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Autore: Chemical Lady    05/06/2018    2 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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saboteur

僕は孤独さ  No Signal

Sesto intermezzo: Cambio di rotta

Parte unica.

 

 

«Non è andata poi così male, alla fine. Sbaglio?»

Aiko premeva forte contro la clavicola sinistra per fermare il sanguinamento. In quel punto preciso, dove un taglio poco profondo ma lungo le arrivava sin quasi alla spalla. Una ferita da poco, che Roma le aveva inferto per una sua disattenzione, quando le urla di Sasaki avevano riecheggiato tra le mura della sede delle aste. Tutti erano fermati ad ascoltare quel lamento forte e doloroso, quasi folle, men che quel bizzarro membro dei clown, che aveva allungato il suo bikaku sfruttando la loro distrazione, facendo perdere l’equilibrio a Takeomi che combatteva senza più una quinque e arrivando fino a lei. Se Kuramoto non l’avesse tagliata, quella coda le avrebbe probabilmente trapassato la gola.

Proprio il biondo aveva avanzato quella domanda ripiena di puro ottimismo, mentre le allungava una lattina di soda al gusto di ciliegia, iper calorica e dal sapore stucchevole, ma che però l’avrebbe aiutata a recuperare un po’ di zuccheri. Lei l’aveva accettata sorridendogli sinceramente, nonostante gli occhi pieni di stanchezza e le membra pesanti, allontanando il panno e buttandolo in un cestino dei rifiuti, poco distante dall’ambulanza su cui si era appoggiata. Dentro di essa, su una barella, c’era Take, collassato. Takeomi l’aveva praticamente portato fuori in spalla.

«Abbiamo rischiato di perdere il caposquadra, quindi sì. È andata bene, alla fine.»

Itou aveva annuito lentamente, recuperando un minimo di serietà. «I paramedici ti hanno detto qualcosa?»

Lei lo guardò direttamente negli occhi socchiusi, tirando la linguetta per aprire la lattina. «Sono preoccupati per i tendini, quindi lo portano in ospedale per un paio di accertamenti, prima di ricucirlo. Uno dei dottori ha detto che la ferita sull’avambraccio lo preoccupa e pensa che lo dovranno operare. Probabilmente in mattinata.»

«Un altro bollino sulla sua cartella medica.»

Aiko non riuscì a trattenere una mezza risata. «Ormai ci siamo, il set di pentole è vicino. Mancheranno sì e no altri due o tre timbri. Non lo hanno mai operato alla testa e alle caviglie, direi.»

«No, lo hanno operato alla caviglia sinistra in realtà. Quattro  o cinque anni fa. Gli era uscito il perone, brutta storia.»

«Smettetela voi due, vi sento.»

I due giovani si guardarono con complicità, sorridendosi, poi Kuramoto allungò le braccia dietro al collo, «Vado a salutare Shukumei. Stava parlando con Kuroiwa e uno dei Quinx. Voi due non fate troppo casino sull’ambulanza.»

«Cercheremo di non litigare mentre lui è ridotto così. Non mi piace vincere facile.» Aiko guardò il biondo allontanarsi di qualche passo, prima di salire sul veicolo di primo soccorso. Prese posto sulla panca laterale, guardando negli occhi Hirako, che ricambiò lo sguardo. «Dormi, dannato demone. Senza Faccia ti ha conciato proprio bene, eh? Però devo ammetterlo, hai combattuto fino all’ultimo.»

«Come sempre?»

«Come sempre.»

La lattina venne appoggiata accanto alla sua caviglia, poi la mora si sfilò uno dei guanti, portando la mano sul capo di Hirako, fra le ciocche color rame, mentre scuoteva piano la testa, quasi come se lo stesse biasimando. Aveva combattuto da solo, mentre loro tre si concentravano solamente su Roma. Avrebbe potuto chiedere aiuto, ma non l’aveva fatto perché Uta, diamine, era forte. Aiko non poteva dirgli che lo sapeva e non poteva nemmeno dirgli quanto a disagio si fosse sentita quando il produttore di maschere si era voltato nella sua direzione, portando una mano laddove doveva esserci la sua bocca per simulare che l’avrebbe tenuta chiusa, da sopra la maschera, prima di sparire nel nulla. L’operazione però era finita e ciò che contava era che l’intera squadra fosse sopravvissuta.

Take in ospedale era quasi un rito, alla fine.

«Il classe speciale Washuu ci ha detto di andare. Vedi di metterti a letto il prima possibile, hai una faccia da far paura.»

Masa aveva alzato le sopracciglia, smettendo di accarezzargli il capo, quasi risentita. «Io e Itou veniamo in ospedale con te, schifoso ingrato. Poi come si dorme? Da dove inizio? Non me lo ricordo nemmeno. »

«Non dire sciocchezze, oggi è stata una giornata sfiancante. Non voglio che veniate con me.»

«Indovina quanto ci interessa la tua opinione? Molto poco. Ora vedi tu di dormire un po’, stai tenendo gli occhi aperti a fatica e hai perso un sacco di sangue. Non voglio vederti svenire pateticamente due volte nel giro di una sera.»

Lui non se lo fece ripetere e dopo un ultimo, intenso sospiro, chiuse le palpebre. Lei non smise di passare le dita in modo rassicurante fra i suoi capelli fino a che non vide il suo respiro farsi regolare. Erano rari quei contatti fra loro, ricorrenti solo quando uno dei due rischiava di morire. Dopo tornavano ad essere semplicemente Hirako e Masa, tra litigi e incomprensioni. Però, per quanto difficile da spiegare, entrambi diventavano più comprensivi quando uno dei due metteva in pericolo se stesso in modo stupido.

Aiko rimise il guanto, recuperando la bevanda e appoggiandosi con le spalle alla parete dell’ambulanza, alzando un secondo il capo per stirare i muscoli del collo, prima di girarlo. Kuramoto stava parlando in modo concitato con una giornalista molto bella che Masa aveva visto gironzolare in cerca di scoop più di una volta. Itou era troppo buono o troppo ingenuo – o entrambe- per negarle un’intervista. Per fortuna con loro c’era Takeomi, che teneva le braccia incrociate sul petto ampio e fermava di tanto in tanto il collega.

L’investigatrice però non guardò il volto della giornalista, né le scuse goffe del coinquilino biondo. I suoi occhi si ancorarono a due iridi sottili come quelle di un serpente.

Masa Aiko si era ritrovata a spiare il secondo livello Urie Kuki spesso, negli ultimi mesi. Era uguale a suo padre e per lei era impossibile non guardarlo e rivedere in lui Mikito. Mentre camminava per i corridoio della sede centrale con le mani in tasca e le cuffie sulle orecchie, di coda al resto della squadra Quinx, o quando rimaneva in dipartimento anche oltre l’orario per fare qualche ora di internato extra e lavorare di nascosto ai casi aperti da altre unità.

Lui però non l’aveva mai ricambiata, fino a quel momento. In quell’istante, forse per la prima volta, anche lui la stava guardando. Non c’era la stessa curiosità che albergava nelle iridi di Masa, nei suoi occhi, ma solo un velo di apatia. La ragazza si chiese come fosse andata la sua notte, quanti ghoul avesse ucciso usando la kagune. E cosa stesse pensando, guardandola.

La porta dell’ambulanza venne chiusa, interrompendo quel contatto e riportandola a guardare Take, mentre il paramedico richiamava Itou, che la raggiunse. Aiko stava bevendo, quando prese posto accanto a lei. Attese di sentire il motore partire e di vedere il biondo prendere la mano di Take, prima di attaccare gli occhi al paramedico, che stava controllando i parametri del caposquadra. «Il Quinx», sussurrò con tono basso. «Era ricoperto di sangue. Nottata movimentata?»

Kuramoto schioccò la lingua. «Non saprei, non ha detto una parola. Però un ragazzo delle comunicazioni mi ha detto che ha affrontato da solo Big Madame. Oggi lo dico per i posteri: sentiremo parlare molto più spesso di Urie Kuki. Quel ragazzo è una promessa.»

«Come suo padre.»

Aiko concluse, appoggiandosi col capo alla spalla del coinquilino, prima di chiudere gli occhi e sospirare.

Stanca, ma soddisfatta.

 

Capitolo trentacinque.

«Che brutto scherzo che ci hai tirato oggi, Aogiri. Non potevi proprio trattenerti dal fare l’eroina, immagino. Non l’hai mai fatto, che pessimo tempismo per cambiare attitudine. Proprio Tatara, poi? Di tutti i brutti stronzi che albergano questo mondo, dovevi diventare un’altra tacca sulla cintura di quel bastardo cinese?»

Il tono di Aizawa era così basso e atono da risultare impercettibile. Nello shock, non si stava nemmeno rendendo conto di star parlando per davvero, dando sfogo a tutti i suoi pensieri. Infondo nessuno lo stava ascoltando. Nemmeno l’inserviente che stava lavando via la pozza di sangue da sotto il lettino. Ivak non vedeva e non sentiva. Era diventato muto e cieco al mondo. Tutto quello ciò che riusciva a percepire era la mano di Aiko, sottile e pallida, ancora tiepida fra le sue. Lasciava scorrere su di essa le iridi celesti, soffermandosi sui lividi e sulle bruciature dell’avambraccio che sbucava da sotto il lenzuolo celeste che la celava.

Non aveva nemmeno il coraggio di guardarla in viso, in quel momento.

La raggelante consapevolezza che lui sapeva e non aveva detto o fatto niente lo immobilizzava. Se l’avesse denunciata, l’avrebbero arrestata e spedita in Cochlea, prima dell’espianto del kakuho. Oppure glielo avrebbero lasciato e l’avrebbero condannata a morte. Oppure sarebbe rimasta a marcire nelle celle della prigione, come informatrice. Erano tante le possibilità, ma tutte risultavano più dignitose nel saperla morta dopo una battaglia in una fogna, a strisciare sul ventre ai piedi dell’albino. Lo odiava, Ivak. Odiava Tatara come non aveva mai odiato nessuno.

Per alcuni minuti, forse, lo odiò anche più di quanto aveva odiato Arima, ma perché Tatara aveva avuto sulla sua vita e su quella dei suoi cari più influenza di un singolo colpo di quinque dello Shinigami Bianco.

«Te lo prometto, Aiko. Io li ucciderò tutti e due. Ucciderò Tatara e ucciderò quel vigliacco di Arima. Perché non lo ha preso, poi? Come può essergli sfuggito di nuovo? In una fognatura? No, no…. Qualcosa non quadra. Questa è tutta una gigantesca cospirazione…

Accarezzò piano il dorso di quella mano esangue, prima di scivolare con le dita fino alle sue unghie. Così come i capelli, avevano reagito all’eccesso di cellule RC, crescendo rapidamente. Le stesse cellule che avevano poi fermato il suo cuore.

Il dottore chiuse gli occhi rossi di pianto, ormai secchi e stanchi, stringendo le palpebre e passandoci sopra i polpastrelli. Aveva del lavoro da fare. Doveva espiantare il kakuho prima di poter andare a casa. Delicatamente ripose l’arto della giovane sul lettino, coprendola con delicatezza. Le mise il lenzuolo anche sul capo, recuperando un altro paio di guanti di lattice, prima di cercare una flebo di inibitori. Li avrebbe sparati direttamente nel nucleo dell’organo, per estrarlo senza rimetterci a sua volta la vita. Il Pavone avrebbe continuato a combattere sempre, a dispetto della sorte del suo ospite. Quando avvicinò l’agocanula questi ebbe uno spasmo, ma Ivak non gli diede il tempo di attivarsi. Lo infilzò senza pietà, aprendo subito il canale della flebo per irrorarlo.

Ciò che accadde dopo rischio di fermare il suo, di cuore.

L’intero corpo di Aiko ebbe un tremito, poi alzò il busto, facendo leva sulle e facendo cadere il lenzuolo di lato. Ivak arretrò così in fretta da inciampare nel carrello, rischiando di ferirsi con le attrezzature chirurgiche, mentre rotolava a terra. La mora prese un respiro profondo, come se fosse appena riuscita ad uscire da uno stagno, con le labbra spalancate e gli occhi sgranati. Si guardò attorno spiazzata, terrorizzata, coprendosi il petto con la stoffa, prima di depositare gli occhi sulla figura scomposta del dottore, che non era riuscito a dire ancora niente.

«Ivak?», lo chiamò, mentre la voce le tremava.

«Ma che cazzo, Aiko

E per un istante guardò con un moto di stizza mista al sollievo quelle iridi rosse avviluppate nel nero più profondo.

 

«Non so come sia possibile ma è così! È viva e lei mi serve ora in sala operatoria!»

Shiba aveva avuto appena il tempo di voltarsi verso Aizawa, mentre questi usciva dalla porta gridando al miracolo. Lo era davvero, un miracolo.

La morte era stata decretata sette minuti prima, eppure la ragazza era tornata indietro. Doveva esserci una motivazione razionale dietro, ma in quel momento a nessuno importava. Tutta la sala d’aspetto aveva trattenuto il respiro, a quelle parole.

Ivak si era spazientito subito. «Allora?? Continueremo il gioco del silenzio ancora per molto! Andiamo, dottore! E vieni anche tu!»

Urie, che ormai non sapeva più cosa provare, si trovò tirato per un braccio. Entrò nella sala operatoria con i due medici dopo aver scambiato uno sguardo in tralice con Saiko, arrivando fino alla zona dei lavandini, dove i due chirurgi presero a lavarsi di nuovo le mani.

«Espiantiamo o no?», stava chiedendo il biondo all’altro, ma l’investigatore non li stava più ascoltando. Aiko era stesa a pancia sotto sul lettino, con le mani strette attorno al bordo, tanto da far sbiancare le nocche.

«Sta soffrendo?»

Aizawa lo guardò con la coda dell’occhio, prima di rispondere. «Il suo corpo sta combattendo una battaglia impossibile da vincere. Ha così tanto afflusso di RC da ucciderla almeno dieci volte, ma sorprendentemente il cuore ha ripreso a battere in autonomia. Kuki, devi dirci tu cosa fare.»

Per poco lo colse un malore. «Io? Io non sono un medico, Aizawa! Tu lo sei!»

«No, ma sei il suo referente», Shiba si asciugò le mani, prima di porgerle all’infermiera per farsi rimettere i guanti. «Abbiamo due scelte: togliere il kakuho per tutelare il suo cuore e sperare che le emorragie non la uccidano oppure lasciarlo e sperare che con una nuova gabbia i livelli si ripristino in fretta.»

«Togliamolo», disse Aizawa, senza mezzi termini. «Dì che dobbiamo toglierlo e smetteremo subito con gli inibitori. Poi la porteremo in coma farmacologico per qualche giorno, il tempo che il suo corpo guarisca riassorbendo le cellule RC in eccesso. Quando saranno tornate al livello di un essere umano, innesteremo di nuovo l’organo predatorio nella gabbia nuova.»

Urie non rispose immediatamente. Guardò di nuovo oltre il piccolo oblò sulla porta. Non sapeva nemmeno di cosa stavano parlando, di preciso, ma gli occhi di Ivak erano ricchi di convinzione e lui, come già detto, non era un medico.

«Procedete, va bene.»

«Ottimo. Rimani qui, se vuoi.»

Non si sarebbe sicuramente schiodato di un metro. Non per qualche nobile o romantica motivazione, ma perché non riusciva più a ragionare abbastanza lucidamente per ricordarsi quale fosse la strada per tornare alla saletta d’attesa. Come poteva essere il referente di qualcuno? Non era in grado nemmeno di capire come stesse lui. Era stanco? Disidratato? Spaventato?

Non gli sembrava di sapere più niente.

Rimase immobile lì, con una mano sulla bocca, a guardare dentro alla stanza.

Se fosse stato capace, avrebbe anche pregato.

 

 

«Sei arrivata in anticipo.»

Hairu era bella e dolce esattamente come la ricordava. Anzi, le parve ancor più graziosa, avvolta da quel vestitino dalla gonnellina ampia di un pallido color pesca dalle spalline ricamate. Non aveva memoria di averla mai vista con addosso qualcosa di diverso dagli abiti formali che teneva in ufficio, ad accezione di qualche sera al pub di Gerry. Anche in quei casi, comunque, Hairu non aveva mai indossato una gonna.

Il sorriso, però, era il medesimo, così come i grandi occhi espressivi. Le stava tenendo piano la mano, come se avesse paura di ferirla, mentre sorseggiava da una cannuccia rossa quello che dall’odore sembrava un cocktail fruttato. Agli agrumi.

«Non dovresti essere qui. È presto per te.»

Aiko non aveva capito. L’aveva guardata perplessa, prima di allungare l’occhio verso il bancone del caffè dalle ampie vetrate luminose. Lì dietro, un vecchio stava servendo una bella donna dai capelli castani, che portava acconciati di lato, in una lunga coda castana. Ad un tavolo poco distante dal loro, un giovane dai capelli coi capelli neri teneva il naso ben infilato in un libro di diritto, mentre con l’indice cercava l’ansa della tazzina di caffè.

«Non capisco», sussurrò quindi, perplessa. Aggrottò la fronte, sentendo una fitta alla testa così forte da costringerla a portare la mano ad essa. Chiuse un attimo gli occhi, prendendo un piccolo respiro. «Sono così stanca, Hairu

«Davvero lo sei? Non dovresti. Hai ancora tante cose da fare.»

«Perché stai parlando come Koori?», domandò quindi la mora, per riflesso, facendola ridacchiare giuliva. Poi notò che sul volto della più giovane si stava facendo spazio un sorriso malinconico. Un luccichio nei suoi occhi le fece comprendere che qualcosa non andava, ma non riusciva a reindirizzare le informazioni. Per riflesso, strinse di più la sua mano, «Hairu», la chiamò così da costringerla a guardarla. «Cosa è successo? Perché sei triste?»

Questa abbassò di poco il capo, incassandolo tra le spalle e sfilando la cannuccia dalle labbra. «La trovo una cosa davvero crudele», sussurrò, alla fine. «Venire strappati da coloro che amiamo. Non lo pensi anche tu?»

«Però non è ancora arrivato il momento. È troppo presto, Macchan

La seconda persona che parlò, impedendole di rispondere alla strana domanda di Hairu, le arrivò dalle spalle. La giovane dai capelli rosa sorrise maggiormente, facendole cenno di voltarsi. Quando le fece, furono gli occhi di Aiko a riempirsi di lacrime. «Shirazu…»

Il giovane portò la mano dietro al capo, imbarazzato, prendendo posto accanto a lei a quel tavolino. «Mi dispiace tanto, Aiko

«A te dispiace? A me dispiace per ciò che ti ho fatto. Per ciò che ho lasciato che facessero al tuo corpo.»

Lui alzò le spalle, mentre l’anziano signore serviva anche Ginshi, appoggiandogli di fronte una tazza ricolma di caffè fumante e andandosene di nuovo, senza rivolgere ad Aiko nemmeno uno sguardo. «Io sono morto, Aiko. Così come Orihara, Noro, Osaki, Ihei… Tu però puoi ancora fare qualcosa, non pensi? Chi se ne frega di un corpo vuoto. Non è ancora tardi. Devi solo capire che per te è troppo presto e non puoi rimanere qui.»

Masa lasciò la mano di Hairu solo per potersi aggrappare al braccio del vecchio compagno di squadra. Chiuse gli occhi, ormai pieni di lacrime amare, chinando il capo in segno di rispetto verso di lui. «Non è vero, menti. È troppo tardi. Per me è sempre stato troppo tardi.»

Lui, per risposta, portò una mano tra i suoi capelli, accarezzandoli. «Lo sarà quando avrai smesso davvero di credere in ciò che fai. Perché non importa davvero da che parte stai, ma cosa fai.»

«Tutto ciò non ha senso», ricomponendosi, Aiko portò via le lacrime dal suo viso con le mani, spazzandole quasi come se le temesse. «Io non so più da che parte sto, né tanto meno cosa sto facendo. Mi sento come se il fatto che io sia viva stesse privando gli altri della libertà. Urie per primo, ma anche Tatara. Ho perso la fiducia degli uomini della diciannovesima di Aogiri, ho perso anche quella della squadra Suzuya nonostante non me lo dicano. Io ho preso tutto quello che potevo prendere e poi cosa ho fatto per meritarmelo? Nulla.»

«Hai preso molto di più.» Il ragazzo che stava parlando non era seduto con loro, ma al tavolino accanto. Era solo, chino su un atlante di medicina, apparentemente disinteressato. Solo quando Aiko si voltò a guardarlo sollevò le iridi di un verde smeraldino incredibilmente bello nelle sue. Sembravano dello stesso colore dei raggi del sole attraverso delle vetrate ramina. «Tutti prendono qualcosa dagli altri. Ghoul o esseri umani non importa. È una guerra civile silenziosa quella che viene combattuta ogni giorno e il suo nome è sopravvivenza. Non vive più nessuno, sopravvivono tutti e basta.» Non lo interruppe, mentre chiudeva il libro appoggiando fra le pagine un segnalibro colorato, così da non perdere il segno. «Io potevo diventare un chirurgo e salvare vite. Forse salvare la tua. Loro due combattevano al tuo fianco, ma tu non li hai protetti, lei», continuò, indicando una figura seduta ad uno dei tavoli vicino alle vetrate. Aveva corti capelli viola e una rosa fra le mani. Il viso rivolto verso l’esterno e una tazza vuota di fronte a sé. «Ha cambiato se stessa per colui che amava e tu hai permesso alla tua padrona di torturarla fino alla follia e condurla alla morte. Lui», stavolta, ad essere indicato fu l’anziano. «Aiutava centinaia di vite, dando loro da mangiare e un rifugio sicuro. Lo ha fatto anche con la donna che siede al bancone, ma voi vi siete permessi di inserirvi nella sua vita, spezzandola. Per non parlare del ragazzo dietro di me. Scommetto che nemmeno lui voleva morire quel giorno nella undicesima.»

Aiko non riuscì a rispondere. Lo fissava in silenzio, realizzando di essere rimasta sola con lui solo quando le luci si spensero di colpo. Non c’era più nessuno da indicare, nessuno a tenerle la mano.

Solo a quel punto il ragazzo si alzò, passandosi una mano fra i corti capelli neri. Si sfilò gli occhiali da vista, chinandosi su di lei, improvvisamente ammutolita. Sinuose come serpi, delle code familiari la circondarono, brillando nel buoi nei loro toni del verde, del viola e del blu elettrico. La kagune del ghoul a avvolgeva totalmente, ma non era minacciosa, no.

Aveva qualcosa di famigliare.

«Tutti prendono qualcosa dagli altri. Che sia giusto o sbagliato poco importa, succede e basta. Niente filosofia né morale. Il mondo è ingiusto, Aiko Masa

 

 

A svegliarla fu la pessima combinazione della porta che veniva chiusa con enfasi e lo stridere di una sedia sul pavimento. Non fu comunque semplice tornare in sé, anzi. Aiko ci mise parecchio ad aprire gli occhi, infastidita dal suono continuo delle macchine che la circondavano e dalla vibrazione del telefono che l’uomo seduto accanto al suo letto stringeva fra le mani.

Un forte odore di mandarini permeava la stanza, nonostante la finestra socchiusa e la pioggia battente che profumava l’ambiente con le fragranze dell’autunno.

Hairu.

Sollevare le palpebre fu difficile, perché le sentiva pesanti, ma quando ci riuscì captò la fonte di tutto quel disturbo. «Aizawa», sussurrò piano, attirando su di sé l’attenzione del medico. «Ho sognato Hairu Ihei. È Shirazu. C’erano anche Kenzo e Kanae Von Rosenwald con loro, insieme a persone che non conosco…»

Ivak sospirò, sollevato, buttando la buccia del mandarino nel cestino, accanto al letto, prima di porgerne uno spicchio alla ragazza. «Sono sicuro che sia stato un sogno davvero terrificante, allora. Pieno di persone morte e-Kanae von Rosenvald? Quello del caso del Lunar Eclipse?» La guardò afferrare a fatica quel piccolo oggetto, come se pesasse chili. La mano, completamente ricoperta di cerotti per tenere ferma la flebo, vibrò pericolosamente, ma alla fine lei riuscì seppur con un grande sforzo ad accompagnarla alla bocca. «Che ne pensi? Ha ancora un buon sapore?»

«Ammetto di non essere mai stata una grande fan dei mandarini, ma questo è molto dolce.»

«Mi rincuora parecchio sapere che possiamo ancora andare a cena negli stessi ristoranti. Hai vissuto l’esperienza di diventare un ghoul, sai?», dal suo sguardo, Aizawa capì. «Qual è l’ultima cosa che ricordi, Aogiri

Lei dovette pensarci sul serio. Tutto pareva così confuso e avvolto da una nebbia impenetrabile. «Mi ricordo dell’inizio dell’operazione nelle fognature. Mi ricordo anche che ero con la squadra Suzuya e che ci siamo separati dalla squadra Quinx. Poi sono andava da Hige e Aura e…. e…»

Aveva affrontato Tatara. Il suo Laoshi. Un tremito la scosse, mentre le macchine segnalavano l’aumento del battito cardiaco. Ivak si alzò per far cessare quel ronzio fastidioso, «Non temere, non ti può prendere qui. Ci sono così tanti agenti nell’edificio da farmi pensare che presto sposteranno alcuni uffici per permettere ai tuoi colleghi di fare comunque servizio.» Il biondo tornò a sedersi, accavallando le gambe. Poi le sorrise, incoraggiante. «Hai salvato Higemaru e Aura da morte certa, te ne do atto. Bel lavoro, Aogiri. Sei morta per sette minuti e qualche secondo per questa tua botta di testa. Però ora sei di nuovo qui, tutta intera nonostante ti avesse fatto a pezzi e con di nuovo il tuo kakuho in corpo. Sei stata senza per quattro giorni.»

«Fa male», ammise, stupendolo. «Sento la schiena in fiamme.»

«Penso sia normale, tutto sommato. Abbiamo inserito una nuova gabbia, più resistente della precedente, nemmeno dieci ore fa. È strutturata con una nuova tecnologia che Chingyou aveva in cantiere, più sferica e a reticolato. Una cosa molto figa. Ti  abbiamo fatta uscire dal coma stamattina e devo ammettere che ti sei svegliata prima del previsto. Hai dormito cinque giorni, Aiko.» Si interruppe il tempo di inviare un messaggio, prima di indicarle il tavolo accanto al letto, sotto alla finestra. «Hai ricevuto molte visite in questi giorni e molti regali. Scollare di qui il culo di alcuni dei ragazzi è stato tutt’altro che semplice, mentre con altri ci siamo semplicemente rassegnati.»

Aiko sorrise, nonostante i tubicini che le uscivano dalle narici. Di minuto in minuto si sentiva più forte, sintomo che gli inibitori che avevano usato durante l’intervento stavano perdendo la loro efficacia. «Compreso il tuo, di culi?»

«Io sono il tuo medico curante, devo stare qui.»

«Il patologo è il mio medico curante? La dice lunga sulla situazione.» Lo fece ridacchiare, mentre tra i tanti fiori e pupazzi sul tavolo, un oggetto richiamò l’attenzione di Aiko in particolare. Era rosso, scintillante, con una frattura al centro. Senza quasi pensarci, la ragazza sollevò di poco i fianchi, facendo strisciare una delle code oltre le coperte per afferrare l’oggetto. «Oi, Masa! Perché non mi hai chiesto di prenderlo per te?», chiese Ivak, allarmato. La sicurezza con cui la ragazza arrivò a prendere fra le mani quel dono grottesco lo fece sospirare rassegnato. «Vedo comunque che riesci ancora a usarlo bene. Non hai spaccato nemmeno un muro.»

«Il mio corpo è ancora abituato e anche la mente. Parte tutto da essa, non dal kakuho. Questa chi me l’ha portata?»

Ivak lasciò scivolare lo sguardo sulla maschera rossa di Tatara, decisamente contrariato e forse disgustato. Poi sputò il nome e Aiko capì. «Arima. Pensava che avresti voluto averla, quando ti saresti svegliata. Come una sorta di trofeo di guerra, suppongo. L’aveva con sé la notte della missione e poi non si è fatto più vedere, se vuoi saperlo. Ha mandato il suo cane Hirako a-»

«Ma io non ho vinto, immagino. Se no non sarei in queste condizioni. Hai detto che sono morta?»

«Hai affrontato il bastardo cinese e non sei morta. Hai decisamente vinto tu, Aiko.» Il medico continuò a mangiare il suo mandarino, mentre la guardava passare le dita sulla frattura. Sembrava leggermente dispiaciuta. «Sì, sei morta e hai fatto morire noi di paura. Poi sei tornata e un ottimo team medico ha fatto un ottimo lavoro sul tuo corpo, riuscendo a impedire al tuo cuore di continuare a fermarsi.»

Usando la mano libera dalle flebo, Aiko si portò a sedere. Aizawa la aiutò, sistemandole i cuscini dietro alla schiena dolorante, poi le porse un altro spicchio, tornando a guardare la maschera rossa. La stringeva ancora. «Cosa ti passa per la testa?»

 «Sono nei guai.»

«Io fossi in te non ci penserei ora. Non credo avessi grandi alternative infondo. Nemmeno tu sei così senza cuore da lasciare morire Higemaru e Aura.»

Lei alzò le sopracciglia, chiedendosi se doveva o meno offendersi. «Grazie, Yakuza», si limitò a rispondere semplicemente, prima di sospirare afflitta. «Cosa faccio ora?»

«Ti ho detto di non pensarci. Tanto non puoi andare da nessuna parte, no? Pensa al tuo nuovo look, alla medaglia che sicuramente ti verrà assegnata e magari anche al fatto che wow, non sei morta! Sai quanta gente vorrà tirarti le guanciotte

Per riflesso, Aiko prese fra le dita una delle ciocche nere che le ricadevano sul petto, fin quasi al seno. Non aveva mai avuto i capelli così lunghi. «Le cellule rc?», chiese, facendo annuire Ivak. «Grazie al Grande Demone Celeste non sono diventata come Sasaki. Sai, quando li aveva bianchi con la ricrescita.»

«Sì ho presente. Erano osceni. Sei stata fortunata suppongo, anche se non posso dire lo stesso per noi. Io e Shiba ti abbiamo tagliato le unghie ed erano dure come il ferro.»

Una piccola risata proruppe dalle labbra di Aiko, che dovette smettere a causa del dolore alle costole. «Vivere è soffrire.»

«Già, è una dura verità.»

Si scambiarono un sorriso, trasalendo contemporaneamente quando la porta si aprì così tanto energicamente da sbattere contro la parete. Urie li fissò entrambi con gli occhi sgranati e un leggero fiatone, segno che aveva fatto le scale parecchio di fretta. Nella mano libera dalla maniglia –che aveva schiantato contro il muro, facendo staccare un po’ di stucco colorato- teneva sollevato il telefono, indicando Aizawa. «Sono andato a mangiare qualcosa meno di mezz’ora fa.»

«E lei nel frattempo si è svegliata. Stavamo appunto dicendo che la vita fa schifo.»

Urie non lo stava ovviamente ascoltando. I suoi occhi erano incollati su quelli gialli di Aiko, la quale comprese improvvisamente ciò che Aizawa aveva detto e ridetto riguardo ai ‘colleghi’ che avevano ricevuto la notizia della sua morte e resurrezione. Ci fu un secondo di stallo, poi decise di parlare per prima. «Ei.»

«Ei…»

«Ok io vado, sono già di troppo.» Il biondo recuperò un libro dal comodino, una borraccia azzurra e il suo cellulare, prima di prendere dalla tasca del camice altri mandarini, che lasciò sul ripiano per la giovane. «Tra un limone e l’altro ficcateci un mandarino.»

«Sei anticlimatico.»

«Questo è l’insulto più raffinato che mi abbiano mai rivolto, Cookie. Prendetevi il vostro tempo, io sarò qui in corridoio a fermare chiunque vorrà entrare.»

Il caposquadra dei Quinx attese di vederlo defilarsi, mentre Masa poggiava la maschera da parte, nascondendola con il lenzuolo. Non seppe perché lo fece, ma si sentì in dovere di levarla dalla vista. Rimasero soli e il ragazzo le si avvicinò, sfilandosi il cappotto nero e appoggiandolo sulla sedia lasciata vuota, mentre allentava il nodo della cravatta e si sfilava i guanti. «Come ti senti?», le domandò, sedendosi in parte sul letto.

Lei alzò piano le spalle, pensierosa. «Come se mi avessero macellato. Però a quanto mi ha detto il mio medico curante, ovvero il patologo, è andata proprio così.»

«Hai subito degli interventi molto invasivi, ma il tuo corpo ha risposto meglio del previsto alla privazione e al ri-inserimento del kakuho. Secondo Shiba ti riprenderai in fretta adesso, ma avrai molte cellule rc in corpo. Hanno già programmato un ciclo di cure per riportare i livelli alla normalità.»

Masa annuì, seguendo il discorso, mentre si girava una ciocca fra le dita. «Fino ad allora saranno stabili o diventerò Raperonzolo?»

«Sono già stabili. Senti la kagune sensibile?»

Di nuovo, lei annuì. «Sento come se avessi la schiena ricoperta di spilli. È una sensazione discutibile in effetti, a metà fra il fastidio totale e l’euforia. Sento che potrei infilzare un francobollo nella nebbia, bendata e a testa in giù, ora.»

Urie sbuffò, prendendole la mano nella sua. Lo fece con una delicatezza che infondo l’aveva sempre rappresentato, anche se apparentemente Urie non sembrasse quella pasta di uomo. «Che drammatica.»

«Mi dispiace di essere morta.»

Le scuse arrivarono inaspettate, tanto da fargli di nuovo sgranare gli occhi. Non rispose subito, limitandosi a guardarle la mano e quel groviglio di tubicini che la collegavano alla flebo. Quando riacquistò la parola, dovette togliersi un dubbio. «Perché mi hai nominato tuo referente?»

Non si aspettava quella domanda, ma la risposta le venne spontanea.  «Per anni è stato Take, il mio referente. Quando sono entrata nella sua squadra l’ho nominato perché la mia famiglia non c’è mai stata in questi casi. Mio padre hai avuto il piacere di vedere che razza di verme è e mia madre odia il distintivo della ccg. Non ho altri parenti vicini e infatti immagino che non si sia fatto vedere nessuno, vero?», lui scosse il capo, lentamente. «Non è un problema, non è la prima volta che finisco in ospedale e mia madre non si presenta. Ho nominato te quando abbiamo iniziato a frequentarci perché mi fido del tuo giudizio, tutto qui. E poi siamo obbligati ad averne uno designato, senza eccezioni.» Gli strinse di più la mano, «A quanto pare ho fatto una buona scelta.»

«Ha deciso tutto Aizawa, non ho meriti se si parla della tua salute.» Urie sembrava tristemente sincero nel dirlo e quando Masa fece per parlare e provare almeno in parte a consolarlo cancellando dalla sua faccia quell’espressione derelitta, lui la precedette di nuovo. «Avevi detto che non ti saresti mai frapposta fra un ghoul di raiting elevato e un tuo sottoposto. Ti ricordi?»

Lei boccheggiò un paio di secondi, mentre cercava di riportare alla mente quel ricordo. Quando successe, sbuffò apertamente. «Non sono più quella persona», snocciolò con non curanza. «Voglio dire, non conoscevo ancora Hige. Chi lascerebbe mai morire Hige? Naturalmente anche Aura, ma Touma va protetto. Lui non è ancora capace di farlo da solo.» Smise di scherzare quando realizzò che lui era mortalmente serio. «Cosa vuoi che ti dica? Ero più vicina a loro di voi. Non saresti mai arrivato in tempo, non potevo aspettare che tu e il resto della squadra mi deste supporto. Ho cercato in ogni modo di prendere tempo ma Tatara a quanto pare non voleva concederci nemmeno un secondo.»

«Per fortuna è arrivato Mutsuki

Aiko rimase un attimo in silenzio.

«Non te lo hanno detto? Mutsuki ti ha salvato la vita. È arrivato e ha guadagnato tempo fino all’arrivo della S0. Poi ti ha portato qui in ospedale insieme ad Hirako

A quel punto, Masa alzò la mano libera, come se si stesse arrendendo al carico di informazioni. «Va bene, voglio tutta la storia nel dettaglio, per favore. Aizawa non mi ha detto niente di Tooru

«Aizawa è un coglione. Però ti ha salvato la vita, anche se era ubriaco quando è arrivato qui la notte dell’operazione.»

C’era qualcosa di estetico in Ivak che la operava sbronzo, ma riusciva comunque a salvarle la vita prendendo le giuste decisioni. «Gli devo una birra.»

«Pagagli una cena. Basta alcool.»

Aiko inspirò pesantemente, mentre un sorrisetto divertito le incurvava le labbra. Non sembrava che il medico avesse bevuto molto negli ultimi giorni, preso dagli interventi e dalla cura dell’amica. Forse avrebbe superato così la morte di Mei, dedicandosi ai vivi e alle loro sofferenze. Comprendendo che poteva lasciare andare ciò che non c’era più e ricordandosi di chi invece era ancora in vita. Nonostante il fastidio alla schiena e i tubicini che le irroravano le narici di ossigeno, Masa trovò la forza di pensare in positivo. Nonostante avesse affrontato apertamente Aogiri, ci riuscì comunque. Poteva accomodare tutto, in un modo o nell’altro. In realtà, il pensiero di farlo in quel momento, raccontando ad Urie la verità su se stessa, su Labbra Cucite, la attraversò. Cercò un modo delicato per dirlo, realizzando che non esisteva. Sarebbe stata dura, ma andava fatto e non avrebbe avuto altre chance per uscirne bene a metà.

Un coraggio nuovo la animò, mentre Urie le scostava i capelli dalle spalle e le sprimacciava il cuscino dietro alla schiena. «C’è una cosa che devo dirti da tanto tempo, Kuki

Lui tenne gli occhi nei suoi, mentre alzava di poco il lenzuolo per tenerla al caldo. «Di qualsiasi cosa si tratti, puoi farlo dopo. Ora devi riposare e poi ci saranno gli altri che vorranno salutarti. Ti vogliamo tutti a casa, non in ospedale, ma per tornare devi esserti ripresa.»

Casa. Lo chateau.

Se avesse parlato di Aogiri, se si fosse denunciata, chissà se ci sarebbe mai tornata. No. L’avrebbero licenziata e incarcerata. Se l’avessero mandata nella Cochlea? Molti dei prigionieri ce li avevano spediti le sue squadre.

Avrebbe perso i Quinx.

Avrebbe perso Urie.

«No, devo dirtelo.»

Non poteva permetterlo. Non voleva permetterlo.

«Io ti amo, Urie Kuki. Non voglio più farti preoccupare così, ma succederà di nuovo. Posso però prometterti di aspettarti, la prossima volta.»

Provò disgusto per se stessa, ma quel sentimento venne scambiato per senso di colpa al punto tale che l’agente seduto accanto a lei non disse niente. Si chinò solo su di lei, baciandola con delicatezza, come se avesse paura di spezzarla.

Il disgusto non se ne andò, nonostante lei cercò di rimpiazzarlo con la sua solita ironia.

«Per il matrimonio, pensavo in inverno. Vicino a natale magari.»

«No, odio la neve, le lucine e le persone che si vestono di rosso, Aiko. Posso concederti autunno se vuoi.»

La lacrima che le solcò la tempia, ricadendo sul cuscino, non era commozione.

Solo tristezza e consapevolezza che non avrebbe mai e poi mai potuto rivelarsi senza perderlo.

E avrebbe preferito morire piuttosto che perderlo.

«Ok, ma la luna di miele in Francia. È un clichè, lo so, ma riuscirò a portarti a Parigi.»

 

 

Masa venne dimessa dall’ospedale solo il venti di settembre, tre giorni dopo il suo risveglio. Nell’arco di quei tre giorni, successero parecchie cose imprevedibili.

 

Prima fra tutte, vi fu la visita di Midori, che andò da lei per dirle che si stava davvero sposando. Aveva concordato la cerimonia per i primi giorni di aprile, così da avere dalla sua la fioritura dei ciliegi della grande tenuta della famiglia del futuro marito, dove avrebbero allestito dei bellissimi gazebo imbellettati per consumare quello che aveva l’aspetto di un banchetto imperiale. Un matrimonio in grande stile con il quale Masa non avrebbe mai potuto competere e forse anche per questo non rivelò all’amica che lei e Urie avevano parlato parecchio, in quei giorni.

Ebbe quanto meno modo di presentarglielo, visto che la bionda rimase tutto il pomeriggio con lei, mostrandole le foto degli abiti delle damigelle, i fiori che aveva scelto e il prospetto per un abito ideale su misura che avrebbe commissionato a una delle migliori boutique di tutta Tokyo, così da avere un capo unico e originale come sosteneva di essere lei stessa.

«Non capisco cosa c’entri lei con te», era stato il solo commento di Kuki quando l’amica di infanzia aveva lasciato la stanza.

Aiko aveva sorriso divertita, rispondendo senza giri di parole. «Assolutamente nulla e penso sia questo il bello fra noi. Non siamo nemmeno così amiche, ma lei è ancora ancorata al nostro passato. Però che tristezza, damigella sì, ma mai d’onore.»

«Vuoi dire che nemmeno tu sceglierai lei?»

«Scherzi? Saiko sarà cento volte più carina con gli abiti color pistacchio a cui sto pensando.»

 

La seconda visita straordinaria la ebbe la sera del secondo giorno. Aveva appena completato un controllo di routine con il dottor Shiba, che aveva decretato che sarebbe potuta tornare a casa il pomeriggio successivo, postumo però un po’ di sano riposo. Niente lavoro per almeno una settimana e niente stress. Le sue cellule rc iniziavano a stabilizzarsi grazie alle pastiglie di inibitori, tanto che la flebo non era più stata necessaria. A distanza di meno di una ventina di ore dal suo risveglio, Aiko sembrava tornata in forma.

Era pronta per ricevere il visitatore più interessante di tutti.

«Oi, Aiko», aveva esordito Aizawa, entrando nella stanza con un cipiglio perplesso. «Un ragazzino qui fuori dice di essere qui per te. Lo faccio entrare?»

La ragazza si stava abbottonando la camicetta da notte, così il biondo spostò lo sguardo sul muro in muto rispetto. Lei invece alzò gli occhi dorati sull’amico, socchiudendo piano le labbra. «Un ragazzino? Non sai chi sia?»

«No, ma è alto e lo ha sguardo incazzato. Non so perché ma non mi piace molto, soprattutto perché si guarda parecchio alle spalle mentre aspetta in corridoio. Certo, mi ricorda qualcuno, ma non riesco a collegare chi…

Masa sentì un piccolo tuffo al cuore. «Chi c’è in ospedale?»

«Itou e Hirako sono al bar.»

La mora si mordicchiò l’unghia che Nimura Furuta le aveva ricoperto di smalto blu notte durante la sua visita quella stessa mattina, pensierosa. «Va bene, fallo entrare, credo di avere capito chi è. In ogni caso, c’è Hirako

Lo aveva capito davvero. Per questo quando Ayato mise piede nella stanza lei cercò di mantenersi distaccata, incrociando le mani sul ventre, sopra alle coperte. Chiese ad Aizawa di chiudere la porta, lasciandolo libero se rimanere o meno. Quando il medico non si mosse dalla stanza, lei alzò la mano per fermare il ragazzo. «Va tutto bene. Lui sa.»

Ayato non sembrava molto persuaso, ma non aveva tutto il giorno. Il sole stava calando.

«Se per te va bene, andrà bene anche a me. Questi li manda Tatara.»

Aiko prese fra le mani il mazzolino arrabattato alla meno peggio, sorridendo melanconica. «Manjushage», sussurrò, mentre il suo sguardo accarezzava i fiori dai petali allungati. «I fiori dei morti. Interessante scelta.»

«Sappiamo che sei morta e tornata. Tatara ha detto che dietro a questo evento c’è un oscuro presagio. Sembrava quasi turbato, se ti fa piacere saperlo. Hai fatto muovere il suo gelido culo durante uno scontro e lo hai anche fatto sentire uno schifo. Bella mossa, Labbra Cucite.»

Masa si prese un secondo, prima di sorridere appena, chiudendo gli occhi. Sarebbe stata una serata parecchio lunga. «Non ho fatto le presentazioni, a proposito. Yakuza, questo è Rabbit. Rabbit, questo è Yakuza

Ivak sembrava quasi offeso sul personale. «Ma davvero? Quanti anni ha? Sedici? Almeno vai a scuola?!»

Ayato non gli rispose, passando gli occhi violacei su tutto il suo corpo, come per capire se fosse o meno armato. «Non è un agente», decretò alla fine e no, non era una domanda la sua.

«Sono il patologo che estrai gli organi predatori e ci fa quinque, in realtà. Vuoi entrare in una valigetta anche tu o ci dici perché sei qua?»

Kirishima assottigliò gli occhi, prima di tornare a guarda Masa, portando una mano nella tasca del cappotto e abbassandosi del tutto il cappuccio con l’altra. Aveva mantenuto un profilo molto basso, sfruttando quando era affollato l’ospedale a quell’ora, ma non aveva messo la maschera per ovvie ragioni. Quando gettò quella di Aiko sul letto, lei la prese e la nascose velocemente. «Stasera usciamo a caccia, Labbra Cucite.»

«Non posso, Ayato

Ivak si gonfiò come un rapace offeso. «Ovviamente non può! Siamo in un ospedale per quello che il tuo amico cinese le ha fatto. Se invece di unirsi ad Aogiri avesse aperto una attività di cibo da asporto come tutti i suoi simili, ora non saremmo qui.»

«Devi uscire e trovarlo tu», ripeté Ayato, sovrapponendosi alla voce del medico per coprirla. Fece un passo verso il letto, appoggiandosi ad esso con le mani per guardarla meglio negli occhi. «Sei ancora un capo di Aogiri o no?»

«Dovresti dirmelo tu, Ayato

«Non abbiamo avuto ordini che dicono il contrario.»

Aiko prese un profondo respiro, stringendo nelle mani i fiori. Quando li posò sul comodino per sollevare la sua maschera, comprese che quella era una omissione di intenti. «Chi devo trovare?»

Kirishima infatti parve sicuro di sé, come se ormai lei avesse accettato. Sapeva che non si sarebbe tirata indietro una volta venuta a sapere il soggetto della loro ricerca. «Takizawa è scappato», sganciò senza rispetto, facendole sgranare gli occhi. «Lo riesco a rintracciare e penso di aver capito dove ha fatto il nido, ma non riesco a prenderlo. Tatara ha detto che il punto di partenza per te sarà riportare la pecora nera all’ovile.»

Ivak incrociò le braccia, alzando le sopracciglia e sfidandola apertamente. «Non uscirai da questa porta, Aogiri. Conosco persone che possono spezzarti le gambe»

Non ne dubitava. Aiko scambiò uno sguardo di intesa con Rabbit, poi guardò il dottore. «No, non lo farò», scostò le coperte, prendendo il cappotto del medico dalla sedia, dove l’aveva appoggiato il dottore quel pomeriggio stesso. «Usciremo dalla finestra e tu mi coprirai.»

«Scordatelo! Non sei in te.»

Aiko accarezzò il bordo del  cappotto e, in ultima, mise la maschera di Labbra Cucite nella tasca.

«Sto bene. Non lascerò Seidou la fuori a naufragare nella sua follia. Sai quanti morti farebbe? Non posso permetterlo nemmeno come agente.»

Non c’erano speranze di farle cambiare idea, Ivak lo sapeva. Sbuffò apertamente, allargando le braccia prima di farle cadere molli contro  fianchi. «Perfetto allora! Fammi diventare tuo complice. Che devo fare?»

Lei sorrise, divertita. Poi guardò prima Kirishima, fermando lo sguardo sull’amico solo alla fine. «Cenare con me e poi ficcarti nel letto al mio posto, ovviamente. Non verrà nessuno se si spargerà la voce che sono stanca e voglio riposare.»

Sul volto di Ivak rimase solo l’amarezza.

«Come in campeggio, quando i miei amici scopavano e io dovevo coprirli.»

 

 

«Cavolo dovevo proprio fare la ballerina nella vita.»

Aiko scavalcò un pilastro portante di cemento armato, guardando la scena attorno a sé. L’antro che Takizawa aveva scelto come sua tana era un vecchio cavalcavia mai ultimato, che avrebbe dovuto collegare una zona della dodicesima al centro residenziale adiacente. Il cantiere era stato dismesso da tempo, con il disappunto degli abitanti di Tokyo che avevano visto naufragare quel collegamento stradale comodo.

L’area era diventata un cimitero, ammazzando ogni speranza. Aiko sentiva l’odore della decomposizione ogni singolo passo che compiva a piedi nudi fra le macerie, consapevole che una sola doccia non sarebbe bastata. Tenne il cappuccio della felpa di Ayato calato sul capo, dove i capelli lunghi iniziavano già a darle problemi, troppo lisci per rimanere stretti nel concio che aveva arrabattato alla meno peggio prima di indossare la maschera.

Il giovane accanto a lei incrociò le braccia sulla canottiera, indicandole un punto in cui una ragazza dalla maschera ovale se ne stava appollaiata, in attesa. «Anche tu saresti dovuta diventare qualcos’altro, Tomoe», proseguì la mora, salendo sulla montagnola di detriti assieme all’altra discepola di Tatara. Questa la guardò scettica da dietro la maschera, prima di tornare a voltarsi alla volta dell’oscurità. Non dovette dire nulla, Aiko prese ad annusare l’aria. «Lo sento, anche attraverso il fetore della carne in decomposizione. È qui e ha bisogno di un bagno oltre che di un supporto psicologico.»

«Hai in mente un buono specialista?», domandò sarcastico Ayato.

La mora ridacchiò appena. «Ho in mente una pazza che potrebbe mangiare. La psicologa del dipartimento, ovvero la mia spina nel fianco.»

«Tutti abbiamo i nostri nemici», sussurrò fievole come un vento primaverile Hakatori, stringendo fra le mani l’elsa della quinque. Sembrava un cane in allerta. «Sa che siamo qui e ci sta ascoltando, vero, mèi mèi

«Dannazione se lo sa. Mi chiedo solo cosa sta aspettando per saltarci addosso.»

Si creò una situazione di stallo insopportabile. Aiko era piuttosto sicura che da soli, loro tre, non sarebbero riusciti a fare fronte alla furia di Seidou. Se davvero era uscito di nuovo di testa, avrebbe fatto meglio ad agire da sola. Era avventato, certo, ma la sua stessa presenza in quel luogo lo era.

Devo arginare in ogni modo la sua rabbia.

«Va bene, vado io. Voi state qui e copritemi, se scoppia un casino.» Passò la giacca di Aizawa al ragazzo, prima di appoggiare una mano sull’impugnatura della katana di Tomoe. Si abbassò la maschera sul viso, guardandola severamente, come avrebbe dovuto sempre fare con la sua kohai, ottenendo come risposta la presa dell’altra ammorbidirsi. «Andrà tutto bene, mi prenderò io cura di lui, perché è il mio dharma.» Lo disse con una certa sicurezza, mentre si liberava della felpa e di qualsiasi impedimento.

«Cerca di non lasciarci il culo, sul tuo dharma

«Grazie per le belle parole di incoraggiamento, Kirishima

Con un respiro profondo, si preparò e discese la collinetta di calcinacci e cemento, non ferendosi solo grazie alla sua pelle indurita. La camiciola da ospedale che aveva indossato al posto della sua camicetta da notte lasciava libera la schiena, ma a causa delle visite di controllo a cui veniva sottoposta giornalmente, sperava di non dovere utilizzare la kagune.

Iniziò a chiamare il compagno di disavventure, camminando nel buio e pestando chiazze di sangue e resti di pasti. L’odore più avanzava più si faceva insopportabile. Improvvisamente si rese conto di quanto gli allenamenti con Tatara in cui soleva bendarla fossero stati utili. Sentiva dei movimenti attorno a lei, ma nella penombra non poteva distinguere nulla se non ombre, forse proiezioni mentali della sua mente paranoica. Eppure sapeva che lui era lì. Lo sentiva.

«Seidou, ti supplico, vieni da me.» Si fece coraggio, abbassando la spada e allungando una mano, chiudendo gli occhi.

«La Kitsune, la Kitsune

All’inizio le parole arrivarono alle sue orecchie come una carezzevole litania, recitata però con voce tagliente. Sembrava essere ovunque attorno a lei. Takizawa poteva anche essere leggermente sopra le righe in quel momento, ma rimaneva comunque intelligente e calcolatore: stava fruttando in modo a dir poco perfetto l’eco della grotta artificiale in cemento armato. Aiko decise di affidarsi unicamente al suo naso, così da evitare di venire tradita dagli altri sensi. La mano tesa non ebbe nemmeno un sussulto quando realizzò che era alle sue spalle.

«Non sono un Youkai. Sono solo un agente morto della ccg, come te.»

«La Kitsune è ingannevole, assume molti volti. Ed è furba! Furba come una volpe», una risata sinistra le fece accapponare la pelle, ma nuovamente tenne immobile la posizione e non aprì gli occhi. «Aprì le code, le voglio contare. Sei il Nogitsune, vero? Sei qui per farmi diventare pazzo.»

«Sei già pazzo», sussurrò con tono basso la mora, «Sono qui per riportarti a casa.»

«Io non ho una casa.»

«Hai ragione, ma nemmeno io ce l’ho. Ti consola?»

Una mano fredda scivolò sotto al suo camice, toccandole il fianco. «Non c’è più», disse Takizawa, alludendo a quella cicatrice che lui stesso aveva provocato con un morso anni prima. L’altra mano la strinse al collo, forte. Aiko lasciò cadere il braccio e lasciando la presa sulla quinque, arrendevole. «Non sei lei. Sei un mostro mandato da altri mostri, lo so. Lei è morta. Tatara l’ha uccisa e io sono stato di nuovo abbandonato.»

«Le mie cellule sono impazzite», la presa si rafforzò e lei dovette deglutire due o tre volte per riuscire a proseguire. «Le mie cicatrici, il tatuaggio di Eto…. Il mio corpo ha riassorbito tutto.»

«Menti.»

«Mettimi alla prova Seidou. Cosa vuoi sentirti dire? Vuoi che ti ricordi di quella sera a Kyoto, quando abbiamo fatto a pezzi mio fratello? Oppure quella volta che mi hai aiutata a far sparire quel gruppo di rivoltosi nella decima? Oppure vuoi storie più vecchie? Voi che ti parli dei nostri dieci giorni insieme?»

Non la lasciò andare e smise addirittura di ascoltarla. «Kitsune mostrami la tua sfera, voglio mangiare anche quella. Insieme al tuo corpo, voglio anche l’anima.»

«Basta!» Gli assestò una gomitata decisa nelle costole, non facendogli male, ma prendendolo abbastanza in contropiede da toglierselo di dosso. Non poteva più tollerare le sue mani sulla sua pelle, le riportava alla mente ricordi orribili. «I fantasmi e gli spiriti dei boschi non possono prenderti a calci in culo, ma io sì, Seidou.» Cercò  i suoi occhi nell’oscurità, trovandoli a brillare come quelli di una fiera, illuminati da una scintilla di crudeltà che andava però spegnendosi. «L’onestà non è un’opinione o un sostantivo altisonante. L’onestà fra due persone è un dedalo di vincoli inossidabili, un legame che non si può estirpare con una serie di notizie buttate al caso e inconcludenti.» Se non fosse riuscita a farlo ragionare, non ci sarebbero state speranze di farlo uscire di lì con le buone, per questo giocò il tutto per tutto, allungando di nuovo la mano, decisa. «L’onestà che c’è sempre stata fra noi, ogni singolo giorno di ogni singolo mese di ogni singolo anno da quando l’Aogiri ci ha costretti insieme in quella cella, è un dato di fatto. Ti ho mai mentito? Ti ho mai ingannato? Andiamo via di qui, ti prego, e risponderò a tutte le tue domande.»

Aiko era pronta. Aveva portato il piede sotto la spada, pronta a sollevarla con un calcio per contrastare un attacco.

Non ce ne fu bisogno. La mano di Takizawa, al contrario della sua, tremava. Era fredda esattamente come l’aveva avvertita sul fianco e pallida come quella di un malato. Sapeva che era così, anche se non poteva vederla nitidamente. Da prima si sfiorarono le loro dita, che lei poi intrecciò a quelle del ragazzo. «Seidou ti prego, basta scappare. Non esiste per noi un altro posto che non sia quello in cui già siamo.»

Non ci furono altre parole.

Il corpo di Seidou si appoggiò molle al suo, mentre il ghoul pareva perdere le energie. Aiko gli abbassò il cappuccio, legando le dita ai suoi capelli mentre con le labbra gli sfiorava la tempia.

«Va tutto bene, sono qui.»

 

«Hakatori ha detto che sono tornati alla base della diciannovesima. Tatara è compiaciuto, Eto è felice e c’è tutto il lieto fine necessario. Ce l’hai fatta di nuovo, Labbra Cucite.»

Aiko aveva ancora i capelli bagnati e l’accappatoio addosso, quando Ayato le comunicò la lieta notizia, seduto sul davanzale della finestra spalancata. Aizawa, che era stato brutalmente svegliato dal loro ritorno, osservò il ragazzino intascare la maschera dell’amica, prima di riporre il cellulare. Non era molto felice del fatto che il suo cappotto, pregno dell’odore di T-Owl e decomposizione, fosse stato cestinato molto lontano dall’ospedale, ma preferiva quello alle conseguenze di ciò che sarebbe potuto succedere se un Quinx l’avesse fiutato.

«Almeno è stato un successo.»

Masa non sembrava concordare con il medico. Sospirò, alzando il braccio e osservando la macchia rosata che rivelava dove prima aveva tatuato il crisantemo, quasi completamente riassorbito dalla pelle rigenerata. Poi lo riabbassò con un gesto secco. «Se non stesse così male, non l’avrei riportato.»

«Lo so, lo hai detto otto volte mentre tornavamo.»

«Non sto scherzando, Ayato. Se Seidou non fosse completamente fuori controllo, non l’avrei mai rispedito dai suoi carnefici.»

Rabbit non sembrava colpito da quella predica di amore e bontà. Alzò un sopracciglio, prima di alzarsi con un saltello sul davanzale. «Come preferisci, boss», la prese in giro, tenendo le mani nelle tasche della felpa che gli era stata restituita. «Se questo ti aiuterà a dormire la notte, a me sta bene. Te ne devi raccontare parecchie di storie, per convivere con te stessa.»

«Non abbiamo tutti il lusso della libertà, sai?»

Ivak sospirò pesantemente, alzando il capo verso l’alto e mormorando qualcosa in una lingua che nessuno degli altri due poteva capire. «Basta coi merdosi discorsi filosofici da Aogiri. Tana libera tutti. Torna a Wonderland, coniglio, tra poco sorgerà il sole e qui potrebbe scaldarsi la situazione.»

Aiko sembrava d’accordo. «Vai e dì a Tatara che per un po’ non mi farò sentire. Sarò nell’occhio del ciclone.»

«Diglielo tu, hai un telefono no?», fu la pragmatica risposta del ragazzino, prima di lasciarsi cadere all’indietro.

Ivak gli diede appena il tempo di farlo. Chiuse la finestra e si voltò verso Masa, stanco. «Basta avventure, signorina. Fila a letto e guai a te se finisco nella merda. Se si sospetterà anche solo vagamente di un mio coinvolgimento, canterò come un canarino.»

Aiko si infilò sotto alle coperte, lasciando al medico un po’ di posto. Lui prese la palla al balzo, recuperando una coperta dalla poltrona di fronte al letto e mugolò soddisfatto quando tornò a stendersi sul materasso.

La mora appoggiò il capo alla sua spalla.

«Sono sicura che lo farai, Yakuza

 

 

«La vuoi diritta? O magari scalata? Oppure un po’ più lunga ai lati e corta al centro?»

Aiko si sentiva stanca morta e sicuramente la scampagnata notturna non aveva aiutato. Sbuffò, prima di rispondere incolore. «Devi tagliarmi una frangetta, Koori. Non devi compilare un rapporto. Non servono tutte queste…. Cosa sono, definizioni? Stili? Fammi quella che pensi mi starà meglio e basta.»

Il classe speciale non sembrava soddisfatto. Sistemò le due forcine che tenevano separata la ciocca lunga frontale dal resto dei capelli, prima di guardare critico l’amica. Poi prese la forbici. «Asimmetrica sia. Verso sinistra o verso destra?»

«Smettila e taglia!»

Dalla poltrona, Urie alzò il viso. Stava leggendo il giornale in silenzio, tenendo con una mano la tazza di caffè bollente che Aizawa gli aveva appena servito ridacchiando sotto i baffi. Anche lui aveva visibilmente bisogno di dormire un po’ di più, ma per fortuna il capo dei Quinx non aveva fatto domande. Forse non se ne era manco accorto.

«Dovrebbe farlo Fura

«Fura non è qui», insistette Aiko, mentre Koori iniziava almeno ad accorciare i capelli, con espressione scettica. «Io non li sopporto oltre tutti questi capelli, voglio almeno avere la visuale libera.»

«Falli scalati verso destra, così il kakugan rimane bello libero», suggerì il medico, stupendo piacevolmente il classe speciale, il quale annuì compiaciuto.

«Allora vado.»

Un bussare alla porta tutt’altro che leggerlo lo bloccò con la mano a mezz’aria e il polso piegato in una angolatura morbida. Nakarai non attese nemmeno il permesso per entrare, ritrovandosi a guardare perplesso la scena. Dietro di lui si affacciò anche Tamaki, con in mano un sacchetto pieno di paste alla marmellata di lampone. Masa avvertì subito il buonissimo profumo.

«Stiamo per assistere a Ui passione parrucchiere», li anticipò  Aizawa, facendo cenno verso la brocca del caffè. «Vi unite?»

«Siamo solo di passaggio», lo fermò Keijin, mentre Mizurou si avvicinava per lasciare alla ragazza la colazione speciale. Koori iniziò piano a tagliare, mentre Nakarai continuava. «Ti senti in forze abbastanza per sostenere una conversazione formale, primo livello Masa

«Sto per tornare a casa, prima classe. Stasera sarò di nuovo con voi nella tredicesima», gli rispose lei, incrociando gli occhi per osservare i progressi dell’amico, talmente concentrato da tenere i suoi assottigliati. «Sei venuto a parlarmi del nostro nuovo caso?»

«No, sono venuto a dirti che hanno richiesto il tuo trasferimento alla squadra definitiva per il tuo periodo di congedo dalla Quinx Squad», la corresse il vice capo della squadra Suzuya, senza tatto.

Tutti si voltarono verso di lui per guardarlo, eccetto Koori che pareva troppo preso dal lavoro di precisione e dai dettagli clinici dell’amica, sui quali non sarebbe passato sopra con leggerezza. «Aiko deve riposare per qualche giorno. Su mio ordine, dite a chiunque l’abbia notata che potrà inoltrare la richiesta nuovamente all’inizio della prossima settimana.»

Gli occhi neri e profondi come pozzi di Nakarai squadrarono la sua schiena magra, prima di sollevare il mento leggermente. «Con tutto il rispetto, vorrei che fosse lei a comunicarlo al classe speciale Arima, signore. So che avete più confidenza e oggi mi sembrava molto di fretta quando è venuto a portarmi questo.»

Ui allontanò le forbici dal viso di Masa, voltandosi del tutto verso il vicecapo della squadra Suzuya. «Arima ha fatto da intermediario?», chiese stupito, prendendo il fascicolo e aprendolo.

«No. Il classe speciale Arima ha fatto domanda per integrare il primo livello Masa nella prima squadra della S3.»

Fu strano. Aiko sentì il cuore bloccarsi per qualche istante, chiedendosi se fosse quella la sensazione di nausea e vertigine che si provava durante un arresto cardiaco. Istintivamente cercò lo sguardo di Koori, che però era troppo preso a leggere quelle carte, quasi come se contenessero fra le righe le risposte al senso della vita. Non erano i soli a sembrare spaesati. Aizawa aveva completamente perso il colore sul viso, mentre il suo sguardo si era spostato assente sul pavimento. Urie, invece, versò una goccia di caffè sul pavimento, prima di alzarsi in piedi, appoggiando tazza e giornale sul tavolino frettolosamente. Si affiancò al classe speciale, portando una mano al mento mentre a sua volta prendeva a leggere. «Tutto qui?», chiese, senza giri di parole. «Non ho mai letto una richiesta formale di trasferimento così breve.»

Ui lo guardò con la coda dell’occhio. «Arima non è mai stato un uomo di molte parole.» Dal taschino della camicia, Ui prese una penna stilografica, voltandosi quindi verso Masa. «Devi decidere entro qualche ora e poi farlo firmare al primo livello Urie. Suzuya ha già firmato e anche il prima classe Nakarai

«Avete firmato prima di interpellarmi?»

Il biondo scambiò uno sguardo con Tamaki, il quale rispose per lui. «Kei non ha usato eufemismi: il classe speciale Arima era davvero di fretta e ha detto che avete molto lavoro da fare. Se non vuoi lavorare nella S3 e rimanere con noi, meglio se lo chiami subito, Aiko

«Che follia», parlò di nuovo Ui. «Chi direbbe mai di no a una tale opportunità? Aiko io sono stato un membro della S3 per anni. Nessuno ti formerà mai a livello combattivo e tattico come Kishou Arima. Questo è il tuo trampolino di lancio per fare carriera.»

Urie incrociò le braccia, «Aiko», la chiamò cercando di essere premuroso. Eppure una nota stonata gli storpiò appena la voce. «La decisione è tua. Se vuoi andare, posso firmare anche subito.»

«Torneresti a vivere allo cheatau, se lo desideri», sottolineò Koori, come se stesse effettivamente cercando di invogliarla. «E saresti di nuovo in squadra con Take. Senza contare che sono molto a corto di organico logistico e tu sei una bravissima criminologa. Tutti i casi ad alto profilo passano per le mani di Arima e ora dovrà occuparsi di qualcosa di davvero grande, che non mi è dato rivelare. Avrà bisogno di un’investigatrice come te e tu, dopo lo scontro che hai appena avuto con Tatara, avrai bisogno di un buon insegnante.»

Sembrava ironico.

Dopo lo scontro con il mio maestro, ne necessito uno nuovo.

Aiko prese la penna in mano, non sapendo cosa fare. Doveva firmare? Poteva tornare allo cheatau? Poteva essere all’altezza di quella squadra così famosa? La squadra a cui ambiva Urie da tutta la vita. La squadra che tutti guardavano dal basso, che tutti elogiavano. Sarebbe riuscita a lavorare per Arima Kishou e per la Aogiri allora stesso tempo?

«Voglio pensarci bene e leggere quel fascicolo», rispose la mora, tenendo la penna in mano e portando l’altra per ricevere il plico. Se lo appoggiò in grembo e poi passò la mano sulla frangetta, che era venuta particolarmente bene nonostante la situazione. «Non voglio prendere una decisione di questa portata a cuor leggero.»

«Credo sia saggio, ma non sottovalutare la grande opportunità che ti è stata data. Una volta nella vita si può entrare in una squadra così.» Koori le sorrise, appoggiando le forbici sul comodino. «Però hai tutto il diritto di pensarci su. Se desideri tornare nella Prima, sono pronto ad assumerti io stesso nella S1. Anche io sono a corto di organico.»

Nakarai si fece avanti, guardando soprattutto nella direzione di Aizawa. Dietro alla schiena teneva ancora una cartellina. «Posso parlare un secondo con la paziente da solo, signori?»

Mentre la stanza si svuotava lentamente e Aizawa la guardava negli occhi, in tralice, Aiko strinse forte a sé Tamaki. «Ti preparerò la valigia, nel caso in cui deciderai di andare via», le sussurrò il castano. «E la porterò a casa tua. La S3 e la S1 uno sono eccezionali, dovresti tornare qui.»

«Anche voi siete eccezionali, tu lo sei», si staccarono lentamente, scambiandosi un sorriso sincero. «Ma la storia di Kenzo e Iruka…. Lo stare in squadra insieme e la iella. Sono vere. Sono quasi morta!»

«Cavolo se sono vere. Vattene fino a che sei in tempo.»

Un ultimo sorriso e poi si chiuse la porta alle spalle, lasciandola sola col biondo. Questi le porse il fascicolo che teneva ancora con sé, molto più consistente dell’avviso di trasferimento. «Volevo che tu fossi la prima a leggerlo. Sto per andare a consegnarlo al diretto.»

Aiko lo aprì, leggendo il titolo di quel rapporto e sentendo il sangue calare di temperatura mentre scorreva rapido nelle vene.

«Indagine interna sul potenziale rapporto fra Aiko Masa, primo livello investigativo, e l’Albero di Aogiri», lesse a voce alta, «Sono impressionata da quanto hai scritto, davvero. Sono nei guai?»

Lui scosse piano il capo. «Ti risparmio la lettura. Ho avuto sospetti su di te dal primo istante in cui abbiamo iniziato a lavorare insieme. Anche Suzuya ne ha avuti, ma insieme siamo arrivati alla conclusione che non ti abbiamo mai capita.» Fece un piccolo intervallo fra quelle parole e il resto del discorso, permettendole di guardare le foto che aveva allegato di lei per strada. Sempre sola e nel tempo libero. Era stata anche pedinata e nemmeno se ne era accorta.  «Non ho fatto menzione della tua storia con l’agente Urie, né delle uscite notturne che non autorizzavamo. Siamo arrivati alla conclusione che stai indagando su qualcosa di strano, forse collegato a Hideoshi Nagachika, sul quale hai lavorato tempo fa. Sul rapporto abbiamo scritto solo che non ci sono le basi per avviare una istruttoria su di te e che posteriormente al tuo scontro con Tatara, è ovvio che non c’è possibilità di un tuo coinvolgimento con Aogiri. Non sei tu la spia che cerchiamo da anni, quindi…. Perché non sei tu, vero?»

Gli occhi dorati di Aiko saettarono in quelli dell’altro. Non esitò.

«No, non sono io la spia, Nakarai. Volevo davvero aiutarti a trovarla, ci ho provato, ma non riesco a capire chi potrebbe essere.»

«Stai indagando su questo?», la incalzò lui, senza pietà né inclinazioni nella voce. «Seguivi qualche pista strana utilizzando informatori non esattamente ‘legali’ ?»

Masa annuì. «In un certo senso sì, cercavo anche la spia»

In un certo senso.

«E sì, ho avuto contatti con ghoul per risolvere alcuni casi. Come l’Embalmer

Il biondo riprese la cartella, «Non sei né la prima né sarai l’ultima a farlo. Solo occupatene quando non ti saranno più utili, va bene?», lei acconsentì e lui si allontanò di un paio di passi dal letto. «Siamo stati insieme troppo poco per conoscerci davvero, Masa Aiko. Non posso dire quindi molto su quello che so essere un addio.»

La morettina ridacchiò piano, appoggiandosi fiacca ai cuscini. «Diciamo un arrivederci, ok? Niente più addii.»

«Allora arrivederci. Se posso permettermi, però, ti do un consiglio finale, in quanto sono ancora tuo partner sino a che non firmerai: non lasciare che quello che stai cercando ti faccia perdere. Non ne vale la pena. Ora riposati, hai un aspetto schifoso.»

«Grazie di tutto, prima classe.»

Anche lui lasciò la stanza e una volta sola, Aiko chiuse gli occhi, abbandonando indietro il capo.

Si sentiva persa da così tanti anni ormai, in balia di continui sentimenti contrastanti, da poter avere solo l’ambizione di un assaggio di vita normale.

Una aspirazione diversa.

Il potere stretto fra le mani, ma in positivo.

Avrebbe trovato se stessa nella S3? Se lo chiese, mentre riapriva la cartellina, passando le dita sulle due righe scritte da Arima con calligrafia sottile e stretta.

Richiedo che l’agente di primo livello Aiko Masa entri a far parte della S3, per compensare l’ingente perdita di personale dei recenti mesi. Classe speciale Kishou Arima.

«Non un perché, non una spiegazione. È così da Arima da sembrare un clichè

Con la penna stretta nella mancina, decise in fretta senza consultare Eto.

Sapeva cosa le avrebbe detto quest’ultima.

Pose una firma sulla carta e poi si voltò sul fianco, chiudendo gli occhi.

 

La sua vita avrebbe avuto finalmente quello spasmo che serviva per far cessare quegli assordanti applausi?

 

 

Continua…

 

 

 

Nda

 

So che sono di nuovo in ritardo, ma per scusarmi vi ho scritto un capitolo davvero lungo!

Che dire, un bel cambio di rotta, uhm?

Stiamo per entrare nella parte di storia che preferisco in assoluto su tutti.

 

Sono eccitata al pensiero di scriverlo!

 

Voglio ringraziare sinceramente le due ragazze fantastiche che mi hanno recensita.

Mi avete dato una carica in più!

Grazie davvero.

 

A presto con l’inizio del prossimo caso.

 

…Un caso indimenticabile.

 

C.L.

 

 

 

 

 

 

 

  
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