No…
No…
No,
no, no,
no, no, no, no, no, nononononono… NO!
Crollo a terra, mettendomi le mani nei
capelli. Gli occhi sono fuori dalle orbite dallo stupore. Continuo,
ossessivamente a ripetere quella sillaba all’infinito.
Non
ci
credo… Non ci VOGLIO credere!
- Non è possibile che abbia preso parte
a
tutto questo… -, piagnucolo in preda allo sconforto e alla
realizzazione che
sì, io sono sempre stato una miserabile e vuota marionetta.
Non ho mai voluto
vedere, come un idiota mi sono lasciato abbindolare dalle menzogne che
ogni
giorno mi venivano propinate, senza avere nemmeno la decenza di farmi
due
domande. Ho sempre fatto quello che LORO volevano. Tutti mi hanno
sfruttato,
sapendo che avrei agito esattamente come avevano pianificato…
-Aerith…
Come hai potuto farmi questo? Io ho sofferto così tanto per
te… Perché?
PERCHE’?!-
Osservo la prima donna che abbia mai amato,
ripercorrendo ogni singolo angolo della sua immensa e magnifica figura.
Così
semplice, bastava così poco per far nascere su quel viso
dalla bellezza
ultraterrena un sorriso capace di sciogliere perfino il più
gelido dei cuori.
Un sorriso in grado di mantenersi perfino nella morte. Lacrime
incontrollate
scendono lungo le mie guance, mentre i ricordi di quel terribile
momento
riemergono, mai svaniti. Il rumore, simile a un risucchio,
dell’acciaio che
trapassa un corpo dedito alla preghiera; il rimbalzare cristallino e
assordante
della Materia Holy spezzare il sacro silenzio della Città
Dimenticata: il corpo
spezzato della mia amata riverso in una pozza infausta di sangue
più scuro
della pece. Quel sangue che avevo giurato di proteggere ad ogni costo,
quel
sangue che ancora oggi cerco di lavare via dalle mie mani, invano.
Eppure,
quell’arco benevolo non è scomparso un solo
secondo su quel viso esangue. Hai
continuato a sorridere perfino mentre sprofondavi nella tua tomba
d’acqua. Eri
soddisfatta, perché così facendo mi avresti
aizzato contro il tuo assassino,
compiendo il destino di entrambi.
Tutto secondo i piani…
Rivolgo uno sguardo pieno d’odio verso
Sephiroth.
-
L’hai
costretta a rinunciare alla sua vita per ridarti la tua. –, sibilo,
mentre lentamente mi approccio alla fiera figura
dell’ex-Generale, - Eppure sapevi, lo
sentivi, che il Pianeta non te l’avrebbe mai
ridata. Quindi a cosa è servito
tutto questo male? A cosa è servito uccidere un essere
innocente? A COSA E’
SERVITO TUTTO QUELLO CHE HAI FATTO?! -
Mano a mano la mia
rabbia cresce anche il tono
di voce si alza, fino ad esplodere letteralmente in faccia a
quell’assassino
egoista e codardo. Non riesco a resistere e mi scaglio contro di lui,
menando
pugni con tutta la forza che ho in corpo; tuttavia ad ogni colpo
sferzato la
figura di quel mostro semplicemente si dissolve in polvere, per poi
ricomporsi
subito dopo, in attesa di un altro colpo pronto a dissolverlo
nuovamente. Per
quanto inutile e stupido non accenno a fermarmi; anzi la frustrazione
non fa
altro che alimentare la dirompente furia che mi sta infiammando
l’animo.
- TI ODIO!
TI ODIO, MOSTRO! ASSASSINO! BESTIA! –
Urlo e grido ormai al
limite
dell’esasperazione e la mia sequenza di colpi si fa sempre
più fitta, tanto che
di Sephiroth non è rimasto altro che una nube informe di
polvere nera e
argentata. Eppure, non è abbastanza per me. Deve scomparire
dalla faccia del
Pianeta, non deve rimanere una singola molecola della sua esistenza.
- NON
MERITI NIENTE! NIENTE! OGNI
PROVA DELLA TUA ESISTENZA DEVE SVANIRE! –
L’ultima
frase, la cui realizzazione mi
colpisce con la potenza di uno schiaffo, spegne l’incendio
della mia follia rabbiosa
tutto in una volta. Mi blocco a metà del pugno che stavo per
sferrare,
lasciando quindi tempo alla polvere di ricompattarsi
nell’austera figura del
Generale. Con un groppo in gola, volto lo sguardo colpevole verso
destra e, da
sopra la spalla, scruto Takara. Avverto un enorme macigno crollarmi
sulla testa
appena incrocio la sua espressione marmorea.
Gelida e rigida, mi
fissa senza emettere un
solo suono. Eppure avverto la tempesta rombare all’interno di
quel giovane
cuore.
Chissà
quante volte se lo sarà sentito
ripetere. Chissà quante volte avrà prestato
attenzione alla gente quando si
rivolge a suo padre con questi epiteti. Chissà quante volte
avrà finto di non
ascoltare, di non aver accusato il colpo, di non dargli alcun peso;
come se non
t’importasse del giudizio degli altri, perché tu
SAI chi è tuo padre. Chi
meglio di te potrebbe mai saperlo?
La verità
è che non è vero. Tu non lo sai.
Troppo piccola per ricordare. Ti sforzi per visualizzarlo, per accedere
a
quelle memorie remote; ma non ci riesci. Lo vedo dallo sguardo
sconfitto,
abbassato per non farmi pesare troppo la gigantesca gaffe appena
compiuta.
Nemmeno il coraggio di contraddirmi, di provare a difenderlo. Come
potrebbe mai
difendere un uomo che si è inimicato tutto il mondo?
Come potrebbe mai
difendere l’uomo che l’ha
abbandonata per inseguire chissà quale visione?
Quello stesso uomo che
sarebbe dovuto essere
al suo fianco al posto di Genesis.
Forse vorrebbe odiarlo
anche lei, per sentirsi
accettata, normale. In fondo, lei ne ha
più diritto di tutti noi, ma… nel bene o nel
male, Sephiroth è pur sempre suo
padre. Un dettaglio che non si può ignorare.
- Non
sentirti in colpa. Io… ci sono abituata. -, mormora
paziente Takara.
La ragazza mi rivolge
un debole e mesto
sorriso, mentre mi raggiunge e pone delicatamente entrambe le sue mani
sul
braccio ancora teso nell’atto di colpire. Lentamente essa mi
abbassa l’arto e
lo ripone lungo il mio fianco, stringendomi la mano nelle sue per un
momento,
come per infondere nei miei muscoli la sua innaturale calma.
Dopodiché,
abbandona il mio arto e, sostando accanto a me, si volta completamente
verso il
genitore. Si estrania, mentre il suo sguardo triste studia ogni minimo
dettaglio di Sephiroth. Dal canto mio, non posso far altro che
osservare ogni sua
singola mossa, ammaliato dalla forza e dalla volontà di
questa ragazzina.
- Sei come tua madre.
–
I suoi occhi si
spalancano e si volta di
scatto verso di me. La sua boccuccia è aperta in
un’adorabile ‘o’ sbalordita.
Non so come mi sia venuta questa frase, non so nemmeno se sia stato
Sephiroth a
manipolarmi al fine di proferire quelle parole; ma capisco
immediatamente che è
vero. Assomiglierà fisicamente a suo padre, tuttavia bisogna
ammettere che
caratterialmente è esattamente come Evelyn. Annuisco e le
sorrido benevolo,
così da darle la conferma che cerca. Takara arrossisce e
distoglie lo sguardo
imbarazzata; eppure non posso non notare l’arco sincero ed
emozionato inarcarle
le labbra.
-Nessuno mi ha mai
paragonato a lei. -,
sussurra con la voce rotta dall’emozione, poi scuote la testa
e il suo sorriso
svanisce, inghiottito da un’espressione malinconica, - A dire
la verità,
nessuno l’ha mai nemmeno menzionata. Non so praticamente
niente di lei. -,
conclude, lasciando sfumare il discorso in un amaro silenzio.
- Ti voleva bene,
Takara. Eri davvero
importante per lei-, rispondo io cercando di sollevarle il morale.
La ragazza fa
spallucce, sfoderando una
smorfia rassegnata.
-
Già… come tutti… -
Il commento acido e
diretto così in stile
Sephiroth si scontra irrimediabilmente con i modi gentili e pazienti
mostrati
poco prima, lasciandomi stupito di fronte alla facilità con
cui le due nature
si susseguono e si adattano alle esigenze di questa ragazza. Non
c’è che dire,
Takara è davvero la sintesi perfetta tra i suoi genitori,
oltre che
rappresentare l’armonia tra la benevolenza del Pianeta,
l’arguzia di Jenova e
la compassione umana. Tuttavia, è un fardello pesante da
portare, come ella ha
appena sottolineato. Ogni cosa che tocca è destinata a
scomparire…
La mia mente mi riporta a quella bara di
Lifestream e alle fattezze dell’uomo conservato
all’interno.
Così
simile
a me.
Sarei dovuto essere il nuovo salvatore del
Pianeta, ripercorrere le sue gesta dimenticate e porre fine
all’incontrastato
dominio della Calamità; ma qualcosa ha impedito a quei piani
di avverarsi:
Jenova stessa.
Quell’eredità a cui ho tentato
di oppormi
con tutte le mie forze, illudendomi di controllarla, di relegarla al
semplice
mezzo per un fine, mi ha sempre perseguitato; anzi, è sempre
stato il cappio
collegato alle abili mani dei due Grandi Burattinai e protagonisti di
questa
guerra mai cessata. In duemila anni, Jenova e il Pianeta non hanno mai
ceduto
un solo passo da ciò che avevano guadagnato prima della
caduta dell’aliena.
Quella non fu una sconfitta, ma una semplice ritirata strategica. LEI
sapeva
che era solo una questione di tempo. Quello che probabilmente ha
imparato nella
sua esistenza immortale è che la vita è fatta di
cicli. I Cetra non sarebbero
sopravvissuti a lungo su Gaia. Questo lo svantaggio dei miserabili
mortali: non
importa quanto potere possano aver accumulato o quanto alto sia il
grado di
benessere raggiunto; la Morte è inevitabile. Bastava
aspettare e l’evoluzione
avrebbe fatto il suo corso. Aveva visto una scintilla terribile nei
cuori degli
umani, un scintilla che se correttamente alimentata avrebbe piegato
quella
nuova specie ai suoi biechi scopi. E’ qui che mi rendo conto
di quanto siamo
simili, io e Takara, di come entrambi siamo stati contaminati
dall’una e
dall’altra fazione. Entrambe ci hanno modificato durante la
loro disperata
corsa agli armamenti, nell’incrollabile speranza di essere
l’uno in vantaggio
sull’altra.
Come
può
essere il mio nemico? Chi è che ti vuole davvero morta? E
perché?
-Mi
dispiace
davvero per ciò che ho detto… -,
esordisco, abbassando lo sguardo sulle mie scarpe.
Avverto l’attenzione di Takara calare di
nuovo su di me, tuttavia la ignoro, apponendo anzi i miei occhi
sull’altro
erede di Jenova. Mi scappa uno sbuffo divertito.
-
Hai
ragione. -, esordisco,
con tono stanco e mesto, - Non ho mai capito niente.
Nonostante
tu abbia fatto di tutto per mostrarmelo, io ancora fatico a
comprenderti. -, abbasso la testa e chiudo
gli occhi,
mentre un sospiro abbandona le mie labbra.
-
In fondo,
sono solo un sempliciotto di campagna. -,
concludo, sconfitto.
Appena proferite queste parole, tutto
attorno a noi si dissolve come polvere e il nulla bianco di circonda.
Non v’è
traccia dell’agitato e claustrofobico mondo
d’emozioni che ci ha accolti:
sembra di essere totalmente in un’altra realtà,
completamente opposta a quella
dell’esordio. Un limbo sospeso nel bel mezzo della tempesta
si avviluppa
attorno a noi. Per quanto a prima vista sembra che pace e armonia
regnino
incontrastate, mano a mano ci si rende conto che non è altro
che una facciata
per mascherare il turbinio folle di negatività presente
all’esterno. Senso di
colpa, rancore e sensazione di inadeguatezza sono le fondamenta su cui
la
traballante psiche di Sephiroth si ergeva e questo luogo è
la loro tomba.
L’ossessione per la morte di Evelyn ha inglobato ogni cosa
trasformandola in
veleno che gli ha corroso l’anima di giorno in giorno, fino a
trasformandolo
nel mostro distruttivo che tutti noi conosciamo. Attendiamo qualche
secondo e
d’improvviso parole vergate di nero iniziano a trascriversi
su quelle pareti
bianche. La calligrafia è inconfondibile.
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Anno
XXXX,
attico Golden Building
Non
so
nemmeno che giorno sia. Il tempo ha smesso di scandirsi per me, ormai.
Credo
siano mesi che non tocco questo diario. Quando l’ho ritrovato
era abbandonato
su questo tavolino completamente impolverato. Tutto è
rimasto esattamente come
l’ho lasciato l’ultima volta. A parte la
scatola…
C’è
tanta
confusione qui. La libreria è un completo sfacelo. Buona
parte del suo
contenuto è andato perduto o venduto o non ricordo
più nemmeno cosa. Soffro di
grossi vuoti di memoria che m’impediscono di concatenare gli
eventi l’uno con
l’altro. Sempre più spesso mi risveglio in luoghi
sconosciuti, senza capire
come ci sono giunto, se non per semplice deduzione. Colpa
dell’alcool, di cui
ultimamente sto abusando in maniera davvero massiva. Altro fattore
potrebbero
essere i sonniferi che mi autosomministro per evitare di sognare. E poi
ci sono
le droghe, iniziate ad assumere come rimedio per il dolore.
Mi
sono
sempre considerato un uomo morigerato, dedito a mostrare sempre il buon
esempio
agli altri; ma quest’ultimo male che mi corrompe
dall’interno ha letteralmente
indirizzato la mia vita verso una spirale di decadente miseria.
Nascondo in
piena vista la mia sofferenza andando a raccattare negli angoli
più luridi
della città le sostanze più micidiali, i mix
più audaci, le perversioni più
assurde; il tutto per trovare un po’ di pace, in attesa
dell’Ultimo Passo.
Vorrei morire.
E’
un
desiderio che mi ha accompagnato fin da bambino, quando le umiliazioni,
gli
esperimenti e i maltrattamenti raggiungevano l’apice.
Desideravo non essere mai
nato e maledicevo i miei genitori per avermi messo in questo mondo
schifoso e
reso la mia esistenza patetica e priva di qualsivoglia scopo. Quando
crebbi, da
ragazzo, scoprii mio malgrado quale fosse quel fantomatico scopo. Il
risultato
non fu altro che il rinnovo di quel desiderio di morte; il quale
l’ho ricercato
con qualunque mezzo, a partire dalle condotte suicide fino alle
manifestazioni
violente di frustrazione e rabbia. Tuttavia, ogni sensazione provata da
giovane
non è assolutamente paragonabile a quelle attuali: questa
volta non voglio
evitare la sofferenza di altri, levando di torno la mia nefasta
presenza; no,
questa volta ciò che provo è assolutamente
personale.
Vivere
è
un’azione che non intendo più compiere,
perché non vi è più la volontà
di eseguirla. Non apprezzo più
niente, infatti. Se prima cercavo di trovare conforto nella bellezza
delle
piccole cose, ora nemmeno i fatti più eclatanti destano il
mio interesse.
Eppure
continuo a trascinarmi per questa miserabile esistenza.
E
è tutta
colpa sua.
La
Bestia. Colei
che m’impedisce di lasciarmi andare, di concedermi
quell’oncia di coraggio
sufficiente per compiere l’ultimo passo. Ho provato a
spararmi, a impiccarmi, a
tagliarmi le vene; ma nulla: Lei continua ad intervenire, impedendomi
di
premere il grilletto, o sbilanciarmi sulla sedia o di affondare
più in
profondità la lama nella pelle. Avverto la rabbia risalire
dalle viscere e far
ribollire il sangue, offuscando la ragione e ogni cognizione.
Sono
regredito fino all’età adolescenziale, quando
erano gli impulsi a guidarmi
verso i crimini più efferati. Ho ricominciato a uccidere in
modo incontrollato,
infatti.
Recentemente
i telegiornali hanno parlato di tre vittime, ritrovate nel vicoli degli
Slums.
Normalmente questo fatto non desterebbe alcun interesse negli
investigatori,
poiché crimini del genere sono perpetrati quotidianamente
laggiù; ma
l’efferatezza con cui questi omicidi sono stati commessi
hanno lasciato gli
inquirenti basiti. Quelle povere anime sono state letteralmente
squartate, come
se un mostro feroce si sia accanito su di loro, però
quell’ipotesi non fu
creduta plausibile dal semplice fatto che, per la natura stessa dei
mostri
degli Slums, la scena del crimine fosse troppo
“pulita”. Gli investigatori ci
hanno lavorato su per qualche tempo, per poi chiudere il caso per
mancanza di
prove. Eppure, la mia firma è ben evidente su ogni singola
goccia di sangue.
Per questo motivo, ho capito che ricercare la morte per vie rapide
è una
soluzione al di fuori della mia portata e, quindi, ho deciso di optare
per una
soluzione più lenta e sottile: droghe e alcool, spesso usati
insieme. Non
m’importa delle conseguenze che la mancanza di cognizione di
provoca, se non
dopo, ma “vivo” nella speranza che prima o poi il
mio cuore non possa più reggere
la quantità industriale di schifezze che introduco nel corpo
ogni giorno. Ho
scoperto, tuttavia, che questa soluzione non è
così efficace come speravo. Perso
nella mia agonia, ho scordato che il mako potenzia i processi
cellulari,
aumentando le prestazioni sia anaboliche, le quali conferiscono
maggiore
resistenza strutturale, che cataboliche; ossia che l’accumulo
di sostanze
tossiche e nocive all’interno del mio corpo è
pressoché impossibile, perché
esse vengono scomposte nella loro interezza e nel modo più
efficiente
possibile. Ne consegue, quindi, che le droghe non possono né
uccidermi, né
provocarmi assuefazione. Ne subisco solo gli effetti a livello
cognitivo, senza
andare a intaccare in nessun modo le mie facoltà
intellettive. Motivo per cui
nessuno si è accorto del mio cambio di abitudini alla
Shinra. Da un lato è
frustrante, perché non posso centrare il mio obiettivo; ma
dall’altro ho
trovato un modo per evadere dall’amarezza della mia
esistenza. Un risvolto crudele,
ma funzionale per iniziare a pianificare le mie ultime
volontà come ufficiale
di SOLDIER.
Zack
Fair
prenderà il mio posto in quanto ultimo First disponibile sul
mercato. Ancora
non lo sa, glielo comunicherò domani al briefing
pre-missione.
Andremo
a
Nibelheim per controllare il reattore mako della zona, il quale sembra
essersi
danneggiato a seguito di una scarsa manutenzione. Almeno questa
è la versione
che ho rifilato al Presidente e sarà la stessa che
udirà anche Fair. Ovviamente
il motivo è un altro…
Genesis
E’
lui che
mi aspetto di trovare. Dovrà rispondere di tanti crimini:
tra cui…
Mia moglie è morta
Genesis
l’ha
uccisa senza alcuna pietà e ne ha bruciato il corpo, assieme
alla nostra casa e
tutto il villaggio. Mia moglie…
La
donna che più ho amato nella mia intera esistenza, colei che
avevo fatto centro
del mio mondo, l’unica ragione che mi aiutava ad alzarmi ogni
mattina. L’unico
essere umano capace di rendermi felice, tanto da spingermi, ad osare sfidare la sorte e creare la
famiglia che ho sempre sognato assieme a lei…
Ma
ho osato
troppo. E questo era inaccettabile.
Takara...
Nemmeno
di
lei hanno avuto pietà. Una bambina di un solo anno di vita.
Così piccola, così
innocente… Quella dolce creaturina capace di sciogliere i
cuori di chiunque con
un solo sorriso. Era così curiosa, non aveva paura di niente
pur di soddisfare
la sua sete di conoscenza. Riempiva di domande chiunque la interessasse
e
voleva provare ogni cosa. Era riuscita a farsi amare davvero da
chiunque,
perfino da quelle famiglie che non vedevano di buon occhio la nostra
presenza
estranea. Con la sua spontaneità era riuscita a rompere ogni
barriera etnica,
culturale e linguistica. Sua madre ha sempre sostenuto di vedere in
nostra
figlia la promessa di un futuro migliore. Un dono prezioso dal Pianeta
all’Umanità.
Il Dono della Dea.
Ma
forse,
mia moglie ha sopravvalutato nostra figlia, illudendomi che Genesis
avrebbe
potuto capire il potere insito in quella bambina. Forse
anch’io ho visto una
grandezza fittizia, abbagliato dal mio amore paterno. Qualunque sia la
ragione,
comunque, ciò non toglie che, grandiosa o meno, Takara
doveva essere protetta a
qualunque costo.
Ho
recuperato il video dal Caith Sith distrutto durante
l’attacco ed è … una
punizione che mi autoinfliggo per non essere stato lì, come
prova inconfutabile
del mio errore più grande.
Avrei
dovuto
essere con lei… non quel robot inutile, non Natsu; IO dovevo
essere con lei.
Rabbrividisco
ogni volta appena ripenso alle sue urla terrorizzate, mentre
tutt’attorno
regnava il caos. Quando poi ha gridato
‘Papà’, poco prima che quel mostro si
scagliasse contro di lei, mi sono sentito morire dentro.
Mi ha cercato…
E io…
Non c’ero…
Imperdonabile
Avevo
promesso a mia moglie che non l’avrei più
abbandonata, che avrei lasciato tutto
per stare insieme, che sarei stato il marito e il padre che quella
famiglia
meritava.
Ho fallito. Di nuovo.
Ho
disatteso
alle loro aspettative, me ne se sono andato a miglia di distanza,
quando il mio
posto era là, accanto a loro, per proteggerle.
Agendo
come
ha agito, è come se il rosso mi avesse strappato il cuore
direttamente dal
petto. Forse era proprio quella la sua intenzione.
Uccidermi.
Se
volevi
mettermi in ginocchio, Genesis… ci sei riuscito. Tutto
ciò di più caro che
avevo, tu me l’hai portato via.
Perché,
mi
chiedo. Non capirò mai il motivo dietro tutto quel rancore,
quell’invidia,
quella rabbia provata nei miei confronti.
Cosa
ho
sbagliato?
Desideravi
così tanto essere l’eroe acclamato dal tuo
dannatissimo poema da non sopportare
l’idea che quella parte potesse calzare a qualcun altro?
Io
ODIO
essere un “eroe”, l’ho sempre messo in
chiaro, eppure continuavi a rendermi
tale attraverso le tue spregevoli azioni. La gente chiedeva il mio
intervento
per fermare la tua follia, ma, in onore della nostra amicizia, non ho
mai
voluto fermarti.
Mi
sono
fidato di te…
Mi
sono
illuso di vedere grandezza nelle tue grette e basse azioni, pensando
che,
forse, saresti riuscito a liberarci dalle nostre catene.
Invece…
ti
sei rivelato l’egoista viziato che sei.
Se
non
potevi diventare l’eroe, saresti diventato il malvagio. E
nemmeno in quello sei
riuscito, perché Hollander e Lazard hanno approfittato della
tua condizione per
manipolarti come volevano e farti compiere quelle azioni.
Patetico.
Ebbene,
vecchio mio, spero che tu sia contento, perché è
arrivato il momento della resa
dei conti. Mi hai portato via la donna che amavo, mi hai portavo via
mia figlia,
l’aspettativa di una vita normale…
Non ho più niente da perdere: sono
degno della tua preziosa
Verità?
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28
Febbraio,
Anno XXXX, ore 15:00, Ufficio, Piano 49.
L’epilogo
di
questa storia si concluderà presto. Il conto alla rovescia
comincerà quando
quell’elicottero si alzerà dallo Shinra Building e
lascerà Midgar.
Ho la netta sensazione che non
ritornerò.
Osservo
l’immensa
distesa di luci, snodarsi come tortuosi serpenti luminosi tra gli
edifici, i
quali di contro, appaiono come granitiche, squadrate montagne
d’ombra. I fanali
delle automobili scorrazzano frenetici lungo le strade sottili colorate
d’insano
giallo artificio. Insegne lampeggianti scandiscono il battito frenetico
e
disarmonico del tempo cittadino, in una sorta di conto alla rovescia
verso
chissà quale catastrofe.
Quest’ultimo
pensiero attanaglia le mie ossa fino al midollo di angoscia e
inquietudine.
Non
riesco a
togliermi dalla testa le parole di Aerith.
“Ciò
che scoprirai
porterà un dolore e una distruzione senza
precedenti.”
Che
la
catastrofe attesa da quelle insegne sia io?
Lo
sguardo
cade sul mio riflesso che opprime la città al di
là delle vetrate come una presenza
nefasta.
Non
mi sono
mai soffermato veramente a ponderare il mio aspetto, il quale
è sempre stato un
metro con cui la gente ha sempre misurato il dislivello tra me e loro.
Ho
sempre disprezzato la mia immagine. Questi capelli argentati, la cui
crescita è
sempre stata incontrollata, tanto da rinunciare a tagliarli; questo
viso quasi
femmineo nella sua fine eleganza, sul quale la fatica e il tempo
sembrano
incapaci di lasciare qualsivoglia segno; questo corpo vigoroso e
scolpito,
modellato a perfetta macchina da guerra e dotato di una forza che poco
ha di
umano... da dove provengono?
Un
senso di
disagio mi attanaglia lo stomaco e mi porta a distogliere
l’attenzione da
quella… quella… cosa.
Non biasimo
coloro che mi hanno evitato come la peste o che mi hanno scoccato uno
sguardo
spaventato, o schifato, o semplicemente curioso: come dargli torto?
Penso che
mi eviterei pure io, se potessi. E’ un aspetto troppo diverso
da accettare.
Nessuno, nessuno è come me. Esistono
albini nel mondo, ma questi sono
caratteri totalmente diversi che appartengono a qualcosa di…
di… alieno.
Cosa
vado a
pensare?
E’
assurdo…
gli alieni non esistono. Esiste solo Hojo, il quale è
davvero capace di fare
qualunque cosa. Ci deve essere una spiegazione logica.
Eppure,
il
dialogo con Aerith sembra rivelare molto più di quanto sia
stato effettivamente
detto.
Mia
moglie e
mia figlia sono state marchiate…
Cosa
vuol
dire?
E
perché
sono l’unico che può interferire con la loro
condanna?
Perché
è
così importante capire chi sono?
Perché
ciò
porterà dolore e distruzione?
Di che cosa sono davvero capace?
Basta.
Queste
domande mi stanno facendo scoppiare la testa. Sono davvero stanco. Non
vedo l’ora
di partire, di lasciare tutto questo alle spalle.
Ho
rivelato
a Zack della mia intenzione di lasciare la Shinra e la sua prossima
promozione
a Generale. Ho avvertito come se un grande peso si fosse dissolto dal
petto
nell’istante in cui i suoi occhioni si sono spalancati
all’idea. Credo che lo
stupore sia stato più per la realizzazione della fine di
un’era che per il
nuovo carico di responsabilità. Molti giovani SOLDIER, tra
cui lui stesso, sono
cresciuti all’ombra del mio mito e sapere che non
potrò condividere il loro
sogno potrebbe minare fortemente il loro morale. Ma SOLDIER
è tutto ciò che mi
rimane e l’unica cosa dignitosa che posso fare è
liberarmi anche dell’ultimo
legame affettivo, prima di vederlo crollare come una castello di carte.
Ho
trascorso
praticamente tutta la mia vita tra questi corridoi. Da quando avevo 14
anni.
Oggi ne ho compiuti 27.
13 anni da SOLDIER.
Solo 27 anni…
Realizzo
ora
di quanto questo numero sia basso per la media di una vita umana e una
scossa
di paura mi attraversa dalla testa ai piedi. L’idea di morire
senza aver
nemmeno visto i 30 mi scuote oltremodo. Eppure, nei giorni precedenti,
questo
pensiero non ha nemmeno attraversato l’anticamera del
cervello. Forse perché
ora ho di nuovo uno scopo, una ragione per cui la mia breve vita
potrebbe essere
utile. Ciò mi rassicura, anche se un filo di paura ne
inquina la dolcezza col
suo retrogusto amaro. L’istinto di sopravvivenza ha la
meglio, alla fine.
Osservo
di
nuovo il mio riflesso e mi rendo conto di quanto il mio aspetto strida
con ciò
che contiene. Ho un carico di esperienze confrontabile con quello di un
cinquantenne; eppure conservo tutto quel vigore e quella
luminosità tipica
della mia effettiva età.
Niente
mi
scalfisce, niente mi piega. Almeno in apparenza.
Per
tutti
sono il simbolo incrollabile della potenza inesauribile, della bellezza
infrangibile,
della gioventù eterna. Peccato che il principio fondamentale
dell’universo è
che nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma. Io non sono
eterno,
non sono indistruttibile, non sono immortale. Come Dorian Gray, il cui
ritratto
assorbe al posto suo tutti i malanni e lo scandire spietato del tempo a
lui
destinati; la mia anima fa lo stesso con i tiri mancini della vita.
A
soli 27
anni ero così tante cose: generale, conquistatore, demone,
mito, eroe, compagno,
amico, fratello, marito, padre. Un intero ciclo vitale in appena
più di un
quarto di secolo.
Sorrido.
E’
tanto tempo che non sorrido, perché ho realizzato che,
tirando le somme, la mia
breve vita non è stata poi così vuota, sia nella
buona che nella cattiva sorte.
Aerith
non
ha tutti i torti. Forse davvero il Pianeta non mi odia, ma ha un piano
ben
preciso per me, tanto che dovrò tornare dove tutto ha avuto
inizio. Già da
tempo progettavo di visitare la Shinra Masion di Nibelheim per scoprire
di più
sul Progetto J. Il luogo viene citato spesso nei frammenti di rapporti
tralasciati da Hojo. Inoltre, Genesis ha fatto ben intendere di
trovarsi nei
paraggi del Monte Nibel attraverso l’intensa moltiplicazione
di mostri della
zona. Fonti Turks dichiarano la presenza di dispositivi per il
maneggiamento di
mako e camere di contenzione ancora presenti nel reattore. Sebbene
piuttosto
vecchie, l’ex-comandante le potrebbe usare per mettere a
ferro e fuoco la
città, come è già successo con altri
suoi obiettivi.
Nibelheim
è
il reattore più vecchio di tutti e risale
all’epoca della grande espansione
della Shinra, quando gli impianti di estrazione del Lifestream venivano
costruiti su vene superficiali. Proprio per la sua posizione isolata e
la
grande quantità di Flusso Vitale uscente dal terreno, il
sito fu scelto come
zona ideale per porre le basi della raffinazione mako per la
conversione in
energia. Più tardi, alcuni membri del Reparto Scientifico,
guidati da Gast, si
stabilirono là per iniziare gli esperimenti per il
potenziamento umano
attraverso l’infusione di mako. L’isolamento
permise l’esecuzione degli
esperimenti nella totale sicurezza per la popolazione locale,
poiché era già
noto da tempo che l’esposizione del corpo umano a grandi
quantità di mako porta
a gravi mutazioni sia fisiche che mentali.
Questi
sono
i mostri. E Nibel ne è da allora infestato.
Quale
cornice migliore per chiudere questa storia, là dove tutto
è iniziato.
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Le parole sfumano, dissolvendosi nel candido
bianco di questo luogo dimenticato. Rimaniamo in silenzio, tirando le
somme su
ciò che abbiamo appena letto, ognuno chiuso nei propri
pensieri.
Sephiroth non aveva idea di cosa
l’avrebbe
aspettato alla fine del tunnel, o forse non ci voleva nemmeno pensare.
In
fondo, che gli importava? Non aveva più niente. Genesis gli
aveva portato via
tutto. Qualunque destino lo avrebbe aspettato, lui era pronto ad
accettarlo.
Zack aveva visto giusto: Sephiroth era un
guscio vuoto gli ultimi giorni della sua esistenza mortale. Si aggirava
come un
fantasma per i corridoi del Piano 49, pregustando il momento in cui si
sarebbe
liberato del suo ultimo fardello. Non lo sapeva ancora, ma,
abbandonandosi del
suo mortale corpo, avrebbe spezzato le catene che dalla sua nefasta
nascita
avevano tenuto Jenova vincolata alla sua prigione di carne. La
Calamità aveva
lottato per anni contro di lui, ma Sephiroth si era rivelato un
avversario
ostico e caparbio, difficile da piegare. Alla fine, tuttavia, perfino
lui si è
dovuto arrendere.
Era pur sempre umano, in fondo…
E Aerith sapeva che da solo, così stanco
e
sfibrato, non ce l’avrebbe fatta a contenere la furia
vendicativa della
Calamità. Per questo che la Cetra ha deciso di sacrificarsi
e diventare così
una martire. La sua nuova natura soprannaturale le avrebbe permesso di
dare man
forte all’ex-Generale ed evitare la completa distruzione del
Pianeta, ma non
abbastanza da evitare di liberare lo spirito di Sephiroth e quello di
sua
moglie.
C’è ancora tanto odio fra
Pianeta e Jenova.
Mi lascio sfuggire un mesto sospiro e
osservo Takara di sottecchi.
Il
Dono
della Dea, l’unica capace di porre fine a questa guerra.
- Continuo a non capire. –, esordisce la
ragazza, ancora assorta nelle sue elucubrazioni, come suggerisce la
testa
inclinata leggermente verso il basso e la mano sinistra accarezzare il
mento e
le labbra.
Rimango un attimo colpito dalla sua espressione
concentrata. Le iridi le sono divenute chiarissime, mentre le pupille
si sono assottigliate
verticalmente. Le sopracciglia fini corrugate al centro conferiscono al
taglio
allungato degli occhi un’aria severissima, oltre che
vagamente feroce. Sembra
che stia puntando una preda che da troppo tempo le è
sfuggita.
Fa paura, devo ammettere.
- Cosa? -, chiedo, con la voce leggermente
strozzata dal turbamento precedente.
- Il ruolo di Genesis. -, risponde secca
Takara, con un tono che non lascia repliche, senza staccare gli occhi
dal punto
su cui si è fissata.
- Non credo ne abbia. Lui odiava tuo padre e
amava tua madre. Semplice. -, ribatto, facendo spallucce.
Mi accorgo però che la mia contadina
noncuranza
non è esattamente apprezzata, poiché, in tutta
risposta, la bruna mi scocca un
lungo, intenso, severo sguardo. Non serve parlare a lei,
così come a Sephiroth
e a Vincent, per mettermi in soggezione e farmi sentire un completo
idiota. Dev’essere
un tratto tipico dei Valentine…
Come da copione, infatti, ella rotea gli
occhi e sospira pesantemente, senza nemmeno avere la decenza di
nasconderlo.
- Sparare sentenze a zero non servirà
molto
a farci uscire da qui, Cloud Strife. -, ammonisce seccata Takara,
volgendosi
totalmente verso di me e incrociando le braccia al petto, - Temo che
dovrai rivedere
il tuo modo di pensare. -, conclude, infine, con tono altero e
leggermente
ironico.
Punto sul vivo, avverto le mie gote bruciare
dall’imbarazzo, ma, superato questo, non posso fare a meno di
schernirmi,
rispondendole per le rime.
- O forse, quella che dovrà cambiare
idea
sei tu. Rinfrescami la memoria: chi è che ha torturato
Genesis per poi
sbatterlo mezzo abbrustolito in cella? –
Le iridi della ragazza si illuminano
d’ira per
un pericoloso istante e la pupilla diventa sottilissima e lunga, tanto
da
temere che la sua metà jenoviana stia prendendo il
sopravvento su di lei,
squartandomi senza pietà. Inaspettatamente, invece, si
limita a mollare un
manrovescio dritto sulla mia guancia destra. Mi colpisce con una forza
impensata
per una ragazzina di quattordici anni e, per un momento, credo che mi
abbia
slogato la mascella. Barcollo di lato, intontito dal colpo, ma, appena
recupero
un attimo di lucidità, le rivolgo uno sguardo scioccato.
Takara è ancora in posa
da attacco, con il bacino, il busto e le spalle girati di lato e
piegati in
avanti, le gambe divaricate e il braccio colpitore a penzoloni davanti
a sé.
Respira affannata attraverso le labbra dischiuse, le quali sono
deformate in
una smorfia che mette in mostra parte dei denti. Impercettibili rughe
le si
sono formate sulla fronte, tra le sopracciglia, ai lati degli occhi,
sul naso.
La capigliatura bruna è scombinata e ciocche corpose le
nascondono in parte il
viso livido, gettando un’ombra che va a rendere la sua
espressione ancora più
terribile.
Rimaniamo a guardarci cagnesco per lunghi
istanti, inchiodati nelle rispettive posizioni; poi il viso di Takara
si
distende e il respiro si regolarizza. Ella abbassa lo sguardo a terra,
per poi
far seguire tutto il corpo. Si siede a terra a gambe incrociate,
raddrizza la
schiena, chiude gli occhi. Inspira con il naso ed espira con la bocca
cercando
probabilmente di ricacciare tutte le sensazioni negative indietro. Il
tutto
senza curarsi di me. Dopo poco, ritorna a puntarmi, espressione greve.
- Scusami. -, il suo tono non è per
nulla
accorato, anzi è sbrigativo e annoiato, come se le costasse
un’enorme fatica.
La ragazza rimane in attesa di una mia
risposta, fissandomi glaciale. Io mi massaggio la mascella e testo che
le
articolazioni siano tutte al loro posto.
Cavoli,
che
male…
- Non mi sembri del tutto sincera, però.
-, obietto
con tono di sfida.
Il suo sguardo si assottiglia.
- Non giocare con il fuoco, Cloud Strife. -,
soffia tra i denti Takara.
- Me ne guardo bene. -, replico, mettendomi
a sedere a mia volta, - Ora so cosa si rischia a sfidare quello
sguardo. -, concludo,
accennando un sorriso. Anche se probabilmente sembrerà
più una smorfia, poiché
cambiare espressione è ancora abbastanza doloroso.
– E che Genesis è un tasto
dolente per te. –
La ragazzina non accenna alcun cambio
d’espressione,
eppure il moto d’irrequietezza che le ha sconquassato la sua
posa immobile non
è passato inosservato.
- Infatti. -, conferma, - Le tue accuse sono
fondate su quello che hai potuto capire dalle parole di mio padre e
dalle
visioni di mia madre. Due persone che lo odiano per ovvi motivi. -, si
arresta
per un istante e sospira, ricacciando indietro l’amarezza,
poi riprende, con più
vigore, - Ma io ci sono cresciuta. Mi ha insegnato tutto ciò
che so e si è
sempre preso cura di me. E io di lui. –
Appena proferite queste parole, ella alza
una manica del kimono e mette a nudo il braccio sottostante. Aguzzo la
vista e
vedo che all’altezza della piegatura del gomito sono presenti
scuri lividi che
circondano piccoli fori di puntura.
Preso alla sprovvista, mi alzo di scatto e
raggiungo il suo braccio, afferrandolo per il polso. Delicatamente,
passo l’altro
palmo su quelle ferite.
- Nonostante tutto, Genesis continua a
degradarsi. Ci sono giorni in cui non riesce nemmeno ad alzarsi dal
letto. Le
Cellule S lo rinvigoriscono per un certo periodo di tempo, ma poi ha
bisogno di
altre trasfusioni. -, spiega con tono triste,- Diventa sempre
più debole. E
instabile. –
Mi afferra la mano e mi guarda dritta negli
occhi. Vedo tanta paura albergare in quell’anima da bambina.
- E’ tutto ciò che ho. -,
dichiara
trattenendo a stento i singhiozzi, - Punirlo è stato
terribile per me e vorrei
non averlo mai fatto. Non me lo perdonerei mai se dovesse… -
La sua stretta si fa sempre più debole
fino
a lasciarmi e portarsi la mano al viso, al fine di celare il dolore che
il
rimorso le causa. Io le appongo le dita sulla sua spalla, stringendo
forte per
rassicurarla. Nonostante il pianto dirompente, lei non accenna smettere
di
parlare, di spiegarsi.
- Rimarrebbe intrappolato, alla stregua dei
miei genitori. Non voglio che accada. Non voglio più che le
persone che amo
soffrano. -, afferma, infine, stancamente.
Si pulisce le lacrime con il dorso della
mano e mi guarda afflitta.
- Genesis non può avermi solo usata in
questi anni. Altrimenti perché darmi una vita
così agiata? Perché raccontarmi
tutte quelle storie su lui, mio padre ed Angeal? –, un
sorriso le nasce
spontaneo, mentre il ricordo fa capolino nella sua mente e le dona una
forte
determinazione, - Non ha mai odiato mio padre, Cloud. Erano rivali,
è vero, ma
gli voleva bene. Voleva aiutarlo, voleva che conquistasse i suoi sogni.
-, Takara
fa una breve pausa, trovando coraggio per continuare, - E’
per questo che Genesis
sfidava in continuazione mio padre. Voleva prendere il suo posto di
Generale,
però non per se stesso, ma per liberarlo dal fardello che
altri gli avevano
imposto da quando non era nemmeno ancora nato. -, lo sguardo lasciato
vagare
nel frattempo ritorna a puntare il mio viso e di nuovo il sorriso si
riaccende
su quel viso rigato dalle lacrime,- Voleva salvarlo, Cloud. Ma non ci
è
riuscito. Questo è il suo rimpianto. –
Non so davvero cosa pensare. O Genesis ha
davvero fatto un buon lavoro per manipolarla a dovere; oppure si
è davvero
preso cura di Takara come se fosse figlia sua.
C’è un tassello che manca in
tutto questo.
Improvvisamente, un vento impetuoso si alza
da non si sa dove e inizia a spingere via quella che era in
realtà una nebbia
così fitta da sembrare un muro compatto. Ci alziamo insieme,
cautamente, ancora
le mani unite. Avverto le dita della ragazza stringersi con forza alle
mie, in
uno spasmo involontario di timore. Istintivamente, le cingo le spalle
col
braccio libero e l’avvicino a me, facendo aderire i nostri
fianchi, in un atto
di protezione. Non so cosa troveremo più avanti, ma
più ci addentriamo nel
diario, più dolore e verità terribili
incontriamo. Inoltre, Takara ha un’emotività
davvero instabile, capace di cambiare in modo così repentino
da rendere
difficile prevedere le sue mosse. In fondo, però, la
capisco. Non è facile
mantenere i nervi saldi di fronte alla sofferenza di Sephiroth. Deve
fare i
conti con anni e anni di racconti ed esperienze incongruenti con quella
che
sembra la realtà dei fatti e capisco che non sia facile
destreggiarsi in quest’intrigo
mortale.
Ha ragione: devo seguire il suo consiglio ed
essere capace a scendere a compromessi, altrimenti tutto questo viaggio
non
servirà a niente.
Il nuovo luogo che lentamente si sta
svelando, tuttavia, mi fa capire che il mio esame era ben lungi dal
dirsi
cominciato e che il proposito appena formulato sarà di
difficile attuazione.
Avverto un brivido lungo la schiena appena riconosco gli scaffali
impolverati,
il pavimento sconnesso a scacchi neri e la grande scrivania tarlata,
posta alla
fine del lungo corridoio; su cui libri, diari, fascicoli, dispense sono
abbandonati, depredati del loro contenuto. E in fondo, al di
là della scrivania
stracolma di libri, seduto sul fatiscente scranno, rigido e cinereo,
sguardo
allucinato: LUI.
Salve a tutti, signori miei! Come la va
quest’estate un po’ bizzarra? Io mi sono concessa
uno dei miei viaggetti, ma
stavolta sono andata SOLO a Imperia a vedere come se la cavano i nostri
delfini
italiani. Quindi tra un avvistamento e l’altro ho pensato
molto a come
proseguire questa storia e finalmente si va avanti! Siamo quasi alla
scena
clou(d) (BA-DUM CIUM, ndFortiX, mi sto scompisciando dal ridere
-.-‘ ndCloud)che
si scoprirà ancora sul caro Seph? O su Genesis?
Vi lascio un po’ in sospeso
così da
scaldarvi per bene in attesa del KABOOM finale. Eh sì
perché la fine si
appropinqua in fretta e, se da un lato sono contenta, così
potrò dedicarmi ad
altro, dall’altro mi sento un po’ triste ad
abbandonare questa storia che mi ha
consacrato come scrittrice qua su EFP. Ma bando la tristezza (che ce ne
è già
abbastanza) e concentriamoci per le ultime battute. Sì, lo
so che pensavo di
non scrivere più punti di vista di Sephiroth, ma alla fine
non ce la possa fare
e mi vengono fuori così bene che è un peccato non
scriverli. Cambio sempre
idea, uff!!!
Vabbé, è tardi (ma non troppo
per i miei
standard cmq, è solo 00:28 XD) e vi saluto caldamente nel
bel mezzo del
temporale estivo ligure!
Alla prossima!
Besos