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Autore: AdhoMu    19/05/2018    2 recensioni
[Leanne/Montague]
Montague (Kain? Craig? Graham?) e Leanne (di cognome?).
Due personaggi dalle identità confuse e di cui sappiamo pochissimo.
Un incontro inaspettato darà vita ad un rapporto che si svilupperà nei mesi precedenti allo scoppio della Seconda Guerra Magica e che li porterà, con un po' di fortuna, a trovare se stessi l'uno nell'altra.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kain Montague, Leanne, Mary MacDonald, Mulciber
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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2. Per sorridere ci vogliono solo dodici muscoli.
 
- Vuoi una cioccorana?
- Che stronzate da bambinetti.
- Oddio, e si può sapere quanti anni avresti tu, vecchione?
- Fatti diciotto a marzo, per tua informazione.
Leanne lo ignorò; scartò la caramella e se la ficcò in bocca.
Uh! Di nuovo Morgana. Ce l'avevo già... - sbuffò, osservando la figurina di cui possedeva già una mezza dozzina di doppioni. Per completare la collezione le mancava solo Panoramix il Druido, ma quel briccone non saltava mai fuori.
- Che discorsi del cazzo.
- Senti un po', ma a te non piace niente?
- Ma certo che sì. A tutti piace qualcosa.
- Ah. Per esempio?
- Il Quidditch.
- Oh, per Godric. Ma quanto sei palloso, Graham. Mi ricordi Oliver.
- Che Oliver?
- Oliver Baston.
- Ah sì. Gran Portiere, accidenti a lui.
- Che gran palle...
- Non è l'affair della tua amica?
- Affair?! Ma come accidenti parli, sei Madame Maxime? E poi sentitelo, il pettegolone!... - gli scoppiò a ridere in faccia, guadagnandosi un'occhiataccia obliqua. - Comunque sì, Ollie è la Pluffa al Piede di Katie... La stessa Katie che tu, con la tua proverbiale delicatezza, hai quasi ammazzato nell'ultima partita, giusto per intenderci.
Lui la guardò con sufficienza, con un'espressione del tipo “se l'era cercata”.
- Bah. Ma quanto sei inelegante, comunque – commentò poi il ragazzo, sprezzante, come facendole il verso - Lei lo sa, che lo chiami così?
– Certo. È la prima cosa che le dico tutte le mattine insieme al buongiorno.
Non era vero nulla, ovviamente.
A Leanne piaceva molto Oliver e pensava seriamente che lui e Katie fossero davvero nati lluno per l'altra. Piuttosto stufa di ascoltare i commenti assurdi di Montague, fece quindi per alzarsi e andarsene (in fin dei conti era un pomeriggio bellissimo di inizio giugno; perché starsene rintanati in infermeria in compagnia di un soggetto come quello, che non rideva mai?), ma lui la richiamò.
- Kaplett.
- Leanne, per favore. E dàlli! Sei proprio di coccio, eh? - lo rimbeccò, esasperata, per poi domandargli bruscamente: - Cosa vuoi?
- Torni, domani?
- Ma neanche per sogno. Perché?
Lui alzò gli occhi al cielo. Quella sciocca diceva sempre così.
- Perché, se torni, devo farmi dare una pillola di pazienza da Madama Chips.
- Idiota. Stattene lì nel tuo brodo, allora, che io tolgo subito il disturbo. Adiós!
- Leanne.
- Che cosa c'è, adesso?
- Stavo scherzando, eh - buttò lì lui, con una smorfia truce che poteva essere un abbozzo di sorriso.
- Che senso dell'umorismo merdoso che hai, Graham - commentò lei con aria disgustata. Rimessasi in piedi, si diresse sbuffando verso la porta della camerata, senza voltarsi indietro. Sapeva che lui la stava guardando e non voleva dargli soddisfazione. Neanche se moriva dalla voglia di girarsi e fargli un gestaccio.
 
*
 
Era passato quasi un mese e mezzo dal fantomatico ritrovamento di Montague nello sgabuzzino delle scope. Dopo aver trascorso una quindicina di giorni in uno stato di febbrile incoscienza, le sue condizioni di salute avevano cominciato lentamente a migliorare, tanto da rendere inutile un suo trasferimento al San Mungo – cosa che, nei primi giorni, era stata considerata troppo azzardata per il suo stato di salute estremamente critico.
Nonostante i gemelli Weasley, dopo averlo rinchiuso nell'Armadio Svanitore, si fossero dichiarati estremamente soddisfatti della loro prodezza (del resto era stato lui a provocarli per primo, tentando di sottrarre ingiustamente cinque punti alla Casa del Grifondoro), da ridere c'era stato ben poco.
Il ragazzo era rimasto intrappolato nel mobile incantato per settimane. Incapace di uscire da quella specie di limbo, aveva seriamente rischiato di morire di stenti e, alla fine, se ne era venuto fuori vivo, era solo per due motivi.
Il primo era che, al di là di ogni ragionevole intuizione, aveva deciso di tentare il tutto per tutto e di giocarsi la sua ultima carta, arrischiando una Smaterializzazione d'emergenza. Sapeva bene che smaterializzarsi all’interno di Hogwarts era impossibile e poi, oltretutto, lui non aveva mai sostenuto l'apposito esame. Tuttavia, spinto dalla disperazione, ci aveva provato lo stesso. E, per una qualche ragione non ben definita ma decisamente provvidenziale, ce l'aveva fatta, ritrovandosi poi incastrato nel cubicolo delle scope di quel sudicio bagno.
Il secondo motivo era di ordine puramente fisico e costituzionale.
Se non fosse stato un ragazzo giovane, ben piantato (diciamo pure leggermente in carne) e nel pieno delle forze, probabilmente non sarebbe sopravvissuto all'inedia. La sete l'aveva tormentato fin dal primo giorno ma, per fortuna, da uno spiragio dell'anta dell'armadio sgocciolava un po' d'acqua (probabilmente il mobile era stato piazzato sotto ad una qualche tubatura incrinata), che lui aveva individuato a tentoni e leccato disperatamente, riuscendo così a mantenersi in vita. Quella che aveva vissuto, era stata un'esperienza a dir poco da incubo.
All'inizio, il ragazzo si era infuriato e aveva passato ore ed ore urlando e battendo i pugni sulle superfici interne del mobile. Non appena ne fosse venuto fuori, si diceva, avrebbe dato una ripassata da manuale a quei due rossi imbecilli.
Ben presto, però, si era reso conto del fatto che nessuno poteva udirlo.
Un po' allarmato, si era accoccolato sul fondo dell'armadio, esausto per il tanto battere, e si era appisolato. Al risveglio da quello che, ingenuamente, aveva pensato essere soltanto un brutto sogno, aveva realizzato  con immenso sgomento  di trovarsi davvero intrappolato nel buio. In preda ad una terribile crisi di claustrofobia (lui era molto alto e l’armadio troppo, troppo scomodo e angusto), aveva ricominciato a dibattersi e urlare.
Niente da fare, però: nessuno accorreva in suo aiuto.
E le ore avevano cominciato a passare, lente e inesorabili. Ogni minuto durava un'eternità e, in breve, il ragazzo aveva smesso di chiedersi se fuori ci fossero il sole o le stelle, che ore erano, che giorno della settimana fosse mai.
A poco a poco i crampi della fame, dapprima acutissimi, si erano smorzati.
La sua celebre e consueta forza fisica, che tanto timore incuteva sui campi da Quidditch, aveva pian piano cominciato ad abbandonarlo. Dalla collera era passato al panico, dal panico alla disperazione, dalla disperazione alla rassegnazione e infine, dalla rassegnazione, alla più completa apatia.
Aveva smesso di dimenarsi e di invocare aiuto; col passare dei giorni, trascorreva periodi sempre più lunghi in uno stato di inquieto dormiveglia.
Ogni tanto gli sembrava di percepire delle voci.
Alcune, dal timbro giovane, parevano provenire dal castello; altre, invece, erano voci di adulti. Una volta, quando già si trovava nell'armadio da un tempo incalcolabile, ebbe l'impressione di udire distintamente qualcuno che pronunciava le parole “signor Sinister”. Ma poteva anche essersi trattato semplicemente del frutto della sua mente, annebbiata dallo sconforto e dalla fame.
Poi un giorno, semplicemente, era stato risvegliato dal rumore di una porta che sbatteva, subito seguito dall'echeggiare di passi leggeri. Poco dopo, il cigolio di un rubinetto aveva anticipato il suono dell'acqua fresca che scorreva e che si accumulava, raccogliendosi in un recipiente.
Tormentato dalla sete aveva agito senza pensarci troppo, agitando la bacchetta con le ultime forze che gli rimanevano. 
E alla fine, quella ragazza del Grifondoro era intervenuta, liberandolo dalla sua indecorosa prigione di stracci e flaconi.
 
*
 
Dopo l'increscioso episodio del salvataggio di Montague dal cubicolo del bagno, Leanne si era bellamente fatta gli affari suoi.
Aveva cose più importanti da fare, che non pensare allo sventurato Serpeverde ricoverato in infermeria: con l'avvicinarsi di giugno, come di consueto, i compiti si accumulavano inesorabilmente. E poi c'era quel monello di Roger Davies a tenerla parecchio impegnata nei suoi rari momenti liberi.
Non che costui le piacesse veramente, beninteso. Sapeva fin troppo bene che Davies era un perfetto cretino, abituato a passare da una ragazza all'altra con una disinvoltura che aveva dell’inquietante: obiettiva come sempre, Leanne non si era certo illusa di poter cambiare la natura di un tipo come quello - e sinceramente, neanche le interessava farlo.
Una cosa, però, doveva ammetterla: quello, quando ci si metteva, ci sapeva davvero fare. Roger Davies baciava alla grande ed era indiscutibilmente belloccio.
- Ma come fai a trascorrere il tuo tempo con quella faina? – le chiedeva Katie, incredula, quando la vedeva sgattaiolare fuori dalla Sala Comune del Grifondoro per incontrarsi con lui. Che alla Bell il ragazzo non andasse a genio, era cosa risaputa.
- Fa bene quello che deve fare. Niente di meno, niente di più – rispondeva lei, stringendosi nelle spalle.
Contraddicendo quella che avrebbe dovuto essere la principale caratteristica dei Corvonero, Davies non aveva una mente particolarmente brillante. Ma, oltre ad essere costantemente sorridente e ben disposto, aveva sempre la battuta pronta sulla punta della lingua e questo, tutto sommato, la divertiva.
La loro frequentazione era sporadica (anche se, negli ultimi tempi, si era fatta un pochino più assidua) e non aveva assolutamente nulla di serio ma, a Leanne, la cosa andava bene così. Davies era un tipo simpatico e spigliato e lei, che adorava studiare ed analizzare i più svariati comportamenti umani, trovava assai divertente ed interessante osservare da vicino cotanta (commovente) sicurezza di sé.
 
*
 
Cosicché, in quella domenica di metà maggio, Leanne camminava veloce per i corridoi, affrettandosi a raggiungere Roger che l'aspettava per un appuntamento sulla riva del lago. La ragazza era in netto ritardo. Si era attardata in Sala Comune a chiacchierare con Katie e Eloise, finché i rintocchi dell'orologio a cucù appeso alla parete non avevano richiamato la sua attenzione, facendola balzare in piedi.
- Io vado, ragazze – aveva detto alle amiche, per poi allontanarsi di corsa, sentendosi puntato sulle spalle lo sguardo di disapprovazione di Katie, che era al corrente del suo rendez-vous “con quel laido di un Corvonero”.
Scendendo dalla Torre del Grifondoro, comunque, Leanne aveva scoperto con enorme disappunto che Pix si era dato alla pazza gioia, allagando il corridoio principale per il quale sarebbe dovuta passare; quindi, suo malgrado, le era toccato scegliere un percorso alternativo, decisamente più lungo e che, per combinazione, transitava davanti all'infermeria. Il che l'aveva portata, del tutto inaspettatamente, a rallentare il passo e, complice la porta lasciata aperta, a mettere dentro la testa per dare una sbirciata.
Le brande erano tutte vuote, tranne una: quella occupata da Montague.
Il ragazzo se ne stava là, immobile, affondato in una pila di cuscini. Alzando gli occhi verso la porta, aveva visto Leanne e l’aveva guardata con fare accigliato. La ragazza gli aveva indirizzato  un rapido cenno, che lui aveva ignorato.
E così lei stava per tornare sui suoi passi, quando si era sentita chiamare da Madama Chips.
- Leanne, che sorpresa! Sei venuta a trovare il tuo amico? – le aveva chiesto la donna, gentilmente.
- Veramente no... – aveva risposto lei, piuttosto seccata. “Amico? Quello lì?!”
- Senti, Leanne – le aveva detto l'infermiera, prendendola discretamente da parte. – Rimani per qualche minuto, dài. Non viene mai a trovarlo nessuno, povero ragazzo.
- Ma... veramente, io avrei un impegno... – aveva recalcitrato lei, lanciando un’occhiata all'orologio da polso. Era tardissimo, ormai. Probabilmente Roger, stanco di aspettarla, se n'era già andato.
- Suvvia, Leanne. Solo pochi minuti. Gli farà bene.
E lei, sentendosi assurdamente sciocca, si era lasciata convincere. Un po'titubante, si era avvicinata al bordo del letto. Non sapeva cosa dire. Non lo conosceva per niente e, quel poco che sapeva di lui, non contribuiva certo a renderglielo simpatico.
- Ehm... ciao. Come va?
- Ma che domanda del cazzo – aveva risposto lui, scorbutico, guardandola torvo.
Leanne avrebbe potuto indignarsi per una risposta così e, semplicemente, andarsene subito.
Ma aveva dovuto ammetterlo: Montague aveva perfettamente ragione. Si trovava in una branda da settimane, incapace di muoversi, aveva perso una quindicina di chili e lei non aveva trovato nulla di più intelligente da chiedergli se non “come va?”. E come cavolo doveva andare? Era stata proprio una domanda del cazzo.
E così, senza riuscire a trattenersi, era scoppiata in una risata fragrosa, sovrappiù stimolata dall'espressione sconcertata che aveva visto dipingersi sul volto del ragazzo.
- Che-cazzo-ti-ridi?!
- Oddio, sto male – aveva boccheggiato lei, accasciandosi sulla sedia posizionata accanto al letto.
 
Alcune cosette:
1) In questa storia do per scontato alcune cose che fanno parte del mio personalissimo headcanon. Per esempio, il fatto che Katie Bell e Oliver Baston siano fidanzati (su di loro avevo scritto un paio di storie, che forse ripubblicherò), o che Roger Davies sia belloccio e sentimentalmente disinibito (su questo la Rowling ci fornisce un quadro piuttosto chiaro), o che Eloise Midgen sia innamorata (ad un certo punto ricambiata) di Cormac McLaggen.
   
 
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