Serie TV > Supergirl
Segui la storia  |       
Autore: Ghen    04/06/2018    8 recensioni
Dopo anni dal divorzio, finalmente Eliza Danvers ha accanto a sé una persona che la rende felice e inizia a conviverci. Sorprese e disorientate, Alex e Kara tornano a casa per conoscere le persone coinvolte. Tutto si è svolto molto in fretta e si sforzano perché la cosa possa funzionare, ma Kara Danvers non aveva i fatti i conti con Lena Luthor, la sua nuova... sorella.
~
Non solo quello che sembra! AU (no poteri/alieni) con il susseguirsi di personaggi rielaborati e crossover, 'Our home' è commedia, romanticismo e investigazione seguendo l'ombra lasciata da un passato complicato e travagliato, che porterà le due protagoniste di fronte a verità omesse e persone pericolose.
'Our home' è di nuovo in pausa. Lo so, la scrittura di questa fan fiction è molto altalenante. Ci tengo molto a questa storia e ultimamente non mi sembra di riuscire a scriverla al meglio, quindi piuttosto che scrivere capitoli compitino, voglio prendermi il tempo per riuscire a metterci di nuovo un'anima. Alla prossima!
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Ours'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15. Fretta di vincere


Saltava da un muro all'altro. Faceva un balzo, si teneva con una mano in una sporgenza e tornava giù saltellando. Faceva un lungo percorso urbano con salti e corsa, capriole a mezz'aria, saltando su bambini in fila senza sfiorarli. In una clip, si arrampicava in mezzo a due stretti palazzi, passando da un cornicione all'altro con dei salti precisi e calcolati, con eleganza, senza mai dare la parvenza di poter cadere, leggera come l'aria. Una volta giù rifacendo lo stesso percorso al contrario, si toglieva gli occhialini da aviatore e una cuffietta, liberando i mossi capelli a caschetto, salutando la telecamera.
Le ragazze borbottavano nel panico, guardando un video dopo l'altro attraverso un unico cellulare mantenuto da una di loro al centro. Megan vide che Kara stava tornando, così si staccò dal gruppetto e le andò incontro. Erano fuori, al campo da lacrosse per l'allenamento con il tempo che per fortuna sembrava dalla loro parte: qualche nuvola e sole tiepido.
«Allora? Tutto a posto con Mike?», le chiese subito scorgendo il ragazzo che lasciava il campo. Avevano deciso di tornare in amicizia, o almeno di tentarci.
«Sì, mi ha chiesto se ci alleniamo insieme questa sera e magari un aiuto mi servirebbe pure in vista della partita contro Gotham».
«Già, a proposito…», le indicò le ragazze della squadra incantate a quel cellulare. Si avvicinarono insieme, tenendo d'occhio Mike che si univa ad altri ragazzi, in fondo. «Tenterà un modo per tornare con te», le bisbigliò.
«Sì, immagino di sì, ma…», scosse brevemente la testa e l'altra sorrise.
«Il tuo cuore è già impegnato», sorrise a sua volta, colpendola con una gomitata complice.
Kara non rispose, guardando il resto della squadra e battendo le mani per richiamarle: «Va bene, la pausa è finita! Sull'attenti». Nessuna si mosse e Kara sbuffò.
«C'è una cosa di cui dovresti essere a conoscenza», esclamò Megan.
«Me lo dirai dopo. Ehi», urlò alle ragazze, «A qualcuna di voi interessa ancora giocare a lacrosse?».
«Dovresti saperla adesso, Kara», insisté.
«Dopo».
«Adesso: è su Selina Kyle», indicò il cellulare, «Ci sono dei video».
Kara abbandonò la sua posa dura e corse dalle sue compagne di squadra, prendendo il cellulare e guardando con i suoi occhi, spalancandoli sconvolta, la ragazza che sorpassava con un salto un auto in movimento.
«È diventata piuttosto brava con il parkour dall'ultima volta che ci siamo scontrate… I suoi video spopolano e a Gotham sta diventando famosa», fece notare Megan. Altre ragazze concordarono con lei, aggiungendo apprezzamenti su quanto era brava, che sarebbe stato difficile prenderle la palla, che era diventata troppo brava per loro. Megan sentì Kara grugnire, lasciando il cellulare e ritornando alla sua posizione iniziale.
«Questo cambia qualcosa per qualcuna di voi?», domandò a voce alta, guardandole in faccia una per una. «Lasciate perdere Selina Kyle e il parkour! Pensiamo al nostro: alleniamoci, facciamo del nostro meglio e ricordatevi che l'unico vero avversario che dovete sconfiggere siete voi stesse ogni volta che diventate più brave. Al resto penseremo in campo quando ci ritroveremo faccia a faccia con lei e la sua squadra. Non voglio sentire nessuna di voi lamentarsi che pensa di non essere all'altezza», disse con motivazione. «E adesso riprendiamo coi giri di campo, poi con i tiri in porta», indicò una ragazza, il portiere, che annuì. «Forza, muovetevi! Almeno venti per scaldarci». Tutte partirono e Kara sospirò non appena non poterono vederla.
Prima di seguire le altre, Megan la affiancò. «Quindi non sei preoccupata? Il vero avversario siamo noi stesse?».
Kara gonfiò le guance e aggrottò le sopracciglia, mostrando una smorfia indispettita. «Odio q-quella Selina Kyle e il suo parkour».

Dopo qualche analisi sul pacco destinato a Lena Luthor per assicurarsi che non contenesse niente di pericoloso, John Jonzz diede l'ordine di aprirlo e un agente eseguì; tuttavia, l'unica cosa che il D.A.O. trovò era tanta carta arricciata e un foglio liscio, pulito, con su scritta solo una riga di numeri.
Lena Luthor ci aveva passato su qualche ora quella notte. Aveva provato di tutto: numero di telefono, numero di un conto, di una password, aveva provato a decifrare le lettere corrispondenti ai numeri per ottenere delle parole, ma non c'era stato verso, finché non ebbe un'illuminazione: creò dei piccoli gruppi e aggiunse i segni corrispondenti così, davanti al pc, fece una prova, sorridendo compiaciuta. Si era fatta una bella dormita e l'indomani aveva passato le ore tra l'università e la Luthor Corp, poi, arrivata alla conclusione che era la cosa giusta da fare dal momento che ormai sapeva la verità, aveva deciso di chiamare Kara. Dirle tutto era una scommessa continua perché temeva di metterla in pericolo, ma nasconderle le cose non aveva fatto bene l'ultima volta e, se nessun altro avesse scoperto che lei sapeva, allora era protetta, si giustificava. E averla dalla sua parte rendeva più sicura anche lei. Se Alex avesse scoperto che lo aveva detto a Kara… Di certo si sarebbe arrabbiata; d'altronde si sarebbe arrabbiata comunque, dal momento che le aveva consigliato di farsi da parte. Alex Danvers non sapeva che farsi da parte era qualcosa che lei proprio non riusciva a fare.
«Ehi… Come stai?», le chiese per cellulare mentre stava seduta di peso sulla sedia girevole di camera sua, spostandosi con i talloni dei piedi coperti da sole calze velate. «Ho novità. Però non penso che parlarne al telefono sia una buona idea… perché non vieni da me? Sì, Kara, casa mia», si lasciò sfuggire una piccola risata, «Tecnicamente ora è anche casa tua e sia dia il caso che tu non ci sia ancora venuta di persona», mordicchiò il tappo di una penna, presa dalla discussione. Fece una smorfia con le labbra, ascoltando la voce dall'altro capo. «No, certo, non voglio rubare tempo al tuo allenamento… Sì, le novità riguardano- Va bene, ti aspetto», annuì con un sorriso, «Nessuna fretta, Kara. A questo pomeriggio».
Era forse un po' egoistico da parte sua non vedere l'ora che arrivasse. Perfino condividere con lei una cosa spaventosa come quella, scoprire cosa fosse successo a suo padre, diventava più facile.
Lasciò la sedia e si diresse in bagno, decisa a immergersi nella vasca piena fino all'orlo e rilassarsi.
Dall'altra parte, intanto, Kara riattaccò la chiamata col cuore in gola. Non voleva che fosse fraintesa, voleva davvero aiutare Lena a sapere cosa esattamente era successo a suo padre, ma andare da lei era un passo falso. Lena non parlava e lei non parlava, ma la situazione tra loro era ormai irrimediabilmente parecchio ambigua. Lena lo sapeva, era inutile girarci intorno, eppure dirglielo le sembrava lo stesso tanto difficile. Con la situazione di suo padre, poi, non voleva sbagliare momento e risultare inappropriata.
Così, infine, rinunciò all'allenamento con Mike, si fece una corsa, una doccia, e uscì per andare da Lena. Le aveva dato indicazioni in più per messaggio ma Kara aveva dovuto affidarsi quasi completamente al suo istinto per non perdersi: era la prima volta in assoluto che si inoltrava nella zona residenziale interna di National City. E capì presto, se non altro, poiché i Luthor si facessero sempre portare in auto da Ferdinand: c'era davvero parecchio da camminare seguendo la pulita strada asfaltata, sul marciapiede che tagliava grandi distese di terreno verdi e fioriti, tutti recintati. Tuttavia per lei non era un problema camminare e, anzi, non le sembrava vero di poter passeggiare sotto gli alberi che perdevano le prime foglie, ammirare i paesaggi, salutare dei cagnolini che si erano affacciati da un cancello, fotografare gli uccellini che riusciva a vedere e chiamare degli anatroccoli lontani che seguivano la madre danzando goffamente sull'erba fino a tuffarsi nella distesa di un lago. Era un luogo protetto dallo smog in mezzo alla città, passando per un vicolo dietro un ospedale e negozi, e le era come sembrato di entrare nella tana del Bianconiglio.
«Sono contenta che tu e Lena siate diventate così amiche. Sorelle sembrerebbe strano, ma si può parlare di amicizia», sentì dire da Alex al telefono e Kara digrignò i denti, non proprio d'accordo. «Verrà anche alla tua partita?».
«Sì, ha detto che ci sarà», mantenne il cellulare contro una spalla mentre accarezzava una gattina seduta sulle sbarre di un cancello, facendo smorfie con la bocca per parlarle con una bassa vocina.
«Meno male, sono contenta! Perché è probabile che io non ci sia, stavolta».
«Cosa?», si raddrizzò di colpo con la schiena, infastidendo la micetta che scappò via tra i cespugli. «Non ci sarai?».
«Ooh, mi dispiace, sorellina… Ma Maggie ed io avevamo prenotato fuori e Jamie vuole andare a vedere i delfini, così… Glielo avevamo promesso».
«M-Ma la partita… Non hai mai perso una mia partita ufficiale», ricominciò a camminare, mettendo su il broncio.
«La partita è capitata proprio quel giorno e…».
«Quindi volevi dire che è sicuro che non ci sarai».
«Sì. Non ci sarò», la sentì sbuffare, «Mi dispiace, Kara. Non mancherò mai più, lo prometto».
«Non fare promesse che non puoi mantenere», calciò una foglia a terra, sorpassando un altro terreno e un altro cancello.
«Non legartela al dito in questo modo, per favore… E ti scriverò per gli auguri! Adesso devo andare. Ci… sentiamo più tardi? Chiamami stasera, o ti chiamo io».
«Va bene, sorellona. Ti chiamo. Stasera».
«Davvero, Kara».
«Davvero. Ti chiamo io». La salutò e chiuse la chiamata, alzando lo sguardo al cielo limpido incorniciato dalle foglie scure degli alberi. Sorrise. Era dispiaciuta che Alex non ci sarebbe stata ovviamente, non mancava mai, ma amava farle credere di essere ancora più dispiaciuta, e magari arrabbiata, di quello che era in realtà: era quasi il suo modo di assicurarsi che per lei ci sarebbe sempre stata.
Superò un'altra villa prima di imbattersi in verde e nient'altro che verde per un po', prima del prossimo cancello, altissimo e dorato. Era arrivata. Alla sua destra, nel muro prima del cancello, vi era affissa una targa con su scolpito Luthor; rise vedendo che, manualmente, era stato attaccato con un nastro adesivo un pezzo di foglio plastificato con su scritto Danvers. Alzò il naso e guardò in mezzo alle sbarre, oltre alla strada circondata da aiuole e cespugli fioriti, osservando la grande villa dei Luthor. Non sapeva se era la sua impressione, ma le sembrava perfino più grande di altre villette sorpassate prima. Era bianca e alcuni muri, al pian terreno, erano composti da grigi mattoni a vista. Vedeva una terrazza e colonne e lampioni. Suonò il campanello e la nasale voce di Lena le rispose al citofono: «Ce ne hai messo di tempo». Kara sorrise e intravide la porta aprirsi e lei affacciarsi, a braccia a conserte, nell'ingresso, mentre il cancello scorreva per lasciarla passare. Camminò sulla strada asfaltata guardandosi intorno con curiosità. Sorpassò la rotonda lentamente, guardando che alla sua sinistra, oltre agli alberi, c'era un altro edificio, più piccolo, che seguiva lo stesso stile della villa. Alla sua destra, invece, la strada proseguiva verso il garage. Lena l'aspettava appoggiata contro una colonna di mattoni grigi. Kara la squadrò con attenzione: calze corte e leggins neri al ginocchio, una maglietta larga che le scopriva una spalla, a maniche corte, i capelli arruffati tenuti all'indietro con quella che le sembrava proprio una matita. Senza trucco, semplice, bella come sempre. Si immaginava ad andarle incontro saltellando per poi stringerla a sé e baciarla con passione… Le sue labbra così vicine… oh, accidenti.
«Non ci credo che ti sei persa, la strada è tutta dritta! Avrei dovuto insistere e mandarti la macchina».
Lena l'abbracciò in modo goffo, non era mai successo, come se all'improvviso non si ricordasse come si facesse e Kara la guidò, passandole una mano sulla schiena. «È che non sono mai stata da queste parti! Ho fatto delle foto, ogni tanto mi sono fermata…», ansimò, guardandosi di nuovo attorno, «E così è qui che abiti, eh? Modesto…», rise e l'altra con lei, scuotendo la testa.
«Non hai idea di quanto! Vieni, ti faccio fare un tour».
La fece accomodare davanti a lei e Kara si ritrovò in un ampio ingresso circolare: c'erano delle piante nei vasi, due bassi mobiletti in legno, l'appendiabiti, quadri su cui erano dipinte le onde del mare appesi nelle pareti bianco grigie, ai lati le scale per il piano superiore che incorniciavano la stanza in modo elegante, sotto di loro ingressi ad altre zone della casa, ad arco. Le scale affacciavano su un soppalco protetto da una ringhiera in legno scuro e, sotto, davanti a loro, l'ingresso finiva con lo scalino di quello che sembrava un soggiorno, ma era molto più grande e spazioso di come solitamente Kara definiva un soggiorno. Era un magnifico salone.
«Seguimi», le disse Lena, prendendola per mano con coraggio. «Grossomodo ti avevo già fatto vedere quasi tutto in videochiamata, ma dal vivo è un po' diverso».
Kara non riusciva a smettere di stupirsi, a bocca aperta. Un ampio tappeto rettangolare stava sotto un tavolo e sedie; per centrotavola un vaso dipinto a mano su cui erano immerse rose rosa. C'erano innumerevoli quadri di paesaggi, cavalli, ritratti antichi di chissà quale avo. Su una parete, tra un angolo vicino a una portafinestra e un camino chiuso, una grande cristalliera antica e davanti, adagiata su un comodo e rotondo tappeto bianco, un pianoforte scuro. Kara trascinò Lena nella sua direzione.
«Questo non lo avevo visto in videochiamata. Sai suonare?», le chiese stupita e vide Lena annuire, abbozzando un sorriso.
«Non lo faccio più come prima, sono piuttosto arrugginita, ma sì, so suonare».
«Non me lo avevi detto», lasciò andare la sua presa, che la metteva a disagio, e le picchiettò una spalla. «Al ristorante mi hai fatto fare una figura, quella volta».
«Te la sei cavata benissimo, direi», controbatté. Si avvicinò alla portafinestra e sollevò la tenda dai toni chiari, mostrandole il giardino: c'erano altre piante nei vasi coperte dalla tenda da sole e, più avanti, verso sinistra e dietro gli alberi, si intravedeva l'altro piccolo edificio. «Lì c'è la dependance, magari te la faccio vedere dopo».
Dal soggiorno entrarono nella sala da pranzo: Kara riconobbe alcuni dettagli sullo sfondo e le pareti sul giallo. C'era un tavolo e le sedie intorno, sul muro un grande televisore e, davanti, la zona cucina, con penisola che riconosceva poiché Lena si era videochiamata spesso seduta lì mentre beveva caffè. Le fece vedere che anche da lì si accedeva al giardino e all'ingresso, poi tornarono indietro, le mostrò il bagno di servizio, che Kara notò brillava come uno specchio nero e rosa, sorpassarono il divano dai toni chiari che si estendeva per metà salone, curvando intorno a un tavolino di vetro, così le fece vedere la biblioteca, non mancandole di farle notare che anche da lì si usciva in giardino o si passava all'ingresso o, aprendo un'altra porta, verso il garage: Kara spalancò gli occhi vedendo che erano presenti tre macchine e c'era il posto vuoto di una quarta, che doveva essere quella nera che solitamente guidava Ferdinand. Così Lena la portò su per altre scale, ritornando in soggiorno.
«Siete voi», esclamò fermandosi a metà scala, notando che sulla parete erano affisse nei quadretti delle fotografie di famiglia. C'era una Lena bambina con suo padre che la teneva in braccio, con sfondo il molo e una barca. In un'altra foto un giovane Lionel Luthor era da solo in un ritratto in bianco e nero. In un'altra foto c'erano Lionel e Lillian insieme, stranamente abbracciati, erano giovani. C'erano davvero tante foto di Lena bambina e poi ragazza, ma quelle di un altro bambino erano almeno il doppio. Era la prima volta che Kara vedeva Lex, capelli arruffati che mangiava un gelato, che teneva in mano un diploma dritto con la schiena, a fianco a suo padre, seri entrambi, o in sella a quella che sembrava la sua prima bicicletta. Il taglio degli occhi era indubbiamente quello di suo padre, pensava Kara, ma lo sguardo era assolutamente quello di Lillian Luthor. In una foto, Lex e Lena erano in groppa a un cavallo insieme, con lui che stringeva lei davanti, piccolina. Non erano poche le foto in cui i due comparivano insieme e in molte di quelle, specialmente quando Lena era piccola, lui sembrava proteggerla e stringerla a sé. Si vedeva che erano molto legati.
«Sali», le disse, attirando la sua attenzione, «Vieni qui».
La fece fermare su di uno scalino in particolare e Kara scoppiò a ridere, scoprendo altre foto interessanti: Lillian ed Eliza insieme in piscina, in un parco, in un'altra erano vestite da cerimonia e Lena le fece notare che era stata scattata durante la loro festa di fidanzamento. Come se non bastasse, in altre foto comparivano loro e non ricordava neppure quando erano state scattate. Come lei e Alex che leggevano una rivista sedute sul divano di casa Danvers-Luthor, di schiena. In una foto c'era solo Biancopelo, l'amato gatto che era stato scambiato per procione ed era rimasto con loro per poco. In un'altra foto c'erano lei e Lena che si scambiavano uno sguardo.
Trangugiò, capendo che erano state colte nel fatto. Erano state colte nel fatto eppure quella foto era lì, appesa in mezzo a tante altre senza sospetto, ricordando di quando Lena le disse che avrebbero potuto avere una relazione sotto il loro naso che non si sarebbero accorte di nulla. Quella foto era così compromettente ai suoi occhi, e così innocente per quelli di Lillian Luthor che l'aveva scattata e fatta incorniciare. Guardò la ragazza con la coda dell'occhio e ritrovò i suoi occhi chiari, mai così caldi, che la fissavano. Anche lei doveva aver pensato lo stesso.
Salirono al piano superiore e si affacciarono dal soppalco verso l'ingresso da cui erano entrate, mostrandole la botola per salire in soffitta, poi Kara seguì Lena in un lungo corridoio e le aprì davanti una porta dopo l'altra, mostrandole velocemente un bagno, uno studio, un altro studio più grande, una camera degli ospiti e un'altra camera degli ospiti, dichiarandole che sua madre aveva intenzione di chiedere a lei e ad Alex di sceglierne una da far diventare la loro stanza, poi un altro bagno. Saltò una porta e aprì quella di Lex, buia, e poi quella della camera delle loro madri, mostrandogliela velocemente, rivelandole che la camera oltre al bagno privato accedeva alla terrazza. Poi le mostrò brevemente un altro studio più piccolo e così aprì l'ultima porta, quella che aveva saltato, dicendole che era la sua camera.
Solo in quel momento, come colpita da un'illuminazione improvvisa, Kara si rese conto che erano da sole in quella grande villa. Da sole. «N-Non avete anche dei cavalli?», domandò di punto in bianco e Lena annuì.
«Hai ragione, seguimi». Si affrettò a indossare delle ciabatte e tornò indietro per il corridoio.
Cessato allarme. Cessato allarme, ripeteva nella mente, mentre piano sospirava. Uscirono da una portafinestra nel salone e Lena decise di mostrarle anche la dependance. C'era un soggiorno che faceva anche da ingresso e sembrava adibito a zona relax, con cuscini, televisore, peluche, divano e poltrone. C'era una cucina più piccola di quella della villa ma completa di tutto. Un bagno. Una camera con letto matrimoniale, una con due letti singoli e un'altra porta, dopo qualche scalino, si affacciava il magazzino, buio, dove Lena le fece notare stavano sistemando provvisoriamente le cose di suo padre. Uscendo dalla dependance, Lena seguì una strada di piastrelle giallognole che portava dietro la villa, oltre qualche albero, a una recinzione. Aprì il cancelletto e Kara, oltre alla stalla, non poté fare a meno di notare a quanto fosse immenso il terreno che seguiva la recinzione. Una distesa verde e a tratti fiorita, con qualche albero e cespuglio. Si avvicinarono alla stalla e Lena le disse subito di stare attenta a dove metteva i piedi per via del fango, appena in tempo che Kara scivolò un piede e si mantenne a lei, con un po' di imbarazzo.
«Lei è Principessa», esclamò davanti a uno dei box della stalla e si affacciò subito l'enorme facciona di un cavallo bianco. «Rispondeva già a questo nome quando l'abbiamo acquistata», ci tenne a precisare e Kara sorrise, osservandola accarezzarle il muso e il cavallo, buono, fidandosi ciecamente delle sue mani delicate. «Non ti morde», le disse, disincantandola, «Vuoi provare?».
«Modestamente, sono piuttosto brava coi cavalli», rispose con orgoglio. Con un ampio sorriso stampato in faccia, allungò una mano lentamente e cominciò ad accarezzarla.
«Hai ragione», le sorrise a sua volta, «Allora sei pronta per salirle in groppa». Carezzò ancora Principessa e aprì il box, mentre Kara sbiancava.
«No».
«Sì».
«No. Emh, Lena… Accarezzarla è ben diverso dal salirle sopra», ridacchiò con palese nervosismo e Lena la guardò con malizia, intanto che sistemava una sella sopra il cavallo.
«Non ti accadrà nulla, ci sono io», sorrise, toccandole la punta del naso, «Starete ferme e Principessa è buonissima». Prese il cavallo e l'accompagnò fuori dalla stalla, seguita da una Kara in bilico, temendo di scivolare di nuovo sul fango. «E ti voglio piacevolmente ricordare che per te mi sono gettata da una piscina alta metri su un materassino; che era mezzo sgonfio, perfino».
«Per me?». Lena le sorrise e Kara arrossì, capendo di averlo detto a voce alta.
«Dai, monta su».
«I-Io non so… non so da dove-», guardò la sella da un punto all'altro e Lena si portò dietro di lei, mostrandole come si faceva. Il piede destro, tirarsi su, portare la gamba sinistra dall'altra parte e sedersi. Nonostante la paura riuscì al primo colpo e sorrise entusiasta, accarezzando Principessa sul collo.
«Beh, niente male, Kara Danvers…», si complimentò, «Allora forse riusciresti anche anche a galoppare un pochino».
Si voltò di scatto, presa dalla paura. «Oh, no, no, assolutamente no! Ho paura di farle male, non-non sono capace, Lena».
La ragazza scosse la testa e si aggrappò alla sella, sedendo dietro di lei e prendendole da sotto le mani le redini. «Un giro veloce o Principessa soffrirà per il peso, non è abituata», le disse soffiandole in un orecchio e Kara arrossì, annuendo.
Lena scoccò le redini e Principessa partì, mentre Kara, goffamente, tentava di mantenersi prima ai ciuffi della criniera del cavallo e poi alla sella. Sembrava spaventoso all'inizio, Principessa era veloce e continuava a sballottarle su e giù, ma a un certo punto iniziò a rilassarsi e a godersi il panorama, il percorso, la brezza sul viso, il cielo sereno e i palazzi di National City che spuntavano dietro gli alberi. Il respiro di Lena sul collo. Oh, sì, il suo respiro caldo che le solleticava la pelle.
Fecero il giro e tornarono lentamente alla stalla. Principessa era tranquilla e conosceva la strada, così Lena sembrò approfittare del momento e Kara non se lo aspettava, ma l'abbracciò, poggiandole la testa su una spalla. D'un tratto, e senza usare parole, era come se Lena si fosse dichiarata per prima. Kara non poteva muoversi dalla sua posizione, e forse l'altra aveva osato proprio per quella ragione, così l'unica cosa che si azzardò a fare fu alzare le braccia e poggiare le mani, stringere appena, sulle sue braccia. Era l'unico ricambio all'abbraccio che poteva.
«L-Lena…», deglutì, capendo che toccava a lei. «V-Volevo dirti una cosa».
Principessa si fermò e Lena la lasciò andare di fretta, scendendo da cavallo. Kara la vide sospirare, cercando di non guardarla negli occhi. «Andiamo, Kara. Devo ancora dirti cos'ho scoperto questa notte».
«Giusto», annuì, cercando di restare seria. L'aveva interrotta di proposito, certo… Lei aveva deciso di dichiararsi perché la vita era una e voleva viverla appieno, ma forse Lena non era dello stesso avviso e l'abbraccio rubato in un momento che non poteva ricambiare ne era la prova. Trattenne uno sbuffo, pensando che avrebbe dovuto immaginarlo.
«Andiamo».
Kara arrossì. «Non posso».
«… Perché?».
«Beh… non so scendere».
«Come sei salita, sciocca», rise.

Dopo averla aiutata a scendere da cavallo, Lena liberò anche gli altri tre cavalli, tutti di un bellissimo e lucente marrone, e li lasciò correre, dichiarando che li avrebbe fatti rientrare prima del tramonto. Tornarono dentro e nella camera di Lena, che prima, per paura di restare lì dentro da sola con lei, Kara non aveva dato nemmeno un'occhiata. Era spaziosa, elegante come lo era lei, ordinata e ben illuminata. C'era una scrivania moderna vicino alla porta, una libreria e un mobile. Nella parete a destra un armadio a quattro ante, una poltrona e la porta del bagno privato. Davanti il letto, a due piazze; il comodino a sinistra del letto e un altro mobile a destra. Nell'ultima parete erano disposte tre finestre e sotto dei cuscini da terra e un tappeto, vicino una sedia. Era accogliente e i dettagli la rendevano personale. Come i quadretti appesi alle pareti che davano un tocco di colore caldo alla stanza. O la parte dell'armadio che dava alla porta su cui aveva attaccato parecchi post it di quelli che sembravano appunti. Nella parete sopra il letto era appeso un arazzo con una citazione letteraria dello scrittore in lingua romena Efim Tarlapan, Se sei libero sei tu che crei il mondo; se non sei libero il mondo crea te, con sfondo piccoli pesci colorati tutti diversi che nuotavano nel mare. Ma la cosa che più di tutti aveva attratto Kara, erano dei trofei sulla bacheca vicino alla libreria. Si avvicinò rapidamente e ne sfiorò uno, che aveva l'aspetto della torre degli scacchi. Lesse e la guardò senza fiato:
«Sei una campionessa di scacchi?».
Lena prese la sedia vicino alla finestra e la portò davanti alla scrivania accanto alla sua, non trattenendo una breve risata: Kara sembrava sempre così sorpresa. «Sì. La cosa ti stupisce tanto?».
«Non è che mi stupisca in quel senso, ma…», li guardò di nuovo uno ad uno, adocchiando quanti primi posto erano presenti, «è che non me ne hai mai parlato».
«Non ne abbiamo avuto occasione, credo», si sedette con lo sguardo rivolto a lei, mentre il suo laptop si accendeva. «Ho partecipato a vari tornei dalle scuole elementari, ho smesso dopo il liceo. Troppe cose a cui pensare, presumo».
«Wow…», bofonchiò rapita, «Ci sono ancora un sacco di cose che non so di te».
«Potrai scoprirle quando vorrai», rispose e mantenne un sorriso fino a quando Kara si sedette accanto a lei: era il momento di parlare di cose serie. Aprì la pagina del forum di medicina e così il messaggio privato, poi la sua casella email e le mostrò la stessa serie di numeri arrivata da un account sconosciuto a cui non rispondeva nessuno. «Deve essere stata la ex segretaria di mia madre, per assicurarsi che arrivassero».
Kara aggrottò le sopracciglia. «Ma a cosa si riferiscono?».
Lena copiò e incollò la serie di numeri che aveva aggiustato durante la notte e, quando inviò, il mondo ruotò, cambio velocemente e si avvicinò sempre di più a una zona specifica, fermandosi infine su una via, contrassegnando un'abitazione.
Kara riconobbe subito Central City. «Coordinate… È dove abita…?»
Lena cliccò e si aprì la foto di una casa del luogo. «Sono stata un po' sciocca a non pensarci subito: doveva aiutarmi a ritrovare il coroner, quindi mi ha inviato la sua posizione. Non è andato poi così lontano», esclamò, guardando la casa e dopo lei. «A questo punto, immagino che sia scomparsa di proposito per non farsi coinvolgere».
«Ci andremo», concluse Kara con determinazione. «Sappiamo dov'è, non ci resta che andarci a parlare».
«Vieni anche tu?».
«Certo».
«Ottimo. Pensavo di pernottare in un albergo: una notte dovrebbe essere sufficiente».
«Non è lontana da casa del mio amico Barry: prima chiedo a lui se può ospitarci», sorrise. «Mi ha sempre detto di andarlo a trovare quando voglio e se vado lì e non mi faccio sentire chissà cosa penserà».
Lena perse il suo sorriso, non del tutto convinta che fosse una buona idea. «Kara, ne sei sicura? Come faremo a spiegargli il motivo della nostra visita?».
Lei, che stava già prendendo in mano il cellulare, si fermò soprappensiero. «Hai ragione. Sono certa che se dovessi dire a Barry il reale motivo per cui andiamo capirebbe, insomma, senza perderci in dettagli, manterrebbe il segreto, ma se non te la senti vada per l'albergo. Mi sta bene».
«Ti fidi di lui?». Kara annuì e Lena sospirò, alzandosi dalla sedia, con improvvisa voglia di muoversi. «Allora mi fido del tuo giudizio. Una mano in più potrebbe tornarci utile, dopotutto».
Gli telefonò davanti a Lena, che le suggeriva cosa dirgli, e lui rispose che le avrebbe fatto sapere, ma le era parso piuttosto entusiasta.
«Mangi qualcosa?».
Kara sorrise e, scuotendo al testa con aria canzonatoria, Lena le fece strada. Scesero di nuovo in cucina, con Kara che continuava a guardarsi intorno e a scoprire cose nuove, come alcuni vasi che sembravano antichi o il taglio delle colonne che reggeva l'enorme salone. Le toccò, come per assicurarsi che non fossero finte.
«Questa casa è enorme… Come fai a non perderti tutte le sere?», roteò su se stessa, seguendola per la cucina, «Dovessi fare una caccia al tesoro qui, ci metterei dei giorni».
Lena rise, aprendo la porta che dava al giardino per far passare un po' d'aria. «Eliza si perde spesso, infatti».
«Okay, cosa mangiamo?», si poggiò al bancone della penisola, osservandola dalle finestre che riempivano quasi l'intera cucina intanto che si spostava fuori, sistemando chissà cosa.
«Prova a guardare se sono rimasti dei gelati, altrimenti ti preparo qualcosa».
Kara si spostò curiosa, guardandosi intorno alla ricerca del freezer. «Sai cucinare?».
«Qualcosa», rispose, rientrando.
Aprì il pensile di legno e rimase perplessa: era sicuramente una parte del frigo, ma era pieno di alcolici su ogni ripiano.
Lena rise, dietro di lei. «Ah, sì, hai trovato l'angolo della casa preferito di mia madre! Ti dirò che da quando Eliza abita qui beve molto meno del solito, ma li ama troppo per separarsene». Richiuse e le ordinò di andare a sedersi, così Kara piantò i piedi, indecisa se farlo lì davanti al bancone, davanti al tavolo in sala da pranzo, o nel divanetto o in una delle poltrone davanti alla tv, ma quanto era grande quella tv, o in uno degli sgabelli accanto a una delle finestre. Quella cucina era più grande della sua camera e di quella di Alex messe insieme, pensò. E forse poteva includerci il bagno. Anzi ne era certa. Infine decise di accomodarsi lì davanti al bancone, appoggiando i gomiti nell'osservarla muoversi. C'era uno scomparto del freezer in basso a sinistra, ah, e pure uno in alto a destra, più piccolo. Tirò fuori una scatola di gelati confezionati e gliela mostrò, così lei annuì.
Andarono fuori a mangiare, sedute su degli sdrai sotto una tenda da sole. Sull'erba era montata un'altalena, vicino a un albero, e Lena le disse che da bambina ci si era arrampicata spesso prima che Lillian la vedesse e la sgridasse ricordandole che non stava allevando una scimmia.
«Avrai avuto un'infanzia particolare con lei come madre».
Lena ingoiò del cioccolato, scambiandole un sorriso. «All'inizio stavo attenta che non mi sorprendesse, Lex mi aiutava e stava giù per assicurarsi che non avessi bisogno di aiuto, ma poi penso di averci nutrito un certo gusto e cominciavo a farlo solo per infastidirla», morse e mandò giù un altro boccone. «Lei aveva tutto il resto: i miei ottimi voti a scuola, le mie lezioni di piano private, le mie buone maniere con gli ospiti, cosa dovevo indossare fuori e in casa in sua presenza, chi dovessi frequentare e con che frequenza e chissà cos'altro non mi viene in mente, controllava tutta la mia vita… Io volevo solo essere una bambina come le altre e arrampicarmi su quell'albero».
Kara allungò i piedi, riuscendo a sentire il sole oltre la parte coperta dalla tenda sopra le loro teste, giocando a muoverli. «E gli scacchi?», domandò, «Anche loro erano solo qualcosa che Lillian aveva programmato?».
«Gli scacchi erano miei e di Lex. Anche lui faceva delle gare e sempre lui mi ha insegnato a giocare. Le facevamo credere che anche quello fosse una cosa sua, ogni volta che portavamo a casa un trofeo vinto era inconsciamente per merito suo, portava prestigio alla famiglia, sai, ma erano nostri. Erano una cosa nostra».
Parlarono ancora un po' degli scacchi e delle numerose partite, molte di quelle vinte, a cui aveva partecipato, facendole capire quanto per lei fossero stati importanti al tempo, come univano lei e il suo fratello maggiore, e come si era divertita. Kara ascoltava rapita e ogni tanto sorrideva, annuiva o rideva, e Lena altrettanto. I due fratelli sembravano molto più vicini in passato che ora e Kara si domandò cosa o come successe, pensando che forse sarebbe accaduto lo stesso a lei e ad Alex, ricordandole che non ci sarebbe stata alla sua prima partita di stagione. Qualsiasi cosa avesse separato in quel modo Lena e Lex, era pronta a combattere perché non capitasse anche a loro.
Fecero una passeggiata in giardino e Lena le raccontò altri aneddoti di quando era bambina, Kara si lasciò prendere dall'entusiasmo e raccontò a sua volta di lei e dell'Alex scorbutica con cui aveva avuto a che fare.
«E di quando eri con i tuoi genitori, Kara? Che tipo di bambina eri?», le chiese. Si era seduta sull'erba appoggiata schiena contro all'albero e Kara sull'altalena, guardando il cielo.
«Ero…», fece un sorriso malinconico, «felice», poi la guardò. «Ero felice, credo».
«Qual è la prima mossa?», le chiese, «Da dove dobbiamo partire per approfondire cos'è successo a loro?». Lena le aveva già mostrato cos'avevano trovato lei e Winn ma non era più di quanto Kara già non sapesse.
«Pensavo che entrare a lavorare alla CatCo fosse la prima mossa da fare», la vide annuire e proseguì. «Lavorare lì mi darà accesso a vecchi articoli, vecchie fonti… Non voglio correre, voglio fare le cose per bene, ma voglio farlo. Devo farlo», aggiunse.
«Hai mai pensato di andare a parlare con le persone che sono finite agli arresti?».
Kara si fece più seria di colpo, deglutendo e così riguardando il cielo. «Sì, ma… non voglio farlo, non adesso. È presto».
Lena capì subito dalla sua reazione quanto era presto, decidendo di non insistere. «Lo sai che sarò con te, vero?».
«Lo so», le sorrise, «E adesso devo decisamente andare», scese dal sellino dell'altalena. Il cielo si stava colorando di giallo, lontano, e non aveva intenzione di farsi la strada per il campus al buio, considerando quanto doveva camminare. «Ti farò sapere cosa mi risponde Barry e a che ora sarà la partita», esclamò rientrando in cucina, mani dietro la schiena e con un sorriso, «Perché hai ancora intenzione di venire a vedermi, non è vero? Alex non ci sarà e sono molto arrabbiata con lei per questo».
«Oh, non ho intenzione di farti arrabbiare, quindi caschi il mondo sarò presente». Chiuse e Kara recuperò la sua borsa che aveva lasciato nell'ingresso, quando Lena l'ammonì di aspettarla che sarebbe tornata subito, sparendo su per le scale. «Ecco, questa l'ho fatta per te», le passò una foto, «Per fortuna mi sono ricordata; puoi aggiungerla al tuo muro, con le altre».
Kara rise vedendo la foto che ritraeva lei con Biancopelo in braccio, scattata nel giorno in cui stavano lasciando i volantini per strada in modo da farlo ritrovare con sua famiglia. Si vedeva la fila di negozi di sfondo, sfocati, il cielo limpido, il rossore sulle sue gote mentre sorrideva e il micio quasi più in posa di lei, con i baffetti che le accarezzavano il mento. «Bellissima. Grazie».
«Sei sicura che non vuoi un passaggio in macchina? Si sta facendo tardi».
«Scherzi? Supergirl ha una partita a giorni e si deve allenare: duro lavoro, camminare fa bene, devo tonificare i muscoli».
Lena si lasciò sfuggire un'occhiata sulle sue braccia nude, sospirando. «Eh, sì… ne hai proprio bisogno».
«Come?». Rideva e non aveva ben sentito il suo bisbiglio.
«Che tra poco si farà buio, Kara».
«Non è un problema. Ah, considerando che sei così gentile, mi piacerebbe anche avere una copia di quella foto appesa sul muro, per le scale».
«Quale?», portò le braccia a conserte.
«Quella dove ci siamo noi, d-dove ci guardiamo, sì», rispose mal nascondendo imbarazzo, fissandola negli occhi chiari.
L'altra annuì, avvicinandosi. «Sarà tua».
Kara sorrise e Lena le guardò le labbra, di sfuggita, un solo attimo, ma lei se ne accorse. Alzò la mano destra e le sfiorò una guancia lentamente, spostandole un capello scuro, ma non la abbassò: restò lì, ad accarezzarle delicatamente la pelle fresca. Socchiusero gli occhi e si avvicinarono; lo volevano entrambe e non potevano tornare indietro. Si sfiorarono le labbra ma la serratura di casa scattò e si separarono all'istante, guardando altrove, col cuore che batteva furioso in petto.
«Lena! Sei a casa?», la porta si aprì e le due scorsero lo stretto chignon dei capelli scuri di Lillian mentre era abbassata intenta a pulirsi le scarpe. «Ho visto i cavalli liberi, è tardi- Oh, sei qui», le vide e sorrise di colpo, «E c'è anche Kara».
«Kara è qui?». Dietro di lei entrò anche Eliza, sorridendo estasiata nel vederle insieme. «Finalmente sei venuta! Ce ne hai messo di tempo, eh? Tua sorella è venuta qualche giorno fa, anche se si è trattenuta poco».
Kara guardò Lena perplessa, mentre l'altra tratteneva una risata. Le abbracciò entrambe e lo fece anche Lillian, ricordando alla figlia di far rientrare i cavalli.
«Resti a cena, Kara?», domandò quest'ultima camminando verso l'ingresso per la cucina.
«No, no, grazie».
«Ma si è fatto tardi, quando arriverai al campus ti sarà già passato l'appetito».
«Oh, questo lo dubito», rispose Eliza, facendole l'occhiolino; «Se non vuoi tornare al campus, però, puoi sempre restare a dormire».
«No, no, no, no, no, no, non posso», scosse la testa presa dal panico ed Eliza la guardò con sospetto, non capendo il perché di tanta agitazione, intanto che Lena, al suo fianco, si portava una mano sul viso, coprendo un sorriso divertito. «Se resto a dormire, non potrò svegliarmi presto andando direttamente ad allenarmi la mattina. E ho la squadra, adesso sono il capitano, ho delle responsabilità e siamo contro Gotham e già m'immagino quella Kyle, la loro capitano, che si prende gioco di noi che non siamo bene allenate, quindi no, n-non posso, non posso proprio», annuì con decisione. L'aveva convinta.
Eliza e Lillian le dissero di essere dispiaciute di non poter andare a vederla per via del lavoro e Kara uscì dalla porta seguita da Lena con la scusa che sarebbe andata a far rientrare i cavalli. Il cielo era arancio e si stava scurendo in fretta. Il cancello si aprì e Kara si portò subito dietro, guardando Lena di sfuggita. La salutò con un sorriso veloce e si voltò per andarsene, quando ebbe un sussulto e, cogliendo il momento, tornò indietro con uno scatto, a lei che si era rassegnata a vederla andare via, e le spinse le labbra contro le sue. Lena cercò di trattenerla ma Kara strinse gli occhi e si separò, camminando via velocemente.
«Kara! T-Ti accompagno in macchina? È da un po' che non guido e-», le gridò e lei continuò a camminare all'indietro, girandosi per regalarle un altro sorriso.
«Ci sentiamo presto, Lena». Doveva andarsene, doveva andarsene subito.
Il cancello si richiuse davanti a Lena che, ormai bordeaux, sospirava. Se l'avesse accompagnata, oh, sapeva che non l'avrebbe lasciata andare, non dopo quello.

Accidenti. Accidenti. Accidenti. Accidenti. No, no, cos'aveva fatto?! Accidenti.
Camminava avanti e indietro con rigidità militare per il corridoio davanti alla sua camera, prendendo grossi bocconi d'aria. Ancora non aveva avuto il coraggio di aprire e incontrare Megan. Ma doveva farlo, non poteva passare lì la notte, doveva anche riposare prima di un allenamento serio ed erano già passate diverse studentesse per chiederle come si sentisse. Accidenti. Prese un altro respiro e si fece seria, aprendo la porta. Megan guardava un film sul tablet, seduta davanti al tavolo e a un piatto ancora mezzo pieno. Mise in pausa prima di girarsi e vederla.
«Finalmente! Se mi avessi detto che facevi tanto tardi non ti avrei scaldato le patate che a questo punto saranno fredde di nuovo… Che hai sulla faccia? Sei rossa».
Stava trattenendo il respiro e infine scoppiò, mostrandole un enorme sorriso che si spense a breve, guardandola con gravosità.
«È un evviva, sì? Oppure un no?».
«S-No», le corse incontro, prendendo la sedia accanto e sedendo di peso. «È terribile, Megan! L'ho baciata».
«E non è fantastico?».
«Come una bambina bacerebbe sua madre», si lamentò.
«Va bene… questo è un po' meno fantastico».
Kara si lasciò andare si peso sulla sedia e poi si passò una mano sulla fronte, amareggiata. «Avrei voluto che il primo bacio fosse diverso da un casto labbra contro labbra, m-ma erano tornate Eliza e Lillian e… non lo so cosa mi sia preso, stavo andando via, non dovevo neppure baciarla, e poi l'ho fatto in quel modo e lei ha cercato di fermarmi e io lo so», la guardò spalancando gli occhi, «cosa sarebbe successo se mi fossi fermata ancora o se mi avesse accompagnata in macchina come voleva fare».
«Wow, è… meglio delle soap, direi».
«L'ho baciata, Megan. L'ho fatto».
Lei annuì. «E io sono fiera di te, Supergirl, ma devo aggiornarti su qualcosa».
«Hai finito di vedere per conto tuo gli episodi di Wynonna Earp?».
«No», sbraitò, per poi sorridere, «Anche se avevo una mezza idea ho tenuto duro e non l'ho fatto! Si tratta di Catwoman».
«Chi?».
Megan prese il tablet e tolse lo schermo intero del film, in modo da poter aprire Instagram, sotto lo sguardo curioso di Kara. «Catwoman», ribadì, «È così che si fa chiamare adesso». Le mostrò lo schermo e Kara impallidì, mugugnando qualcosa come Selina Kyle e guarda quanti follower. «C'è stata una rivoluzione sul suo account questo pomeriggio: ha postato un altro video dove fa parkour all'interno della sua università e i like sono schizzati; molti qui dicono che sarà tosta batterla e alcuni», prese una breve pausa prima di dirlo a una Kara pronta a scoppiare, «pensano che perderemmo, ragazza. Che lei è diventata troppo agile, adesso. Si sta facendo una pubblicità esagerata, ancora poco e supera i follower dell'account della nostra squadra».
Per tutta risposta, Kara grugnì, cercando di mantenere la calma. «Non saranno i follower a farla vincere in campo, ma capisco come la cosa possa farla sentire in vantaggio: avere tanti tifosi, un nome figo tutto nuovo», fece una smorfia, «E allora risponderemo per le rime. Trovati un nome figo tutto nuovo anche tu», la fissò, stringendo un pugno e alzandosi in piedi. «Le faremo vedere contro chi ha a che fare».
«Oh, ne ho uno! Mi chiamava così mia nonna quando ero bambina, ci sono affezionata».
«Perfetto. Noi vinceremo».
Megan era certa che una parte dell'euforia di Kara fosse imputabile al bacio, seppur casto come quello di una bambina, con Lena. Era agitata, ancora più distratta del solito, ma di certo ben presa dal suo obiettivo: vincere quella partita. Come se vincere ne dipendesse la sua vita e a Megan stava bene poiché spronava la squadra a dare il massimo e avevano tutte cominciato ad apprezzarla di più come capitano.
«Le krypto-cosa?», sbottò il signor Jonzz, guardando Megan a occhi sgranati, fuori nel campo da lacrosse.
«Kryptoniane. È un nome inventato».
«Questo lo avevo intuito». L'uomo si passò due dita sugli occhi, cercando di accumulare pazienza.
La ragazza stava registrando un video per Instagram mentre la squadra, sotto comando di Kara Danvers, faceva dei giri di campo per scaldarsi. «Ci siamo dati dei nomi per attirare più tifoseria», lo guardò per un attimo, annuendo, «I social network al giorno d'oggi ricoprono funzioni importanti. Ti posso chiedere il favore…?».
Lui si lasciò andare a un verso contrariato, ma infine le prese il cellulare, accettando di registrare un altro video per la squadra. «Staccherò a breve. Non ho intenzione di mostrare in diretta i vostri punti deboli».
«Punti deboli?», ridacchiò, «Lo sai, tesoro, che noi non ne abbiamo… Non dubitare di Miss Martian», gli mostrò il muscolo del braccio destro con scherno mentre raggiungeva in campo le compagne e lui scosse poco la testa, arrossendo.
Stava per attaccare la ripresa video, quando tornò serio di colpo, ricordandosi una cosa. Sfilò il cellulare dal taschino dei pantaloni neri e compose un numero, ascoltandolo squillare. «Sono io. Aggiornamenti sugli appostamenti all'indirizzo? Va bene, di' di continuare a darsi il cambio per coprire le ventiquattr'ore. L'agente Danvers? Dille di andare a farsi quella vacanza che aveva programmato senza tante cerimonie; se non ci sono aggiornamenti non abbiamo bisogno di lei. A presto». Staccò, infilando di nuovo il cellulare nel taschino e così cominciando a filmare per l'account Instagram.

Tirare in porta, parare, lanciare, scontrare, recuperare la palla, correre, tirare, segnare, ricominciare daccapo. Seguirono giorni di intensi allenamenti per le kryptoniane, Supergirl e Miss Martian, come avevano deciso di farsi conoscere su Instagram. I follower crescevano e in un video lanciarono una sfida a chi sarebbe riuscito a batterle, così Catwoman replicò con un altro video in cui alternava spezzoni di parkour a un discorso con la sua squadra su come si sarebbero scontrate con quella della Sunrise di National City ma che non avevano paura di scendere in campo. Si era aperta una battaglia a colpi di like prima ancora che di lacrosse.
Kara e Lena si erano risentite quando la prima ricevette da Barry il via libera, aggiungendo che Joe, il suo padre affidatario, non vedeva l'ora di averle come ospiti. Nessuna delle due parlò del bacio che c'era stato tra loro e sembravano avere intenzione di continuare per quella strada, senza imbarazzi, in armonia. La ragazza parlò anche con sua sorella che aveva ignorato, anche se non di proposito, per un po', sentendosi accusata di essere ancora arrabbiata per la sua assenza alla partita. Kara fu costretta ad arrendersi e a dirle che era contenta che lei andasse in vacanza con Maggie e Jamie e di non pensare al lacrosse. E così ricominciò ad allenarsi e a fare video e foto per il social network.

Era finalmente arrivato il gran giorno. Chi più e chi meno, la mattina la squadra era stata impegnata in qualche classe, ma come Kara aveva suggerito, gli allenamenti erano finiti e dovevano riposare per stare fresche durante la partita. Il signor Jonzz si rifiutò di chiamarle kryptoniane fino all'ultimo, quando appena prima della partita, in spogliatoio, si lasciò andare a un discorso commosso su come fosse fiero di loro e che la stagione era iniziata con il piede giusto, che avessero vinto oppure perso.
Uscirono per raggiungere il campo già illuminato e ognuna di loro cercò di adocchiare sugli spalti la propria famiglia, intanto che il cielo si faceva scuro. Kara sorrise radiosa quando incrociò lo sguardo di Lena. Era l'unica lì per lei, ma era anche l'unica che davvero desiderava lì per lei, al momento. Si infilò il casco e fissò le proprie compagne di squadra una per una, soddisfatta di come aveva gestito la cosa come capitano.
«Supergirl». Megan attirò la sua attenzione e le fece cenno con la testa, così si voltò, scoprendo che Selina Kyle, indosso divisa nera e gialla di Gotham e casco in testa, era diretta verso di lei con passo sicuro, mantenendo la stecca su una spalla.
La ragazza le mostrò la mano destra, senza guanto, pronta per stringergliela. «Sarà una bella sfida. Che vinca la migliore… Supergirl».
Kara sciolse la sua posa e le strinse la mano con piacere, togliendo anche lei il guanto. «Lo sarà sicuramente… Catwoman, eh?».
Lei rise, canzonatoria. «Stammi dietro, kryptoniana. Se riesci, s'intende».
«Avrò segnato prima che tu possa sbattere le ciglia, gattina», rimbeccò.
Ognuna raggiunse i propri posti accanto alle compagne e, quando l'arbitro fischiò, si scatenò l'inferno.
Era proprio vero che Selina Kyle era diventata ancora più agile, scaltra e veloce dall'ultimo incontro. Saltava in alto ed era difficile intercettarla, così si liberava della difesa e segnava sempre più di frequente. Kara cercò di far restare alta la concentrazione della sua squadra che ai primi fallimenti buttava giù il morale e, alla fine del il primo quarto di tempo, il signor Jonzz le sgridò di non distrarsi come sembravano fare, poiché se dovevano perdere, dovevano farlo sapendo di aver dato il massimo per non avere rimpianti. Ritornarono in campo con una nuova luce negli occhi e Kara suggerì la strategia.
«Fermo io la Kyle, non preoccupatevi di lei e passate la palla a Miss Martian», la guardò e lei annuì, «Possiamo vincere».
Catwoman si rese subito conto che le regole del gioco erano cambiate e che Supergirl le stava col fiato sul collo. Appena riusciva ad essere in possesso di palla e cercava di correre verso la porta, Kara Danvers le parava la strada come un carro armato, se saltava lo faceva anche lei, e andava davvero in alto, le fermava ogni mossa e le prendeva la palla da sotto il naso, lanciandola verso un'altra giocatrice della sua squadra. Supergirl in quel modo aveva rinunciato a segnare, ma non riusciva a farlo neppure più lei. Intanto, Miss Martian aveva segnato diverse volte e al secondo quarto si portarono in pari, con il pubblico che esultava in visibilio. Lena applaudiva con altri e perfino Mike Gand, seduto in basso, gridava con orgoglio.
Avendo ormai imparato la strategia, Catwoman finse diverse mosse e si liberò di Supergirl, riportando la sua squadra in vantaggio. Era una battaglia a chi la spuntava e, pari per un soffio alla fine del terzo quarto, tutte cominciarono a sentir crescere dentro di loro una certa fretta di vincere: non c'era più tempo per i giochetti.
«Siamo agli sgoccioli, kryptoniana. Pensi di farcela?», ridacchiò Selina Kyle e Kara sbuffò.
«Sarà sempre così, tra noi. E sai già chi la spunterà, no? Com'è andata l'ultima volta? Ah, già: ho vinto io», le sorrise, prima di rinfilarsi il casco.
L'arbitro fischiò e il gioco riprese. La palla passava in possesso da una giocatrice di squadra all'altra, e di porta in porta,, volando da una rete di stecca all'altra. Selina Kyle segnò diverse volte nonostante il rafforzarsi della difesa, ma lo stesso Kara Danvers e Miss Martian, che si davano il cambio e si passavano la palla con maestria. Catwoman tentò di rubare la palla in loro possesso, ma non c'era più tempo per sbagliare e impararono dai propri errori, coprendosi a vicenda e, infine, vincendo la partita. Per due soli punti, la squadra di National City si intascò la vittoria ed esultarono, mentre la platea applaudiva per l'ottima partita a cui avevano assistito.
«Se me lo avessero raccontato, non ci avrei creduto», le disse Selina Kyle a partita conclusa, liberandosi del casco e lasciando respirare la sua folta chioma di capelli ricci. Le due si scambiarono una stretta di mano e poi un abbraccio per congratularsi a vicenda. «Sei davvero super ma non montarti la testa, è chiaro, biondina? Alla prossima non avrai scampo».
«E io ci conto». Fece la superiore con lei, ma quando la lasciò per spostarsi con le alte ragazze della sua squadra, tirò un sospiro di sollievo, incapace di credere di aver vinto.


***


Ce l'avevano fatta. Era andata. Ed era il momento di festeggiare.
Entrarono tutte insieme in palestra e molte cominciarono a saltare, a cantare, gridare eccitate e ancora stupefatte della partita che avevano giocato, gettando i caschi e le stecche a terra. Kara e Megan si strinsero euforiche, gridando con altre compagne. Poi lei la lasciò per andare dal signor Jonzz che applaudiva soddisfatto a metri da loro e Kara scorse Lena per il corridoio, così si avvicinò alle porte: la ragazza si guardava intorno spaesata ma quando incrociò il suo sguardo con il proprio, Kara sentì qualcosa dentro di lei, qualcosa che era scattato e che era incapace di fermarlo. O al contrario: era certa di non volerlo fermare. La vide venire verso di lei con la bocca aperta per darle le sue congratulazioni, ma appena l'ebbe tra le sue braccia non vi fu altra certezza all'infuori di quella: doveva baciarla. La guardò e Lena socchiuse gli occhi, avvicinandosi. Le loro fronti erano vicine, così tanto che, quando qualcuno le diede un colpo contro la schiena, la fronte di Kara sbatté contro quella di Lena.
«Ahio», sbottarono entrambe.
«Hai la testa dura, Kara Danvers».
«È vero», biascicò.
Si scambiarono un sorriso e allacciarono il proprio sguardo all'altra e, senza perder tempo, Lena l'attirò a sé, affondando la bocca nella sua, sentendo entrambe che tutto era finalmente al posto giusto. Ci erano riuscite, si erano trovate. Le loro labbra morbide e calde, i loro respiri pesanti, le loro lingue unite; si accarezzarono con i pollici le guance arrossate a vicenda, sorridendo ancora, cercandosi con gli occhi e con la bocca. 
Quel bacio non avrebbe dato il via alla loro relazione poiché sapevano già entrambe che era iniziata da tempo, probabilmente da quella sera a casa di Clark Kent, a Metropolis. O no, forse prima, da quella notte a casa Danvers-Luthor e stavano per baciarsi se non avessero sentito le grida di Eliza per un procione. No, era partita molto prima: non alla mostra organizzata dalla Luthor Corp e nemmeno dal gelato alla vaniglia, come non era iniziata in piscina cadendo con un materassino e non era iniziata facendosi la guerra a vicenda a colpi di wi-fi e acqua calda che mancava dalla doccia. La loro relazione era partita da uno sguardo dopo la valigetta caduta, su un treno. Sapevano che tutto riportava a quel giorno, cambiando angolatura, Lena che le passava le braccia intorno al collo e Kara che la teneva sui fianchi, poi scese le mani e la sollevò attraendola a sé, poggiandola schiena contro il muro. Su quel treno, a Lena che l'aveva riconosciuta subito e l'aveva osservata con attenzione. Su quel treno, a Kara imbarazzata che non sapeva come interpretare le occhiate dell'altra. Sapevano che quello che provavano doveva essere sbagliato, ma non c'era nulla, ora che si toccavano e assaporavano con intensità, che le facesse pensare di essere nel torto. Ogni respiro affannoso, l'alito bollente, le lingue che esploravano l'un l'altra, il desiderio irrefrenabile, il calore provato erano tutte cose giuste, come gli ultimi tasselli di un puzzle che avevano aspettato di finire da giorni, in attesa di chissà cosa potesse cambiarlo invece di accettarlo per quello che era.
Tutti festeggiavano e solo alcune giocatrici, indicandole sorridendo, si accorsero di loro avvinghiate. C'erano ancora urla, risate, strepitii continui. Megan cercò di farsi spazio per ritrovare l'amica e restò a bocca aperta quando le trovò. «Alla faccia del bacetto casto…», si lasciò andare a una smorfia di approvazione, guardando le mani di Kara che finivano sul fondo schiena di Lena, a come quest'ultima si stringeva a lei con passione. Si voltò per tornare indietro quando Mike per poco non le sbatté addosso e Megan sbiancò.
«Ehi, cerco Kara», si grattò il mento, guardandosi intorno; Megan saldò i suoi piedi a terra, incapace di muoversi e dargli spettacolo. «Hai visto dov'è andata, per caso? Volevo farle i complimenti per la grande partita. Già, congratulazioni anche a te, Miss Martian», sorrise.
«Grazieeesì. L'ho vista, è tornata verso i dormitori, aveva lasciato lì il suo telefono». Lui la ringraziò e tornò indietro, così lei si voltò, osservandole.
Kara e Lena si erano incontrate sul treno, si erano guardate e qualcosa era iniziato, qualcosa a cui ora, con passione, stavano dando un nome.


























***

Aaaaaah! E alla fine… successe!!
Ditemi: ve lo aspettavate così presto? Ahahah. Dai, vi prendevo un po' amorevolmente in giro però, quando parlavo di slowburn nelle note al prologo, non scherzavo mica ;D E così Kara e Lena, senza parlarne apertamente, si sono avvicinate al punto da baciarsi davvero, e mica solo baciarsi…
Che poi lo ammetto, quando ho ideato il capitolo, il bacetto a stampo quando Kara va via da casa di Lena non era programmato, è stato aggiunto in stesura perché se ne sentiva il bisogno e le cose sono andate per il proprio corso. Le due non ce la facevano davvero più: quella è stata la miccia e dopo, complice l'entusiasmo dopo partita, la bomba è esplosa.
Cosa ne pensate? Di Lena e Kara che si conoscono meglio, di villa Luthor (a proposito, io ho cercato di immaginarla anche se non sono mai stata granché brava in architettura, ma descriverla è complicatissimo; chissà che idea vi siete fatti), dell'angolo della casa preferito di Lillian, di come Lena ha parlato della sua infanzia e di Lex, le foto, di Lena e Kara che pomiciano, della partita, di Selina Kyle, di Lena e Kara che si scambiano effusioni, di Mike che timidamente sta rientrando nella vita di Kara (contenti, eh?), di Lena e Kara che… credo di averlo già scritto…

Questo capitolo segna la fine di uno step e l'inizio di un altro per il rapporto tra Kara e Lena quanto per la fan fiction. Dunque vi faccio delle domandine che per me sono importanti, ma a cui non dovete rispondere per forza (anche se, se lo fate, vi vorrò un po' più bene, ecco), e potete farlo anche con due sole parole, niente di esagerato.
La storia continua a piacervi? Come trovate la trama? Cosa ne pensate dei personaggi?
È tutto XD

Piccola nota:
Per Selina Kyle, lo avrete magari notato, mi sono ispirata a quella che credo sia la sua versione più recente: quella della serie Gotham. Non per altro, ma cercando immagini online era quella che più si avvicinava alla mia idea del suo personaggio. Mi piace che i capelli siano a caschetto e ricci e ce la vedo a saltare da una parte all'altra con quelli che, quando sta senza cuffietta, rimbalzano.
Poi vabbeh, chiaramente è più grande del personaggio nella serie (anche se non so quanti anni abbia ora, sono stagioni che non lo vedo) e non è da classificare come un crossover con Gotham.

Bene, passo e chiudo.
Il prossimo capitolo si intitola Il rapporto tra sorelle è complicato e sarà pubblicato qui di lunedì. Tra una settimana esatta!

... e mi raccomando, se state guardando Wynonna Earp con gli amici, non fate i furbetti e aspettateli!





   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Supergirl / Vai alla pagina dell'autore: Ghen