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Autore: Mary P_Stark    11/06/2018    3 recensioni
Maine, 1833
Lucius Bradbury è a capo di una fiorente compagnia navale nelle selvagge terre del Nord degli Stati Uniti e porta avanti i suoi affari grazie all'appoggio del fidato amico, e nativo americano, Albert Greyhawk. Quando giungono a Bass Harbour gli amici di una vita, Lucius è messo di fronte a una realtà di cui, fino a quel momento, non si era reso conto; possibile che la sua amicizia con Lorainne Phillips si fosse trasformata in amore?
Possibile che, grazie a quelle lettere scambiate negli anni, la sua amicizia con lei si fosse trasformata in un legame più profondo? Ed era poi vero che tutto era nato grazie alle lettere?
Quando Lucius si trova innanzi a Lorainne dopo anni di separazione, questi e mille altri dubbi sorgono nel suo animo... e non solo in quello del nobile scozzese.
Ma Lucius potrà permettersi di abbandonarsi alla passione, ammettendo con lei ogni cosa, pur sapendo che Lorainne se ne andrà entro qualche mese? (Seguito dei primi tre capitoli della Serie Legacy)
Genere: Commedia, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo regency/Inghilterra, Secessione americana
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Serie Legacy'
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12.
 
 
 
 
Sarah aveva raggiunto ormai da ore le stanze che, tanto gentilmente, herzog Ludwig aveva messo a disposizione per tutti loro, ma per Samuel era ancora difficile imitarla per raggiungere le proprie.

L’incontro con Cynthia lo aveva destabilizzato, così come l’ascoltare la sua storia, o le sue scuse. A ben vedere, però, molto meno di quanto avesse temuto in un primo momento, nel ritrovarsela dinanzi dopo tre anni dalla loro separazione improvvisa.

Se simili spiegazioni fossero giunte anni addietro ne sarebbe stato maggiormente colpito, ma ora era tutto diverso, dentro di lui.

Quei primi mesi dal suo abbandono erano stati assai difficili, mesi in cui la sua joie de vivre era stata messa seriamente a repentaglio dal gesto egoista di Cynthia.

Samuel, però, aveva avuto parole dure anche per se stesso, non soltanto per la donna di cui si era così superficialmente infatuato.

Non aveva mai fatto mistero di apprezzare sempre e comunque il genere femminile, e Max aveva cercato di aiutarlo – nel corso degli anni – a non rimanerne vittima.

Con Cynthia, poco aveva potuto fare, se non raccogliere i cocci di ciò che era rimasto e ricondurlo tra le amene pareti di Green Manor per essere curato nello spirito, se non nel corpo.

Zia Mina era stata buona, con lui, ma anche lapidaria nel rabberciarlo per quella follia e per essersi lasciato andare – ancora una volta – a eccessi estremi nei confronti delle donne.

Come darle torto, visto il modo in cu aveva messo in pericolo Max e Sophie, e costretto Elizabeth e Wendell a raggiungere, oltre a lui e Cynthia, anche i loro diretti inseguitori?

Era stato davvero sciocco credersi capace di tale impresa e, col senno di poi, se ne era dolorosamente reso conto.

Il suo titolo altisonante non avrebbe contato nulla, in America e, senza l’appoggio della sua famiglia, avrebbe condotto – e fatto condurre a Cynthia – una vita ben miserabile.

Certo, era acculturato e sapeva ferrare da solo il proprio cavallo, ma aveva compreso quasi subito che, queste sue dubbie capacità, sarebbero state apprezzate nel Nuovo Mondo, senza un capitale alle spalle per farle fruttare.

A conti fatti, l’aver fallito in quell’impresa era stato un bene. Per lui, ma anche per Cynthia.

“La vostra camera non vi aggrada, lord Westwood?” domandò a sorpresa il padrone di casa, sorprendendolo.

Volgendo a mezzo il viso sorpreso, illuminato in parte dalle fiamme morenti del camino acceso nella biblioteca di Ludwig Haus, Samuel mormorò: “Herzog Ludwig… no, la camera va benissimo, ma non riuscivo a prendere sonno.”

“Troppe emozioni, immagino” chiosò l’uomo, rinfocolando le fiamme con un paio di ceppi prima di accomodarsi su una poltrona.

“Davvero troppe, per un giorno solo” ammise Samuel, giocherellando distrattamente con un bottone del suo panciotto.

“La vostra futura moglie è davvero affascinante, e molto divertente” buttò lì Sebastian, lanciando un’occhiata curiosa al suo ospite.

Subito, Samuel si aprì in un sorriso, assentendo.

“Sarah ha il dono raro di regalare gioia al primo sguardo. A me in particolare, poi, ha restituito la voglia di vivere.”

“Mi rincresce infinitamente per ciò che successe tre anni addietro, e posso solo ringraziarvi per essere stato così solerte e cavalleresco con Cynthia” asserì a quel punto Sebastian, rilassandosi un poco sulla poltrona.

Accennando un sorriso, Samuel mormorò: “Fui così sciocco da credere di essere in grado di vivere come un commoner e, forte delle parole di Cynthia, mi imbarcai con lei in quell’avventura… ma sappiamo bene entrambi che sarebbe stato un fallimento.”

“Il grosso difetto della nobiltà inglese e, più in generale, dei nobili europei, è questo falso mito della permanenza delle cose. Nulla cambia, nel loro mondo, quando invece i fatti stessi smentiscono questa credenza.”

“Per me sarebbe stato davvero un bel cambiamento, visto che non ho mai lavorato un solo giorno in vita mia” ironizzò tristemente Samuel, guardando curioso il padrone di casa. “Per questo vi siete dato ai commerci? Per essere diverso dalla massa?”

“Per risarcire i debiti di gioco di mio padre” celiò a sorpresa Sebastian. “Come dicevo, i nobili pensano che il loro mondo rimarrà sempre uguale, immutabile nel tempo ma, perché ciò avvenga, bisogna essere oculati e prudenti. Mio padre non lo fu, e dilapidò gran parte delle nostre fortune, mandando sul lastrico la famiglia.”

“Mi spiace” mormorò Samuel, non sapendo bene cosa dire.

“Se vogliamo, per me fu un vantaggio” ironizzò suo malgrado Sebastian. “A vent’anni, cominciai a interessarmi di tessuti grazie ai buoni uffici dello zio di un nostro fedele servitore. Lui mi spiegò i segreti del mestiere e, grazie a ciò che rimaneva del nostro – un tempo – importante patrimonio, comprai i primi stock di sete d’importazione.”

“Vi siete gettato nel vuoto, in pratica” mormorò ammirato Samuel.

“O quello, o vendere la casa, costringere mia madre a diventare cucitrice, e le mie sorelle delle guardarobiere, o peggio. Dovevo garantire alle mie sorelline un matrimonio decente, e a mia madre una vecchiaia tranquilla, visto che nostro padre non lo aveva fatto per loro” scrollò le spalle Sebastian, come se non meritasse alcun plauso.

Lo sguardo immerso nelle fiamme del camino, il nobile prussiano aggiunse pensieroso: “Sposai la mia prima moglie tre anni dopo, durante un mio viaggio in India. Si chiamava Indira, ed era la figlia di un ricco signorotto indiano. Pensai che, dopotutto, non fosse un male cambiare sangue all’interno della mia famiglia, visto ciò che era successo con mio padre, e certi altri zii di cui preferisco non dire neppure il nome.”

Samuel ripensò al bellissimo ragazzo quindicenne che aveva incontrato quella stessa sera, a cena, e sorrise.

La sua carnagione ambrata lo aveva subito incuriosito, così come i profondissimi occhi neri, che gli erano parsi essere molto più maturi rispetto all’età reale del loro proprietario.
Lui aveva dovuto subire un’umiliazione feroce, per raggiungere un simile traguardo di maturità, e in ben più tarda età.

“Purtroppo, i rigidi inverni prussiani minarono la sua salute e, neppure sei anni dopo, Indira morì, lasciandomi con Thomas ancora piccolo e un profondo vuoto nel cuore” proseguì nel racconto Sebastian.

“Avete fatto un ottimo lavoro, con lui. Thomas mi sembra un giovane assai a modo e molto intelligente” asserì Samuel, sapendo di dire il vero.

“Grazie. Anche se va detto che molto aiuto lo ricevetti dalla mia servitù. Tutti amavano Indira, e riversarono su Thomas le loro attenzioni.”

Ciò detto, il prussiano ridacchiò e aggiunse: “Avreste dovuto sentire i commenti dei miei cosiddetti amici. Io che lasciavo nelle mani della servitù il mio piccolo. Mi considerarono un folle.”

Samuel sogghignò a quell’accenno, replicando: “Apprezzereste molto la famiglia di lord Spencer. Anche Andrew è cresciuto in un ambiente piuttosto informale, e i Conti Spencer sono spesso stati tacciati di essere degli eccentrici, in seno alla nobiltà inglese.”

“Per non dire di peggio, immagino” mormorò con sussiego l’uomo.

“Esatto” assentì Samuel.

“Fu in questo scenario che incontrai Cynthia. Ero a York per affari, attirato fin lì dalle lane che produceva suo padre. Erano di grandissima qualità e, per ciò che mi proponevo di fare qui in America, erano l’ideale, così decisi di recarmi al lanificio di persona. Portai con me anche Thomas – cerco di non lasciarlo mai solo per troppo tempo, anche se ormai comincia a essere grande – e fu in quell’occasione che la vidi per la prima volta.”

“Cynthia al lanificio?” domandò dubbioso Samuel.

Sebastian scosse il capo, asserendo: “Oh, no. Mi ha confessato di avere un terrore folle delle macchine, e non ha mai capito come suo padre potesse anche solo comprenderne il funzionamento. Si ritiene molto… vecchia, in questo, passatemi il termine. Preferisce le cose antiche, senza troppi ingranaggi.”

Samuel assentì, e il prussiano proseguì dicendo: “Stava passeggiando sul limitare della strada, con un ombrellino di pizzo a proteggere il viso dai raggi del sole. Thomas esclamò a gran voce ‘una bella donna inglese’ e lei si voltò, sorpresa, per capire chi avesse parlato.”

Samuel ridacchiò. Non faceva specie che il piccolo Thomas l’avesse trovata bella. Se c’era una cosa in cui non difettava Cynthia, era la bellezza.

“Fu così che ci fermammo – tendevo a viziare troppo mio figlio, anche se ora spero di essere un po’ migliorato – e Thomas le fece mille e più domande, senza mai smettere. Cynthia rispose a ogni cosa, intervallando le sue risposte a caldi sorrisi e dolci carezze.”

Una Cynthia… materna? E chi se lo sarebbe mai aspettato? La sorpresa di Samuel era massima.

“Scoprii così che era figlia di Withmore e, quando lei seppe del mio titolo nobiliare, si raffreddò non poco, pur restando molto gentile con il piccolo Thomas. Venni a sapere delle motivazioni di un tale comportamento, solo in seguito.”

“Sendringham…” mormorò Samuel, assentendo torvo.

“Esattamente. A ogni modo, la mia curiosità nei suoi confronti crebbe, pur se sapevo che lei era molto più giovane di me – dopotutto, ho quasi quarantatré anni – e così, nonostante le sue reticenze iniziali, accettò di rivedermi, pregandomi però di non dire nulla al padre.”

“Immagino che Withmore, almeno all’epoca, non vedesse di buon occhio i nobili, specialmente se accostati a Cynthia” asserì Samuel.

“Fu molto chiaro in merito, durante una cena a casa loro. Non so se lo disse per mettermi in guardia, o solo perché eravamo finiti in argomento, ma la sua dichiarazione fu lapidaria, e mi fece comprendere che mai sarebbe tornato sui suoi passi” sospirò Sebastian, passandosi una mano sulla fronte. “Fu molto frustrante scoprire che mai, il signor Withmore, avrebbe acconsentito a una mia eventuale richiesta di matrimonio.”

“E così, Cynthia cosa fece?”

“Restammo in contatto tramite lettera, quando io dovetti tornare a Londra per alcuni affari, e questo mi consentì di capire quanto si sentisse fuori posto, a York.”

“In che senso?”

“Ho sempre provato molta gelosia nei confronti di Sophie…” intervenne una voce alle loro spalle, sorprendendoli. “… ma ero anche troppo orgogliosa per ammetterlo. Mi sentivo inferiore a lei, e questo mi irritava, perché non sapevo come migliorarmi.”

“Cara… come mai sveglia a quest’ora?” domandò sorpreso Sebastian, facendo l’atto di alzarsi.

Cynthia scosse il capo, levando una mano per bloccarne le mosse, e replicò: “Un po’ di nausea. Sono scesa in cucina per bere dell’acqua e, quando vi ho sentiti parlare, mi sono avvicinata. Sei stato molto generoso nel raccontare di me, caro.”

“Onesto” asserì Sebastian, sorridendole.

Cynthia ammiccò nella sua direzione per un attimo, prima di guardare Samuel e dire: “Mi sentivo al sicuro, con Sebastian. Era un vedovo con un figlio, di certo non un uomo che avrebbe cercato di circuirmi per avermi come aveva fatto il giovane Sendringham. Mi lasciai andare, con lui, e il suo carattere buono e generoso mi riscaldò dopo tanto tempo. Inoltre, mi innamorai di Thomas, devo ammetterlo.”

Nel dirlo, sorrise al marito, che rise sommessamente.

“Era un ragazzino così dolce, e gli piacevo. Fu corroborante, per il mio animo spezzato, e sentii di poter essere sincera senza dover sfoggiare sorrisi maliziosi o altro. Gli andavo bene così com’ero.”

Samuel addolcì lo sguardo, domandandole: “Perché non me lo diceste? Vi avrei aiutata. Anzi, forse, sarei stato ancor più solerte. Amo molto le fughe d’amore e le storie travagliate.”

Cynthia arrossì a quella domanda e, reclinando colpevole il capo, ammise: “Pensai scioccamente che fosse meglio così. Non credevo possibile che un nobiluomo potesse aiutarmi per semplice cortesia, o buon cuore. Mi rendo conto di avervi fatto un grave torto, lord Westwood, e vi chiederò perdono finché la salute me lo consentirà.”

“Risparmiate il fiato per il bimbo che cresce dentro di voi” replicò Samuel, sorridendo tranquillo. “Quella batosta mi servì per maturare… e per capire che Sarah era la donna giusta per me.”

“E’ molto fiera e combattiva. E vi ama molto” assentì Cynthia, un po’ più serena.

“Mi disse che, quando Max ci presentò la prima volta, capì subito che sarei stato suo marito” ironizzò Samuel, passandosi una mano tra la folta capigliatura biondo-castana.

“E ciò quando avvenne?” si interessò Sebastian.

“Quando lei aveva dieci anni” ammiccò Samuel, sorprendendo i padroni di casa.

“Una fanciulla dalle idee chiare” chiosò il prussiano, sbattendo le palpebre con aria scioccata.

“Era più che convinta che, alla fine, sarei maturato a sufficienza per capire che lei era la donna per me, e ha lavorato sui fianchi per anni, perché ciò avvenisse. Me ne resi conto solo dopo, però” ammise Samuel, rammentando come, nel corso del tempo, Sarah si fosse sempre trovata vicino a lui, durante le sue visite a Green Manor.

Era sempre stata una presenza fissa, più o meno evidente a seconda dei momenti, ma ben chiara nella sua mente. Ogni episodio collegato a Max – tolti gli anni di Eton – comprendeva anche Sarah, in qualche modo.

Quando, poi, era tornato stanco e col cuore in pezzi dal suo viaggio a Southampton, lei aveva affondato il colpo finale, diventando il suo sprone per risorgere.

Era stata discreta, non si era mai esposta se non come amica e lui, finalmente libero dalle nebbie che lo avevano imprigionato in quegli anni, l’aveva vista veramente.

Durante la festa di Calendimaggio dell’anno seguente a quella sciagurata impresa, le aveva regalato una coroncina di fiori e lei, estasiata, lo aveva baciato su una guancia.

Lì, era capitolato. Essendo però Sarah ancora piuttosto giovane, aveva preferito aspettare, prima di parlarne con Thornton.

Sarah, comunque, aveva preceduto tutti e, in barba alle convenzioni, aveva chiesto al padre di non farla partecipare alla Stagione seguente, a Londra, per cercare un marito.

Lei avrebbe sposato solo Samuel, non importava quando. L’importante, era che fosse lui, e lui solo.

Anthony, a quel punto, aveva voluto saperne di più, in merito, e Samuel non aveva smentito nulla, assicurando al potenziale futuro suocero il massimo impegno e la più grande serietà.

Il fidanzamento era stato celebrato poco prima di partire per Bass Harbour e, l’anno seguente, si sarebbero sposati.

Ora che, però, c’erano in ballo Lorainne e Lucius, non aveva idea se le date sarebbero state cambiate o meno. O se Anthony avrebbe concesso loro di vivere un solo giorno di più, visto che avevano permesso a una delle sue figliole di innamorarsi senza la sua supervisione.

Samuel sorrise a quel pensiero e Sebastian, dopo aver ascoltato un riassunto di Samuel in merito alle loro ultime settimane passate sull’isola, il tutto condito da molte risate, asserì: “Di certo, in famiglia non vi annoierete mai.”

“Sicuramente. Anche se credo che Myriam, la madre di Sarah, Lorainne e Violet, non si aspettasse simili… comportamenti dalle sue figlie” ironizzò Samuel.

“Oh, ma… lady Violet mi sembra la persona più dolce e cordiale di questo mondo. Che pensieri potrebbe aver mai dato alla madre?” esalò Cynthia, sorpresa.

Samuel, allora, si levò in piedi, sbadigliò dietro la mano levata dinanzi alla bocca e, ormai stanco, disse: “Domandatelo a lei, Cynthia. Sono sicuro che si divertirà a raccontarvi la sua personale avventura per conquistare il diritto di sposare Andrew. Ora, se volete scusarmi, penso riuscirò a riposare un poco. Buonanotte.”

Una volta rimasti soli, Cynthia si rivolse al marito e disse: “Spero che potrà perdonarmi, un giorno.”

“Oh, credo lo abbia fatto. Devi solo essere tu, ora, a perdonarti. Si può essere in errore, nella vita, ma l’importante è mettercela tutta per redimersi, e tu l’hai fatto.”

“Andiamo anche noi?” gli domandò allora Cynthia, allungandogli una mano.

“Credo sia tempo” assentì l’uomo, levandosi in piedi prima di lanciare un’occhiata all’oscurità all’esterno del palazzo. “Spero che riescano a trovare chi cercano.”

Cynthia assentì preoccupata e, assieme al marito, spensero le candele per poi allontanarsi dalla biblioteca e raggiungere così le loro stanze.
 
***

L’oscurità era quasi totale, se si toglieva il riverbero argentato della luna, eppure Albert guidava la piccola spedizione con passo sicuro, come se fossero stati in pieno giorno.

“Il carro, per qualche motivo, ha rallentato” mormorò il lakota, saggiando il terreno con le dita prima di rimontare a cavallo.

“Pensi che abbiano avuto dei problemi?” domandò Lucius, guardandosi intorno con aria tesa.

La notte era scesa già da alcune ore e, per quanto non avessero mai perso la pista, non erano ancora riusciti a raggiungere i fuggitivi.

Se, in un primo momento, avevano pensato a una fuga in direzione di Bass Harbour, il trio si era dovuto ricredere quando le tracce del carro avevano virato verso nord.

Verso il centro montuoso dell’isola.

Non era facile farsi strada tra quelle foreste impervie, dove sporadici acquitrini potevano cogliere in fallo anche il più esperto isolano.

La fretta e l’oscurità potevano causare anche più danni, comunque.

Una caduta accidentale da cavallo era un incidente abbastanza consueto, se non si era esperti nell’arte equestre e, anche se Lucius si riteneva abile, l’ansia poteva essere cattiva consigliera. Il pensiero di sapere Lorainne sicuramente preda della paura per lui, lo irritava e lo spaventava assieme.

“Smettila di pensare a Lorainne, e guarda dove vai” brontolò Albert, dandogli un colpetto con la mano.

Lucius lo guardò male ma non replicò. Aveva dannatamente ragione, ma non voleva sentirselo dire da un amico.

“Vedrai che Lorainne non si perderà d’animo. Però, se ti riportiamo indietro con anche un’unghia rotta, ci scotennerà… perché ho idea che Silver l’abbia istruita anche su questo” brontolò Lawrence, scuotendo il capo.

“Oh, non mi stupirei, se l’avesse fatto davvero” ammise Albert. “Proprio per questo, preferirei ritrovare i fuggitivi, appenderli a un ramo e poi tornare a casa.”

“Appenderli… a un ramo?” ripeté Lucius, facendo tanto d’occhi.

“Cosa pensavi avrei fatto? Che li avrei risparmiati?” asserì Albert, accigliandosi. “Hanno minacciato di morte mia moglie, ferito degli amici e distrutto casa tua. Perdonami se non sono così propenso a guardare la cosa con gli occhi di un washicu.”

Lucius lanciò un’occhiata all’indirizzo di Kerrington, in cerca d’aiuto, ma anche lui sembrava propenso a usare le maniere forti.

“D’accordo, niente corde e botte in testa. Ma sapete che non possiamo semplicemente far sparire i loro corpi, vero?” brontolò Lucius.

“Li porteremo a Bass Harbour, presso la locale stazione dello sceriffo, e io spiegherò come sono andati i fatti. La voce di un colonnello dell’esercito varrà pure qualcosa, no?” dichiarò Lawrence, lanciando un’occhiata furba all’amico.

“Non voglio coinvolgerti più del necessario” protestò Lucius.

“Abbiamo tutti i testimoni che vuoi, per deporre contro Collins, inoltre – per ora – non abbiamo ancora fatto del male a nessuno” sottolineò per contro Albert.

“Quel ‘per ora’ mi rincuora” gracchiò Lucius, venendo però azzittito da Albert che, bloccando la propria cavalcatura, indicò alla loro destra alcuni segni sul terreno.

La luna aiutava, ma non era come cercare una preda in pieno giorno.

Fortunatamente per loro, però, Albert era un cacciatore lakota e, notte o giorno che fosse, lui sapeva come scovare le tracce sul terreno.

Inoltre, il pensiero di Silver ferita lo spingeva a essere più letale e feroce del solito, e ogni stilla di energia era spesa per trovare Collins e il suo complice.

Lucius sperava soltanto che le medicazioni di Lorainne reggessero, o sarebbero stati in guai seri. Non voleva riportare a Silver il cadavere del marito, e solo perché non era stato in grado di fermarlo dal commettere azioni avventate.

Intimando loro di fare silenzio, Albert strappò Lucius da quei lugubri pensieri e indicò ai compagni di inoltrarsi nel bosco, lasciando il sentiero fin lì seguito.

L’oscurità, a quel punto, divenne praticamente totale, ma Albert non se ne curò.

Lui ascoltava la foresta, più che guardarla e, agli impedimenti dinanzi a lui, poteva pensare il cavallo.

Lucius e Lawrence si limitarono a seguirlo, le mani già sulle pistole, pronti a qualsiasi cenno avesse fatto loro il compagno.

Questi, però, non parlò.

Levò un pugno a bloccarli, scese in silenzio dal cavallo e, un pugnale tra i denti e il tomahawk nella mano destra, si acquattò per avvicinarsi a un gruppo di cespugli.

I due compagni lo seguirono dappresso, notando solo a quel punto i rami rotti e il fogliame sparso a terra. Il carro doveva essere passato di lì, forzando la barriera naturale offerta dal sottobosco.

Quale fosse stato il motivo, era ancora da vedersi.

Silenzioso quanto letale, Albert raggiunse infine i cespugli più compromessi e lì, accigliandosi, sussurrò a mezza bocca: “Verso destra, sul bordo dell’acquitrino.”

Lucius e Lawrence assentirono, notando un piccolo bivacco e un fuoco acceso. Cosa li avesse spinti ad accendere un fuoco, era difficile capirlo. Anche se dal sentiero era stato impossibile vederli, un fuoco poteva attirare l’attenzione anche di briganti e malintenzionati.

In ogni caso, come era riuscito Albert a scoprirli? Non era possibile che avesse notato, con quell’oscurità opprimente, le scanalature nel terreno lasciate dal carro!

Quasi intuendo la sua domanda, Albert si volse verso Lucius e mormorò: “Usa il naso. Si sente l’odore di legna da ardere.”

“Quindi, non ci vedi al buio” ironizzò Lucius.

Albert ghignò, facendo spallucce.

L’attimo dopo, divenne – o tornò – il guerriero lakota che aveva combattuto fieramente nelle Grandi Pianure, prima di venire sconfitto dalle armi degli uomini bianchi.

Tenendosi basso, si avvicinò al bivacco improvvisato e, anche grazie al vento, il trio iniziò a udire le voci concitate dei due uomini fermi a quel campo improvvisato.

Il tono di Collins era irritato, oltre che infiacchito, mentre il suo complice sembrava molto spaventato… e assai giovane.

Vagamente sorpreso, Lucius fece un cenno a Lawrence perché coprisse uno dei lati del bivacco, mentre lui avrebbe coperto l’altro.

Albert si sarebbe occupato dell’attacco frontale. Non dovette neppure chiederglielo. Ormai conosceva il funzionamento della testa dell’amico, e sapeva bene che non avrebbe accettato nient’altro.

Doveva essere lui a vendicare la moglie.

“Maledizione, Claus, devi deciderti a fare quello che ti ho detto!” ansimò stancamente Collins, con il fiato corto e il viso pallido.

Il giovane al suo fianco scosse nettamente il capo, piagnucolando: “Non posso, papà… te l’a-avevo detto c-che dovevi p-portare Bart.”

Suo figlio?, pensò turbato Lucius.

Aveva davvero costretto il figlio a diventare un criminale, e solo per portare a termine la sua vendetta?

“Quell’idiota di tuo zio non è capace di pensare anche solo lontanamente a un’azione al di fuori dalle regole” sbottò sprezzante Adam Collins, irritato. “E poi, lo sai com’è… tutto questo gran parlare di Bradbury e delle sue navi…”

“S-sono belle” balbettò il ragazzo, prendendosi per diretta conseguenza un ceffone in viso.

“Mi ha licenziato! O te ne sei scordato!?” lo rabberciò l’uomo. “Su quest’isola sembrano tutti sodomizzati da quel nobilastro inglese… neanche avesse regalato a tutti oro e argento.”

Lucius storse il naso, nel sentirsi chiamare nobilastro, ma fu ben lieto di scoprire che nessuno aveva dato corda alle sue follie. Se non altro, non doveva temere altri colpi bassi.

“Ora, prendi quel coltello e infilalo nel fuoco. Devi cauterizzare questa maledetta ferita!” sbottò Collins, agitando il coltello dinanzi al volto del figlio.

Il ragazzo, piuttosto grosso pur se ancora imberbe – a sottolineare la sua giovane età – si tirò indietro spaventato e, scuotendo il capo, balbettò: “N-non lo farò. Il s-sangue m-mi fa p-paura.”

Collins lo fissò disgustato e, nell’immergere la lama egli stesso nelle fiamme del falò, ringhiò: “Ammazzerò tua madre, per questo. Tu non puoi essere mio figlio, perciò deve avermi per forza reso becco. Non meriterebbe altro che di essere battuta, quella cagna.”

A quelle parole, il giovane si animò leggermente e protestò dicendo: “Non farai del male alla mamma!”

Il padre gli rise in faccia sprezzante e, nel sollevare la lama rossa e rovente, esclamò: “Oh, ma guarda come si scalda, se gli toccano la mammina. Questa è la riprova di ciò che ho appena detto… mio figlio non può essere un simile smidollato.”

Ciò detto, si strappò di dosso il bendaggio sommario e, fissando astioso la ferita inferta da Albert, ringhiò: “E’ così che si comporta un vero uomo.”

L’attimo seguente, calò la lama sulla ferita e strinse i denti più forte che poté.

Ringhiò, sputò sangue e saliva e, al tempo stesso, cauterizzò la ferita sotto gli occhi inorriditi del figlio che, a un certo punto, diede di stomaco a causa dell’odore acre della carne bruciata.

Imperterrito, Collins portò a termine l’opera nel minor tempo possibile ma, quando finalmente poté allontanare la lama dal braccio, non gioì come avrebbe voluto.

Dinanzi a lui, infatti, livido in viso e simile a uno spettro, se ne stava proprio colui che gli aveva inferto quella ferita così invalidante e che aveva finito con il rallentarlo.

In un impeto d’ira, tentò di alzarsi per accoltellarlo, ma Albert fu più veloce.

Con il tomahawk recise i tendini del suo ginocchio mentre, con il coltello, puntò direttamente alla sua gola, pronto a dargli il colpo di grazia.

Il figlio di Collins urlò spaventato, cadendo a terra in preda ai tremori e, immobile, fissò la scena senza riuscire a dire alcunché.

Lucius e Lawrence ne approfittarono per uscire a loro volta allo scoperto e, mentre il colonnello si occupava di tenere sotto tiro il giovane, Bradbury si avvicinò all’amico.

Quest’ultimo teneva sotto tiro Collins, crollato a terra dopo il colpo al ginocchio e, con occhi iniettati di furore, stava decidendo in che modo dargli la morte.

Lucius, però, preferì risparmiargli quel peso sulla coscienza e, nel poggiare una mano sulla sua spalla, mormorò: “E’ finita, Albert. Lascia perdere. Consegniamolo allo sceriffo, così che sconti la sua pena in prigione.”

“Non ci sono prigioni, tra i lakota. Solo la vita e la morte” sibilò Albert, affondando un poco la lama nella gola dell’uomo.

Una goccia di sangue spillò, e ancora Lucius disse teso: “Lo so, amico mio, e lui lo merita più di altri. Ma pensaci bene… così, è troppo facile. Merita di patire a lungo, per quello che ha fatto. La morte sarebbe una liberazione, per lui.”

Albert si volse appena per lanciare uno sguardo all’amico e, non più così sicuro, mormorò: “Una pena lunga quanto?”

“Ha messo a rischio l’intera servitù, oltre a una nobildonna inglese. Inoltre, ha danneggiato del materiale al cantiere e la mia villa. Ce n’è abbastanza perché si stanchino di lui, credimi” gli elencò Lucius, ghignando con tono vagamente sarcastico.

Collins deglutì a fatica, ma riuscì comunque a dire: “Se pensi che a un giudice qualsiasi interessi la tua squaw, ti sbagli di grosso, brutto…”

Albert non ci vide più.

Tenendo ben saldo il tomahawk, colpì alla testa Collins, mandandolo lungo riverso sul terreno e, finalmente, questi ebbe la decenza di svenire.

Lucius sospirò di sollievo e, nel guardare il corpo privo di sensi dell’uomo, sbuffò disgustato e disse: “Certe persone non sanno mai quando è il momento di tacere.”
 
***

Lo sceriffo di Bass Harbour prese nota della deposizione di Lucius e Lawrence, dopodiché si dedicò a quella di Albert, intervallando occhiate dubbie al figlio di Collins.

Da quando lo avevano caricato a forza sul carro, diretti verso la civiltà, non aveva più detto una parola e, anche di fronte allo sceriffo, non aveva aperto bocca.

Fu solo quando giunse la moglie di Collins, Samantha, che il giovane ritrovò la favella e, piangendo come un vitello, sfogò le sue paure e ammise ogni addebito.

Allo sceriffo non restò altro che ascoltare, prendere nota e sospirare vagamente disgustato mentre Collins, dalla sua cella, inveiva contro il figlio e la moglie.

Quando ogni cosa fu detta, lo sceriffo guardò Bradbury e dichiarò: “A questo punto, dovrei incriminare anche il ragazzo, ma…”

Lucius scosse il capo al pari di Lawrence, e anche Albert si dichiarò d’accordo.

Quest’ultimo, infatti, disse: “Se al mio titolare non dispiace, prenderei il ragazzo sotto la mia ala. E’ di costituzione robusta e pare anche un buon lavoratore ma, fino a questo momento, ha avuto pessimi maestri che ne hanno mal indirizzato le azioni. Può essere recuperato, mi creda, e vorrei prendermene carico io.”

Mrs Collins lo guardò con occhi prossimi al pianto, annuendo grata e Lucius, assentendo, dichiarò: “Il ragazzo non ha colpe. E’ stato costretto dal padre a prendere parte a questa follia, perciò non me la sento davvero di rovinare una giovane vita per le colpe di qualcun altro. Il mio capo mastro lo avvierà a un lavoro onesto, e io mi considererò a posto. Ma quell’uomo dovrà rimanere in galera. Non voglio più ritrovarmelo davanti.”

“Oh, con tutte queste accuse, posso già buttare via la chiave” ghignò lo sceriffo, stringendo la mano ai tre uomini, prima di rivolgersi al giovane Collins.  “Quanto a te, vedi di non sprecare questa occasione, Claus. Non tutti sarebbero stati così indulgenti, di fronte a simili fatti.”

Il giovane assentì più volte di fronte allo sceriffo, prima di lanciare uno sguardo adorante ad Albert, che si limitò a dargli una pacca consolante sulla spalla.

Inchinandosi più volte, Mrs Collins continuò a ringraziare il trio di uomini che, lentamente, uscirono dalla stazione dello sceriffo, mentre le urla del marito si perdevano dietro la porta ormai chiusa.

Quando il sole del mattino rischiarò i loro volti, Lucius sorrise e disse: “Sarà il caso di raggiungere il cantiere. Non voglio approfittarmi troppo dell’aiuto di Violet e Lorainne. Inoltre, vorranno tutti conoscere le sorti della nostra missione.”

Lawrence e Albert assentirono e quest’ultimo, nel lanciare un’occhiata a Claus, disse: “Raccogli la tua roba e raggiungi il cantiere. Da oggi, sarai un ospite dell’ostello, e potrai tornare a casa la domenica, nel tuo giorno di riposo.”

“S-sì, signore. Sì, Mr Greyhawk” assentì velocemente il giovane.

Lucius, rivolgendosi a Mrs Collins, aggiunse: “Vitto e alloggio sono compresi nel suo salario, che gli verrà corrisposto con una lettera di credito alla fine di ogni mese di lavoro. Spero non sentirà troppo la sua mancanza, durante la settimana, ma preferiamo che i nostri uomini rimangano nei pressi del cantiere. Le trasferte da casa al cantiere sono spesso fonte di incidenti e, così le riduciamo al minimo.”

“Andrà benissimo, Mr Bradbury. Già così, sarò in debito con voi finché scampo. Poco ma sicuro” asserì la donna, asciugandosi una lacrima con il bordo del grembiule immacolato.
Il nobile abbozzò un sorriso e disse per contro: “Se suo figlio si rivelerà un bravo giovane e un buon lavoratore, saremo a posto. Con permesso…”

Il trio di uomini raggiunse le proprie cavalcature mentre Claus Collins tornava a casa propria assieme alla madre, pronto a riprendersi in mano una vita che, il padre, aveva rischiato di rovinare per sempre.

Nell’osservarlo, Albert borbottò: “Un padre simile sarebbe stato un’onta per tutta la tribù, se fosse stato un lakota.”

“Anche tra di noi è un’onta, credimi” asserì Lawrence, dandogli una pacca sulla spalla.

Albert assentì e, nel salire a cavallo, si tastò il fianco dolorante, dove alcune gocce di sangue avevano macchiato la camicia immacolata. Evidentemente, le azioni della notte precedente avevano aperto i punti che gli erano stati applicati.

“Temo che Lorainne mi torcerà qualcosa, quando vedrà che ho rovinato il suo lavoro di rammendo” brontolò il lakota, scatenando le risate dei suoi compagni.

“E’ molto probabile, amico mio. Riesci a cavalcare fino al cantiere?” gli domandò poi Lucius.

“Sicuro. Sono solo alcuni punti. Inoltre, ho combattuto con ferite peggiori” asserì orgoglioso Albert, avviandosi lungo la via principale coi lunghi capelli al vento e il profilo nobile stagliato nell’orizzonte luminoso.

Lucius sorrise, di fronte a quell’immagine.

Che le persone pensassero quel che volevano. Forse, Albert e Silver non avevano sangue blu nelle vene, ma valevano più di tanti nobili che lui aveva conosciuto negli anni.

La loro nobiltà l’avevano in ogni fibra del loro essere, e scaturiva da ogni loro azione, da ogni singolo pensiero.

Quella, era la nobiltà che Lucius apprezzava, non il titolo altisonante o il blasone familiare più o meno famoso.

“Sono davvero orgoglioso di essere tuo amico” dichiarò a quel punto Lucius, sorridendogli.
Albert lo guardò un po’ confuso, ma sorrise a sua volta, mormorando: “Pilamaye, koda1.”
 
***

Andrew li accolse al loro ritorno al cantiere con un saluto e un sorriso.

Prese le redini del cavallo di Lucius, quindi, gli domandò: “A giudicare dalle vostre facce, direi che è andata bene. Avete trovato Collins e il suo complice?”

Lucius e gli altri discesero dalle proprie cavalcature e, nell’annuire, Bradbury raccontò sommariamente all’amico quel che era successo durante la lunga notte di inseguimento.

L’accenno a Claus Collins fece storcere il naso ad Andrew, che borbottò: “Anche solo per aver obbligato il figlio a intraprendere una simile impresa, meriterebbe l’impiccagione. Avete fatto bene a offrirgli una seconda possibilità. Gli servirà per ritrovare un equilibrio, dopo un esempio negativo quale è stato il padre.”

“E’ quello che…” cominciò col dire Lucius, prima di adocchiare Lorainne, in maniche di camicia e lunga gonna svolazzante che, al fianco del suo capomastro, stava controllando alcuni documenti. “… ma che ci fa qui? Pensavo fosse a casa di herzog Ludwig!”

Andrew lo fissò con placida ironia e replicò: “Pensavi davvero che avrebbe abbandonato il Forte, in tua assenza?”

“Non siamo in guerra… e tu avresti dovuto convincerla a riposarsi” brontolò Lucius, fissando male l’amico.

“Oh, no, mio caro. Non mi intrometterò più, tra te e lei” ironizzò il giovane Spencer, levando le mani in segno di resa. “Comunque, ha dormito sul tuo pagliericcio e, per qualche ora, si è riposata, anche se era molto in ansia per voi tutti.”

Sospirando, Lucius si scusò coi presenti per raggiungerla e Andrew, nel vederlo correre verso la giovane, sorrise e disse: “Ormai è del tutto andato.”

“Perso per sempre” soggiunse Lawrence, sogghignando.

“Per lo meno, ha perso la testa per una donna di valore” mormorò con sussiego Albert, trovando il plauso dei compagni.
 
***

“…inoltre, se posso esprimermi, metterei qualche bottiglia di vino in una nassa e la metterei in ammollo in acqua, così che rimanga fresca fino all’arrivo degli acquirenti” terminò di dire Lorainne, sorridendo al capomastro.

Questi, assentì e disse: “Ottima idea, miss Lorainne. Peccato non aver pensato a farsi portare qualcosa da Tremont, ma dubito che raggiungeremmo in tempo il panificio per trovare qualche dolce da offrire in abbinamento.”

“Se è per questo, ci posso pensare io. All’ostello avete una cucina, vero?” dichiarò Lorainne, sorprendendo un po’ l’uomo.

“Oh, sì, certo, ma non dovete…” tentennò il capomastro, non sapendo che fare. Dopotutto, stava parlando con una lady!

Lorainne sorrise, si tirò su le maniche e dichiarò: “Mostratemi solo dove si trova, e io farò il resto. Nel frattempo, preparate un tavolo al mascone di dritta, da cui si può scorgere meglio l’entrata della baia. Anche l’uomo più duro e puro, dovrebbe poter apprezzare un simile paesaggio.”

“Subito, miss” assentì l’uomo, prima di rendersi conto della presenza del suo titolare. “Oh, lord Bradbury. Bentornato! La missione si è risolta bene, spero.”

“Tutto benissimo, grazie, Bernard. Occupati pure delle mansioni concordate con miss Phillips. Accompagnerò io la signorina alle cucine” dichiarò Lucius, dando una pacca sulla spalla all’uomo, che assentì tutto contento.

L’attimo seguente, il capomastro si tolse il basco per salutare compitamente Lorainne e, a grandi passi, andò in cerca di quel che aveva richiesto la dama.

A quel punto, Lucius si volse verso Lorainne, rimasta in religioso silenzio fin da quando Bernard si era accorto della sua presenza e, sorridendo appena, disse: “Eccomi qui.”

Lei sbatté le palpebre una, due, tre volte, prima di prendere un gran respiro, tergersi una lacrima ribelle e, infine, offrire il suo miglior sorriso a Lucius.

Sorriso che, per poco, non mandò al tappeto Bradbury.

Era stato via poche ore, eppure gli era parso di rimanere lontano da lei per settimane. Come avrebbe fatto a sopportare che lei tornasse a casa per parlare con il padre, se lui era già ridotto così?

“Sono… sono felice che tu sia tornato sano e salvo” riuscì infine a dire Lorainne prima di scostarsi un poco, scrutare oltre Lucius per un attimo e, sorridente, gettarsi tra le sue braccia.

Scoppiando a ridere, Lucius la strinse a sé, mormorando contro i suoi capelli: “Hai controllato che Andrew non guardasse?”

“Già. Dovrò ringraziare Albert e il colonnello, visto che lo stanno tenendo occupato in chiacchiere” ammiccò Lorainne, lanciandogli uno sguardo liquido e preoccupato. “Siamo al sicuro, adesso?”

“Collins è dietro le sbarre. Nessun altro attenterà alla vostra vita. Promesso” le sussurrò lui, baciandole la fronte per poi scostarsi e prenderla per mano.

Lei sorrise lieta di fronte a quel gesto spontaneo e, nell’incamminarsi con Lucius verso l’ostello, disse: “Sono felice che non abbiate dovuto pensare voi alla sua punizione. E’ preferibile che, a queste cose, badi lo sceriffo.”

“Più che d’accordo” assentì lui. “Ma perché ti è venuto in mente di preparare un buffet di benvenuto?”

Lei sorrise divertita, asserendo: “Mr Withmore è solito farlo, nel suo lanificio, e dice che i clienti sono sempre molto più bendisposti, quando devono firmare i contratti. La pancia piena, in un uomo, è molto importante.”

“E tu sai cucinare?” domandò sorpreso Lucius, sorridendole.

“Mi piace fare le torte e, quella al limone, mi viene molto bene” dichiarò Lorainne, orgogliosa.

“Non vedo l’ora di assaggiarla” ammiccò malizioso Lucius, scrutandole le labbra piene e sorridenti.

Lei arrossì, di fronte a quel doppio senso e, nel dargli un colpetto con la spalla, sussurrò: “Non avrete così facilmente accesso alle mie labbra, milord, visto che mi sembrate così ansioso di scoprire che sapore hanno.”

“Mi terrete lontano da loro, milady? Sarete così crudele con me? Desidero solo scoprire se il limone ben si abbina al sapore di pesca della vostra pelle” stette al gioco Lucius, facendola arrossire ancor di più.

Lorainne si scostò da lui, gli si parò innanzi e, tutta rossa per l’imbarazzo, borbottò: “Mostro di iniquità… non potete parlare così a una donzella!”

“E alla mia fidanzata?” le propose lui, allungandosi per prenderle la mano.

Lei ci pensò su, scrutò di nuovo le loro dita intrecciate e, nel tirarlo con sé verso l’ostello, asserì decisa: “Sì, alla vostra fidanzata potete dirlo, messere.”

“Buono a sapersi” dichiarò Lucius, tutto ghignante.

 
 
 
 
1 – Pilamaye, koda (Lingua Lakota): trad. grazie, amico.
 
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N.d.A.: Spero che ciò che è avvenuto a Cynthia e Sebastian sia più chiaro, a questo punto. Nessuno è perfetto ma, se si vuole, si può migliorare.
Quanto al nostro Collins, temo lui sia l’eccezione che – invece – conferma la regola. Si spera che il figlio sia più svelto.
  
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