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Autore: akane_99    13/06/2018    0 recensioni
un po' di tempo fa gironzolando su internet ho trovato una fanart , merthur, che li vederva agli Hunger Games... l'idea, per quanto stramba, mi sembrava buona, e ottimo spunto... così la mia mente di Fangirl non ha potuto non buttare giù una storia!
quindi benvenuti agli Hunger Games!... molti anni prima, con dei protagonisti un po' particolari...
ovviamente saranno presenti altri personaggi di Merlin oltre che a numerosi original characters, per i vari tributi, ma ( magari non nei primi capitoli...)la Merthur non mancherà di sorprendervi durante questi giochi!
spero che vi piaccia!
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Morgana, Nuovo personaggio, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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~~È buio.
Non so dove sono.
Non sento più il mio corpo e alle mie orecchie arrivano solo suoni vaghi e ovattati.
A fatica, procedendo a tentoni mi trascino verso una debole luce che riesco a scorgere: dovrebbe esserci una finestra, ma non riesco a individuarla bene, sono stordito.
Allungo le mani, ma le ritraggo immediatamente.
Sento l’odore del sangue, la sua consistenza calda e quasi viscida. Lungo la mia mano destra c’è un lungo taglio. Strappo un pezzo della mia camicia e tento di fasciarlo, pensando che almeno ho trovato la finestra. È alta, e il vetro è rotto, come se vi avessero tirato una pietra, con molte venature intorno al foro. Con le ultime forze finisco di sfondarla con un gomito, e raccolgo con attenzione alcuni frammenti di vetro, nascondendoli nello zaino recuperato alla Cornucopia: potrebbero rivelarsi utili.
Sono per terra, ma riesco a sporgermi dalla finestra, sollevadomi appena. Fuori nello scuro cielo di luna nuova brillano le stelle,da sempre fonte di speranza per gli uomini.
La speranza. Devo riuscire a non perderla, nemmeno ora: sono sempre stato un ragazzo ottimista fin da bambino. Nell’arena ci sono due cose che non bisogna mai perdere: la speranza e il ricordo della nostra identità e infanzia.
Mi abbandono alla stanchezza, mi sento al sicuro in questo alto palazzo di mattoni:  è diroccato e ci sono macerie dappertutto,ma sta ancora in piedi.
L’arena quest’anno è questo: una città abbandonata,distrutta, forse bombardata, circondata da una selva praticamente impenetrabile.
Lo sguardo mi cade sul rozzo anello di mio nonno Gaius, l’oggetto che ho scelto di portarmi nell’arena.
Sono sempre stato  molto legato a lui, fin da bambino, anche perché è colui che mi ha cresciuto.
Mio padre  non ho mai avuto occasione di conoscerlo, e mia madre, ammalatasi gravemente e non potendo più mantenermi mi affidò a lui quando avevo appena sette anni.
Mi ha protetto, amato, nascosto e istruito, soprattutto quando, verso i miei dodici anni ha capito che non ero un bambino come tutti gli altri:io ho la magia. È stato Gaius a insegnarmi a controllarla, dopo avermi confessato di possederla anche lui.
Mi raccontò di mio padre solo sue anni fa : lui fu ucciso per questo. Anche lui aveva il dono, ed io devo proteggerlo e nasconderlo.
Certamente non dovrò per nessun motivo usarlo durante i giochi.
Chiudo gli occhi, provando a dormire… la fame mi tormenta… : nella mia mente appare un prato verde di quelli tipici del nostro distretto.
Un’aquila sta volando nel cielo, di un profondo azzurro, e sotto di lei un bimbo dai capelli scuri, abbigliato con una tunichetta dello stesso colore del cielo, corre con le braccia aperte come se fossero ali: si sente libero e felice, come ogni bambino dovrebbe essere.
“Vieni, Merlin, salta!” Gli grida un anziano che lo aspetta ridendo.
“Nonno!” esclama il bambino finendo nel suo abbraccio.
Un colpo di cannone mi riporta alla realtà, facendo sparire violentemente le immagini del mio sogno.
Un altro colpo. Mi alzo di soprassalto appena in tempo per scorgere da un’apertura del tetto cadente le due sfocate immagini dei caduti proiettate nel cielo artificiale: sono il piccolo Tim Harkey, il dodicenne del distretto 12 ed Eila Horwood, la ragazza dell’8.
Non ho molti ricordi di Tim all’addestramento, solo i riccioli biondi e la velocità straordinaria nella corsa. Sebbene solitamente i bambini non superino la prima notte, lui era durato ben una settimana.
Rivolgo loro una piccola preghiera cantata che mi ha insegnato Gaius, ode to the fallen,sto per ristendermi quando sento un fischio acuto: dal foro nel tetto mi cade sulle ginocchia un paracadute argentato.
Non pensavo di avere qualche sponsor… lo apro con cautela, curioso e felice di questa piccola sorpresa, la prima che ricevo.
Dentro c’è una pagnotta di segale, accompagnata da un biglietto scritto con una calligrafia tremolante che conosco bene:”Forza, figliolo  “. È firmato con una G.
Addento un pezzo della pagnotta, giusto per spezzare i morsi della fame che non mi facevano dormire, poi chiudo il resto in una busta di plastica che ho recuperato, cercando di far uscire tutta l’aria per non farlo deteriorare. Ho imparato che è meglio digiunare che mangiare cibi avariati, ed io devo mantenermi in salute se voglio tornare a casa.
Nel caso di vittoria i soldi del premio servirebbero per le cure  della mia cara madre.
So di non avere speramze di vincere, ma la voglia di provarci, di vivere, tipiche dei miei diciotto anni mi portano avanti. Devo solo cercare di non pensare al gruppo dei favoriti, i tributi dei distretti 1,2 e 3, che quest’anno sono particolarmente agguerriti.
Dal distretto 1 i letali fratelli Pendragon, Arthur e Morgana (abilità dei quali ho già avuto modo di sperimentare durante l’addestramento); dal 2 Katija Mizel e Samuel Newman e dal terzo Lyonel Mc Twist ed Emily Casperville.
Sicuramente si saranno alleati e avranno fissato un accampameto organizzato,da qualche parte…
Facilmente il piccolo Tim è stato stanato e preso dal forte Lyonel, loro leader.
“Basta pensare, Merlin!”mi dico ad alta voce.
“Sei debole. Prova a dormire un po’ o non ce la farai.” Aggiungo per autoconvincermi.
Mi preparo un giaciglio con la mia giacca. Fa freddo, ma accendere il fuoco è fuori questione per più di un motivo: non ho legna, tanto per incominciare, e poi sarebbe solo un rischio inutile, mi vedrebbero a grande distanza.
Indosso lo zaino e stringo tra le mai il mio unico coltello, per sicurezza.
Mi stendo, chiudo gli occhi e canticchio un po’ . Cerco di tranquillizzarmi,mi rannicchio come un gatto per sconfiggere i brividi…
La notte è la parte peggiore… ci sarà un modo per tirare mattina…
***   ***    ***    ***   ***
Mi sveglio alle prime luci, accarezzato dai raggi di un timido sole che si fa strada dalla finestra e dagli spiragli del tetto e dei muri.
È così bella l’alba, il sole che si fa largo tra gli intricati alberi laggiù, e dipinge il cielo di mille sfumature acquarello viola, blu e rossastre… per un attimo il mondo mi sembra bello e sorrido al nuovo giorno… ma poi mi ricordo dove sono.
La voce: “Benvenuti ai 31esimi Hunger Games, e possa la fortuna essere sempre a vostro favore!” risuona ancora nelle mie orecchie, nonostante la fatidica frase sia stata pronunciata ormai otto giorni fa… sembra una vita.


Questo è il mio ottavo giorno nell’arena.  Le mie scorte di cibo e acqua stanno drasticamente diminuendo.
Devo trovare il coraggio di esplorare il palazzo in cui mi trovo e di uscire fuori.
Raccolgo i miei pochi averi nello zaino e prima di andare controllo la ferita alla mano.
Ha smesso di sanguinare, però alla luce del giorno riesco a vedere meglio di ieri, e mi accorgo che è piena di schegge e sporcizia. Devo al più presto trovare dell’acqua, sia per reidratarmi, sia per mantenerla pulita, o rischio di non poter usare una mano.
Per fortuna sono mancino, ma una ferita infetta è l’ultima cosa di cui ho bisogno.
Tolgo le schegge più grosse e fascio bene il taglio con l’unica stoffa che ho disponibile evitando di strappare ulteriormente la camicia: quella del paracadute argentato arrivato ieri, che ho avuto il buon senso di conservare.
***    ***    ***    ***    ***
Il sole è alto nel cielo.
Non so per quanto tempo abbia camminato in questo deserto di alberi spinosi e spogli, palazzi e macerie.
Sono arrivato al limite della cittadina diroccata, e sto iniziando ad avvicinarmi alla selva: il terreno è cambiato, ora è brullo, pieno di sterpaglie… c’è qualche albero, ma sono spogli e bassi, sono troppo esposto e devo trovare un posto dove nascondermi, oltre che all’acqua.
Sto per  addentrarmi in questo assurdo insieme di liane e alberi dagli spessi rami intricati…  quando,
nell’innaturale silenzio risuonano  delle urla strozzate, clangore di armi, seguite immediatamente da due colpi di cannone.
Ingenuamente e senza pensare ai rischi, inizio a correre in direzione dei rumori.
Le spine dei rami delle piante mi graffiano il viso e le braccia, sembrano venirmi addosso.
Le distanze sembrano maggiori… inizio a pentirmi di aver lasciato il mio nascondiglio…
Improvvisamente l’intricato groviglio si apre su uno spiazzo, al limite del quale c’è…
Mio Dio, non ci credo…
Ti prego fa che non sia un miraggio…
Un fiume.
Non resisto, mi getto in ginocchio alle sue rive come a pregare, a ringraziare per la mia fortuna, senza pensare a nulla, mi sporgo per bere.

“No!”
Un urlo mi ferma.
“Non farlo, non toccarla!”
Mi volto di scatto: una figura rapida come un fulmine parte da dietro gli alberi, si lancia vicino a me,mi tira indietro e mi blocca le mani.
Il cuore mi balza in gola, non riconosco chi ho di fronte, ha la maggior parte del volto coperta da un cappuccio e un foulard neri.
Da sotto spuntano solo alcuni ciuffi di capelli corvini: ansima e ha le pupille dilatate, mi fissa.
Restiamo immobili per i secondi più lunghi della mia vita.
“Calma. Sei al sicuro. Non ti farò del male. Vivremmo di più se fossimo in due.”
Tenendomi sempre fermo con una mano,con l’altra, si abbassa il foulard:”Merlin”,sussurra.
“Alyssa…” riconosco la mia compagna di distretto, più piccola di me di due anni.
Sono sorpreso di vederla,e ancora non riesco a capacitarmi del fatto che mi abbia impedito di bere.
Vorrei dirle qualcos’altro, ma ho la bocca troppo secca, e l’unica cosa che riesco a far uscire con un rantolo è:”Acqua…”
Reggendomi con un braccio, Alyssa estrae dalla borsa grigiastra che tiene a tracolla, una borraccia:mi bagna appena le labbra con l’acqua fresca e me ne lascia bere un lungo sorso.
“Cosa è successo? Perché mi hai allontanato dal fiume?”
È ancora sconvolta, lo posso vedere nei suoi occhi: seguo il suo sguardo verso la riva opposta
C’è un corpo, trafitto da un arpione. È stato preso da una persona con una mira infallibile e probabilmente molto forte.
Il corpo appartiene a Vince Rogiler, dal distretto 5;riesco a vederlo anche a questa distanza.
Mi viene in mente una solo persona  che potrebbe usare in quel modo quel tipo di arma: una ragazza,
un colosso,un’esplosione di umana ferocia,paragonabile ad una leonessa sotto ogni aspetto tranne che per eleganza.
Una vera vichinga, la diciottenne Janika Spang dal distretto della pesca.
Quello che non mi spiego a questo punto è, non solo perché Alyssa mi abbia impedito di bere, ma anche il perché di due colpi di cannone: qui c’è solo il corpo di Vince.
Certo, potrebbe esserci stato un altro caduto nello stesso momento, dall’altra parte dell’arena… ma ho uno strano presentimento che mi spinge a chiedere a lei.
Indico ad Alyssa il cadavere con un cenno del capo.
“Opera di Janika, eh?”
Annuisce.
“Alyssa, dov’è lei?” alza un indice verso il fiume.
“Respira. Dimmi cosa è successo.”
“Vince aveva recuperato molte armi alla cornucopia… anche Janika, ma nulla era mai abbastanza per lei.. erano giorni che lo braccava, lo sapevo.
Quando lo ha trovato l’inseguimento è stato folle… fulmini negli occhi di Janika, ma la furia l’ha accecata… Vince era dall’altra parte del fiume, lei lo ha rincorso fino a che ha potuto, poi ha scagliato la sua arma prediletta, l’arpione… lo ha trafitto come un pesce…ma anche lei ne a subito le conseguenze: nella foga ha perso l’equilibrio ed è caduta in acqua… il peso delle sue armi… quelle grida…”
“È annegata?” la interrompo con una domanda troppo scontata.
“In un certo senso anche.”
“Cosa intendi dire?” inizio a percepire tensione.
“L’acqua, Merlin. Corrode ogni cosa. Lentamente. È stata una scena orribile… gridava… era una persona violenta , ma in quel momento mi ha fatto così pena… si dimenava, ma veniva trascinata … non potevo fare nulla anche volendo, così appena ho visto te…” si interrompe e tira il fiato.
“Dove hai preso l’acqua di prima?”
Senza darmi una risposta mi tende la mano : “Siamo alleati, vero?” esordisce.
“Alleati.” Annuisco, prendendole con delicatezza la manina, con la mia destra ferita.
***    ***    ***    ***    ***    ***
Manca poco al tramonto ormai e siamo nella cantina di ciò che rimane di una villetta di tipo campagnolo.
Sono sdraiato per terra, appoggiato ad un vecchio mobile rovinato, forse una scaffalatura, e osservo Alyssa armeggiare con mattoni , macerie e assi.
“Vieni , guarda.” Mi chiama dopo qualche minuto.
Infisso nel muro in basso c’è un piccolo rubinetto arruggito. Mi chiedo come abbia fatto a trovarlo e soprattutto, a fidarsi a bere.
Evidentemente deve essere abbastanza potabile : Alyssa sta riempiendo fino all’orlo la sua borraccia.
“Non sappiamo da dove arriva quest’acqua, se è collegata ad una tanica o meno, quindi dobbiamo riempire il più contenitori possibile cercando di non sprecarne neanche una goccia.”
Frugo nello zainetto cercando qualsiasi cosa possa contenere dei liquidi: trovo una borraccia e una piccola bottiglia d’acqua.
Riempio prima la borraccia e poi la bottiglietta: non resisto, ne bevo un lungo sorso, poi la empio di nuovo.
Mi volto e Alyssa mi sorride battendomi il cinque.
“Siamo una bella squadra!” esclama. In quel momento, comparenella stanza,come dal nulla, un bagliore argentato : il regalo di uno sponsor!
Incredibilmente qualche folle ha scommesso su di noi : attaccato al piccolo paracadute c’è un contenitore di metallo.
Contiene una minestra.
Fredda.
Ma è meglio di niente.
Ce la dividiamo, consumando così una magra cena, e poi ne  approfittiamo per riempire il contenitore ermetico con dell’acqua.
“Esco un minuto.” Avviso la mia alleata.
Le dico che vado a vedere le proiezioni dei caduti, per controllare che non ce ne siano stati altri, ma in verità ho soprattutto bisogno di una boccata d’aria.
Mi arrampico su per la scaletta che porta al piano superiore e quindi all’esterno.
Mi affaccio sulla soglia della porta appena in tempo per vedere comparire le immagini azzurrastre del volto di Vince e del ghigno di Janika, unici caduti di questa lunga giornata.
Inspiro profondamente, riempiendo i polmoni con l’aria fresca della sera, poi la soffio sbuffando, lentamente, guardandola trasformarsi in bianco vapore.
È il mio modo per calmarmi e avere coscienza che ancora vivo.
Quando rientro Alyssa si è già addormentata, ed io mi appresto a raggiungerla.
***   ***   ***   ***
Mi sveglio di soprassalto dopo l’ennesimo incubo, la mattina del terzo giorno della mia alleanza con Alyssa.

Il giaciglio al mio fianco è vuoto.
Il panico mi assale, ho un pessimo presentimento.
Anche la sua borsa è sparita.
Qualcosa mi suggerisce di controllare anche tra le mie cose.
Il sacchetto con le mie provviste: scomparso.
Come in trance, comincio a correre, salgo la scala come una furia.
Mi fiondo verso l’esterno…
Appena qualche metro più in là, mi attende una sorpresa sconcertante.

Un corpo riverso bocconi per terra.
Le mani gonfie.
Giro il corpo verso l’alto.
Il viso è sfigurato, anch’esso gonfio e livido.
Purtroppo riesco a riconoscerlo.
Stringe ancora tra i denti un morso di pane con una specie di insalata.
Il resto giace vicino a lei.
Sono così sconvolto, sconcertato.
Non riesco a credere che questo corpo sia davvero quello della mia ormai ex alleata.
Non riesco a credere che non abbia riconosciuto quell’erba velenosa prima di mangiarla. Gaius mi insegnò a riconoscerla fin da bambino.
Non riesco a credere che mi abbia tradito così, rubandomi persino le provviste, persino il mio misero pane.
Non voglio credere che sia morta.
Mi sento svenire.
Il fiato mi manca.

Nausea.

Vomito.

   
 
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