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Autore: AdhoMu    19/05/2018    4 recensioni
[Leanne/Montague]
Montague (Kain? Craig? Graham?) e Leanne (di cognome?).
Due personaggi dalle identità confuse e di cui sappiamo pochissimo.
Un incontro inaspettato darà vita ad un rapporto che si svilupperà nei mesi precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Magica e che li porterà, con un po' di fortuna, a trovare se stessi l'uno nell'altra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kain Montague, Leanne, Mary MacDonald, Mulciber
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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3. Spillette, figurine e altre cose da bambinetti.
 
- Ma com'è che ti devo chiamare, alla fin fine?
- Mon-ta-gue. Sei proprio la Regina dell'Ovvietà, non c'è che dire.
- Ma intendo dire di nome, o perspicacissimo Re dell'Acume.
- Ah, mi spiace dirtelo, ma qui le cose si complicano – sbuffò il ragazzo, facendo una smorfia.
- Un nome è un nome. Che cosa ci sarà di complicato...
- Quanto sei riduttiva. E se ti dicessi che non lo so bene neanch'io?
- Non mi dirai che non sai come ti chiami – lo schernì Leanne, incredula.
- Senti qua: mia madre mi chiama Kain. Mio padre insiste nel chiamarmi Craig. Soddisfatta?
- Ah! – esclamò lei, battendosi il palmo sulla fronte – Comincio a capire da dove salta fuori il tuo profondo disagio esistenziale...
Lui non fece una piega e aggiunse, impassibile:
- E poi... ci sarebbe Graham.
- Oh! Graham mi piace – commentò Leanne con vivo interesse, mettendosi a sedere più dritta.
- Anche a me. È il mio preferito – si lasciò sfuggire lui con una parvenza di vivacità, per poi accorgersi di essersi indebitamente sbilanciato su qualcosa. Per rimediare tentò di giustificarsi con una frase che, con suo grande dispetto, suonò ancor più sentimentale:
- Era la mia balia che mi chiamava così.
- La tua... balia?! Ma dove accidenti vivi, tu? In piena epoca vittoriana?
– No. A Villa Montague, sciocca. Il che, a conti fatti, è all'incirca la stessa cosa.
- Oddio. Io ci rinuncio – gemette Leanne, scuotendo platealmente la testa.
 
*
 
Questo dialogo memorabile era avvenuto alla fine di maggio, in occasione di una delle successive visite di Leanne in infermeria. Dopo la prima volta, infatti, al di là di ogni umana previsione, la ragazza si era nuovamente recata a trovare il solitario Serpeverde, che si trovava ancora costretto a letto. Doveva ammetterlo: quel ragazzo, così solo e smagrito, le aveva fatto una certa tenerezza. Non che fosse esattamente simpatico, per carità, ma la disavventura che lo aveva visto protagonista l'aveva profondamente colpita.
Leanne aveva solo un vago ricordo di lui risalente a prima di quello che, nelle loro conversazioni, chiamavano diplomaticamente “l'incidente” (i gemelli Weasley e la Squadra d'Inquisizione erano stati tacitamente annoverati fra gli argomenti tabù, allo scopo di evitare inutili episodi di recriminazione reciproca) e non si trattava, per così dire, di un ricordo lusinghiero. Montague, le pareva di ricordare, era un tipo grande, grosso e piuttosto manesco, meticolosamente dedito ai falli brutali sul campo da Quidditch  - cosa che la povera Katie sapeva assai bene.
Quello che stato un ragazzone massiccio e tembile, però, non era ora che l'ombra di se stesso e non bisognava certo essere dei geni per capire che questa situazione lo faceva soffrire. Leanne, seppure mossa da una certa diffidenza, si sentiva stringere il cuore immaginando come doveva essere dura  passare dalla più proprompente dinamicità alla più sconfortante immobilità, dalla più bieca spavalderia alla più totale dipendenza.
Di conseguenza, incurante dei suoi modi bruschi (che in realtà la divertivano, perché si vedeva lontano un miglio che lui voleva semplicemente atteggiarsi da spaccone), era tornata a trovarlo. E dopo un po', nonostante il ragazzo facesse sempre tanto il sostenuto, aveva capito distintamente (non avrebbe saputo dire perché; lo sapeva e basta) che, giorno dopo giorno, lui aveva cominciato ad aspettarla. 
C'era, però, una cosa che non le andava giù: e cioè il fatto che per lei, da che mondo era mondo, i cognomi erano nominativi non grati.
E così, dopo qualche tempo e con un po' di esitazione, gli aveva chiesto se poteva chiamarlo in altro modo - ma che, per favore, le dicesse lui come, dato che non ricordava di aver mai sentito pronunciare il suo nome da nessuno. Neppure Lee Jordan, che pure faceva le cronache delle partite di Quidditch da anni e al quale lei si era rivolta con ostentata indifferenza, era stato in grado di sanare il suo dubbio.
Ed era saltato fuori che Montague, di nomi, ne aveva ben tre. Nessuno, però, neppure i suoi familiari più stretti, sapeva esattamente quale fosse quello giusto. A Leanne, definitivamente, “Kain” e “Craig” non piacevano. Il terzo nome, invece... sì, quello era proprio di suo gusto. E così, da quel momento in poi, aveva cominciato a chiamarlo Graham.
 
*
 
Col passare dei giorni aveva cominciato a sentirsi un po' meglio.
La forza fisica, però, non l'aveva  recuperata affatto. Madama Chips era ancora costretta a nutrirlo con un cucchiaio, col quale gli somministrava dosi elefantiche di una non meglio definita pozione azzurrognola.
C'erano giornate in cui non aveva né le energie, né la voglia di fare nulla, e allora sonnecchiava per ore e ore, letteralmente inghiottito dai cuscini. Oppure si tirava su a fatica per guardare attraverso il vetro della finestra, desiderando ardentemente trovarsi là fuori, ad allenarsi sul campo ovale con l'erba appena tagliata – verde come l'amato colore della sua Casa - o a volare fra le nuvole sulla sua Nimbus, veloce come il vento.
E se l'inattività gli pesava, la solitudine faceva il resto.
I suoi genitori erano venuti a trovarlo una sola volta, perché erano molto impegnati con i preparativi della festa di fidanzamento di sua sorella, che in luglio avrebbe sposato il rampollo di un’importante famiglia purosangue. Come loro solito, avevano dato spettacolo in piena infermeria litigando furiosamente per quella ridicola questione del nome: "Si chiama Kain!" "No: è Craig!" mentre lui, esausto, pensava: "Mi fanno cagare entrambi”.
I suoi compagni di Casa, dal canto loro, si erano fatti vivi in pochissime occasioni, accampando la classica scusa dei compiti di fine anno e degli allenamenti di fine campionato.
Ad aumentare esponenzialmente il suo sconforto, c'era poi stata la questione delle tre spillette.
P di Prefetto. C di Capitano della squadra di Quidditch ed I di membro della Squadra di Inquisizione. Subito dopo il ricovero in infermeria, Madama Chips le aveva ritirate dal suo maglione ed appuntate su un puntaspilli, che aveva poi provveduto asistemare sul comodino.
Risvegliatosi dal suo iniziale stato comatoso, il ragazzo si era subito accorto che la “P” era sparita. A chiarire l'arcano era stato il professor Piton, subito chiamato in causa. Il quale, con la sua espressione più imperturbabile, gli aveva comunicato in tono solenne:
- L'ho consegnata io stesso a Warrington, acciocché faccia dignitosamente le tue veci.
Lui, lì per lì, ci era rimasto un po' male, ma si era sforzato di capire. In fondo, era stato per il bene della Casa. 
Poi era stata la volta della “C”. La spilletta alla quale, senz'ombra di dubbio, Montague teneva di più. Era accaduto un pomeriggio quando, con sua grande sorpresa ed iniziale contentezza, la porta dell'infermeria si era aperta e, invece di quell'assurda Leanne Kaplett, era sgattaiolato dentro il suo amico Urquhart. Il quale, però, si era trattenuto giusto il minimo necessario per annunciargli che, da quando lui era sparito, e date le circostanze avverse, gli era toccato sostituirlo nel ruolo di Capitano. E quindi, senza nascondere una ghiotta soddisfazione, gli occhi attraversati da un lampo di cupidigia, si era rapidamente impossessato della preziosa spilletta, lasciando Montague immensamente abbattuto.
Ancora una volta, si era sforzato di essere ragionevole: era per il bene della squadra. Ma sotto sotto cominciava ad essere sinceramente seccato.
Alla fine, sul comodino era rimasta solo la “I”. Alla quale, però, lo sfortunato Serpeverde aveva ben presto cominciato a guardare con un certo astio, attribuendole (forse a ragione) la causa di tutti i suoi mali.
 
*
 
- Ancora cinque minuti...
- Non posso, devo proprio scappare...
- Così mi farai impazzire – la voce del ragazzo era impastata e vagamente supplichevole.
- Oh, ma per Godric! – esclamò Leanne, tirando via per la trentasettesima volta la mano di Roger Davies, che giocherellava con l'orlo della sua camicetta di lino leggero, tentando invano di infilarvisi sotto. 
Avevano trascorso parte di quel torrido pomeriggio di metà giugno a chiacchierare e baciarsi in un'aula vuota, nonostante i M.A.G.O. di lui fossero ormai alle porte.
– Ci vediamo domani, dài.
- Ma si può sapere dove devi andare?
- Ho da fare, te l'ho detto. Au revoir!
Leanne si sporse in avanti, depositò un bacetto sulle labbra screpolate del ragazzo e si allontanò di corsa, diretta chissà dove.
 
*
 
- Dunque. Senti questa bomba: “In vendita da domani il calendario ufficiale della Lega Nazionale Gobbiglie”.
Leanne, seduta sulla seggiola sgangherata, teneva in mano una copia tutta spiegazzata del Settimanale delle Streghe che aveva trovato abbandonata nella Sala Comune del Grifondoro. Tirate su le gambe, aveva appoggiato i piedi sul letto e inclinato la seggiola all'indietro, facendola dondolare distrattamente.
- Kaplett, ma per favore...
- Leanne, testone. Ah, ne preferisci una sul Quidditch? Senti qua: “Tresca in vista? Gwenog Jones beccata in giro a braccetto con Ludo Bagman”.
Graham Montague respirò fondo per impedire a se stesso di ridere.
Quella fuori di testa ci si metteva davvero d'impegno, per farlo diventare matto, ma lui non aveva la minima intenzione di dargliela vinta. Mica poteva bruciarsi la sua proverbiale ferocia, duramente costruita in anni ed anni di impegno, per una rotizia sulle conquiste sentimentali della battitrice delle Harpies.
- Ma tu non hai proprio niente di meglio da fare, oltre che venire qui a raccontarmi cazzate? – le chiese quindi, arcigno.
- Ma è ovvio. Un sacco di cose.
- Ah sì, e come no. Per esempio?
- Studiare. Stare con le mie amiche. Limonare con Roger Davies. Cose così – rispose lei, seria, agitando pigramente la mano come a dire "quisquilie" e bevendosi tranquillamente un sorso di succo di zucca da uno dei bicchieri che Madama Chips aveva posato sul comodino.
Il ragazzo la guardò allibito.
Chiaramente anche a lui erano toccati in sorte due o tre incontri galanti – andati ben oltre il semplice sbaciucchiamento, per dire il vero - con un paio di belle fanciulle sue compagne di Casa. In fin dei conti, essere Capitano della squadra di Quidditch aveva i suoi indiscutibili vantaggi. Ma non si sognava certo di andare in giro a parlarne con cotanta, avventata leggerezza. Erano questioni private, quelle.
- Ma... ma cosa?... Ma tu, il senso della decenza, l'hai rispedito al mittente?
Lei quasi si strozzò con il succo di zucca.
- Il senso della... eeeh?! – la ragazza annaspava sulla sedia, rischiando seriamente di cadere all'indietro. - Ma tu... ma tu sei un bacchettone!...Quanti anni hai detto di avere, Graham? Diciotto o duecento?
Leanne alzò gli occhi, cercando di ricomporsi. E quello che vide, fu così inaspettato da farle rischiare di rompersi davvero l'osso del collo. Un'ombra divertita aleggiava nei grandi occhi grigi del ragazzo, che la guardava con gli angoli della bocca lievemente increspati.
Graham Montague stava... sorridendo.
E poco dopo, incapace di trattenersi, il Serpeverde proruppe in una risata bassa ed inequivocabilmente ghiotta. 
- Co... come è che mi hai chiamato?!
- Ba-bacchettone.
- Tu sei assurda, davvero – bofonchiò lui tossicchiando, per poi rimettere su (con non poca fatica) quella sua solita maschera da eterno scontento.
 
*
 
Ecco quello che era.
Leanne era assurda. Assurdamente vivace, tagliente, caustica e... generosa. Aveva fegato da vendere, quella: a colpi di umorismo, lo aveva conteso alla Dea Tristezza e, alla fine, aveva vinto la partita. Era assurdamente determinata, quando ci si metteva. Cocciuta e decisa come poche. 
E poi (perché negarlo?) era anche assurdamente... beh, carina, forse? No, forse quello non era il termine esatto. Forse sarebbe stato meglio definirla bella, ma di una bellezza un po' inusuale, un po' fuori dalle righe, eppure decisamente interessante. Con quei capelli mossi tagliati corti, che lei teneva indietro con una mollettina a forma di fenice, e i vividi occhi castani, sempre pronti a guardarti con una pungente ironia intrisa di dolcezza. 
Leanne era... viva.
E per lui, cui era toccato in sorte di vivere un’esperienza a dir poco estrema, qualsiasi questione legata alla vita e alla vitalità aveva assunto un significato ed un’importanza mai contemplati in precedenza.
A questo pensava, Montague ormai divenuto Graham, mentre il treno filava spedito alla volta di Londra. Forse, prima, tutte queste cose gli sarebbero parse insignificanti.
Prima.
Prima di scoprire che la vita, intesa come il semplice atto di sopravvivere, è cosa per nulla scontata. 
Prima di rendersi conto che si può essere grandi, grossi e tosti quanto si vuole ma che, quando le cose si mettono male, ci si scopre fragili come il cristallo.
Prima di cominciare ad intuire che in primo luogo, certo, bisogna preoccuparsi di sopravvivere, ma che poi, a conti fatti, per vivere davvero... beh, ci vuole ben altro.
 
*
 
Il treno rallentò la sua corsa e alla fine si fermò. 
Gli studenti, vocianti ed eccitati, cominciarono a scendere in massa dalle carrozze: come sempre, la banchina del binario 9 e ¾ era chiassosa e affollatissima di persone,  animali ed oggetti.
Discesi a fatica i gradini, Graham si fermò per guardarsi intorno; dall'alto della sua statura superiore alla media, individuò subito i genitori e la sorella, che lo aspettavano con uno striscione incantato sul quale c'era scritto: “Bentornato Craig Kain!”. La scritta continuava a cambiare, cancellando alternativamente i nomi "Craig" e "Kain".
Lui però mosse gli occhi, continuando a cercare.
E girando la testa verso la coda del treno, finalmente, la vide.
Leanne, accomiatatasi dalle compagne, camminava sulla piattaforma alla volta della barriera, muovendosi proprio nella sua direzione. Le sue amiche, in un tripudio di esclamazioni e di abbracci, salutavano i loro cari che erano venuti a prenderle: attraverso uno spiraglio della folla, Graham vide Katie Bell che gettava le braccia al collo di Oliver Baston.
Leanne, invece, era sola. Non c'era nessuno ad aspettarla sulla banchina.
Il ragazzo si si spostò leggermente, posizionandosi sulla sua traiettoria. E proprio nel momento in cui lei alzava gli occhi, un piccolo varco si aprì fra di loro. Era la prima volta che si trovavano l'uno davanti all'altra in un luogo che non fosse l'infermeria, ed era la prima volta che Graham non indossava un pigiama; quando lo vide, Leanne gli sorrise e si rallegrò per il fatto di trovarlo in così bella forma.
E lui, un po' impacciato, le sorrise di rimando, mettendo su quel suo ghigno un po' truce, per poi affannarsi a frugare nel taschino della camicia, dal quale estrasse con due dita l'ambitissima figurina di Panoramix il Druido che, facendo leva sulla sua autorità, aveva brutalmente estorto ad un ragazzino del secondo anno.  
E mentre lei, sorridendo meravigliata, affrettava il passo per raggiungerlo, la confusione che regnava tutt'intorno a loro parve dissiparsi; era come se il caotico brulicare dell'intera King's Cross si fosse magicamente arrestato.
E la ragazza si avvicinava, sorpresa e felice, e ormai mancavano solo pochi passi.
Se non che, inaspettatamente, da un gruppetto di Corvonero del settimo anno riuniti a capannello saltò fuori qualcuno, che Graham riconobbe immediatamente come Roger Davies. Il quale, senza tante cerimonie, si accostò all'ignara Leanne – che ancora lo guardava sorridendo, camminando spedita verso di lui - e l'abbracciò di slancio, per poi catturare le sue labbra in un bacio degno della migliore cinematografia romantica babbana.
Il Serpeverde e il Corvonero si erano affrontati tante volte sul campo da Quidditch. Per Graham, Davies era sempre stato null'altro che “uno dei Cacciatori rivali”. Ma mai, in precedenza, tale definizione gli era parsa più appropriata.
In quel momento, si pentì di non avergli spaccato le ossa a dovere, quelle volte che ne aveva avuto l'occasione.
 
Alcune cosette:
1) Non lo scrivo esplicitamente, ma Graham riesce a diplomarsi alla fine dell’anno nonostante la degenza in infermeria. Lo suppongo perché durante l’anno scolastico successivo il Capitano dei Serpeverde é Urquhart.  Quindi, la sua traiettoria di studente termina qui, mentre Leanne ha ancora un anno di scuola davanti a sé.
   
 
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