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Autore: fortiX    22/07/2018    1 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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28. Viaggio (Parte II)

No…

No…

No, no, no, no, no, no, no, no, nononononono… NO!

 

Crollo a terra, mettendomi le mani nei capelli. Gli occhi sono fuori dalle orbite dallo stupore. Continuo, ossessivamente a ripetere quella sillaba all’infinito.

 

Non ci credo… Non ci VOGLIO credere!

 

- Non è possibile che abbia preso parte a tutto questo… -, piagnucolo in preda allo sconforto e alla realizzazione che sì, io sono sempre stato una miserabile e vuota marionetta. Non ho mai voluto vedere, come un idiota mi sono lasciato abbindolare dalle menzogne che ogni giorno mi venivano propinate, senza avere nemmeno la decenza di farmi due domande. Ho sempre fatto quello che LORO volevano. Tutti mi hanno sfruttato, sapendo che avrei agito esattamente come avevano pianificato…

 

-Aerith… Come hai potuto farmi questo? Io ho sofferto così tanto per te… Perché? PERCHE’?!-

 

Osservo la prima donna che abbia mai amato, ripercorrendo ogni singolo angolo della sua immensa e magnifica figura. Così semplice, bastava così poco per far nascere su quel viso dalla bellezza ultraterrena un sorriso capace di sciogliere perfino il più gelido dei cuori. Un sorriso in grado di mantenersi perfino nella morte. Lacrime incontrollate scendono lungo le mie guance, mentre i ricordi di quel terribile momento riemergono, mai svaniti. Il rumore, simile a un risucchio, dell’acciaio che trapassa un corpo dedito alla preghiera; il rimbalzare cristallino e assordante della Materia Holy spezzare il sacro silenzio della Città Dimenticata: il corpo spezzato della mia amata riverso in una pozza infausta di sangue più scuro della pece. Quel sangue che avevo giurato di proteggere ad ogni costo, quel sangue che ancora oggi cerco di lavare via dalle mie mani, invano. Eppure, quell’arco benevolo non è scomparso un solo secondo su quel viso esangue. Hai continuato a sorridere perfino mentre sprofondavi nella tua tomba d’acqua. Eri soddisfatta, perché così facendo mi avresti aizzato contro il tuo assassino, compiendo il destino di entrambi.

Tutto secondo i piani…

Rivolgo uno sguardo pieno d’odio verso Sephiroth.

- L’hai costretta a rinunciare alla sua vita per ridarti la tua. –, sibilo, mentre lentamente mi approccio alla fiera figura dell’ex-Generale, - Eppure sapevi, lo sentivi, che il Pianeta non te l’avrebbe mai ridata. Quindi a cosa è servito tutto questo male? A cosa è servito uccidere un essere innocente? A COSA E’ SERVITO TUTTO QUELLO CHE HAI FATTO?! -

Mano a mano la mia rabbia cresce anche il tono di voce si alza, fino ad esplodere letteralmente in faccia a quell’assassino egoista e codardo. Non riesco a resistere e mi scaglio contro di lui, menando pugni con tutta la forza che ho in corpo; tuttavia ad ogni colpo sferzato la figura di quel mostro semplicemente si dissolve in polvere, per poi ricomporsi subito dopo, in attesa di un altro colpo pronto a dissolverlo nuovamente. Per quanto inutile e stupido non accenno a fermarmi; anzi la frustrazione non fa altro che alimentare la dirompente furia che mi sta infiammando l’animo.

- TI ODIO! TI ODIO, MOSTRO! ASSASSINO! BESTIA! –

Urlo e grido ormai al limite dell’esasperazione e la mia sequenza di colpi si fa sempre più fitta, tanto che di Sephiroth non è rimasto altro che una nube informe di polvere nera e argentata. Eppure, non è abbastanza per me. Deve scomparire dalla faccia del Pianeta, non deve rimanere una singola molecola della sua esistenza.

- NON MERITI NIENTE! NIENTE! OGNI PROVA DELLA TUA ESISTENZA DEVE SVANIRE! –

L’ultima frase, la cui realizzazione mi colpisce con la potenza di uno schiaffo, spegne l’incendio della mia follia rabbiosa tutto in una volta. Mi blocco a metà del pugno che stavo per sferrare, lasciando quindi tempo alla polvere di ricompattarsi nell’austera figura del Generale. Con un groppo in gola, volto lo sguardo colpevole verso destra e, da sopra la spalla, scruto Takara. Avverto un enorme macigno crollarmi sulla testa appena incrocio la sua espressione marmorea.

Gelida e rigida, mi fissa senza emettere un solo suono. Eppure avverto la tempesta rombare all’interno di quel giovane cuore.

Chissà quante volte se lo sarà sentito ripetere. Chissà quante volte avrà prestato attenzione alla gente quando si rivolge a suo padre con questi epiteti. Chissà quante volte avrà finto di non ascoltare, di non aver accusato il colpo, di non dargli alcun peso; come se non t’importasse del giudizio degli altri, perché tu SAI chi è tuo padre. Chi meglio di te potrebbe mai saperlo?

La verità è che non è vero. Tu non lo sai. Troppo piccola per ricordare. Ti sforzi per visualizzarlo, per accedere a quelle memorie remote; ma non ci riesci. Lo vedo dallo sguardo sconfitto, abbassato per non farmi pesare troppo la gigantesca gaffe appena compiuta. Nemmeno il coraggio di contraddirmi, di provare a difenderlo. Come potrebbe mai difendere un uomo che si è inimicato tutto il mondo?

Come potrebbe mai difendere l’uomo che l’ha abbandonata per inseguire chissà quale visione?

Quello stesso uomo che sarebbe dovuto essere al suo fianco al posto di Genesis.

Forse vorrebbe odiarlo anche lei, per sentirsi accettata, normale. In fondo, lei ne ha più diritto di tutti noi, ma… nel bene o nel male, Sephiroth è pur sempre suo padre. Un dettaglio che non si può ignorare.

- Non sentirti in colpa. Io… ci sono abituata. -, mormora paziente Takara.

La ragazza mi rivolge un debole e mesto sorriso, mentre mi raggiunge e pone delicatamente entrambe le sue mani sul braccio ancora teso nell’atto di colpire. Lentamente essa mi abbassa l’arto e lo ripone lungo il mio fianco, stringendomi la mano nelle sue per un momento, come per infondere nei miei muscoli la sua innaturale calma. Dopodiché, abbandona il mio arto e, sostando accanto a me, si volta completamente verso il genitore. Si estrania, mentre il suo sguardo triste studia ogni minimo dettaglio di Sephiroth. Dal canto mio, non posso far altro che osservare ogni sua singola mossa, ammaliato dalla forza e dalla volontà di questa ragazzina.

- Sei come tua madre.

I suoi occhi si spalancano e si volta di scatto verso di me. La sua boccuccia è aperta in un’adorabile ‘o’ sbalordita. Non so come mi sia venuta questa frase, non so nemmeno se sia stato Sephiroth a manipolarmi al fine di proferire quelle parole; ma capisco immediatamente che è vero. Assomiglierà fisicamente a suo padre, tuttavia bisogna ammettere che caratterialmente è esattamente come Evelyn. Annuisco e le sorrido benevolo, così da darle la conferma che cerca. Takara arrossisce e distoglie lo sguardo imbarazzata; eppure non posso non notare l’arco sincero ed emozionato inarcarle le labbra.

-Nessuno mi ha mai paragonato a lei. -, sussurra con la voce rotta dall’emozione, poi scuote la testa e il suo sorriso svanisce, inghiottito da un’espressione malinconica, - A dire la verità, nessuno l’ha mai nemmeno menzionata. Non so praticamente niente di lei. -, conclude, lasciando sfumare il discorso in un amaro silenzio.

- Ti voleva bene, Takara. Eri davvero importante per lei-, rispondo io cercando di sollevarle il morale.

La ragazza fa spallucce, sfoderando una smorfia rassegnata.

- Già… come tutti… -

Il commento acido e diretto così in stile Sephiroth si scontra irrimediabilmente con i modi gentili e pazienti mostrati poco prima, lasciandomi stupito di fronte alla facilità con cui le due nature si susseguono e si adattano alle esigenze di questa ragazza. Non c’è che dire, Takara è davvero la sintesi perfetta tra i suoi genitori, oltre che rappresentare l’armonia tra la benevolenza del Pianeta, l’arguzia di Jenova e la compassione umana. Tuttavia, è un fardello pesante da portare, come ella ha appena sottolineato. Ogni cosa che tocca è destinata a scomparire…

La mia mente mi riporta a quella bara di Lifestream e alle fattezze dell’uomo conservato all’interno.

Così simile a me.

Sarei dovuto essere il nuovo salvatore del Pianeta, ripercorrere le sue gesta dimenticate e porre fine all’incontrastato dominio della Calamità; ma qualcosa ha impedito a quei piani di avverarsi: Jenova stessa.

Quell’eredità a cui ho tentato di oppormi con tutte le mie forze, illudendomi di controllarla, di relegarla al semplice mezzo per un fine, mi ha sempre perseguitato; anzi, è sempre stato il cappio collegato alle abili mani dei due Grandi Burattinai e protagonisti di questa guerra mai cessata. In duemila anni, Jenova e il Pianeta non hanno mai ceduto un solo passo da ciò che avevano guadagnato prima della caduta dell’aliena. Quella non fu una sconfitta, ma una semplice ritirata strategica. LEI sapeva che era solo una questione di tempo. Quello che probabilmente ha imparato nella sua esistenza immortale è che la vita è fatta di cicli. I Cetra non sarebbero sopravvissuti a lungo su Gaia. Questo lo svantaggio dei miserabili mortali: non importa quanto potere possano aver accumulato o quanto alto sia il grado di benessere raggiunto; la Morte è inevitabile. Bastava aspettare e l’evoluzione avrebbe fatto il suo corso. Aveva visto una scintilla terribile nei cuori degli umani, un scintilla che se correttamente alimentata avrebbe piegato quella nuova specie ai suoi biechi scopi. E’ qui che mi rendo conto di quanto siamo simili, io e Takara, di come entrambi siamo stati contaminati dall’una e dall’altra fazione. Entrambe ci hanno modificato durante la loro disperata corsa agli armamenti, nell’incrollabile speranza di essere l’uno in vantaggio sull’altra.

Come può essere il mio nemico? Chi è che ti vuole davvero morta? E perché?

-Mi dispiace davvero per ciò che ho detto… -, esordisco, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.

Avverto l’attenzione di Takara calare di nuovo su di me, tuttavia la ignoro, apponendo anzi i miei occhi sull’altro erede di Jenova. Mi scappa uno sbuffo divertito.

- Hai ragione. -, esordisco, con tono stanco e mesto, - Non ho mai capito niente. Nonostante tu abbia fatto di tutto per mostrarmelo, io ancora fatico a comprenderti. -, abbasso la testa e chiudo gli occhi, mentre un sospiro abbandona le mie labbra.

- In fondo, sono solo un sempliciotto di campagna. -, concludo, sconfitto.

Appena proferite queste parole, tutto attorno a noi si dissolve come polvere e il nulla bianco di circonda. Non v’è traccia dell’agitato e claustrofobico mondo d’emozioni che ci ha accolti: sembra di essere totalmente in un’altra realtà, completamente opposta a quella dell’esordio. Un limbo sospeso nel bel mezzo della tempesta si avviluppa attorno a noi. Per quanto a prima vista sembra che pace e armonia regnino incontrastate, mano a mano ci si rende conto che non è altro che una facciata per mascherare il turbinio folle di negatività presente all’esterno. Senso di colpa, rancore e sensazione di inadeguatezza sono le fondamenta su cui la traballante psiche di Sephiroth si ergeva e questo luogo è la loro tomba. L’ossessione per la morte di Evelyn ha inglobato ogni cosa trasformandola in veleno che gli ha corroso l’anima di giorno in giorno, fino a trasformandolo nel mostro distruttivo che tutti noi conosciamo. Attendiamo qualche secondo e d’improvviso parole vergate di nero iniziano a trascriversi su quelle pareti bianche. La calligrafia è inconfondibile.

 

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Anno XXXX, attico Golden Building

 

Non so nemmeno che giorno sia. Il tempo ha smesso di scandirsi per me, ormai. Credo siano mesi che non tocco questo diario. Quando l’ho ritrovato era abbandonato su questo tavolino completamente impolverato. Tutto è rimasto esattamente come l’ho lasciato l’ultima volta. A parte la scatola…

C’è tanta confusione qui. La libreria è un completo sfacelo. Buona parte del suo contenuto è andato perduto o venduto o non ricordo più nemmeno cosa. Soffro di grossi vuoti di memoria che m’impediscono di concatenare gli eventi l’uno con l’altro. Sempre più spesso mi risveglio in luoghi sconosciuti, senza capire come ci sono giunto, se non per semplice deduzione. Colpa dell’alcool, di cui ultimamente sto abusando in maniera davvero massiva. Altro fattore potrebbero essere i sonniferi che mi autosomministro per evitare di sognare. E poi ci sono le droghe, iniziate ad assumere come rimedio per il dolore.

Mi sono sempre considerato un uomo morigerato, dedito a mostrare sempre il buon esempio agli altri; ma quest’ultimo male che mi corrompe dall’interno ha letteralmente indirizzato la mia vita verso una spirale di decadente miseria. Nascondo in piena vista la mia sofferenza andando a raccattare negli angoli più luridi della città le sostanze più micidiali, i mix più audaci, le perversioni più assurde; il tutto per trovare un po’ di pace, in attesa dell’Ultimo Passo.

Vorrei morire.

E’ un desiderio che mi ha accompagnato fin da bambino, quando le umiliazioni, gli esperimenti e i maltrattamenti raggiungevano l’apice. Desideravo non essere mai nato e maledicevo i miei genitori per avermi messo in questo mondo schifoso e reso la mia esistenza patetica e priva di qualsivoglia scopo. Quando crebbi, da ragazzo, scoprii mio malgrado quale fosse quel fantomatico scopo. Il risultato non fu altro che il rinnovo di quel desiderio di morte; il quale l’ho ricercato con qualunque mezzo, a partire dalle condotte suicide fino alle manifestazioni violente di frustrazione e rabbia. Tuttavia, ogni sensazione provata da giovane non è assolutamente paragonabile a quelle attuali: questa volta non voglio evitare la sofferenza di altri, levando di torno la mia nefasta presenza; no, questa volta ciò che provo è assolutamente personale.

Vivere è un’azione che non intendo più compiere, perché non vi è più la volontà di eseguirla. Non apprezzo più niente, infatti. Se prima cercavo di trovare conforto nella bellezza delle piccole cose, ora nemmeno i fatti più eclatanti destano il mio interesse.

Eppure continuo a trascinarmi per questa miserabile esistenza.

E è tutta colpa sua.

La Bestia. Colei che m’impedisce di lasciarmi andare, di concedermi quell’oncia di coraggio sufficiente per compiere l’ultimo passo. Ho provato a spararmi, a impiccarmi, a tagliarmi le vene; ma nulla: Lei continua ad intervenire, impedendomi di premere il grilletto, o sbilanciarmi sulla sedia o di affondare più in profondità la lama nella pelle. Avverto la rabbia risalire dalle viscere e far ribollire il sangue, offuscando la ragione e ogni cognizione.

Sono regredito fino all’età adolescenziale, quando erano gli impulsi a guidarmi verso i crimini più efferati. Ho ricominciato a uccidere in modo incontrollato, infatti.

Recentemente i telegiornali hanno parlato di tre vittime, ritrovate nel vicoli degli Slums. Normalmente questo fatto non desterebbe alcun interesse negli investigatori, poiché crimini del genere sono perpetrati quotidianamente laggiù; ma l’efferatezza con cui questi omicidi sono stati commessi hanno lasciato gli inquirenti basiti. Quelle povere anime sono state letteralmente squartate, come se un mostro feroce si sia accanito su di loro, però quell’ipotesi non fu creduta plausibile dal semplice fatto che, per la natura stessa dei mostri degli Slums, la scena del crimine fosse troppo “pulita”. Gli investigatori ci hanno lavorato su per qualche tempo, per poi chiudere il caso per mancanza di prove. Eppure, la mia firma è ben evidente su ogni singola goccia di sangue. Per questo motivo, ho capito che ricercare la morte per vie rapide è una soluzione al di fuori della mia portata e, quindi, ho deciso di optare per una soluzione più lenta e sottile: droghe e alcool, spesso usati insieme. Non m’importa delle conseguenze che la mancanza di cognizione di provoca, se non dopo, ma “vivo” nella speranza che prima o poi il mio cuore non possa più reggere la quantità industriale di schifezze che introduco nel corpo ogni giorno. Ho scoperto, tuttavia, che questa soluzione non è così efficace come speravo. Perso nella mia agonia, ho scordato che il mako potenzia i processi cellulari, aumentando le prestazioni sia anaboliche, le quali conferiscono maggiore resistenza strutturale, che cataboliche; ossia che l’accumulo di sostanze tossiche e nocive all’interno del mio corpo è pressoché impossibile, perché esse vengono scomposte nella loro interezza e nel modo più efficiente possibile. Ne consegue, quindi, che le droghe non possono né uccidermi, né provocarmi assuefazione. Ne subisco solo gli effetti a livello cognitivo, senza andare a intaccare in nessun modo le mie facoltà intellettive. Motivo per cui nessuno si è accorto del mio cambio di abitudini alla Shinra. Da un lato è frustrante, perché non posso centrare il mio obiettivo; ma dall’altro ho trovato un modo per evadere dall’amarezza della mia esistenza. Un risvolto crudele, ma funzionale per iniziare a pianificare le mie ultime volontà come ufficiale di SOLDIER.

Zack Fair prenderà il mio posto in quanto ultimo First disponibile sul mercato. Ancora non lo sa, glielo comunicherò domani al briefing pre-missione.

Andremo a Nibelheim per controllare il reattore mako della zona, il quale sembra essersi danneggiato a seguito di una scarsa manutenzione. Almeno questa è la versione che ho rifilato al Presidente e sarà la stessa che udirà anche Fair. Ovviamente il motivo è un altro…

Genesis

 

E’ lui che mi aspetto di trovare. Dovrà rispondere di tanti crimini: tra cui…

 

Mia moglie è morta

 

Genesis l’ha uccisa senza alcuna pietà e ne ha bruciato il corpo, assieme alla nostra casa e tutto il villaggio. Mia moglie… La donna che più ho amato nella mia intera esistenza, colei che avevo fatto centro del mio mondo, l’unica ragione che mi aiutava ad alzarmi ogni mattina. L’unico essere umano capace di rendermi felice, tanto da spingermi, ad osare sfidare la sorte e creare la famiglia che ho sempre sognato assieme a lei…

Ma ho osato troppo. E questo era inaccettabile.

 

Takara...

Nemmeno di lei hanno avuto pietà. Una bambina di un solo anno di vita. Così piccola, così innocente… Quella dolce creaturina capace di sciogliere i cuori di chiunque con un solo sorriso. Era così curiosa, non aveva paura di niente pur di soddisfare la sua sete di conoscenza. Riempiva di domande chiunque la interessasse e voleva provare ogni cosa. Era riuscita a farsi amare davvero da chiunque, perfino da quelle famiglie che non vedevano di buon occhio la nostra presenza estranea. Con la sua spontaneità era riuscita a rompere ogni barriera etnica, culturale e linguistica. Sua madre ha sempre sostenuto di vedere in nostra figlia la promessa di un futuro migliore. Un dono prezioso dal Pianeta all’Umanità.

Il Dono della Dea.

Ma forse, mia moglie ha sopravvalutato nostra figlia, illudendomi che Genesis avrebbe potuto capire il potere insito in quella bambina. Forse anch’io ho visto una grandezza fittizia, abbagliato dal mio amore paterno. Qualunque sia la ragione, comunque, ciò non toglie che, grandiosa o meno, Takara doveva essere protetta a qualunque costo.

Ho recuperato il video dal Caith Sith distrutto durante l’attacco ed è … una punizione che mi autoinfliggo per non essere stato lì, come prova inconfutabile del mio errore più grande.

Avrei dovuto essere con lei… non quel robot inutile, non Natsu; IO dovevo essere con lei.

Rabbrividisco ogni volta appena ripenso alle sue urla terrorizzate, mentre tutt’attorno regnava il caos. Quando poi ha gridato ‘Papà’, poco prima che quel mostro si scagliasse contro di lei, mi sono sentito morire dentro.

 

Mi ha cercato…

E io…

Non c’ero…

Imperdonabile

 

Avevo promesso a mia moglie che non l’avrei più abbandonata, che avrei lasciato tutto per stare insieme, che sarei stato il marito e il padre che quella famiglia meritava.

Ho fallito. Di nuovo.

Ho disatteso alle loro aspettative, me ne se sono andato a miglia di distanza, quando il mio posto era là, accanto a loro, per proteggerle.

Agendo come ha agito, è come se il rosso mi avesse strappato il cuore direttamente dal petto. Forse era proprio quella la sua intenzione.

Uccidermi.

Se volevi mettermi in ginocchio, Genesis… ci sei riuscito. Tutto ciò di più caro che avevo, tu me l’hai portato via.

Perché, mi chiedo. Non capirò mai il motivo dietro tutto quel rancore, quell’invidia, quella rabbia provata nei miei confronti.

Cosa ho sbagliato?

Desideravi così tanto essere l’eroe acclamato dal tuo dannatissimo poema da non sopportare l’idea che quella parte potesse calzare a qualcun altro?

Io ODIO essere un “eroe”, l’ho sempre messo in chiaro, eppure continuavi a rendermi tale attraverso le tue spregevoli azioni. La gente chiedeva il mio intervento per fermare la tua follia, ma, in onore della nostra amicizia, non ho mai voluto fermarti.

Mi sono fidato di te…

Mi sono illuso di vedere grandezza nelle tue grette e basse azioni, pensando che, forse, saresti riuscito a liberarci dalle nostre catene.

Invece… ti sei rivelato l’egoista viziato che sei.

Se non potevi diventare l’eroe, saresti diventato il malvagio. E nemmeno in quello sei riuscito, perché Hollander e Lazard hanno approfittato della tua condizione per manipolarti come volevano e farti compiere quelle azioni.

Patetico.

Ebbene, vecchio mio, spero che tu sia contento, perché è arrivato il momento della resa dei conti. Mi hai portato via la donna che amavo, mi hai portavo via mia figlia, l’aspettativa di una vita normale…

 

Non ho più niente da perdere: sono degno della tua preziosa Verità?

 

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28 Febbraio, Anno XXXX, ore 15:00, Ufficio, Piano 49.

 

L’epilogo di questa storia si concluderà presto. Il conto alla rovescia comincerà quando quell’elicottero si alzerà dallo Shinra Building e lascerà Midgar.

Ho la netta sensazione che non ritornerò.

Osservo l’immensa distesa di luci, snodarsi come tortuosi serpenti luminosi tra gli edifici, i quali di contro, appaiono come granitiche, squadrate montagne d’ombra. I fanali delle automobili scorrazzano frenetici lungo le strade sottili colorate d’insano giallo artificio. Insegne lampeggianti scandiscono il battito frenetico e disarmonico del tempo cittadino, in una sorta di conto alla rovescia verso chissà quale catastrofe.

Quest’ultimo pensiero attanaglia le mie ossa fino al midollo di angoscia e inquietudine.

Non riesco a togliermi dalla testa le parole di Aerith.

“Ciò che scoprirai porterà un dolore e una distruzione senza precedenti.”

Che la catastrofe attesa da quelle insegne sia io?

Lo sguardo cade sul mio riflesso che opprime la città al di là delle vetrate come una presenza nefasta.

Non mi sono mai soffermato veramente a ponderare il mio aspetto, il quale è sempre stato un metro con cui la gente ha sempre misurato il dislivello tra me e loro. Ho sempre disprezzato la mia immagine. Questi capelli argentati, la cui crescita è sempre stata incontrollata, tanto da rinunciare a tagliarli; questo viso quasi femmineo nella sua fine eleganza, sul quale la fatica e il tempo sembrano incapaci di lasciare qualsivoglia segno; questo corpo vigoroso e scolpito, modellato a perfetta macchina da guerra e dotato di una forza che poco ha di umano... da dove provengono?

Un senso di disagio mi attanaglia lo stomaco e mi porta a distogliere l’attenzione da quella… quella… cosa. Non biasimo coloro che mi hanno evitato come la peste o che mi hanno scoccato uno sguardo spaventato, o schifato, o semplicemente curioso: come dargli torto? Penso che mi eviterei pure io, se potessi. E’ un aspetto troppo diverso da accettare. Nessuno, nessuno è come me. Esistono albini nel mondo, ma questi sono caratteri totalmente diversi che appartengono a qualcosa di… di… alieno.

 

Cosa vado a pensare?

E’ assurdo… gli alieni non esistono. Esiste solo Hojo, il quale è davvero capace di fare qualunque cosa. Ci deve essere una spiegazione logica.

Eppure, il dialogo con Aerith sembra rivelare molto più di quanto sia stato effettivamente detto.

Mia moglie e mia figlia sono state marchiate…

Cosa vuol dire?

E perché sono l’unico che può interferire con la loro condanna?

Perché è così importante capire chi sono?

Perché ciò porterà dolore e distruzione?

Di che cosa sono davvero capace?

 

Basta.

Queste domande mi stanno facendo scoppiare la testa. Sono davvero stanco. Non vedo l’ora di partire, di lasciare tutto questo alle spalle.

Ho rivelato a Zack della mia intenzione di lasciare la Shinra e la sua prossima promozione a Generale. Ho avvertito come se un grande peso si fosse dissolto dal petto nell’istante in cui i suoi occhioni si sono spalancati all’idea. Credo che lo stupore sia stato più per la realizzazione della fine di un’era che per il nuovo carico di responsabilità. Molti giovani SOLDIER, tra cui lui stesso, sono cresciuti all’ombra del mio mito e sapere che non potrò condividere il loro sogno potrebbe minare fortemente il loro morale. Ma SOLDIER è tutto ciò che mi rimane e l’unica cosa dignitosa che posso fare è liberarmi anche dell’ultimo legame affettivo, prima di vederlo crollare come una castello di carte.

Ho trascorso praticamente tutta la mia vita tra questi corridoi. Da quando avevo 14 anni. Oggi ne ho compiuti 27.

13 anni da SOLDIER.

Solo 27 anni…

Realizzo ora di quanto questo numero sia basso per la media di una vita umana e una scossa di paura mi attraversa dalla testa ai piedi. L’idea di morire senza aver nemmeno visto i 30 mi scuote oltremodo. Eppure, nei giorni precedenti, questo pensiero non ha nemmeno attraversato l’anticamera del cervello. Forse perché ora ho di nuovo uno scopo, una ragione per cui la mia breve vita potrebbe essere utile. Ciò mi rassicura, anche se un filo di paura ne inquina la dolcezza col suo retrogusto amaro. L’istinto di sopravvivenza ha la meglio, alla fine.

Osservo di nuovo il mio riflesso e mi rendo conto di quanto il mio aspetto strida con ciò che contiene. Ho un carico di esperienze confrontabile con quello di un cinquantenne; eppure conservo tutto quel vigore e quella luminosità tipica della mia effettiva età.

Niente mi scalfisce, niente mi piega. Almeno in apparenza.

Per tutti sono il simbolo incrollabile della potenza inesauribile, della bellezza infrangibile, della gioventù eterna. Peccato che il principio fondamentale dell’universo è che nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Io non sono eterno, non sono indistruttibile, non sono immortale. Come Dorian Gray, il cui ritratto assorbe al posto suo tutti i malanni e lo scandire spietato del tempo a lui destinati; la mia anima fa lo stesso con i tiri mancini della vita.

A soli 27 anni ero così tante cose: generale, conquistatore, demone, mito, eroe, compagno, amico, fratello, marito, padre. Un intero ciclo vitale in appena più di un quarto di secolo.

Sorrido. E’ tanto tempo che non sorrido, perché ho realizzato che, tirando le somme, la mia breve vita non è stata poi così vuota, sia nella buona che nella cattiva sorte.

Aerith non ha tutti i torti. Forse davvero il Pianeta non mi odia, ma ha un piano ben preciso per me, tanto che dovrò tornare dove tutto ha avuto inizio. Già da tempo progettavo di visitare la Shinra Masion di Nibelheim per scoprire di più sul Progetto J. Il luogo viene citato spesso nei frammenti di rapporti tralasciati da Hojo. Inoltre, Genesis ha fatto ben intendere di trovarsi nei paraggi del Monte Nibel attraverso l’intensa moltiplicazione di mostri della zona. Fonti Turks dichiarano la presenza di dispositivi per il maneggiamento di mako e camere di contenzione ancora presenti nel reattore. Sebbene piuttosto vecchie, l’ex-comandante le potrebbe usare per mettere a ferro e fuoco la città, come è già successo con altri suoi obiettivi.

Nibelheim è il reattore più vecchio di tutti e risale all’epoca della grande espansione della Shinra, quando gli impianti di estrazione del Lifestream venivano costruiti su vene superficiali. Proprio per la sua posizione isolata e la grande quantità di Flusso Vitale uscente dal terreno, il sito fu scelto come zona ideale per porre le basi della raffinazione mako per la conversione in energia. Più tardi, alcuni membri del Reparto Scientifico, guidati da Gast, si stabilirono là per iniziare gli esperimenti per il potenziamento umano attraverso l’infusione di mako. L’isolamento permise l’esecuzione degli esperimenti nella totale sicurezza per la popolazione locale, poiché era già noto da tempo che l’esposizione del corpo umano a grandi quantità di mako porta a gravi mutazioni sia fisiche che mentali.

Questi sono i mostri. E Nibel ne è da allora infestato.

Quale cornice migliore per chiudere questa storia, là dove tutto è iniziato.

 

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Le parole sfumano, dissolvendosi nel candido bianco di questo luogo dimenticato. Rimaniamo in silenzio, tirando le somme su ciò che abbiamo appena letto, ognuno chiuso nei propri pensieri.

Sephiroth non aveva idea di cosa l’avrebbe aspettato alla fine del tunnel, o forse non ci voleva nemmeno pensare. In fondo, che gli importava? Non aveva più niente. Genesis gli aveva portato via tutto. Qualunque destino lo avrebbe aspettato, lui era pronto ad accettarlo.

Zack aveva visto giusto: Sephiroth era un guscio vuoto gli ultimi giorni della sua esistenza mortale. Si aggirava come un fantasma per i corridoi del Piano 49, pregustando il momento in cui si sarebbe liberato del suo ultimo fardello. Non lo sapeva ancora, ma, abbandonandosi del suo mortale corpo, avrebbe spezzato le catene che dalla sua nefasta nascita avevano tenuto Jenova vincolata alla sua prigione di carne. La Calamità aveva lottato per anni contro di lui, ma Sephiroth si era rivelato un avversario ostico e caparbio, difficile da piegare. Alla fine, tuttavia, perfino lui si è dovuto arrendere.

Era pur sempre umano, in fondo…

E Aerith sapeva che da solo, così stanco e sfibrato, non ce l’avrebbe fatta a contenere la furia vendicativa della Calamità. Per questo che la Cetra ha deciso di sacrificarsi e diventare così una martire. La sua nuova natura soprannaturale le avrebbe permesso di dare man forte all’ex-Generale ed evitare la completa distruzione del Pianeta, ma non abbastanza da evitare di liberare lo spirito di Sephiroth e quello di sua moglie.

C’è ancora tanto odio fra Pianeta e Jenova.

Mi lascio sfuggire un mesto sospiro e osservo Takara di sottecchi.

Il Dono della Dea, l’unica capace di porre fine a questa guerra.

- Continuo a non capire. –, esordisce la ragazza, ancora assorta nelle sue elucubrazioni, come suggerisce la testa inclinata leggermente verso il basso e la mano sinistra accarezzare il mento e le labbra.

Rimango un attimo colpito dalla sua espressione concentrata. Le iridi le sono divenute chiarissime, mentre le pupille si sono assottigliate verticalmente. Le sopracciglia fini corrugate al centro conferiscono al taglio allungato degli occhi un’aria severissima, oltre che vagamente feroce. Sembra che stia puntando una preda che da troppo tempo le è sfuggita.

Fa paura, devo ammettere.

- Cosa? -, chiedo, con la voce leggermente strozzata dal turbamento precedente.

- Il ruolo di Genesis. -, risponde secca Takara, con un tono che non lascia repliche, senza staccare gli occhi dal punto su cui si è fissata.

- Non credo ne abbia. Lui odiava tuo padre e amava tua madre. Semplice. -, ribatto, facendo spallucce.

Mi accorgo però che la mia contadina noncuranza non è esattamente apprezzata, poiché, in tutta risposta, la bruna mi scocca un lungo, intenso, severo sguardo. Non serve parlare a lei, così come a Sephiroth e a Vincent, per mettermi in soggezione e farmi sentire un completo idiota. Dev’essere un tratto tipico dei Valentine…

Come da copione, infatti, ella rotea gli occhi e sospira pesantemente, senza nemmeno avere la decenza di nasconderlo.

- Sparare sentenze a zero non servirà molto a farci uscire da qui, Cloud Strife. -, ammonisce seccata Takara, volgendosi totalmente verso di me e incrociando le braccia al petto, - Temo che dovrai rivedere il tuo modo di pensare. -, conclude, infine, con tono altero e leggermente ironico.

Punto sul vivo, avverto le mie gote bruciare dall’imbarazzo, ma, superato questo, non posso fare a meno di schernirmi, rispondendole per le rime.

- O forse, quella che dovrà cambiare idea sei tu. Rinfrescami la memoria: chi è che ha torturato Genesis per poi sbatterlo mezzo abbrustolito in cella? –

Le iridi della ragazza si illuminano d’ira per un pericoloso istante e la pupilla diventa sottilissima e lunga, tanto da temere che la sua metà jenoviana stia prendendo il sopravvento su di lei, squartandomi senza pietà. Inaspettatamente, invece, si limita a mollare un manrovescio dritto sulla mia guancia destra. Mi colpisce con una forza impensata per una ragazzina di quattordici anni e, per un momento, credo che mi abbia slogato la mascella. Barcollo di lato, intontito dal colpo, ma, appena recupero un attimo di lucidità, le rivolgo uno sguardo scioccato. Takara è ancora in posa da attacco, con il bacino, il busto e le spalle girati di lato e piegati in avanti, le gambe divaricate e il braccio colpitore a penzoloni davanti a sé. Respira affannata attraverso le labbra dischiuse, le quali sono deformate in una smorfia che mette in mostra parte dei denti. Impercettibili rughe le si sono formate sulla fronte, tra le sopracciglia, ai lati degli occhi, sul naso. La capigliatura bruna è scombinata e ciocche corpose le nascondono in parte il viso livido, gettando un’ombra che va a rendere la sua espressione ancora più terribile.

Rimaniamo a guardarci cagnesco per lunghi istanti, inchiodati nelle rispettive posizioni; poi il viso di Takara si distende e il respiro si regolarizza. Ella abbassa lo sguardo a terra, per poi far seguire tutto il corpo. Si siede a terra a gambe incrociate, raddrizza la schiena, chiude gli occhi. Inspira con il naso ed espira con la bocca cercando probabilmente di ricacciare tutte le sensazioni negative indietro. Il tutto senza curarsi di me. Dopo poco, ritorna a puntarmi, espressione greve.

- Scusami. -, il suo tono non è per nulla accorato, anzi è sbrigativo e annoiato, come se le costasse un’enorme fatica.

La ragazza rimane in attesa di una mia risposta, fissandomi glaciale. Io mi massaggio la mascella e testo che le articolazioni siano tutte al loro posto.

Cavoli, che male…

- Non mi sembri del tutto sincera, però. -, obietto con tono di sfida.

Il suo sguardo si assottiglia.

- Non giocare con il fuoco, Cloud Strife. -, soffia tra i denti Takara.

- Me ne guardo bene. -, replico, mettendomi a sedere a mia volta, - Ora so cosa si rischia a sfidare quello sguardo. -, concludo, accennando un sorriso. Anche se probabilmente sembrerà più una smorfia, poiché cambiare espressione è ancora abbastanza doloroso. – E che Genesis è un tasto dolente per te. –

La ragazzina non accenna alcun cambio d’espressione, eppure il moto d’irrequietezza che le ha sconquassato la sua posa immobile non è passato inosservato.

- Infatti. -, conferma, - Le tue accuse sono fondate su quello che hai potuto capire dalle parole di mio padre e dalle visioni di mia madre. Due persone che lo odiano per ovvi motivi. -, si arresta per un istante e sospira, ricacciando indietro l’amarezza, poi riprende, con più vigore, - Ma io ci sono cresciuta. Mi ha insegnato tutto ciò che so e si è sempre preso cura di me. E io di lui. –

Appena proferite queste parole, ella alza una manica del kimono e mette a nudo il braccio sottostante. Aguzzo la vista e vedo che all’altezza della piegatura del gomito sono presenti scuri lividi che circondano piccoli fori di puntura.

Preso alla sprovvista, mi alzo di scatto e raggiungo il suo braccio, afferrandolo per il polso. Delicatamente, passo l’altro palmo su quelle ferite.

- Nonostante tutto, Genesis continua a degradarsi. Ci sono giorni in cui non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto. Le Cellule S lo rinvigoriscono per un certo periodo di tempo, ma poi ha bisogno di altre trasfusioni. -, spiega con tono triste,- Diventa sempre più debole. E instabile. –

Mi afferra la mano e mi guarda dritta negli occhi. Vedo tanta paura albergare in quell’anima da bambina.

- E’ tutto ciò che ho. -, dichiara trattenendo a stento i singhiozzi, - Punirlo è stato terribile per me e vorrei non averlo mai fatto. Non me lo perdonerei mai se dovesse… -

La sua stretta si fa sempre più debole fino a lasciarmi e portarsi la mano al viso, al fine di celare il dolore che il rimorso le causa. Io le appongo le dita sulla sua spalla, stringendo forte per rassicurarla. Nonostante il pianto dirompente, lei non accenna smettere di parlare, di spiegarsi.

- Rimarrebbe intrappolato, alla stregua dei miei genitori. Non voglio che accada. Non voglio più che le persone che amo soffrano. -, afferma, infine, stancamente.

Si pulisce le lacrime con il dorso della mano e mi guarda afflitta.

- Genesis non può avermi solo usata in questi anni. Altrimenti perché darmi una vita così agiata? Perché raccontarmi tutte quelle storie su lui, mio padre ed Angeal? –, un sorriso le nasce spontaneo, mentre il ricordo fa capolino nella sua mente e le dona una forte determinazione, - Non ha mai odiato mio padre, Cloud. Erano rivali, è vero, ma gli voleva bene. Voleva aiutarlo, voleva che conquistasse i suoi sogni. -, Takara fa una breve pausa, trovando coraggio per continuare, - E’ per questo che Genesis sfidava in continuazione mio padre. Voleva prendere il suo posto di Generale, però non per se stesso, ma per liberarlo dal fardello che altri gli avevano imposto da quando non era nemmeno ancora nato. -, lo sguardo lasciato vagare nel frattempo ritorna a puntare il mio viso e di nuovo il sorriso si riaccende su quel viso rigato dalle lacrime,- Voleva salvarlo, Cloud. Ma non ci è riuscito. Questo è il suo rimpianto. –

Non so davvero cosa pensare. O Genesis ha davvero fatto un buon lavoro per manipolarla a dovere; oppure si è davvero preso cura di Takara come se fosse figlia sua.

C’è un tassello che manca in tutto questo.

Improvvisamente, un vento impetuoso si alza da non si sa dove e inizia a spingere via quella che era in realtà una nebbia così fitta da sembrare un muro compatto. Ci alziamo insieme, cautamente, ancora le mani unite. Avverto le dita della ragazza stringersi con forza alle mie, in uno spasmo involontario di timore. Istintivamente, le cingo le spalle col braccio libero e l’avvicino a me, facendo aderire i nostri fianchi, in un atto di protezione. Non so cosa troveremo più avanti, ma più ci addentriamo nel diario, più dolore e verità terribili incontriamo. Inoltre, Takara ha un’emotività davvero instabile, capace di cambiare in modo così repentino da rendere difficile prevedere le sue mosse. In fondo, però, la capisco. Non è facile mantenere i nervi saldi di fronte alla sofferenza di Sephiroth. Deve fare i conti con anni e anni di racconti ed esperienze incongruenti con quella che sembra la realtà dei fatti e capisco che non sia facile destreggiarsi in quest’intrigo mortale.

Ha ragione: devo seguire il suo consiglio ed essere capace a scendere a compromessi, altrimenti tutto questo viaggio non servirà a niente.

Il nuovo luogo che lentamente si sta svelando, tuttavia, mi fa capire che il mio esame era ben lungi dal dirsi cominciato e che il proposito appena formulato sarà di difficile attuazione. Avverto un brivido lungo la schiena appena riconosco gli scaffali impolverati, il pavimento sconnesso a scacchi neri e la grande scrivania tarlata, posta alla fine del lungo corridoio; su cui libri, diari, fascicoli, dispense sono abbandonati, depredati del loro contenuto. E in fondo, al di là della scrivania stracolma di libri, seduto sul fatiscente scranno, rigido e cinereo, sguardo allucinato: LUI.

 

Salve a tutti, signori miei! Come la va quest’estate un po’ bizzarra? Io mi sono concessa uno dei miei viaggetti, ma stavolta sono andata SOLO a Imperia a vedere come se la cavano i nostri delfini italiani. Quindi tra un avvistamento e l’altro ho pensato molto a come proseguire questa storia e finalmente si va avanti! Siamo quasi alla scena clou(d) (BA-DUM CIUM, ndFortiX, mi sto scompisciando dal ridere -.-‘ ndCloud)che si scoprirà ancora sul caro Seph? O su Genesis?

Vi lascio un po’ in sospeso così da scaldarvi per bene in attesa del KABOOM finale. Eh sì perché la fine si appropinqua in fretta e, se da un lato sono contenta, così potrò dedicarmi ad altro, dall’altro mi sento un po’ triste ad abbandonare questa storia che mi ha consacrato come scrittrice qua su EFP. Ma bando la tristezza (che ce ne è già abbastanza) e concentriamoci per le ultime battute. Sì, lo so che pensavo di non scrivere più punti di vista di Sephiroth, ma alla fine non ce la possa fare e mi vengono fuori così bene che è un peccato non scriverli. Cambio sempre idea, uff!!!

Vabbé, è tardi (ma non troppo per i miei standard cmq, è solo 00:28 XD) e vi saluto caldamente nel bel mezzo del temporale estivo ligure!

Alla prossima!

Besos

   
 
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