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Autore: shilyss    26/06/2018    16 recensioni
La prigione dove Odino ha rinchiuso Loki è una cella asfissiante priva di finestre. Costretto in una forzata inattività ma niente affatto piegato, il dio degli inganni affida i suoi pensieri più oscuri a delle lettere. Il destinatario? Thor, l’avversario di una vita, il compagno d’avventura prediletto, il fratello con cui ha condiviso ogni cosa. Carteggio estorto dal tonante cui Loki accetta di piegarsi solo per raggranellare qualche beneficio in più. Perché gli obiettivi del dio degli inganni potrebbero incrociarsi ancora con il destino di Asgard, e nessuna cosa è per sempre, neanche nelle prigioni sotterranee degli Aesir.
Dal cap. 1: Dimmi, Thor, dov’erano mentre il ferro nemico ti lacerava la cotta di maglia, penetrava nella tua carne, tagliava i tuoi muscoli? Dov’erano i tuoi fratelli di sangue, così nobili e valorosi, che siedono ai banchetti accanto a Odino, che chiamano le loro armi mai macchiate di sangue nemico con nomi inutili e altisonanti? Quante volte saresti morto, figlio di Odino, se non ci fossi stato io a gridare, parare, pensare?
Genere: Avventura, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Confessioni 7

Capitolo 7 – Primi passi

 

Lettera 43

 

Cos’è che non ti è chiaro, Thor? Sono ancora inchiodato al letto e, come immaginerai senz’altro, questo non aiuta affatto il mio umore. Come la risposta alla domanda 19. Sei un cretino e Heimdall un uomo senza fantasia. Le mie condizioni migliorano, si fa per dire. Non rischio di crepare da un momento all’altro, se è questo che intendi, ma stare bene è un’altra cosa. Fatico ancora a tenere in mano la penna. Ad ogni modo, hai frainteso il mio rapporto con questa ragazza lasciando che le frasi prendessero il sopravvento sulla ragione e non hai valutato fattori come la noia, la mia naturale propensione a mentire e, non ultimi, i miei impulsi costretti ad appagarsi con una sola presenza. La letteratura, fratello, è finzione, nient’altro.

Vivevo in una gabbia senza finestre. Lei mi sorrideva e, quando lo faceva, la cella diventava inevitabilmente meno grigia. Mi hanno rinchiuso, ma continuavo ad avere esigenze, bisogni, speranze, persino. Non l’avrei potuta avere mai. Per questo ci adoravamo. Il vetro attutiva l’uno i difetti dell’altra. Sospirare di fronte a un miraggio non ha implicazioni, fratello. La mente galoppa libera verso scenari fantastici, stuzzicata da una scollatura più intrigante, da un rossore che, se solo non ci fosse la lastra a dividerci, potrebbe essere il punto d’inizio di qualcosa, qualsiasi cosa.

È stata la mia amante mille volte, nei miei sogni, ma le Norne non hanno incrociato i nostri destini. Si sono permesse di far vibrare i fili delle nostre vite per un momento, uno solo, ma non ci siamo sfiorati né mai lo faremo. Sarebbe stata una delle tante e, come molte, si sarebbe illusa che un paio di notti di follie in un letto avrebbero scatenato chissà che risultati. Le avrei spezzato il cuore e mi sarei tolto uno sfizio. Questo siamo, saremmo stati. Solo che nel buio di una prigione mi è parsa più bella di quanto non sia in realtà: senza l’aria marcia dei sotterranei, lei è solo una ragazza che mi ha chiesto aiuto per compiere una sua vendetta, dolore che sto sfruttando per ottenere un maggior beneficio per me. Sto riducendo ai minimi termini una storia che già conosci. So benissimo quello che ti ho scritto nelle mie precedenti comunicazioni, né c’entra niente la promessa che nostro padre crede gli abbia fatto; non gli devo la mia lealtà per un discorso di mera coerenza. Se gli fossi stato fedele non sarei rinchiuso e non c’è ragione per iniziare adesso: non fa una piega, non ti pare?

Certo, per tornaconto potrei, dovrei, ma sai una cosa? Sono stanco, tremendamente. Di cercare il suo consenso, di compiacere un popolo che si esalta fin troppo facilmente. Stai tremando, Thor? Credi che possa di nuovo eludere ogni sorveglianza per fuggire in modo definitivo e tremendamente scenico? Potresti non essere così fortunato, stavolta: io, in compenso, otterrei la libertà e mi rimarrebbe addosso persino la soddisfazione di vedere il tuo smarrimento per avermi fatto riempire centinaia di metri di carta scritta fitta praticamente invano.

 

 

Lettera 44

 

È consolante la tua bella epistola zeppa di insulti. Due o tre errori di sintassi in meno e l’avrei definita una vera e propria opera poetica. Così adesso la gara è tra me il Cacciatore. È un gioco a chi è più furbo? Una gara di velocità stuzzicante? Devo ammetterlo, fratello: conosci alcuni dei miei punti deboli, anche se ti inganni tragicamente su molti altri. Stamattina è stato un giorno molto importante, per me: ho guadagnato in completa autonomia il gabinetto. Le infermiere mi hanno definito un eroe e hanno voluto chiamare nostra madre per renderla edotta sul notevole progresso. Mi ha parlato per mezz’ora di lavori di ristrutturazione e altre amenità simili e io ho finto di ascoltare, ovviamente. Una cella, per quanto bella, è pur sempre una cella, non credi?

Giocherò a renderla un quartier generale, però. Allestirò un tavolo e una stanza intera per raccogliere e rendere immediatamente visibili gli indizi e le supposizioni raccolte. Ci spia, Thor. Ci osserva e attende il momento migliore per colpire. Quattro persone che non si conoscevano ma avevano legami con la Corte di Asgard. Cinque morti che sono una tragica beffa nei confronti di Odino, Heimdall, me persino. L’amico d’infanzia di Odino caduto in disgrazia, il mercate; la sorella della dolce fanciulla che fa visita al mostro, Astrid; la ragazzina che doveva la sua vita al guardiano, la piccola lavandaia salvata dal Guardiano; il marinaio beone. Mi sfugge il legame di uno degli sventurati, ma non temere: lo troverò non per Asgard né per i suoi begli occhi né per nostro padre, ma per me. Non è l’unico cacciatore, qui.

 

Lettera 45

 

Cosa vuoi che ti scriva oggi, fratello? Un buon piano deve contenere una dose generosa di rischio, solleticare il destino e la fortuna, comprendere quella piccola variabile di caos e genio. Mi risponderai “non mi aspettavo che lo facessi così presto.” Il tempo ci scivola dalle dita e ha smesso di essere qualcosa di inconsistente, per me. Ha una scadenza, adesso: non sono più cinquemila anni circa di noia e tedio da passare dentro a una scatola di vetro sepolta nella terra, ma una sfida contro una bestia che mi divora dall’interno. Nostra madre ha chiesto e ottenuto che le analisi fossero rifatte altre due volte, perché non si fidava del risultato. È venuta a dirmelo di persona, non voleva che fossi costretto a mascherare il disappunto di fronte a un estraneo, e nostro padre gliel’ha concesso, ma senza accompagnarla. Presto diventerai re perché lui non è più in grado di fissare a testa alta i risultati delle sue decisioni.

Quando eravamo bambini, mi infastidivi tutto il tempo al primo raggio di sole primaverile, non appena cadeva un fiocco di neve. Stracciavi i miei appunti, mi strappavi di dosso i libri trascinandomi fuori dalla stanza. Volevi giocare ad essere Thor e pretendevi che io fossi Loki l’aiutante. Volevi vivere nella favola audace che ti avrei raccontato e distruggere a colpi di spada i nemici inventati dalla mia fantasia eccessiva, febbricitante, resa ancora più vivace dai testi polverosi che sottraevo dalla biblioteca privata di nostro padre. Libri proibiti, non adatti a un bambino, ma quel divieto che mi imponeva di non toccarli li rendeva i volumi più preziosi al mondo, vere e proprie reliquie. Cosa c’è di più eccitante che violare un ordine? Questo libro non è per te (1), mi dicevano, e io subito lo desideravo fino a provare una fitta dolorosa allo stomaco. Così mi inventavo ogni sorta di trucco per sottrarlo, rubarlo, nasconderlo. Alle volte, ti trascinavo nelle mie trame raggirandoti con poche, semplici mosse.

 

Altre, eri tu che mi offrivi l’occasione per ingannarti. Creavi il contesto, esponevi il fianco. Allora certe mie abilità ti incantavano ancora: mutare aspetto non era una trasformazione inquietante, ma l’elemento che rendeva più efficaci i nostri pomeriggi passati a immaginare un futuro glorioso, di guerrieri. Solo che nei campi di battaglia non abbiamo trovato proprio quello che ci aspettavamo, non credi? Ci hanno imbottito la testa di una retorica vuota e ridondante, raccontandoci che i Nove Regni erano il giardino prezioso che dovevamo coltivare e proteggere, hanno detto che combattere per Asgard era un onore e un privilegio, e poi ci hanno sbattuti nel fango, nella polvere, nella furia concitata delle battaglie. E noi nascondevamo la paura dietro a un sorriso fanfarone, stringevamo con più forza le nostri armi per nascondere le mani che tremavano.

Non sto dicendo che la politica espansionistica di Asgard sia errata, attenzione: alcuni interventi li ho caldeggiati io stesso perché solo il caos può portare l’ordine, e chi ha osato alzare la testa verso gli Aesir era necessario che pagasse il prezzo della sua arroganza. È semplicemente un modo per spiegarti cos’ho fatto anche se, a ben guardare, probabilmente sto sopravvalutando le tue abilità di comprensione del testo. Bisogna sporcarsi le mani per ottenere un risultato, Thor. Non possiamo permetterci di bruciare l’unica pista che può condurci da qualche parte. Occorrerà solo fare attenzione. Questa farsa non peggiorerà le mie condizioni, e mi offre il vantaggio strategico di stare un passo avanti al mio sfidante. Non ho la benché minima intenzione di immolarmi sull’altare di Asgard: Padre Tutto ci ha già cavato il sangue e non verserò più una sola goccia per lui.

 

 

Lettera 46*

 

Non fraintendere, Sigyn. Non commettere l’imperdonabile errore di credere che l’improvviso mutamento della mia condizione significhi qualcosa di diverso: ci sarà sempre una lastra di vetro, a dividerci. Ciò che ieri hai visto e sentito non è che una parentesi strana messa fuori dal tempo di cui tu hai solo colto un frammento. Non sono più il figlio di Odino che ghignava ai banchetti e se la spassava con le ancelle, né il giovane tronfio che incrociavi per i corridoi del palazzo. Quello che hai visto ieri sera, sono io. Non intendo compatirmi né giustificarmi. Non rinnego uno solo degli atti che ho compiuto, delle alleanze che ho stretto. Se tornassi indietro, rifarei ogni cosa nello stesso identico modo: presterei solo attenzione a non farmi prendere.

 

Ad essere onesti, cara Sigyn, anche in quell’occasione ho agito in modo tale da essere esattamente dove sono: solo, ho creduto che la scure della giustizia di Odino si abbattesse con meno violenza sul mio capo. Un pessimo errore di valutazione, lo ammetto, ma la fine che mi spetta, per quanto lunga e straziante, sarà certamente migliore di quella che mi avrebbe atteso con il mio passato signore. Gli Asi non sono gli esseri viventi più potenti di tutti i Mondi, mia bella Sigyn: l’universo è immenso e nella sua vastità noi siamo riconosciuti per essere un popolo robusto e fiero, ma non certo per la nostra invincibilità. Un altro ha questo nome, uno presso cui io trovai asilo tempo fa. Una certa educazione dovrebbe vietarmi di farti parola delle circostanze in cui mi trovò e com’ero ridotto. Vedi Sigyn, e anche adesso non ho intenzione alcuna di giustificarmi, io non andai da lui di mia volontà. Mi trovò. Ero ferito, spezzato, confuso e con il cuore gonfio di vendetta. Ho visto un potere nuovo e spaventoso, ho fatto cose, per inseguirlo, che qui ad Asgard sono irripetibili. Il prezzo della mia fuga, però, è il terrore che non mi abbandona mai. Lo tengo a bada durante il giorno, mascherandolo sotto a un sorriso sprezzante; lo nascondo dietro una battuta affilata o divertente, ma c’è, sempre. La notte sguscia via dalle catene in cui lo frena la coscienza ed emerge prepotente invadendo i miei incubi. Mi cerca ancora, forse, e lo farà fino alla fine dei tempi non perché rappresenti una minaccia per il suo impero, ma perché ho avuto l’ardire di trovare una via di fuga e infilarmici.

 

Ieri sei entrata nella mia stanza e io non ti aspettavo e hai visto quello che non era necessario osservassi: il terrore sordo, la febbre che attanaglia la ragione, il lamento per una sofferenza fisica che rallenta le nostre indagini e mi squassa. Non provare pena per me, Sigyn: non ne ho bisogno. Non guardarmi con quei tuoi occhi profondi e dolci, non lo merito. Quando avrai la tua vendetta, dovrai lasciare questo posto e inseguire altri sogni, altri amori e avventure. A me, restano solo i racconti di quelle che ho passato e metà delle storie che la mia mente evoca sono false, manipolate, distorte dalla mia personale visione. Succede così a tutti, Sigyn. Tu, ad esempio, ricordi di avermi sentito invocare il nome di mio fratello e ti sei avvicinata per posarmi sulla fronte una pezza bagnata e stringere le mie mani gelide tra le tue. Il tuo errore è stato guardarmi con occhi innamorati. Credi di aver visto un guerriero sconfitto, ma non piegato, un principe costretto a pagare per le sue ambizioni smodate, un uomo su cui non hai smesso un giorno di fantasticare, nemmeno quando Odino mi ha costretto in ceppi a dirigermi per sempre verso i sotterranei. Dovresti guardare il resto: certe cicatrici che non mi sono state inflitte in battaglia che sicuramente ieri sera, con i polpastrelli, hai sfiorato. La pelle pallida di chi sta perdendo la battaglia contro una malattia feroce e debilitante, la follia di un condottiero ossessionato dal passato, divorato dal rancore.

Credi che ti stia aiutando per i tuoi begli occhi e confondi la cortesia che ti devo per educazione e lignaggio con un innamoramento che nasconderei ad arte. Non è così. Il Cacciatore mi ha consentito di trattare con Odino condizioni migliori della mia prigionia; un vantaggio che, nel lungo periodo, potrebbe rivelarsi fondamentale perché nessuna cosa è immutabile, nemmeno le decisioni di Padre Tutto. Ti giustificherai dicendo che sai tutto, ogni cosa: non ti illudi che io sia migliore di come mi descrivono i miei molti nemici e detrattori, sai bene che il principe che ti affascinava si è tramutato in un traditore che ha minacciato il trono. Spiegherai in una lunga lettera che mi hai preso la mano e accarezzato la fronte in un gesto non d’amore, ma di pietà, e ti pentirai per aver scelto quel termine perché non desideri né riesci a compatirmi: io lo so. Cerca di guardare il mondo con più disincanto, Sigyn. Estrapola la verità dalle confessioni dei tuoi interlocutori, distaccati dagli eventi e cerca di trovare le connessioni giuste tra le vittime e il Cacciatore. Lui le sceglie, le seleziona, le segue e, infine, le prende. Ricorda che cercare legami è un gioco che la maggioranza delle volte ti porterà fuori strada, ma in un’unica occasione potrebbe rivelarsi fatalmente utile, decisivo. Brucia questa lettera.

 

 

Lettera 47

 

Di cosa hai paura, fratello? Che possa approfittare della guardia bassa di Asgard tutta per fuggire? Già ci pensa l’indomita Sif a nutrire questi sospetti, e io sorridendo non posso smentire né avallare la sua ipotesi. Cogliere le opportunità che mi si presentano davanti è omaggiare la mia natura, assecondare la trama filata per me dalle Norne. Chi sceglierebbe di scontare una pena lunga fino al proprio ultimo respiro, se fosse a conoscenza anche solo di un modo per scappare? Te lo dico io: nessuno. Anche il fiero lupo di nostro padre la pensava così. Si muoveva instancabilmente nel suo recinto fiutando tracce e pensando alle vie di fuga per poi fissarci con i suoi occhi gialli, selvatici, solenni. Credo di aver pianto per giorni, quando è morto.

 

Non è il momento di parlare di questo, adesso. Il lupo, la fuga, il passato, sono ombre che è opportuno accantonare da un lato. Credo che il fulcro di tutto sia sempre Astrid, fratello: la prima a essere ritrovata, la terza a morire. C’è un nesso che mi sfuggiva e che la mia assistente non riesce a sviscerare. Le ricerche si sono arenate, da quando sono costretto a letto, e questo non va bene non perché, come credi tu, mi interessi particolarmente questa caccia, ma per una ragione più pratica ed egoista. Senza passi in avanti tangibili, nostro padre nella sua sfavillante giustizia, troverà il modo di trasformare a mio danno i privilegi che mi ha concesso e che, ironia della sorte, avrebbe dovuto accordarmi ugualmente. Heimdall è venuto a trovarmi, ieri. Una visita sgradita e inaspettata, ma non infruttuosa, lo devo ammettere. Mi ha fissato a disagio, guardingo, come se potessi balzare fuori da questo fottuto letto e tirargli qualche scherzo che certo meriterebbe, ma che non mi dò la pena di infliggergli. Certe sfide sono divertenti e gustose solo se si svolgono ad armi pari, altrimenti hanno un retrogusto amaro. E tu la pensi come me.

“La tua fibra è sempre stata robusta,” ha detto osservandomi, “non avrei mai pensato di vederti deperire così.” Ho riso, ma questo te lo racconterà lui, come ti riferirà quello che ci siamo detti e le analisi hanno finalmente confermato. Il mio aspetto inganna, lo ha sempre fatto: se non hai una forza bruta devi puntare sull’agilità, la destrezza, la velocità. I miei colpi dovevano essere precisi e se mi toccava prenderle, occorreva che mi rialzassi in fretta. Non sarei mai stato come te – né lo desideravo –, ma avrei reso degno nostro padre, forse. Il riconoscimento tardivo di Heimdall e il suo sguardo assorto mi fanno pensare a ciò che è stato più di quanto non sia lecito. Inseguiamo un’idea azzardata, rischiosa, che non ti piacerà affatto, ma non potrai fare a meno di appoggiare.

 

Di questo, come di altre cose, parleremo a voce quando mi degnerai di una tua visita. Mi chiederai di lei, adesso, e della pista che riconduce ad Astrid. La dovevo vedere. Le descrizioni di Sigyn sono velate dall’amore e dalla nostalgia per sua sorella, non poteva aiutarmi. Per questo l’ho fatto. Mi dirai che è stata una scorrettezza, date le circostanze, ma con la mia bionda aiutante credo di aver chiarito ogni cosa sia per iscritto che a voce e adesso non mi importa più, davvero, se quell’uomo riuscirà prima o poi a sposarla.

Perché dovrebbe, in fondo? Sarebbe opportuno che si allontanasse da me, piuttosto, e andasse a convivere con il suo lutto lontano da qui, in un luogo dove potrebbe farsi una famiglia sua. Ecco perché ho chiesto udienza a nostro padre. Non avevo nulla da dirgli circa il Cacciatore, e non mi andava di condividere le supposizioni acerbe che sto ancora valutando. Lui si è fatto attendere per ben due giorni. Si è astutamente presentato di sera, quando sapeva che la febbre si sarebbe rialzata: gli ho chiesto di affibbiarmi chiunque altro al posto suo, persino quell’idiota senza fantasia del buonissimo Balder. Mi ha guardato compiaciuto con quel suo occhio gelido e rapace, soppesando la mia giusta richiesta. A lui non cambierebbe nulla, anzi. Dimostrerebbe a tutta Asgard come è riuscito a piegarmi per l’ennesima volta – questo è ciò che crede, almeno – e non dovrebbe più preoccuparsi di dover giustificare le mie azioni. Io, da parte mia, potrei torturare quell’idiota fino allo sfinimento e sarebbe divertente. Me l’ha negato, ovviamente. Mi ha rigirato contro le stesse frasi usate con il padre di Sigyn.

Sai che non desidero scriverti di lei: se te ne parlo, è perché mi metti nella fastidiosa condizione di doverti spiegare le mie giornate da prigioniero con questa tua inutile idiozia del dirci continuamente cretinate e, soprattutto, per evitare che la tua mente fantastichi appresso a cose di nessuna rilevanza. Tuttavia, l’indagine che entrambi seguiamo per ragioni differenti si interseca con Sigyn, e allora sono costretto a raccontare, puntualizzare, precisare, affinché tu non scambi o travisi un rapporto che fuori dalla mia prigionia non esiste. Vedi fratello, l’immobilità costringe a pensare, a valutare, a grattare via orpelli e considerazioni lasciando la verità nuda, esposta. Strano che io ne parli, non trovi? L’ingannatore imprigionato che si arrovella per risolvere un mistero e scoprire la verità. Curioso, per uno che non ha mai creduto che ne esistesse una sola.

 

Il fulcro è Astrid, la prima che ci ha fatto trovare. Potrei elencare a memoria tutto quanto si è detto di lei nelle settimane concitate che sono seguite alla sua sparizione e al ritrovamento dei suoi poveri resti martoriati. Più graziosa delle sorelle, ottima musicista, buona conversatrice, gentile con tutti. Una serie di luoghi comuni che la rendono la perfetta vittima da piangere disperatamente. Quanto sono state ingiuste le Norne, strappandocela così presto! Avevo bisogno di altro, però. Di un viso, un gesto, un contesto in cui inserire questa figura quasi evanescente. L’ho detto a Sigyn. È facile, per lei, prendermi la mano quando la febbre mi lacera: più difficile è rimanere in questa stanza d’ospedale con me senza un vetro a separarci. È abbastanza coraggiosa da fissarmi negli occhi, ma vedo in lei la paura, la cautela, il dubbio. Le velano lo sguardo, rendono incerta la sua voce. Io non la aiuto affatto a rilassarsi, anzi.

Perché dovrei, in fondo? La mia amante immaginaria dovrà pur soddisfarmi in qualche modo, non credi? Ora che c’è una finestra, per quanto piccola, nella mia stanza, deve offrirmi qualcosa di più che la sua presenza e il suo profumo di fiori e miele. Se solo fossi nobile come te, fratello, se soltanto le Norne mi avessero donato un briciolo dell’integrità morale del figlio di Odino, non avrei mai fatto niente. Mille remore mi avrebbero dovuto fermare, non fosse altro che per la dolcezza con cui ha poggiato per una notte intera una pezza gelida sulla mia fronte. E invece. La sua figura sottile e flessuosa è scivolata oltre la porta; con dispetto ho notato che aveva acconciato i capelli in una spessa treccia, mentre io li preferisco spettinati, sciolti e ribelli come se si fosse appena alzata dal mio letto. Mi ha portato solerte tutto ciò che le ho chiesto: documenti, referti, testimonianze. Un plico di carte che mi ha teso con una certa ansia.

“È sparita un’altra ragazza,” ha detto.

Non le ho volutamente prestato troppa attenzione. Sfogliavo lentamente le pagine scritte fitte. Ha iniziato a dirmi che è successo stamattina, al mercato, affrettandosi nel riportarmi una serie di voci concitate, contraddittorie, irritanti.

“Non è che ogni persona che manca per sei ore da casa è stata presa dal Cacciatore,” le ho fatto notare. “Perché tanta ansia? La conoscevi?”

Ha risposto di no, ma la sua espressione era sbalordita. Come facevo a restare così calmo e impassibile? Cosa avremmo fatto, se davvero fosse stata rapita?

“Se”, ho ribattuto laconico. Posando finalmente il mucchio di fogli, mi sono finalmente degnato di guardare il suo bel viso pallido e stanco. “A me non interessa salvare questa disgraziata sfortunata, Sigyn, ma solo di prendere il nostro amico. Un bravo predatore sa attendere il momento giusto, per lanciarsi sulla preda. Ecco, lui è la mia preda. Non mi serve un colpevole da esibire, ma l’indizio giusto. Non importa quanto ci vorrà.”

Era delusa, sconvolta dal mio cinismo, forse persino turbata dall’analogia che ho creato tra me e il Cacciatore.

“L’indizio che mi serve è racchiuso nella vicenda di Astrid,” le ho detto senza alcuna emozione. “La devo vedere.”

“È sepolta, tu non puoi uscire.”

“Non mi serve vederla dal vivo. Basti tu.” Avevo appena catturato la mia, di preda. Ha fatto un passo indietro trattenendo il respiro, quasi il solo inalare la stessa aria che respiravo potesse nuocerle e forse è vero. Se ci fosse stato un vetro spesso, a separarci, avrebbe riso sicura, mi avrebbe negato il suo aiuto, perché quello che le ho chiesto è stato davvero crudele. Se le avessi ordinato di spogliarsi e soddisfare le mie voglie sarebbe stato meno doloroso, invasivo, spietato, perché entrare nella testa di qualcuno come Sigyn e poi frugare, è un atto violento.

Avrei dovuto spiegarle cosa significava, prepararla all’ingerenza. Riesco ad alzarmi, adesso, e per quanto sia ancora debilitato, resto ugualmente un guerriero Asi e lei una ragazzina esile e minuta. Che le Norne mi maledicano, Thor, l’ho afferrata all’improvviso e le ho messo una mano sulla fronte prima che lei potesse anche solo gridare. (2)

Non me lo perdonerà mai.

Non è consolante dirti che ci avevo visto giusto, per niente. Violare la sua mente, calpestare i suoi ricordi e scoprire la parte più nascosta della sua essenza è stato esaltante, terribile, doloroso, sconvolgente, proficuo, eccitante. Astrid era la chiave, e adesso che lo so non ho più bisogno che mi aiuti nelle ricerche, anzi: se mi servisse il suo aiuto ora sarebbe lei a negarmelo, e nemmeno nostro padre con tutta la sua autorità potrebbe costringerla. Povera Sigyn. Avrei dovuto raccontarle che ogni sera portavo al lupo rinchiuso e furioso la cena, ma che lui mi ringraziava con un ringhio basso e spaventoso, tentando ogni volta di azzannarmi. Non mangiava nulla, ovviamente, e per non cadere nella tentazione di assaggiare la carne che puzzava di prigione ci defecava sopra. Che magnifica bestia, che era. Sotto la polsiera, ho ancora il segno dei suoi denti, sulla pelle. Per questo quando sbranò Tyr strappandogli una mano, alzai le spalle. Era stato incauto.

Ho visto più cose di quante non ne avessi volute. Trascinato dal seiðr, ho osservato ciò che non dovevo, e non mi aiuta scriverti che Astrid è la chiave e che conosceva l’assassino. La sua morte è stata orrenda e priva di senso, ma adesso il disegno è più chiaro e nitido di quanto non fosse ieri. È già passato un giorno da quando Sigyn ha capito sulla sua pelle quanto meritata fosse, la mia prigionia. La sua adorata sorella, la terza vittima, non era priva di macchie, tutt’altro. Quegli occhi, quel naso, quella bocca. Non posso essermi sbagliato. Devi tornare.


Continua...


L’angolo di Shilyss

Cari lettori,

Mi sono portata avanti con Confessioni perché il mio stato fisico rasenta quello del principe Loki. Ebbene sì, ho l’influenza e qualche altro acciacco collaterale. A giugno, sì. Scrivo con la coperta addosso. La Fatina dell’Ispirazione è molto mesta per questo, sappiatelo. Come avrete intuito, pare che il nostro stesse proprio male per davvero, ma con l’ingannatore non si può mai dire. Grazie a chi ha recensito e a chi recensirà, a chi leggerà e a chi ha inserito la storia tra le ricordate/seguite/preferite.

1 citazione da La storia infinita.

2 come in Thor: Ragnarok fa con Valchiria.

 

Ci vediamo domenica (se sopravvivo)

Shilyss


   
 
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