Anime & Manga > Haikyu!!
Segui la storia  |       
Autore: Milla Chan    13/06/2018    2 recensioni
Aveva maturato uno strano sentimento nei confronti degli umani. Non c’era più paura, ma non c’era nessuna rabbia, solo un misto di disgusto e indifferenza. Quella situazione, però, non gli pesava quanto i suoi genitori pensavano che avrebbe dovuto; o almeno così sembrava. Kenma passava gran parte delle sue giornate a giocare ai videogiochi, e quando sua madre gli chiedeva se avesse qualcosa da raccontarle, passandogli la mano tra i capelli scuri, lui la guardava con una sorta di senso di colpa negli occhi.
[KuroKen + altre coppie secondarie] [Tokyo Ghoul!AU, ma non è necessario seguire l'opera]
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Koutaro Bokuto, Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ma quel pensiero di te che vivi, mi consola di tutto
 
Oikawa e Kenma si fissavano, in silenzio e immobili. Sembravano studiarsi come animali selvatici. La stazione era deserta, deboli lamenti e pianti echeggiavano lontani e flebili nelle profondità della galleria mentre da sopra le scale provenivano i rumori di una battaglia tra ghoul e colombe.
Era come se loro fossero congelati nel tempo, in un luogo senza dimensioni, sotto lo sguardo pietrificato di Hinata.

Oikawa prese un veloce respiro e Kenma si alzò con uno scatto, intuendo ciò che stava per accadere.
Shouyou cacciò un urlo acuto e si coprì con le braccia quando sentì  i kagune scontrarsi con un gesto secco.
Il ghoul che l’aveva salvato parava i colpi forti e insistenti dell’altro, e rispondeva con movimenti minimi ma precisi.
Si muovevano velocemente e Hinata notò come quello con la maschera da gatto sembrasse voler allontanare il più grande da lui, anche a costo di procurarsi qualche ferita minore.
-Non mi intralciare, gattino.- sussurrò Oikawa a denti stretti, a pochi centimetri dal suo viso, poco prima che Kenma gli afferrasse il cappotto con entrambe le mani. Lo spinse indietro e lo fece inciampare sulla sua gamba per scaraventarlo a terra.
-Non chiamarmi così.-
Oikawa rotolò di lato, evitando con un verso sorpreso il bikaku di Kenma che si conficcò nel cemento.
-Fai sul serio?- ansimò mentre si rialzava in piedi più in fretta che poteva e cercava di rompere la guardia dell’altro ghoul. Con una frustata del kagune, Oikawa riuscì a scagliarlo contro la parete della stazione.
Kenma emise un gemito soffocato scontrandosi contro muro, e si accasciò a terra. Si portò una mano al costato, il respiro affannato e irregolare.
Quasi non fece in tempo ad alzare la testa su Oikawa che quello gli sferrò un calcio abbastanza forte da spezzargli il respiro e spostarlo di qualche metro, più vicino a Hinata.
Il ragazzino non poteva fare altro che guardare la scena seduto a terra, tremante e paralizzato dal panico. Non riusciva a scappare.
Shouyou fissò il ghoul steso a faccia in giù davanti a sé, ma subito la sua attenzione si spostò su Oikawa, che si stava di nuovo dirigendo verso di lui, questa volta decisamente esasperato, il kagune rosso fuoco che si contraeva come un muscolo.
-No.- rantolò Kenma, un attimo prima di appoggiare le mani tremanti per terra per tentare di sollevarsi. Si aggrappò al giubbotto di Shouyou con tutta la forza che aveva e quello, con uno squittìo terrorizzato, gli rivolse uno sguardo atterrito.
Sollevò il capo con fatica e Shouyou vide che la sua maschera, crepata e scheggiata, stava cadendo, rivelando una porzione di volto.
Spalancò gli occhi quando si staccò definitivamente e cadde a terra con un rumore sordo.
Sentì il gelo nelle vene, nel polmoni, al posto dell’aria.
Le pupille si agganciarono alle sue, piccole e rosse come gocce di sangue.
-Kenma?- mormorò senza voce, dopo un attimo di silenzio, come se avesse visto un fantasma.
Scivolò indietro, sia perché sospinto dalla debole pressione delle dita del ghoul, sia perché non aveva più alcuna forza per sostenersi. Si trovò con le spalle a terra, mentre Kenma si stringeva a lui e lo copriva col proprio corpo, dando la schiena a Oikawa.
Shouyou sentiva il suo cuore battere forte, tutti quegli odori acri gli riempivano la testa. Era troppo sconvolto per muoversi o parlare. Non riusciva a crederci. Non riusciva a elaborare pensieri logici, dopo aver visto quegli occhi mostruosi e la fronte imperlata di sudore.
-Spostati.- intimò scocciato Oikawa, ormai a un passo da loro.
Kenma si aggrappò al ragazzino con un po’ più di forza.
-Non lui.-
La voce di Kenma rimbombò contro il petto di Shouyou e gli fece venire i brividi, perché quasi l’aveva dimenticata.
-Ti chiedo solo questo. Lui no. Non ti darà fastidio, te lo prometto.-
Oikawa storse la bocca e aggrottò le sopracciglia.
Non voleva uccidere Kenma. Non voleva, non poteva e non doveva, non solo perché aveva sviluppato uno strano e blando affetto e compatimento nei suoi confronti, ma anche perché avrebbe significato distruggere completamente i rapporti, costruiti in tanti anni e con molti sforzi, col Nekoma e tutto il loro grande territorio. Non poteva rischiare di attirare su di sé l’ira di Nekomata facendo fuori una delle menti principali del suo apparato amministrativo.
Strinse i denti e rimase a fissare per qualche secondo quella scena pietosa con fare annoiato, mentre Kenma si rimetteva frettolosamente la maschera.
Si chiese cosa avesse di speciale quel ragazzino umano. Poco prima gli aveva dimostrato di avere buoni riflessi, certo, ma poteva essere stato un colpo di fortuna: perlopiù, sembrava essere piccolo e fragile. Aveva tuttavia assistito -anche se da lontano- all’omicidio di Tobio, e Oikawa non sapeva fino a che punto sarebbe potuto diventare una minaccia, in futuro; se questo fatto lo avrebbe spinto a cercare vendetta o no.
Non era sicuro di potersi fidare delle parole di Kenma, ma ad ogni modo il rischio di perdere una porzione di territorio non indifferente era troppo grande: non ne valeva la pena, su nessun fronte.
-Come desideri allora, gattino. Me ne ricorderò.- disse lentamente, senza alcuna inclinazione particolare. -Quindi ricorda che me l’hai promesso.- concluse, più mellifluo, indietreggiando di un passo e voltandosi.
Il suo volto si fece più rigido e inspirò a fondo. Doveva solo riprendere Hajime e andarsene: forse, per quel giorno aveva fatto fin troppo.

Akaashi sapeva che c’era qualcosa di strano. Le persone camminavano affannate nella direzione opposta alla sua e sentiva delle sirene riecheggiare nell’aria di quella sera fredda.
Accelerò il passo, più curioso che intimorito, ma si arrestò non appena svoltò l’angolo.
Qualche metro più avanti, vicino alle scale che portavano alla metropolitana, cinque ghoul combattevano contro quattro agenti della CCG.
Si nascose dietro il muro, sporgendo appena la testa per poter osservare meglio. Le quinque si scontravano contro i grossi kagune rossi. Gli investigatori sembravano essere in difficoltà.
Sinceramente si aspettava di tutto, ma non dei ghoul. Pensava di averne avuto abbastanza di ghoul, almeno per quel giorno.
Continuando ad osservare quella scena, gli sembrò di captare qualcosa di insolito. I ghoul stavano cercando di allontanarli dalle scale, e ad ogni secondo che passava indietreggiavano sempre di più. Ci doveva essere qualcosa, là sotto. Qualcosa che non doveva essere avvicinabile.
La scelta più logica sarebbe stata andarsene, scappare via. Ma quello che aveva fatto quel giorno non era stato logico, e per qualche motivo decise che avrebbe continuato a non esserlo. A quel punto, dopotutto, non aveva molto altro da perdere.
I ghoul e le colombe erano ormai in mezzo alla strada quando Akaashi decise di uscire dal suo nascondiglio.
Camminò rasente al muro, lontano dai lampioni, attento che non lo vedessero e sperando che lo scontro li tenesse occupati ancora per un po’. Con una mano pronta ad afferrare la pistola, si accovacciò e scese velocemente le scale col cuore in gola, e riuscì ad arrivare incolume nella stazione.
Una volta sottoterra, fu stupito e un po’ deluso nel vedere che la stazione era vuota. Dalla galleria della metropolitana, però, proveniva l’eco di lamenti e pianti, voci concitate. Aggrottò la fronte, confuso, e si avvicinò alle rotaie con sospetto.
Si bloccò non appena vide una testa di capelli scombinati, rosso rame. Riconobbe il ragazzino che aveva incontrato mesi prima in Accademia. Era steso sui binari. Un’altra persona era su di lui, ma non riusciva a vedere il suo volto.
Camminò velocemente nella sua direzione, e più si avvicinava più notava dettagli che non avrebbe voluto vedere: era sporco di sangue, la bocca piegata in una smorfia. Piangeva.
-Hinata!- chiamò preoccupato, e quello aprì lentamente gli occhi con un singhiozzo. Nello stesso momento, la persona che lo stringeva si voltò per guardarlo.
Vide che indossava una maschera, e Akaashi non si fermò a pensare.
Il suo cervello elaborò la soluzione con freddezza e rapidità, quasi come un riflesso automatico. Estrasse la pistola e la alzò davanti a sé, repentino.
Kenma trattenne il respiro e si alzò in piedi giusto in tempo per afferrargli il polso e deviare la traiettoria dello sparo che partì proprio in quel momento.
Avrebbe potuto usare il suo kagune, ma non ci aveva messo più di un secondo a riconoscere Akaashi. Fu inconscio: non poteva ucciderlo.
Se solo avessero saputo quanto, in maniera totalmente opposta e al limite dell’ironico, i loro rispettivi comportamenti influenzati dall’istinto li stessero rendendo simili, forse il loro confronto non sarebbe stato tanto aspro. Forse era quello il problema alla base di tutto, il problema della comunicazione.
-No, no!- urlò Hinata, vedendo Akaashi afferrare a sua volta il braccio di Kenma e ruotarlo, facendolo cadere, ignaro del fatto che Kenma fosse già stremato dallo scontro di pochi attimi prima con Oikawa.
Mentre cadeva, Kenma si arpionò alla sua spalla e lo trascinò a terra con sé, facendolo rotolare sotto il suo corpo, ma Akaashi ribaltò ancora una volta le posizioni.
Il cuore di Kenma stava esplodendo. Non voleva ucciderlo, era vero, ma non poteva lasciarsi uccidere, e se quella era la situazione, allora non aveva molte opzioni.
Gli afferrò il cappotto e, nell’esatto momento in cui stava per attaccarlo, Akaashi puntò la sua pistola contro l’occhio centrale di quella maschera, proprio nel mezzo della fronte di Kenma.
Si congelarono e rimasero per qualche secondo in quel modo, uno seduto sull’altro, i respiri affannati. Nessuno dei due poteva muoversi.

La voce di Hinata era soffocata nella sua gola, la nausea quasi gli impediva di respirare. Non riusciva a smettere di tremare, o fermare le lacrime.
Non sapeva se stesse piangendo per il dolore di aver perso Tobio, la felicità di aver ritrovato Kenma, lo shock di aver scoperto che fosse un ghoul o il panico per la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.
Era letteralmente sommerso da troppe, troppe sensazioni e emozioni e non riusciva a gestirle, e lo stavano divorando vivo.
-Ti prego non fargli male.- pigolò finalmente Shouyou, attirando l’attenzione di Akaashi, che sollevò la testa verso di lui, e Kenma, sfinito, distese lentamente le gambe. Hinata continuò a parlare, anche se era chiaro quanta fatica facesse.
-Mi ha salvato, lui è mio amico, è…!-
Si interruppe con un singulto, sgranando gli occhi, guardando oltre Akaashi e Kenma. I due rimasero a fissare Hinata in attesa e preoccupati, finché un’ombra li sovrastò.
Akaashi non fece in tempo a voltare la testa. Fu troppo veloce, troppo improvviso.
Non ebbe il tempo di reagire, di premere il grilletto. Qualcuno dietro di lui gli afferrò il capo e fu sollevato da terra mentre Kenma gli toglieva la pistola di mano con un gesto rapido.
Un attimo dopo, la faccia di Akaashi si scontrò contro il muro della galleria.
-Dov’è.- chiese un sibilo agghiacciante vicino al suo orecchio.
Akaashi sentiva una mano tra i propri capelli. Gli stringeva la nuca con forza, premendola contro il cemento. L’altra mano era salda sul suo polso, tenuto a forza contro la schiena, e la sua presa era talmente forte che Akaashi pensò con una smorfia che le sue ossa si sarebbero sgretolate da un momento all’altro.
Cercò di divincolarsi, di girarsi, di abbassarsi, ma ogni sforzo era inutile e rimase contro quel muro coi polmoni stritolati e il cervello inibito. Vide una maschera nera con la coda dell’occhio.
-Dov’è!?- ripeté quel ghoul, urlando mentre lo voltava, strattonandolo con una violenza che sembrava ingiustificata, i pugni che stringevano il suo cappotto convulsamente, tanto da tremare.
Kenma si era messo a sedere e guardava la scena con apprensione e il fiato sospeso.
-Kuro.- sussurrò tra sé e sé, sinceramente preoccupato.
Avrebbe dovuto essere lieto del suo arrivo improvviso, ma in realtà il suo comportamento inconsueto e fuori controllo non lo tranquillizzava affatto.
Akaashi guardava il ghoul, sconvolto, il volto insanguinato e dolorante, e le pupille fisse sulla maschera modellata come il muso di un gatto. Non capiva cosa volesse da lui.
-Chi?- riuscì a chiedere con un filo di voce, totalmente smarrito, un rivolo di sangue che scendeva dal naso fino sul labbro spaccato.
Kuroo emise un verso strozzato, come se non riuscisse più a trattenersi, a sopportare quella situazione, come se stesse perdendo tempo prezioso.
Voleva qualcosa, e lo voleva subito, tanto da offuscare la sua lucidità.
Sotto lo sguardo atterrito di Kenma, Kuroo afferrò Akaashi per la gola e lo sollevò finché i suoi piedi non toccarono più terra. La bocca di Akaashi cercò subito aria, disperatamente, gli occhi sgranati.
-Dov’è Bokuto?- mormorò finalmente, dopo un lungo respiro, con tono vacillante, ma chiaro e ben scandito.
Kenma si alzò in piedi e si irrigidì nel sentir pronunciare quel nome.
Akaashi si aggrappò al suo braccio nel tentativo di affievolire la stretta. Sentir pronunciare il nome di Bokuto lo fece rabbrividire, e si sentì come se un’onda di acqua ghiacciata lo avesse appena investito.
Quando lo aveva abbracciato, probabilmente gli aveva lasciato addosso il suo odore. Akaashi sapeva che i ghoul avevano un olfatto incredibilmente sviluppato, ma non aveva idea che fosse un’abilità tale da permettere loro di riconoscere gli odori anche sui corpi di terzi.
-Non so di che parli.- mentì, riuscendo in qualche modo a mantenere il suo autocontrollo nonostante le dita strette attorno al suo collo.
In quel momento, fingere di non avere nulla a che fare con tutto quello gli sembrò l’unico modo per potersi salvare, l’unica opzione che gli avrebbe dato la speranza di essere lasciato andare, oltre che di tenere Bokuto al sicuro.

Kuroo era andato a Yushima perché quell’operazione stava durando più del previsto, e voleva trovare Kenma a tutti i costi, assicurarsi che stesse bene e riportarlo a casa.
Sulla strada aveva visto tre colombe e una quarta era riversa sull’asfalto, probabilmente morta. Combattevano contro cinque ghoul, ma tra loro non c’era Kenma e se da un lato era stato contento di non vederlo lì a rischiare la vita, dall’altro fu allarmato dalla sua assenza.
Aveva deciso di scendere le scale, e sul secondo gradino, ecco. L’aveva sentito. Assieme al profumo di Kenma. L’aveva sentito, leggerissimo ma inconfondibile. Si era fiondato giù per le scale.
Avrebbe riconosciuto quell’odore tra mille. Lo cercava da più di sei anni e per un attimo aveva creduto di esserselo immaginato, ma più si avvicinava e più si faceva forte.
Sentire l’odore di Bokuto e vedere Kenma in pericolo, tutto nello stesso momento, era senz’ombra di dubbio lo scenario peggiore per testare la sua freddezza.
Il suo cervello lavorava così in fretta che non diede importanza al fatto che il ragazzo tra le sue mani fosse Akaashi: dopo essersi assicurato di averlo allontanato da Kenma, tutte le sue energie si erano concentrate su un’unica cosa, ed era l’odore che gli sentiva distintamente addosso, in quel momento più intenso che mai.
Emise un ringhio, le mani che tremavano.
-Ho detto di dirmi…- soffiò, lasciando andare il ragazzo con un’indolenza innaturale mentre il kagune usciva lentamente dalla sua schiena, come una lunga coda che si muoveva agitata.
Akaashi si accasciò a terra a causa di un devastante misto di debolezza e paura, gli occhi attenti ma spaventati e la vista annebbiata.
-…Dov’è Bokuto!- concluse Kuroo in un crescendo graffiante che proveniva dalle sue viscere. Akaashi abbassò il capo e distolse lo sguardo, stringendo la bocca in una smorfia contrariata e inquieta.
-Perché dovrei?-  sussurrò quasi subito col respiro corto e ansante.
Alzò piano la testa coperta di sangue e puntò gli occhi blu su di lui. Non poteva uscirne vivo. Dopo essersene reso conto, la priorità era diventata subito salvare Bokuto.
Doveva tenerlo al sicuro, perché in quel momento, in quella situazione, con tutta quell’adrenalina in corpo, non riusciva davvero a pensare ad un motivo pacifico per cui qualcuno volesse cercarlo.
Se doveva morire, almeno doveva farlo proteggendo qualcuno.

Kuroo strinse i denti, furente, si portò entrambe le mani sulla maschera e con gesto secco se la strappò di dosso, mentre dalle labbra di Kenma usciva un brusco “No!”.
Gli occhi di Akaashi si fecero grandi e la sua bocca si spalancò sempre di più man mano che metteva a fuoco i lineamenti di quel viso che conosceva, ma che ora fremeva, contratto dall’astio.
Si scontrò con quegli occhi inumani, socchiusi, feroci, e la sua mente si svuotò completamente.
-Dimmelo.- chiese ancora Kuroo, la voce meno potente, le lacrime trattenute che gli bagnavano le ciglia. -Ti scongiuro, Akaashi.-
Akaashi rimase a fissarlo senza parole e con il gusto ferroso del sangue in bocca.
Kuroo si sentì afferrare per un braccio e in attimo si ritrovò con il volto premuto contro il collo Kenma. Una sua mano sulla testa lo teneva saldamente per nascondergli la faccia, eppure ormai era tardi: Akaashi lo aveva visto, lo aveva riconosciuto.
Kenma strinse nervosamente le dita contro la sua nuca. Sentì che tentava di allontanarsi premendo con le mani contro il suo petto, ma lo tenne contro di sé e inclinò appena il viso contro i suoi capelli quando sentì le lacrime di Kuro bagnargli il collo.
Teneva l’altro braccio teso davanti a sé con l’aria irremovibile, la pistola di Akaashi puntata contro il suo proprietario.
Era davvero al limite, Kenma. Sentiva un caldo insopportabile. Era triste e arrabbiato. Era triste, perché era costretto a vedere Kuroo ridotto in quello stato, fuori di sé; ed era arrabbiato, perché quel comportamento non era affatto da lui, ed arrivare a togliersi la maschera era pura follia e significava mettere in pericolo tutto il Nekoma.
-È andato dove abitava prima della Notte di Sangue.- mormorò Akaashi, ancora a terra. -Però non so dove sia, non so…-
Non riuscì a finire la frase: i due ghoul sussultarono all’istante. Kenma lasciò finalmente andare Kuroo e si voltò verso di lui con uno scatto.
-Kuro, vai!- lo incitò, una nota particolarmente agitata nella voce.
Kuroo si risvegliò. Fu come se avesse ripreso a respirare dopo una lunghissima apnea. Indietreggiò di due passi e alternò lo sguardo tra Akaashi e Kenma con un’espressione incredula e smarrita, gli occhi che tornavano alla normalità.
-Vai!- ribadì Kenma, spingendolo in modo troppo gentile se paragonato al suo tono.
Kuroo si guardò un attimo attorno, perso, solo una frazione di secondo prima di iniziare a correre fuori dalla stazione, su per le scale, la maschera che era rimasta lì a terra.

Quando Oikawa tornò indietro per recuperare Iwaizumi, lo trovò esattamente dove lo aveva lasciato: incastrato tra le lamiere. Aveva smesso di dimenarsi, però.
Avrebbe potuto uscirne con un minimo sforzo, Oikawa lo sapeva; eppure non lo aveva fatto. Era rimasto lì senza fare niente, come se non ne valesse la pena, come se non avesse avuto più alcun senso inseguirlo.
Hajime aveva alzato la testa verso di lui e, anche se indossava la maschera, Oikawa era sicuro di aver percepito fin troppo bene l’espressione dura scolpita sul suo volto.
Erano tornati a casa in silenzio, camminando nel buio, lontano dai luoghi affollati. Hajime non gli aveva parlato e quando Oikawa aveva allungato la mano per prendere la sua, non si era ritratto, ma non l’aveva neanche stretta. Quella, per Oikawa, era la peggiore delle punizioni. Si era sentito vuoto e senza ossigeno, perso nello spazio aperto, oscuro e gelido.
Richiuse la porta di casa dietro di sé. Alzò la testa per guardare Hajime che saliva le scale in fretta e abbassò le palpebre quando sentì la porta del bagno sbattere con un po’ troppa violenza.
Si tolse le scarpe, salì le scale e rimase qualche minuto a fissare la penombra del piccolo corridoio. Pensò di andare in camera sua e restare lì, lasciare solo Hajime, ma l’idea di non poter risolvere la situazione subito era insopportabile e non riusciva davvero a stare in silenzio, fermo, buono.
Bussò piano alla porta del bagno. Non ottenne risposta, ma abbassò comunque la maniglia ed entrò. L’imbarazzo e la vergogna erano spariti molti anni addietro.
Hajime si stava togliendo i vestiti imbrattati di sangue e li lanciava sopra il cesto dei panni sporchi, lontano da lui, il più lontano possibile.
-Iwa…- mormorò abbacchiato, con le sopracciglia abbassate. Quello entrò in doccia e aprì l’acqua con un gesto secco della mano. Oikawa guardò la figura sfocata di Hajime dietro il vetro opaco: stava immobile, il soffione della doccia che gli bagnava la testa con insistenza e gli appiattiva i capelli.
Si allungò per prendergli l’asciugamano, che nella fretta aveva dimenticato un po’ troppo in là. Stava per sedersi su uno sgabello quando Hajime parlò, cogliendolo di sorpresa.
-Anche tu dovresti darti una lavata.- disse, senza nessuna particolare intonazione. -Vieni.-
Oikawa quasi sobbalzò e raddrizzò la schiena.
Iwaizumi aveva gli occhi chiusi. Prese un respiro profondo, concentrato sullo scrosciare dell’acqua che lavava via il sangue e che sperava lavasse via anche i pensieri. Tenere il broncio a Tooru sarebbe stato stupido e immaturo, anche dopo quello che aveva fatto? Non erano più bambini. Non aveva semplicemente rotto un giocattolo, però.
Schiuse lentamente le palpebre quando sentì le porte della doccia aprirsi e si fece un po’ di lato per fare spazio a Oikawa.
La doccia sembrava essere diventata molto più piccola, rispetto a tanti anni prima; o forse erano loro che erano più grandi. Era da un po’ che non si facevano una doccia insieme, e Oikawa fu assalito dalla malinconia nel ricordarsi di come si riempivano la bocca d’acqua per spruzzarla in faccia all’altro, degli scivoloni che avevano rischiato di fare nel tentativo di scappare in quello spazio ristretto.
Quando Hajime si voltò a guardarlo, la prima cosa che registrò furono le gocce d’acqua che cadevano dalle sue ciglia e pensò che assomigliassero un po’ troppo a delle lacrime. Si chiese se fossero vere o se fosse solo suggestione.
Il marrone degli occhi di Oikawa lo attirava come un buco nero.
Teneva le spalle leggermente curvate in avanti, come se cercasse di sparire in se stesso, e Hajime pensò che quello non fosse affatto un atteggiamento comune per il Tooru che conoscevano tutti. Era uno di quei dettagli che si permetteva di lasciar trasparire solo con lui. Era il suo lato più umano, e per questo quello più fragile e da trattare con più delicatezza.
Vide la mano di Oikawa alzarsi e fermarsi sul suo zigomo: guardava la sua guancia con la mascella leggermente contratta, passava il pollice sulla sua pelle con insistenza per rimuovere il sangue che gli si era seccato addosso, scorreva le dita attorno ai tagli che si rimarginavano pian piano.
-Scusa se ti ho urlato contro.-
Hajime si sentiva sporco, sporco dell’odore di Tobio, e del suo sangue, e della sua morte. Era vero, gli aveva urlato addosso, ma Hajime lo aveva capito. Era vero, quando Oikawa lo aveva guardato negli occhi e lo aveva lasciato volontariamente tra le lamiere della metropolitana deragliata, era rimasto a dir poco allibito, ma l’unica cosa che aveva pensato, una volta riuscito ad uscire da quell’inferno e per tutto il tragitto verso casa, era che avrebbe dovuto assolutamente strapparsi di dosso la sensazione sgradevole che gli era rimasta appiccicata sulla pelle. Per quanto scavasse e per quanto lo trovasse ingiusto, Hajime sapeva che la rabbia che gli riempiva il petto non era nei suoi confronti.
Oikawa stava prestando una particolare attenzione nel liberarlo da quello sporco, come se fosse compito suo, come se lo fosse sempre stato e ne fosse pienamente consapevole.
Hajime sperimentò una sorta di catarsi nel farsi modellare dai suoi polpastrelli, come se fosse suo e solo suo da plasmare. Gli occhi verdi si staccarono dai suoi solo per chiudersi, totalmente abbandonati mentre inclinava la testa per inseguire la sua mano, gran parte del rancore che scivolava via assieme all’acqua sporca.
-Hajime, non lasciarmi da solo.-
Era un sussurro bagnato e tremolante, quello che uscì dalle labbra di Tooru, e Iwaizumi sentì il cuore sprofondare nel petto, fin sotto i piedi, perché nella sua voce sentì la paura più pura e sincera.
Abbassò il capo, perché sapeva che se per caso lo avesse guardato di nuovo negli occhi, lo avrebbe ucciso.
Tooru gli aveva dato tutto. Tooru era tutto quello che aveva, e tutto quello che voleva avere, era la sua meraviglia, il suo stupore, la sua disperazione.
Ad Hajime non interessava nessun potere, nessuna supremazia, nessun controllo territoriale. Voleva solo fare tutto il possibile per permettere ad Oikawa di arrivare là dove era destinato ad arrivare. Tempo prima si era detto che lo avrebbe fermato, se necessario, eppure quello che era successo quel giorno dimostrava che non ne era stato in grado. Si chiese perché, ma la risposta precisa era seppellita così a fondo dentro di lui che sembrava impossibile trovarla.
Sentiva di non sapere molte cose, di far fatica a conoscere se stesso come invece avrebbe dovuto. Sapeva che sarebbe stato sempre al suo fianco, sempre, perché non voleva perderlo, perché altrimenti avrebbe perso tutto, anche se stesso, e perché aveva paura che anche Tooru si sarebbe perso, e se fosse successo non se lo sarebbe mai perdonato.
Se si fossero separati, di loro due non sarebbe rimasto nulla, e non poteva permetterlo.
Non potevano esistere da soli. Entrambi, guardandosi indietro, avrebbero visto una voragine, un burrone, e non poteva accadere, era impensabile e terrificante.
Forse era pericoloso, forse quella reciproca dipendenza non si sarebbe mai dovuta costruire, ma ormai era tardi, ormai non importava, era invisibile ma dura come la roccia.
La loro consapevolezza si sarebbe immediatamente offuscata se mai avesse osato incamminarsi lungo quei pensieri impervi e arroccati nella coscienza di entrambi.
Sarebbe stato sempre al suo fianco: Hajime se lo ripeteva spesso, ma quella volta lo fece in maniera diversa. Più ragionata, forse, più intensa, più vera, mentre sfregava la guancia contro il suo collo bianco, le braccia attorno al suo busto, grato di poter sentire così chiaramente la sua pelle e il battito cardiaco appena sotto di essa.
Tooru era fragile. Le apparenze potevano far supporre il contrario, ma Hajime aveva visto troppe volte, con i suoi occhi, Tooru crollare a pezzi, ed era insopportabile.
Sapeva già che quando sarebbero usciti da lì avrebbero fatto di tutto per fingere che non fosse successo nulla.
Hajime si sarebbe dato dello stupido perché non era passato in camera a prendere dei vestiti puliti, e avrebbe dovuto sopportare stoicamente i brividi di freddo mentre rovistava nell’armadietto accanto al lavandino per trovare un paio di mutande. Tooru probabilmente gli avrebbe fatto notare che razza di impulsivo fosse, forse riferendosi anche a ben altro.
Ma finché erano lì andava bene lasciare che quei sentimenti esplodessero. Non avrebbero parlato delle lacrime che ognuno versava per i propri motivi, anche se si guardavano in faccia.
Andava bene l’acqua, forse un po’ troppo calda e soffocante, che scorreva loro addosso e formava un fitto fumo che avrebbe fatto appannare tutti gli specchi. Andava bene fondersi in quel calore insieme, ripulirsi, metaforicamente o meno, perché dal giorno successivo sarebbe iniziato qualcosa di completamente nuovo.
Andava bene perdonarsi con un bacio, perché se la solitudine è una compagna atroce, un amore solitario lo è ancora di più, e camminare al di fuori di esso è il buttarsi tra le spine.


___________________________

Note e chiarimenti
Mi scuso, ancora una volta, per averci messo ben quattro mesi a pubblicare il nuovo capitolo, ma purtroppo l'università mi tiene veramente troppo impegnata. Vi ringrazio di cuore se siete ancora qui a leggere, anche se in realtà penso che ormai io stia pubblicando a vuoto, ahah?
Il titolo del capitolo sono versi tratti dalla poesia "Quando il pensiero", di Saba: anche qui, la frase è applicabile a molti, se non tutti, i personaggi. Si applica a Shouyou nei confronti di Kenma e viceversa, si applica a Kuroo nei confronti di Bokuto, ad Oikawa e Iwaizumi reciprocamente... Insomma, in realtà l'intera poesia sarebbe potuta essere il titolo, ma ho scelto questi versi perché li trovo particolamente intensi e diretti.
Siete morte per bene per la scena finale? Sì? No? Fatemi sapere cosa ne pensate, se avete voglia!
Ma la vera questione su cui concentrarsi adesso è: Kuroo e Bokuto! Il prossimo capitolo è, fidatevi, assolutamente imperdibile.
Grazie ancora di continuare a seguirmi nonostante le attese infinite!

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Milla Chan