, di nuovo coi capelli bagnati, se ne sta riparata sotto i balconi, mi indica e ride come se fossi uno spettacolo comico.

In due passi sono subito da lei, la raggiungo e la tiro, pretendendo che si bagni anche lei, che ci faccia anche lei la figura dell'imbranata sotto alla pioggia. Katniss ride e si oppone, cerca di fare resistenza e tirare me dall'altro lato, ma sono più forte e con uno strattone mi rimbalza addosso e si ritrova tutta bagnata anche lei. Apre la bocca per la sorpresa, dell'acqua fredda o della mia sfacciataggine, che era una prerogativa solo sua fino ad adesso, e quando si riprende si allontana con sguardo combattivo. Affonda lo stivale in una pozzanghera e con un calcio mi schizza acqua addosso.

Cerco di pararmi con le braccia, ma non serve a niente. "Questo non dovevi farlo." la minaccio per gioco.

"Volevi essere lavato?" mi domanda e scoppia a ridere.

Mi guardo intorno, ma non ho armi. Mi guardo le mani fradice e sporche e senza neanche pensarci mi lancio su di lei, la afferro per le gambe e finisco di imbrattarle i vestiti di acqua e fango.

Katniss urla di metterla giù, si agita e ci fa cadere a terra. Finiamo tutti inzuppati nell'erba, per la seconda volta in pochi giorni. Ridiamo fino ad avere le lacrime agli occhi, fino a non capire se siano lacrime davvero o ancora una volta gocce di pioggia. Ridiamo fino a quando dai nostri capelli gocciola acqua sporca. Siamo vivi, siamo qui, io e lei adesso. "Se Snow o la Coin ci vedessero adesso..." comincio a pensare, ma lo allontano subito, perché la nostra grande vittoria sta nel non provare risentimento. Non stiamo rivendicando un passato che non abbiamo vissuto a pieno. Stiamo solo vivendo il presente. Guardiamo avanti, ma tutto ha senso solo se guardiamo indietro.

E' un pensiero complicato, che forse non significa niente, ma mi basta alzare gli occhi, scoprirla a guardarmi e ridere, coi capelli bagnati, in piedi sotto alla pioggia, che lo so. Lei lo sa, lei capisce. E' finita la rabbia, la vendetta, adesso ci siamo solo noi.

"Andiamo?" mi domanda Katniss tenendomi la mano. La prendo, mi rialzo e mi faccio trascinare. Corro e corriamo insieme, come abbiamo fatto prima per venire qui. Ridiamo ancora fino ad arrivare a casa, sfondare di nuovo la porta per entrare e sentire il sollievo del calduccio che si respira qui dentro.

Ranuncolo scappa. Starà pensando che siamo pazzi e sì, certo che lo siamo! Vado ad accendere il fuoco, quando Katniss scappa davanti alla finestra. Pulisce via la condensa dal vetro con una mano e poi ci si appiccica sopra come se potesse raggiungere qualunque cosa sia dall'altro lato. "Si rovinerà?" mi chiede non appena la raggiungo, parlando del dipinto.

Non lo so, forse, non ci avevo mai provato. La guardo, scrollo le spalle e sto per dirle la verità, ma mi distraggo. Katniss incrocia le nostre dita, stringe la mia mano ed aspetta. "No." le rispondo e la bacio.

Non si rovinerà, non noi due.


 




Angolo dell'autrice
​Salve a tutti e ben trovati. 
​Mi scuso come al solito per il mortalmente lungo ritardo: ho ricevuto recentemente una promozione a lavoro che mi impegna quindi più tempo, da qui i ritardi. Mi auguro di riuscirmi ad organizzare meglio per le prossime settimane, così da non lasciarvi troppo nell'attesa. 
​Colgo l'occasione per ringraziarvi tantissimo ed esprimere la mia enorme gratituidine per tutti i commenti, ma anche solo per le letture. Davvero, ragazzi, senza qualcuno che lo segue un autore sarebbe perso! Vi abbraccerei tutti! :)
Vi invito a lasciarmi una recensione se si va. Un salutone ed un bacione grande così xD al prossimo capitolo ;)

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: summers001