Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: _Polx_    17/05/2018    3 recensioni
“Non sei affatto ottusa” diceva lui “hai anzi molto più senno e consapevolezza di gran parte delle dame che io conosco e che non potrebbero competere con la tua mente, se solo aveste modo d'incontrarvi” ma a quelle parole lei si sbeffeggiava. Mai lui si sarebbe abituato al suo riso, che le illuminava il volto come luce eppure taceva come la più buia delle notti.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie 'Piccole anime infelici'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 
Brya pianse di stupore e angoscia quando le chiese di sposarlo e pareva persino volerlo cacciare di casa. Era troppo in angoscia per rispondere lucidamente alle sue domande, che insistentemente le chiedevano perché mai ripudiasse con tanta tenacia la proposta. Pur gesticolando freneticamente, un concetto baluginava in continuazione sulle sue labbra mute: “potrei solo essere tua serva, non tua sposa”.
Data la rapidità con cui agitava le mani, lui faticò a coglierne il significato, ma quando infine lo comprese vi si oppose fermamente: “mai sei stata una serva e mai lo sarai. Inoltre desidero che Dyré cresca come una dama e non come una rinnegata”.
Parlarono per una notte intera e il ragazzo disperò di convincerla, ma infine vi riuscì e in lui fu grande sollievo.
Nelle settimane a venire la discrezione del giovane divenne assai meno risoluta, mentre sua madre si faceva sempre più arcigna e ostile nei confronti suoi e dell'orfana di campagna che disprezzava. Più tale astio diveniva palese, più lui ostentava i propri propositi, tanto che cominciò a condurre Dyré nella tenuta di famiglia, dove divenne presto favorita di damigelle e servitù, sia per la bellezza del suo volto che per la dolcezza del suo carattere.
Un giorno ve la lasciò per tornare in tranquillità alla casa di Brya e, prevedendo di dover impiegare grandi doti persuasive e immensa pazienza, convincerla della necessità che lei stessa visitasse e conoscesse la sua dimora.
Ancora camminava per i quieti sentieri che come rigagnoli estivi percorrevano quelle contrade quando, oltre la coltre di faggi, scorse una colonna di fumo ergersi minacciosa contro il cielo plumbeo.
Subito temette che originasse dalla dimora di Brya e vi si precipitò: non solo trovò la casa in fiamme, ma fu accolto da un gruppo di uomini in armatura di cuoio, sulla spalla sinistra lo stemma dei mercenari di Levante. Brya era tra loro, il volto sanguinante e le vesti lacere. Il primo istinto del giovane fu accorrere da lei e trascinarla con sé, lontano dalle mani di quegli aguzzini, e non osava immaginare cosa le avessero fatto fino a quel momento, ma proprio la distrazione della foga gli impedì di scorgere il mercenario alla sua destra, che gli colpì le gambe a tradimento e lo costrinse in ginocchio. Poiché cercò immediatamente di rialzarsi, bastonarono la sua schiena con tale forza da mozzargli il fiato e gli torsero le braccia così da tenerlo prigioniero: tre occorsero per domarlo. Pure, il loro capo rideva di lui e, presa Brya per i capelli, costretta che l'ebbe a chinarsi al suo fianco, estrasse il pugnale dalla cintura e disse: “tardi giungi per unirti alla festa, ma non temere per la tua donna: ha assolto egregiamente al proprio compito. Con piacere ti mostrerò quanti quest'oggi ne hanno giovato, dopodiché la riconsegnerò a te” e pugnalò il ventre di lei sette volte, quanti erano i mercenari che avevano fatto scempio della loro casa. Tali furono l'orrore e lo sgomento nell'animo del giovane che non cercò di opporsi e neppure di urlare: le sue giunture erano di pietra e il suo cuore stretto in una morsa di spine e fuoco.
Poi lo colpirono duramente alla nuca e il buio lo avvolse.
Quando si risvegliò, non era che a pochi passi da Brya, abbandonata accanto ai ruderi della casa, tra il sangue che impregnava la terra e le insudiciava le vesti.
Lui brancolò carponi e il dolore lancinante alla testa gli causò forti conati, ma infine arrancò in piedi e si precipitò da lei, i cui occhi parevano vuoti come vetro sebbene l'avessero a lungo fissato mentre giaceva al suo fianco.
Scoprì che in lei era ancora vita, ma non sapeva che fare: premette con la destra sulle numerose ferite, ma non vi era modo di contrastare l'emorragia e nessun aiuto sarebbe accorso in tempo. Nonostante il panico e la paura cocente, la sua mente era lucida: “senti ancora dolore?” le chiese, sperando che il torpore l'avesse ormai pervasa.
Brya mosse debolmente due dita e tristemente lui vi colse una risposta affermativa.
Sperò a quel punto che le fiamme non avessero toccato ciò che era sotto terra e corse tra le vertigini alla caditoia che immetteva nello scantinato. Fortunatamente, nulla vi era stato guastato e lì trovò presto un vaso in terracotta colmo d'un olio acre che il padre di Brya soleva impiegare sugli animali prossimi al macello o alla morte naturale, così da assopirne i sensi e dar loro una fine serena. Era vecchio, ma conservato con cura e certamente avrebbe assolto al compito.
Lui vi impregnò un panno e tornò da Brya. Stracciato quel poco che restava delle vesti, premette l'unguento sulle sue ferite. Inizialmente lei si contrasse in uno spasmo e dalla sua bocca sarebbe scaturito un urlo tremendo, se solo le fosse stato possibile, ma presto sopraggiunse la quiete e il battito del suo cuore rallentò.
“Va meglio?” le chiese il ragazzo “va meglio, Brya?”.
Di nuovo mosse due dita e lui le si inginocchiò accanto. Pose il capo della giovane sulle proprie gambe, mentre la sua mano madida di sangue stringeva quella di lei.
“Allora non temere, perché io resterò con te” le disse. Fu breve il tempo in cui poté confortarla e alleviare il suo dolore, perché presto lei si spense.
A quel punto, la mente vuota, le mani tremanti, i panni pregni di ferro e porpora, il giovane tornò alla tenuta di famiglia, poiché lì era Dyré e sentiva dentro sé che nessun altro avrebbe potuto riscuotere il suo spirito e rinfrancare la sua ragione.
Tuttavia, quando raggiunse la dimora signorile, una grande calca gli impedì di oltrepassarne i cancelli se non con immenso sforzo. Insinuatosi tra i molti mormorii e i singulti delle donne che fra loro bisbigliavano e pregavano, scorse infine ciò che con tale scalpore e turbamento aveva attratto a sé tanta attenzione. Fronteggiò l'imponente portale di rovere e per lunghi istanti i suoi occhi non riuscirono a strapparvisi, poiché affissa ad esso era una figura esile, il volto intatto e bello quanto una scultura d'angelo, ma le vesti pregne del medesimo rosso intenso che ancora lordava le sue mani. La gola della piccola Dyré era infatti tagliata e molto sangue ne era sgorgato.
Mosso da una forza che non era alimentata dal suo senno, ma che con immensa fatica si districava dalla desolazione che ne raggelava l'animo, la liberò da quella costrizione e la prese in braccio, il capo di lei poggiato alla sua spalla come se lì vi si fosse addormentata. Poi, dimentico della folla, si ritirò nel palazzo.
Giunse al salone di gala, dove i raggi del sole morente inondavano i molti mosaici e alla grande tavola sedeva sua madre: vestiva già a lutto e il suo sguardo era di pietra e tenebra. Lontano da lei fu posato il corpo della bambina e, inumidito un panno, il giovane la pulì dal sangue, poiché la profonda ferita più non ne aveva da versare.
“Ciò che desideravo” disse allora la donna e la sua voce tremava nonostante volesse apparire superba e fiera “era che ti facessero rinsavire. Avevo chiesto perché uno solo di loro giungesse a me e sette hanno invaso la mia casa. Avevo chiesto che solo la donna muta fosse messa a tacere nello spirito oltre che nella voce e loro hanno dato sfogo alla peggiore delle brutalità. Li credevo servitori al mio soldo, invece sono barbari e hanno compiuto ciò che più aggradava loro, prendendosi il denaro che volevano. Non desideravo la morte di mia nipote”.
Il dolore che era in lui non sosteneva il peso di quelle parole, né sopportava di sapere che la madre fosse colpevole, pur indirettamente, di tanto orrore, così le ordinò di lasciarli e il suo fu un sussurro carico di rancore e tormento.
Solo quando lei esitò la collera esplose e con tale furia le impose di andarsene che la donna balzò in piedi e ubbidì docilmente.
Così lui rimase solo e, con la lentezza di un meccanismo prossimo al guastarsi, sedette accanto a Dyré. La guardò a lungo, mentre la mente offuscata si schiariva e i fumi del disorientamento lasciavano spazio all'oblio della consapevolezza. E infine pianse, come mai aveva pianto prima di allora.
Non assistette alle esequie, non vide il corpo di Brya e di loro figlia tumulato nella pietra o perso nei fumi di un grande fuoco. Partì durante la notte e più non tornò in quelle terre.
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: _Polx_