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Autore: Tigre Rossa    21/07/2018    2 recensioni
Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
- David Foster Wallace-
'Thorin alzò di scatto la testa, come se quella voce che sapeva di non poter più sentire fosse davvero lì, come se quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille fosse reale e provenisse proprio di fronte a lui, come un eco lontano portato dal vento.
E fu in quel momento che lo vide.
Fu allora che vide Bilbo per la prima volta.
In piedi dietro al suo corpo infranto, come un fiore schiacciato che dà il suo estremo saluto al sole, il piccolo hobbit aspettava di incontrare il suo sguardo, i grandi occhi blu aperti e lucidi, la scia timida di una lacrima che gli apriva la guancia destra come una ferita.
Ma quella, per quanto delicata, era la sua unica ferita.'
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Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Tra Vita e Morte

 

 

 

 

 

 

 

“I confini che dividono la Vita dalla Morte sono i più oscuri e vaghi. Chi può dire dove gli uni finiscano, e dove gli altri inizino?”

-Edgar Allan Poe -

 

 

 

 


“Cosa credi che ci sia dopo la morte?”

Thorin si voltò nel sentire quelle parole.

Bilbo era rannicchiato al suo fianco, a fargli compagnia durante il turno di guardia, come ogni notte. Il suo sguardo, insolitamente illeggibile, era perso tra le ombre del bosco attorno a loro, come alla ricerca di qualcosa che nessuno dei due poteva vedere.

“Dopo la morte?” ripeté piano il nano, senza smettere di guardarlo “Perché questa domanda?”.

Lo hobbit si strinse nelle spalle. “Assecondami.” si limitò a mormorare, senza dargli una vera risposta.

Il re esitò per un momento, prima di cedere “Quello in cui credono tutti i nani, ovvero le Sale di Mahal dove aspetteremo l’inizio di un nuovo mondo.”.

L’altro sembrò soppesare le sue parole attentamente ed allora lui continuò, tentando di comprendere cosa l’avesse spinto a porre una domanda tanto insolita “Tu invece cosa credi che ci sia, mastro ladro?”.

Lo scassinatore si mordicchiò il labbro, come se si aspettasse quella domanda ma non sapesse bene in che modo rispondere. “Non lo so.” ammise infine “Ci sono varie linee di pensiero, ma io non riesco a credere con sicurezza a nessuna di esse.”.

Thorin aggrottò la fronte “Come mai?”

Bilbo esitò, evidentemente a disagio, ma poi sospirò e sussurrò “Credo che la morte sia un mistero troppo grande per poterlo conoscere davvero. Ci si illude di comprenderlo, ma in realtà è qualcosa più grande di noi e su cui non abbiamo alcun potere, alcun controllo, niente di niente.”. Si fermò per un breve momento e si strinse con più forza nel mantello del compagno, che gli aveva messo addosso poca prima quando l’aveva visto tremare per il freddo della foresta “È un po’ come l’amore, da questo punto di vista.” aggiunse, quasi timidamente.

“Non credevo che ti interessassi di questi temi.” osservò con il nano dopo averlo studiato per qualche secondo, inclinando appena la testa.

“Non prenderti gioco di me.” sbottò risentito lo hobbit, avvertendo in quell’osservazione un pizzico di canzonatura “Non sono uno sciocco come pensi, sai?”

“Non ho mai detto una cosa del genere.” si affrettò a chiarire il re “Solo non credevo che fossi uno che pensa alla morte. Sei così  . . .”

Si bloccò, incapace di trovare la parola giusta.

Sorridente, forse.

Luminoso, magari.

Sì, Bilbo era tutto questo, ma era anche molto di più. Lui era . . .

Un piccolo raggio di sole, pensò all’improvviso, e seppe che era vero.

Era come un piccolo raggio di sole, capace di illuminare e rendere migliori anche i momenti più grigi. E lui, che aveva visto tante tenebre nella sua vita, sapeva bene quanto un po’ di luce potesse essere preziosa.

“Così?” fece lo hobbit, richiamandolo alla loro conversazione e costringendolo a continuare.

Il nano esitò, prima di scegliere di non dare voce ai suoi veri pensieri “Troppo pieno di vita per pensare a qualcosa del genere.” si limitò a rispondere.

“Oh.” Bilbo parve essere colto completamente di sorpresa da quelle parole. Distolse lo sguardo e sorrise appena, mentre le orecchie a punta gli si coloravano leggermente di rosa “Lo prenderò come un complemento, credo.”

Thorin rispose d’istinto a quel sorriso, anche se l’altro non poteva vederlo.

Poi, però, quel sorriso svanì e la stessa ombra di prima calò sul suo viso, rendendolo di nuovo illeggibile. “Tu non ci pensi mai?” chiese ancora, tormentandosi le mani sottili.

Il più grande si limitò a scuotere la testa e di fronte al suo sguardo confuso si vide costretto a spiegare “L’ho incontrata così tante volte che preferisco cercare di non farlo.”.

Il viso dello hobbit si fece improvvisamente pallido, la consapevolezza che si faceva strada nelle sue iridi blu.“Oh, io . . . m-mi dispiace.” balbettò, senza sapere cosa dire e iniziando a gesticolare in preda all’agitazione“Io non . . . non ho pensato che . . .”

L’altro gli fece segno di calmarsi “Non scusarti.” disse, molto semplicemente “Non ce n’è motivo.”

“Ma . . .” fece per continuare, sentendosi veramente in colpa, ma prima che potesse dire altro il re sospirò e lo afferrò delicatamente ma con fermezza il polso.

“Bilbo.” lo chiamo fermamente per nome, come faceva veramente di rado “Ho detto di non scusarti. Va bene così.”.

Lo scassinatore deglutì e distolse lo sguardo, incapace di reggere quello chiaro e sicuro di lui, ed egli lo lasciò andare.

Rimasero immobili l’uno accanto all’altro per qualche minuto, fino a quando il nano non spezzò il silenzio e disse, lo sguardo perso verso le fiamme del piccolo fuoco che avrebbe dovuto riscaldarli “Sai, la morte può essere spaventosa e terribile e capace di spezzarti il cuore, ma ti insegna anche il valore di ogni singolo momento. Quanto sia importante proteggere la propria vita e quella degli altri ad ogni costo. Quanto bisogna impedire che quel battito che a volte diamo quasi per scontato si fermi.”.

Esitò per un momento, giocando appena con la chiave che portava al collo quasi fosse un talismano, per poi continuare piano“E quando uno lotta ogni giorno per rendere la propria vita degna essere chiamata tale, nel momento in cui si troverà ad affrontare la morte non la temerà, perché saprà di aver vissuto davvero. Questo è tutto ciò che so sulla morte, e non mi interessa nient’altro, finché respiro ancora.”.

Il ladro rimase in silenzio per qualche attimo, assimilando le sue parole.“Questo è . . . molto profondo.”osservò, sinceramente colpito.

L’accenno di un sorriso divertito si formò sulle labbra sottili del re.“Non sono sciocco come pensi, mastro scassinatore.” disse quasi casualmente, scimmiottando la sua frase di poco prima.

Bilbo divenne rosso in volto e in tutta risposta gli diede uno spintone, senza riuscire a smuoverlo nemmeno di un millimetro. “Non prendermi in giro, idiota di un nano, stavamo facendo un discorso serio!” lo rimproverò offeso, per poi scoppiare a ridere alle sue stesse parole e al suo debole attacco. Thorin fece lo stesso, scuotendo appena la testa e guardandolo in un modo che, se l’altro l’avesse notato, gli avrebbe rubato il fiato.

 

‘Cosa farei senza di te, raggio di sole?’

 


 


 

Thorin lo vide per la prima volta dopo la battaglia, quando tutto era avvolto dal silenzio e c’era solo il suo corpo spezzato.


 

Fu lui a portarlo indietro, nonostante le proprie ferite. Non permise a nessuno di toccarlo, nemmeno a Gandalf. Doveva essere lui a farlo, e lo sapeva.

Lo strinse a sé, incurante del sangue rosso ed ancora caldo che gli macchiava le vesti, lo prese tra le sue braccia e lo riportò dentro, dove niente e nessuno avrebbe potuto raggiungerlo e fargli ancora del male. Lo riportò dentro la Montagna, al sicuro tra quelle mura che mai, prima di quel momento, gli erano sembrate tanto fredde.

Non fu faticoso, non nel senso fisico del termine almeno. Lo hobbit era sempre stato leggero, ma in quel momento lo era più che mai, talmente leggero da sembrare fatto d’aria, pronto a sfuggirgli via tra le dita se solo avesse allentato la presa. Portarlo fu facile, ma allo stesso tempo tremendamente difficile. Ogni singolo passo era straziante e quel seppur breve tragitto gli parve più lungo di tutto il viaggio affrontato fino a quel momento.

Una volta al sicuro dentro quella che tanto tempo prima aveva considerato casa sua, stese a terra quel mantello che aveva indossato insieme alla corona di suo nonno e lo adagiò sopra di esso, con delicatezza.

E poi rimase lì a guardarlo per così tanto tempo che nemmeno lui avrebbe saputo dire quanto, dimenticando qualsiasi altra cosa.

 

Come se nient’altro fosse importante.

 

Semplicemente rimase lì, a riempirsi gli occhi che bruciavano di quell’immagine straziante e allo stesso tempo quasi dolce.

Lo hobbit giaceva immobile, i lineamenti del viso distesi e quieti e i grandi occhi blu coperti dalle palpebre sottili.

Era stato lui a chiuderglieli, prima di raccoglierlo da terra. Non poteva sopportare la vista di quelle iridi, una volta semplicemente piene di tutto, ora fisse nel vuoto, incapaci di vedere davvero. Così almeno, aveva pensato, sarebbe sembrato addormentato. E, a guardalo in quel momento, lo sembrava davvero.

Il suo viso era quasi sereno, come se stesse sognando di nuovo la Contea, quella casa a cui aveva rinunciato per quella avventura che forse non avrebbe mai dovuto intraprendere. Le sue mani erano aperte e le braccia stese ai suoi fianchi, proprio come era solito dormire solo nelle notti più tranquille, quando si sentiva al sicuro. Le sue labbra, appena socchiuse, erano ancora rosee e sembravano quasi aspettare che qualche parola, qualche nome soffocato gli sfuggisse nel sonno.

Se si concentrava su quei dettagli, Thorin poteva quasi illudersi che in realtà non fosse successo nulla. Se si sforzava abbastanza, poteva quasi dimenticare quello che era successo e fingere, almeno in quella bolla di tempo immobile che era riuscito a crearsi, che il suo scassinatore fosse solo addormentato e che da un momento all’altro si sarebbe risvegliato, regalandogli un sorriso e annullando ogni suo timore. Se guardava solo i suoi occhi chiusi e quelle labbra aperte come in attesa di qualcosa, poteva quasi crederci davvero.

Ma i suoi occhi chiari erano chiamati da quell’enorme chiazza scarlatta, all’altezza del cuore, e per quanto lottasse per opporsi, alla fine, non poté fare a meno di cedere.

Fu allora che quella fragile e delicata illusione si infranse in mille pezzi, come un castello di vetro infranto da una tempesta.

Il re si portò una mano alla bocca per qualche istante, soffocando l’ennesimo grido da animale ferito che lottava per uscire fuori e tagliare l’aria. Cercò di distogliere lo sguardo, ma non poteva farlo. Tutto ciò che riusciva a vedere era il sangue, quel sangue traditore che era anche sulle sue dita, ancora caldo e dal sapore metallico e il cui contatto lo fece rabbrividire.

Rimase lì, immobile, a fissare quel corpo spezzato a causa sua, per così tanto tempo che si illuse quasi di essere morto anche lui e di essere imprigionato in un momento eterno fino alla fine dei tempi.

Rimase lì, a guardare l’unico cadavere che non avrebbe mai immaginato di dover conoscere, per così tanto tempo che quando una voce lo raggiunse fu certo di essersela solo immaginata.

 

“Thorin . . .”

 

Sì, poteva solo averla immaginata. Quella voce non poteva essere reale. Non dopo che gli era stata rubata per sempre.

Eppure . . .

 

“Mi dispiace.”

 

Quella volta, Thorin alzò di scattò la testa, come se quella voce che sapeva di non poter più sentire fosse davvero lì, come se quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille fosse reale e provenisse proprio di fronte a lui, come un eco lontano portato dal vento.

E fu in quel momento che lo vide.

 

Fu allora che vide Bilbo per la prima volta.

 

In piedi dietro al suo corpo infranto, come un fiore schiacciato che dà il suo estremo saluto al sole, il piccolo hobbit aspettava di incontrare il suo sguardo, i grandi occhi blu aperti e lucidi, la scia timida di una lacrima che gli apriva la guancia destra come una ferita.

Ma quella, per quanto delicata, era la sua unica ferita. Non aveva graffi sul viso o sulle mani, né sangue rappreso sul viso. L’enorme macchia rossa che devastava il suo corpo sempre più freddo era stata come strofinata via a forza dal suo cappottino blu, sotto il quale si intravedeva appena il luccichio delicato di mithril, come in un crudele spettro di ciò che avrebbe dovuto essere.

Sembrava stare bene, come se niente gli fosse mai capitato. I suoi capelli ramati erano ordinati, le sue vesti pulite e senza alcun traccia della battaglia. Era sano e salvo, come se niente fosse riuscito a fargli del male, alla fine.

Ma i suoi occhi raccontavano una storia completamente diversa.

I suoi occhi era infranti, spezzati, totalmente smarriti e del tutto persi nei suoi.

I suoi erano gli occhi di chi sta morendo dentro e non riesce ad accettarlo.

 

Thorin si sentì stringere il cuore e per un folle momento dimenticò completamente il corpo steso di fronte a lui.

Tutto quello che vedeva era quella ombra, salva e perduta alla stesso tempo.

Incapace di muoversi o di parlare, restò a guardare mentre quella figura quasi impalpabile che non poteva essere reale si mordeva le labbra esangui e allungava una mano verso il suo viso.

 

“Mi dispiace così tanto, Thorin . . .” sussurrò, ma prima che potesse dire di più un’altra mano, decisamente reale, si posò sulla spalla del nano, facendolo girare di scatto.

 

Dwalin era dietro di lui, il viso stanco di chi ha visto troppa morte e gli occhi consapevoli di chi sa cosa vuol dire raccogliere l’ultimo respiro di qualcuno.

“Stai bene?” chiese piano, evidentemente preoccupato.

Il re fece un breve gesto sbrigativo e si voltò di nuovo, come per trattenere a sé quella che doveva essere stata solo un’illusione della sua mente provata, ma lo hobbit con gli occhi spezzati non era più lì.

C’era solo quel corpo spezzato che, improvvisamente, avvertì mille volte più reale di quanto già non fosse.

E il suo cuore agonizzante riprese a sanguinare.

 

 

 


La seconda volta fu durante il suo funerale.

 


 

Lo celebrarono qualche notte dopo la battaglia, nel preciso momento in cui il sole lasciava il posto alla luna e alle stelle.

La compagnia preparò con cura quel corpo spezzato, riservandogli gli stessi onori che erano dovuti ad un eroe. E Bilbo, in fondo, per loro lo era stato davvero.

Bifur, Bombur e Balin lavarono lo sporco della battaglia, avendo cura di cancellare ogni traccia di sangue come se non avesse mai macchiato quella pelle gelida.

Oin e Gloin fecero in modo di far apparire quelle ferite il meno orribili possibili, lavandole con cura, ricucendole e fasciandole con bende candide e profumate, quasi come se in quel modo potessero ancora guarire.

Dori e Nori lavarono i vestiti che indossava quel giorno e, dopo averli resi come nuovi, lo rivestirono.

Fili gli fece indossare mithril e Dwalin recuperò Pungolo dal campo di battaglia e la pose al suo fianco, perché nessun guerriero può andarsene senza la sua armatura e la sua spada.

Ori e Kili si occuparono del suo giaciglio, adornandolo con tutti i bucaneve che erano riusciti a trovare in mezzo a quella distesa bianca caduta durante lo scontro, in modo che avesse con sé qualcosa che gli ricordasse quella Contea che mai più avrebbe potuto rivedere.

Gandalf, prima che la celebrazione iniziasse, si chinò su quel corpicino freddo ed posò un lieve bacio sulla sua fronte, mormorando una benedizione che mai avrebbe potuto raggiungerlo.

Bofur cantò durante il funerale, un canto lungo e dolente, del tutto differente dalle allegre canzoni irriverenti che i due erano soliti condividere lungo la via. La sua voce tremò per tutto il tempo, ma non si infranse mai. E, lentamente, tutti gli altri si unirono a lui, chi prima, chi dopo, chi solo per un paio di versi, chi fino alla fine.

Tutti loro, attraverso quel funerale e quel canto, dissero addio a quell’amico perso troppo presto e in maniera così improvvisa e crudele.

Tutti, tranne Thorin.

 

Thorin era stato presente in ogni momento, senza mai lasciare il fianco di Bilbo. Era rimasto lì, seguendo ogni singolo preparativo, organizzando ogni cosa, curando ogni dettaglio.

Era stato lui ad ordinare che lo hobbit fosse sepolto nella Montagna, come uno di loro. Era stato lui a scegliere la sua tomba e lui a vegliare il corpo fino alla vera fine.

Si era preparato, per quel momento. Ogni preparativo era non solo un modo per rendere onore allo hobbit caduto, ma anche per riuscire a raccogliere abbastanza forza per dargli il suo ultimo addio.

Gli aveva lavato lui stesso i corti ricci ramati, togliendogli così dalle ciocche quel sangue secco, e gli aveva intrecciato i capelli, impreziosendoglieli con dei piccoli fiorellini azzurri.

Li avevano trovati in una zona riparata della Montagna durante il Dì di Durin, mentre tentavano di raggiungere la porta. Quando li aveva visti, lo hobbit li aveva indicati con l’entusiasmo di un bambino, strattonandogli la manica, incredulo che fossero fioriti così fuori stagione,  con l’inverno alle porte. Li aveva riconosciuti anche lui. Gli aveva già spiegato cosa fossero mesi fa, dopo che l’aveva salvato da Azog.

Piccoli, rari e fragili non ti scordar di me.

Era tornato a cercarli, poco prima del funerale. Era stata l’unica volta in cui si era allontanato dal suo corpo. Li aveva raccolti tutti e, senza nemmeno pensarci, li aveva uniti alle loro trecce tradizionali, così insolite eppure così naturali con quei morbidi ricci ramati.

Dopotutto, erano i fiori più adatti per quella triste occasione.

Aveva fatto tutto nel modo giusto. Si era preparato, aveva fatto ogni cosa possibile per accettare anche quel vuoto. Non avrebbe dovuto avere troppi problemi a riuscirci, nonostante tutto.

Aveva seppellito così tante persone, nella sua lunga vita, aveva lasciato alle sue spalle così tanti visi, che avrebbe dovuto riuscire a dire quell’ultimo addio, se non con facilità, almeno con rassegnazione.

Ma quella volta era diverso.

 

Quella volta non riusciva –non poteva- lasciarlo andare.

Quando guardò per l’ultima volta il viso sereno e quieto di Bilbo, prima che i suoi compagni chiudessero la tomba, si rese conto di non averne la forza.

Non poteva dirgli addio.

Non a lui. Non quella notte.

Non sarebbe mai riuscito a dirglielo, proprio come non era riuscito a dirgli molte altre cose.

 

Chiuse gli occhi per impedire a se stesso di crollare un’altra volta, mente lasciava andare la mano dello scassinatore che aveva stretto per tutto il tempo.

Rimase lì, immobile, mentre il canto sfumava e la compagnia seppelliva il corpo, lottando per mantenere il controllo, per non sentire la propria anima infrangersi un’altra volta.

Rimase così, ad occhi chiusi, fino a quando qualcosa lo sfiorò appena, come un soffio di vento o un sospiro sospeso nel vuoto.

 

“Oh, ragazzi. Non avrei mai pensato che avreste fatto una cosa del genere per me.”

 

Throin spalancò gli occhi, riconoscendo come in un sogno quella voce.

Voltò appena la testa verso la sua destra e lì, con un’espressione sorpresa e toccata, stava il piccolo hobbit, esattamente come l’aveva visto il giorno della battaglia.

Questa volta, però, non lo stava guardando. Forse non si era nemmeno accorto di essere accanto a lui.

I suoi grandi occhi blu, lucidi ed emozionati, erano fissi sulla sua tomba appena chiusa e sul resto della compagnia, che sussurrava contro la pietra brevi preghiere e benedizioni in khuzdul.

Il nano rimase fermo, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla figura fragile al suo fianco, ma questa era completamente concentrata su ciò che aveva davanti.

 

“Non credevo di essere tanto importante, per nessuno di voi.” mormorò ancora l’ombra, mentre i suoi occhi accarezzavano con affetto i compagni.

Si fermò un momento, come lottando contro un singhiozzo, e solo in quel momento il re si rese conto che aveva le mani giunte e stava accarezzando, quasi con riverenza, un minuscolo e delicato non ti scordar di me.

Bilbo abbassò la testa, quasi non avesse la forza di fare altro, e poi sussurrò a voce talmente bassa e ferita che l’altro poté coglierla solo a fatica “E soprattutto non credevo di esserlo per te, Thorin. Non così.”.

 

Thorin trattenne il fiato, mentre il proprio cuore si fermava.

Lentamente, senza rendersene conto, sollevò una mano, come per cercare di toccarlo, ma prima che potesse farlo Balin lo raggiunse, chiamandolo gentilmente e facendogli distogliere appena lo sguardo.

Fu un secondo, ma bastò per perdere, anche quella volta, quella fragile illusione tanto dolorosa quanto dolce.

Ma il cuore del re non ricominciò comunque a battere.

 

 

La terza volta fu quando si svegliò urlando nell’oscurità per quella che non sarebbe stata l’ultima notte.


 

Era riuscito finalmente a sognare, dopo tanto tempo. Ma il suo sogno si era trasformato in un incubo, un incubo che sapeva essere più che reale, per quanto avrebbe voluto con tutto se stesso credere il contrario.

Per questo si svegliò urlando, quella notte.

Per questo si mise a sedere sul letto, ansimando a fatica e tentando di calmare il proprio respiro, mentre gli occhi gli bruciavano come carboni ardenti.

Strinse con forza i pugni, cercando di scacciare quelle immagini che, sotto le palpebre chiuse, si ripetevano ancora ed ancora ed ancora, senza dargli pace, aumentando il vuoto che lo stava divorando vivo.

Ansimò, tentando di pensare ad altro che non fosse quel corpicino spezzato tra le sue braccia, quegli enormi occhi vuoti, quella luce improvvisamente spenta, quella voce tremante che chiamava il suo nome . . .

 

“Thorin ?”

 

Quella voce.

 

Il nano si bloccò, il fiato improvvisamente intrappolato nella gola che pizzicava per le sue urla di prima. Rimase fermo, in ascolto, in attesa di quella voce che sembrava uscita direttamente dai suoi incubi.

 

“Era solo un sogno.” continuò la voce come in un sospiro, dolce e delicata come raramente l’aveva sentita “Stai bene. Va tutto bene, ora.”

 

A quel punto, il re non ce la fece più.

Alzò di scatto la testa e lì, rannicchiato di fronte a lui con un’espressione tenera ma preoccupata, stava il suo scassinatore, come se fosse sempre stato lì.

I loro occhi si incontrarono e fu allora, quando finalmente poté sfiorare di nuovo quelle iridi blu colme di luce, che egli si lasciò sfuggire un nome che non pronunciava dal giorno della battaglia.

 

“Bilbo . . .”

 

L’ombra luminosa davanti a lui si bloccò, improvvisamente incredula, come se avesse smesso di respirare.

L’altro temette per un momento che sarebbe scomparsa di nuovo, ma non fu così. Rimase lì, di fronte a lui, a guardarlo come se stesse assistendo ad un miracolo in cui mai avrebbe osato credere.

“N-non è possibile.” balbettò alla fine, portandosi una mano alla bocca nonostante tremasse visibilmente .

“Tu . . . riesci a sentirmi? Riesci a vedermi?” chiese, la voce incerta e spaventata, quasi avesse paura di mettere fine a tutto ciò ponendo quelle domande.

Il re non rispose, troppo preso a studiare quel viso che pensava di non poter mai più vedere, ma i suoi occhi parlavano per lui.

Una lacrima, pallida e solitaria, rigò la guancia di Bilbo, proprio come nel giorno della battaglia, ma questa volta un piccolo ed incredulo sorriso era lì ad alleviare il dolore di quella ferita.

“Thorin . . .”

 

Dopo quella volta, semplicemente, Thorin smise di contare.

 

 

 

 

 


 

La tana dell’autrice

Eccomi qui con un capitolo un po’ lento, ma necessario per prendere il via. Sono tornata alla terza persona, che manterrò per il resto della storia, ma non è detto che qua e là non faccia qualche eccezione . . . questa storia è tutta un enorme esperimento, davvero!

Ora, andando nel tecnico : so che i non ti scordar di me non sbocciano a novembre, ma tra maggio e luglio. Se sono presenti durante il funerale c’è un motivo molto importante, che sarà rivelato più avanti. Anche i bucaneve sbocciano più verso gennaio, ma ho voluto fare uno strappo alla regola e usarli lo stesso, perché non ho trovato altri fiori da poter tirare fuori da quelle benedetta neve.

Dal prossimo capitolo la storia prenderà davvero il via e, quasi sicuramente, nel testo ci sarà in quasi ogni capitolo una qualche citazione interna, quindi agli appassionati di queste cose occhi aperti!

Se volete leggere questa storia con lo stesso sottofondo con cui la sto scrivendo, vi segnalo le bellissime canzoni ‘You are my sunshine’ e ‘Hold on’, quest’ultima by Chord Overstreet. Sono semplicemente le cose più tristi e allo stesso tempo dolci del mondo, e credo esprimano bene l’idea di questa storia.

Un abbraccio e a presto

T.r.

 

 

  
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