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Autore: sakura haruno vampire 97    19/07/2018    0 recensioni
♥♥+introduzione+♥♥
♥♥♥♥♥♥♥♥♥♥
La gola di lei pulsava accanto alla sua bocca e il suo tenero, Caldo profumo gli diede una leggera vertigine.una momentanea resistenza, ma fu inutile: era troppo vicina, troppo invitante.I canini spuntarono dalle gengive del vampiro.-puoi credere a questo ? -. Le sussurrò, e la baciò dolcemente sul collo. -e a questo sara?-.Poi il bacio pungente, lucente, alla luce della luna piena.Il bacio d'argento, rapido e netto, affilato come una lama; ma romantico al tempo stesso.

♥♥♥♥♥♥♥♥♥
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La casa era vuota. Sara lo capì appena entrata. Soltanto il ticchettio dell'orologio in cucina rompeva il silenzio della casa. La paura presa forma dentro di lei. "La Bea" pensò,impaurita come una bimba. "Di nuovo all'''ospedale... o peggio?" lasciò cadere lo zaino sul pavimento dell'ingresso,e senza chiudere la porta; si diresse lentamente in cucina, temendo il messaggio che l'attendeva. Sul frigorifero c'era un biglietto attaccato a una calamita, e il biglietto citava queste parole. -Siamo in ospedale. Non preoccuparti. Ti ho lasciato la cena nel microonde. Torno appena posso. Un bacio papà. P. S. Non aspettarmi sveglia forse ritardo. Ti voglio bene. ♡- Sara appallottolò il foglio e lo gettò verso il bidone della carta, ma sbagliò la mira. Sbuffò contrariata. Negli ultimi tempi sembrava che le conversazioni tra lei e suo padre si svolgessero tramite quella calamita sul frigo a forma di orso. "L'orso parla" pensò. "Difende il frigo, m'impedisce di aprirlo"; Di mangiare, infatti non ne voleva sapere di farlo. Scricciolo la chiamavano a scuola. Era sempre stata minuta, ma ora le sue ossa sembravano diventate vuote, e i polsi e le articolazioni erano coperte da ombre lucide. Ormai era magra quasi quanto sua madre, consumata poco a poco dalla malattia, la in ospedale. "Una morte per empatia,forse " si diceva Sara un po’ per calia e un po’ sul serio. Avevano sempre detto che somigliava alla madre: di lei aveva gli stessi occhi castani, i lunghi capelli neri leggermente mossi sulle punte e una pelle subdolamente pallida, che si abbronzava al minimo incoraggiamento. sarebbe stata una vera ironia morire, dissolvendosi all' improvviso quando fosse venuto a mancare il suo doppio... uscì dalla cucina, incerta sul da farsi. come poteva mettersi a lavare i piatti o a pulire il tavolo, quando era capitato chissà che cosa a sua nipote ? si lasciò scivolare di dosso la giacca e l' abbandonò sopra una sedia. Papà continuava a dire che sarebbe andato tutto bene, ma se fosse successo qualcosa e lei non fosse stata presente, solo perché lui non riusciva a dirle che la Bea poteva morire?; si tirò il maglione sotto i fianchi e si attorcigliò una ciocca di capelli intorno al dito. le sue mani non volevano star ferme. '' Ormai dovrei esserci abituata'' pensò. Era più di un anno che si andava avanti così: I lunghi ricoveri in ospedale, i brevi soggiorni a casa, settimane di speranze e ricadute improvvise, con quelle cure più penose della malattia stessa. Ma sarebbe stato colpevole fai l'abitudine a una cosa del genere. Innaturale. Abituarsi voleva praticamente dire arrendersi. si soffermò in sala da pranzo. La stanza era arredata semplicemente: solo un lungo tavolo antico a cavalletto così com'erano anche le sedie quasi tutte in quello stile. Le pareti, però erano una specie di inno alla vita di sua madre, perché ospitavano dei grandi quadri di colori diversi di arte astratta fatte da sua madre. Erano tele cariche di tonalità forti ma allo stesso tempo dolci e amorevoli. '' come la mamma'' pensò Sara. '' come la Bea prima...'' in questo erano differenti perché Sara scriveva poesie dai toni sommessi, piene di interrogativi. '' neanche carine'' pensava '' io non ho molto talento come lo ha lei, il talento e suo! perché non sono malata io?, lei ha così tanto da offrire e ha ancora tanta vita in se...''. '' Sei color dell' ombra'' le diceva dolcemente la nipote. '' sei un mistero mia piccola Sara.” '' Vorrei essere come voi'' penso Sara, quasi implorante, accarezzando i quadri come a cercare di assorbirne almeno il calore. Il salotto era fresco, in penombra. i bagliori del sole sul tetto che Sara riusciva a vedere attraverso la finestra sembravano i giochi di luce di uno specchio d' acqua, e i toni verde-azzurri quasi blu richiamavano mondi subacquei. Forse qui avrebbe trovato un po’ di pace. Si sprofondò sul divano. '' goditi semplicemente questa stanza'' si disse. '' la stanza che c'è sempre stata e ci sarà sempre''; la stanza che non è cambiata. '' Ha tre anni...'' fantasticò, " la Bea è in cucina e si sta’ preparando per la cena un po’ prima del solito, perché stasera i suoi escono, vanno a una festa, giada verrà a fargli da babysitter; fra poco potrà giocare con la casa delle bambole." Ma la finzione non reggeva. Aprì gli occhi e si stirò . Le sue dita toccarono la carta del giornale, liscia e ordinaria: sul divano c'era ancora il quotidiano dell' mattino. Gli gettò un occhiata distratta, ma un titolo gli saltò agli occhi: (TROVATA MORTA BIMBA DÌ TRE ANNI.) sentì una fitta al cuore. "Trovare morte tutte le bimbe?" Pensò amaramente. "Perché no? " ma non poteva fare a meno di leggere le righe che seguivano.( la gola squarciata.) diceva l'articolo, (senza più una sola goccia di sangue.) "Ma è assurdo!" Esclamò ad alta voce. Serrò le dita in preda al disgusto, spiegazzando la pagina. "Che razza di giornale, è un figlio di una rivista scandalistica per caso?". Lo scagliò lontano, poi si alzò e andò verso la sua camera, al piano di sopra. Ma ancora prima di poter salire sentì il telefono squillare. Trasalì, ma si precipitò verso il cordless, attraversando il salotto. Una voce familiare, ma non quella di suo padre. S : Sara ho una cosa da dirti-. Era Sharon, la sua migliore amica, che teneva via cavo col suo solito tono melodrammatico. Eppure avrebbe potuto sforzarsi per essere di conforto all' amica ma non era questo il caso. "Cosa ce ?" Rispose Sara con un filo di voce, e il cuore in tumulto. Forse l'ospedale aveva chiamato il numero di Sharon, non trovando lei in casa? S:ci trasferiamo-. "Cosa?" Un momento di confusione. S: la mamma ha avuto quel posto in Italia. "In Italia? Dio mio Sharon ma è sulla Luna!" S: quasi, mi dispiace Sary♡-. Sara si sedette sulla poltroncina dallo schienale rigido, vicino il telefono. Non era suo padre, non era la morte che chiamava, però... "quando? " S: tra due settimane-. "Così presto?" Sara continuava ad arrotolare srotolare il filo del fiocco, che aveva legato al collo, sopra una catenina arrotolandolo intorno alla mano. "Non può essere vero" pensava. s: lo vogliono immediatamente. Parte stasera in aereo. S:ti rendi conto? appena arrivato, cercherà casa. Quando sono arrivata, Luca era già lì che telefonava alla ditta dei traslochi. '' mi avevi detto che non era una cosa seria'' S: questo ti dimostra quanto lei comunica con me. Luca invece lo sapeva. Sara cercò disperatamente qualcosa da dire. possibile che non ci fosse un modo per evitarlo? '' e lei non è furiosa di tutta questa fretta?'' S:oh lui è entusiasta. la pioggia radioattiva non arriva fin là ... e potrà coltivare quintali di zucchini e carote. '' e tuo zio?'' S: anche se lei si trasferisse in Italia, a lui non farebbe ne caldo ne freddo. però se l'è presa perché ci porta anche me. '' e tu non potresti rimanere con lui? per favore, per favore.'' implorava mentalmente. S: sarebbe una battaglia persa in partenza. gli scombussolerei la vita. ''Sharon !non è così carogna.'' S:è stato lui ad andarsene no?. è inutile riattaccare la solita discussione pensò Sara. ''l' Italia''mormorò invece Sara. Sharon gemette. S: già una vera palla, il freddo, la pioggia continua e l sole che va e viene. disse. S: non sono pronta a questo cambiamento,magari potrei venire a stare da voi. aggiunse speranzosa. '' proverò a chiederlo'' disse Sara, anche se sapevano bene entrambe che nella situazione attuale era impossibile. S: ma si figuriamoci! ''che farò adesso?'' pensò Sara. S: potrai sempre venire a trovarmi per le vacanze da scuola o per tutte le feste e vice versa. propose. '' e un magro conforto...'' S: già... . perché non fai un passo da me?disse Sharon. '' no scusa. in questo momento è meglio che io stia qui''. S:ho ho qualcosa non va ?. '' è tornata in ospedale.'' S: shhh.. mi dispiace scusa. '' nulla non potevi saperlo'' rispose Sara. Ed è qui che Sharon tagliò corto pensò Sara. '' ma perché non sa parlarmene? perché ogni volta evita l' argomento?. é la mia migliore amica, porca paletta , non è come quelle smorfiose a scuola, così imbarazzante da non guardarmi in faccia?. cercò le parole giuste per farglielo capire. qualcosa per trattenerla in linea. Sharon sospirò poi silenzio. S: ascolta. disse Sharon. mi sa che adesso non hai molta voglia di parlare perché stai aspettando una telefonata molto più importante di questa, chiamami dopo quando sai qualcosa ok? per ogni cosa io verrò subito da te e non pensare che evito il discorso perché mi imbarazza, lo faccio solo perché so come ci si sente ci sono passata anche io. e ora tu hai bisogno solo di tempo e dei tuoi spazi, anche se mi trasferisco in Italia non vuol dire che ti abbandonerò anzi mi preoccuperò sempre per te che tu lo voglia o meno. tu sei come una sorella ti voglio bene Sara, ci sentiamo dopo un bacio e un abbraccione forte. '' ok ci sentiamo dopo grazie Sha davvero.'' ma Sara non si decideva a riattaccare. s: Sa.. ti voglio bene e chiamami. '' anche io tanto lo farò di certo.'' sorrise amaramente Sara, sapeva bene che non ne avrebbero riparlato. '' dai ciao.'' S: ciao, Sara resisti. sussurrò Sharon prima di riagganciare. '' Eppure le importa anche se non sembra'' si disse Sara per rassicurarsi. '' solo che non sa come comportarsi. e in fondo come dargli torto chi saprebbe affrontare una situazione simile?'' pero era ugualmente delusa, prima erano sempre riuscite a parlare. E di solito era proprio Sharon a iniziare il discorso, ma comunque riuscivano a parlare quasi sempre. E ora Sharon partiva!la fine del mondo... Erano amiche da sempre che ''bisogno c'era di cambiare tutto ?'' disse. Ebbe voglia di gridare contro un dio della quale esistenza non era più così certa. E' una punizione? ma cosa ho fatto di male dannazione?!''. lei si sentiva stanchissima. ''Forse ho solo bisogno di un po’ di sonno'' decise, e si avviò su per le scale. Il sonno negli ultimi tempi, aveva preso il posto del nutrimento. si sdraiò sul copriletto rosso, e per un po’ sfuggì alla realtà. Si svegliò di colpo, lottando con le ultime immagini confuse del sogno che spariva, e riconobbe un rumore che poteva essere la porta d' ingresso che sbatteva, oppure lo scatto di quella di camera sua. si alzò irrigidita per qualche brivido di freddo, più esausta che mai. scese le scale, sentì trafficare in cucina; entrò e ci trovò suo padre che si preparava una tazza di latte e caffè con dei cereali. l' uomo era pallido in viso probabilmente stanco per le ultime cose che gli stavano succedendo. P: Sara per dio hai lasciato la porta aperta. sospirò. '' scusami devo essermene dimenticata, ho visto che a casa non c'era nessuno e mi sono preoccupata; sono entrata per cercare un messaggio''. disse tormentando i cordini dei pantaloni della felpa, come aveva fatto a dimenticare la porta aperta?.'' P: non si possono lasciare le porte aperte come se niente fosse Sara, se non fossi stato io cosa sarebbe successo?, non hai letto il giornale?. '' giornali?.'' si riferiva forse al articolo?, perché tirare fuori l' argomento in un momento così delicato per entrambi?, perché prendersela con lei?. ''Ero in casa...'' P: lo so. Ho visto la tua tracolla, e sono salito a cercarti e a vedere come stavi in camera tua. il suo tono di voce si era addolcito; P: Dormivi Sara?, non riesci a dormire bene la notte, sei preoccupata per la mamma vero?. le si avvicinò e la strinse a se per abbracciarla e coccolarla almeno per ora. Sara non rispose, se ogni tanto si fosse degnato di occuparsi davvero di lei avrebbe potuto saperlo e poteva sapere come stava?!. Sara si accoccolò e sospirò sotto voce. la vista dell' latte e cereali, le avevano messo fame cosi si avvicino al frigo e tirò fuori il latte, e poi si avvicinò al piano cottura per poi prendere dal mobile la sua tazza blu con i cuori, la sua preferita e poi prese il barattolo del caffè insieme alla caffettiera e mise sul fuoco sia il latte che il caffè. Una volta che sia il latte che il caffè fosse stato pronto, unì il latte e caffè nella tazza e poi prese lo zucchero e biscotti, andandosi a sedere al tavolo di fronte al padre e iniziare a 'cenare'. '' Ah quando sono arrivata, ha chiamato Martina voleva sapere come stava la Bea, ma le ho detto che non lo sapevo e aspettavo te. Poi ha riattaccato.'' Martina, era una persona affettuosa, gentile e altruista, ma anche se il giorno prima, era venuta a casa e le aveva preparato il pranzo e la cena; ma purtroppo non era un ottima cuoca, ma Sara si accontentava di poco, visto che in questo periodo non mangiava molto. pensava mentre riusciva almeno a mangiare il latte e biscotti. Il padre la stava fissando sorridendo lievemente, e improvvisamente Sara si sentiva dispiaciuta, di essersi comportata male pensando al suo sfogo mentale. Era demoralizzato e stanco, in fondo non era colpa sua se doveva stare così tanto tempo in ospedale, e fare tanti straordinari per poter pagare una camera singola nell' ospedale per la nipote. se solo i parenti non fossero stati così lontani, alcuni in Italia e altri in Germania;lui se la sarebbe cavata decisamente meglio. ''Dovrebbe lasciare che lo aiutassi di più''pensò Sara, ma gli sembrava già di sentire già la risposta; '' puoi essermi utile, evitando di farmi preoccupare.''. '' Come sta’ la Bea?'' chiese con voce dolce. P; Non troppo bene piccola mia, fa del suo meglio ma è sempre più magra e debole... . l' uomo abbassò lo sguardo rassegnato. '' la tratterranno?.''per favore di di no. supplicò silenziosamente. P: si, per un paio di settimane, forse più. Sara vide l'espressione triste del padre, lo sguardo e le lacrime in agguato, e minacciose di voler uscire. ''forse per sempre?; pensò. si stavolta sarà per sempre, ma lui non ha la forza di dirmelo.'' Mangiarono in silenzio quasi come un gesto automatico, senza gusto; era solo un modo di arrendersi a un bisogno fisico, papa era tornato a essere Derek Singh, l' uomo che aveva la moglie in fin di vita, ed era anche l' uomo che a volte si scordava di avere una figlia. più di una volta Sara prese fiato per parlare , ma le parole gli morirono in gola., '' papa?'' disse infine. P: mh?... mormorò lui con sguardo assente. '' papa volevo dirti che Sharon..'' P; che c'è avete litigato?. rispose lui soprappensiero. '' non siamo più bambine dell' asilo!'' avrebbe voluto gridare, ma si limitò a dire piano,cautamente: '' no..., va via...''. E all' improvviso sentiva che stava per scoppiare a piangere, gli sarebbe bastato anche solo un piccolo abbraccio, ne aveva davvero bisogno... ma come sempre lui non riusciva mai a capirla non era come la Bea. pensò, poi la risposta arrivo anche se distratta da parte sua. P: ho? davvero?... questa si che è una notizia. disse il padre bevendo il latte con il suo solito fare distratto. '' ah capisco ... e solo questo che sai dire...'' sibilò a denti stretti, poi Sara si sentì un nodo doloroso stretto in gola, aveva voglia di urlare per potersi sfogare. dov'era il padre di un tempo? quello che per aiutarla e farla sentire meglio avrebbe detto : <> e poi avrebbe riso della battuta appena fatta, ma poi tornando serio, l' avrebbe capita, ascoltata, consolata e abbracciata?; non sempre riusciva a capirla come la Bea, però ci provava a modo suo. '' forse ce l'ha dentro?, da qualche parte.'' pensò, ma non provò a spiegarsi. il mondo di lui era troppo sconvolto, perché lei potesse metterci anche i rottami del suo. '' La Bea saprebbe sicuramente cosa dire, anche adesso... se solo non mi diminuissero in quel modo le visite in ospedale...'' . infatti in ospedale non le davano nemmeno il tempo di ricordarsi cosa volesse dirgli che subito la mettevano alla porta, e nessuno la ascoltava più. ''esco a fare un giro” disse e prese la giacca, doveva assolutamente andarsene per non rischiare di mettersi a urlare. prese le chiavi di casa dalla casetta porta chiavi e andò verso la porta che aprì per poi uscire. '' ciao.'' disse poi uscì. P: torna presto!, le gridò il padre prima che lei uscisse. ''si...'' disse appena, '' ma non si rende conto di che ore sono?'' si chiese Sara. Appena le nove e si è dimenticato di preoccuparsi per quello che dicono i giornali''. pensò. La notte era fresca e dolce, e una luna piena brillava alta nel cielo stellato. si diresse verso il parco dietro le scuole elementari: poco più di qualche cumulo di terra, all' angolo di una strada; con qualche albero qua e là, e una fitta serie di cespugli al centro del parco e hai lati delle staccionate. C'erano delle altalene, uno scivolo scarabocchiato dai bambini e tre vecchi e sgangherati seggiolini a forma di animali a molla, che dondolando su e giù come sbronzi finché, a forza di andarci la schiena non faceva troppo male per continuare a cavalcarli. Sara amava andarci di sera sul tardi, a passeggiare tutta sola e in tranquillità senza dei bambini che strillassero li intorno; nel pomeriggio anche i bambini più vivaci,erano stati trascinati a casa. Temeva l'arrivo dei potenti fari, che il comune avrebbe voluto installare per motivi di sicurezza. Le piaceva com'era adesso, coi rari lampioni, che tracciavano cerchi bianchi e dorati nell' oscurità misteriosa. Si sedette sulla terza panchina, quella con i graffiti disegnati sopra, vicino il gazebo al centro del parco., l' elegante costruzione a cupola l'aveva sempre affascinata, con la scalinata che correva intorno come una giostra, con le pareti traforate. veniva spesso riverniciato di un bianco estivo, che le ricordava un palazzo uscito da una favola esotica. aveva sentito dire, che li si esibiva qualche volta la banda sia della scuola che della chiesa la domenica pomeriggio, ma ormai serviva solo ai bambini come riparo per la pioggia. ''Portami dentro la tua favola... .'' pensò. Il chiaro di luna illuminava il gazebo bianco con fasci di luce argentea,ma all' improvviso una figura scura ci entrò dentro, diversa dalle ombre naturali. Sara si irrigidì, aveva le mani chiuse e strette sulla panchina, si sporse un po’ in avanti per vedere meglio nell' oscurità la figura che era entrata all' interno del gazebo, era sicurissima c'era qualcuno li dentro. Poi dall' ombra usci una figura, Sara si sentì la gola secca e ripensò all’ articolo letto a casa. ''Trovata morta bimba di tre anni...'' quel pensiero la fece tremare, la figura avanzò nel chiarore lunare in un punto molto vicino alla panchina, e per un attimo Sara pensò di scappare; poi distinse il suo viso. Era un giovane, più un ragazzo poco più grande di lei, che un uomo; esile e pallido. Simile a una creatura soprannaturale alla luce della luna. Lui la vide e si drizzò come un cervo davanti al fucile del cacciatore. Rimasero entrambi catturati, l'uno nello sguardo dell' altra. gli occhi di lui erano argentei, pieni di stelle ma il viso era pallido, e aveva i capelli scuri. Con una strana fitta al cuore Sara si accorse di quanto il ragazzo fosse carino. Le lacrime che gli pungevano gli occhi per tutto l' accaduto della giornata, finalmente scesero e lo sconosciuto fuggì, mentre lei rimaneva seduta sulla panchina, e piangeva tutte le cose perdute e che stava per perdere.
   
 
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