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Autore: Nina Ninetta    24/07/2018    3 recensioni
Nina Williams è a Volgograd, Russia, per portare a termine l'ennesima missione che Jin Kazama le ha affidato, ossia uccidere Lukin Novikov: uno dei magnati più influenti del mondo che gestisce un traffico illecito di armi con la Corea, facendo concorrenza alla Mishima Zaibatsu. Il compito sembrerebbe portato a termine dalla killer, quando Sergei Dragunov interferisce per difendere il suo cliente e Nina sarà quindi costretta a vedersela con lui, ma qualcosa va storto e un aiuto giungerà inaspettato.
Terza classificata al contest "Test your might" di _Akimi indetto sul forum di EFP.
Seconda classificata al contest La guerra del Raiting indetto da missredlights sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kazuya Mishima, Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 “La Madre Russia”

 
Le luminarie di Natale avvolgevano l’intera città di Volgograd, rendendola fiabesca. Il fiume Volga rifletteva le tante lucine colorate sulla propria superficie liscia, increspata solo di rado dal vento che soffiava da nord, gelido e tagliente.
Nina Williams si strinse nel suo stesso abbraccio, aveva dimenticato il cappotto nella sala da pranzo del Tsaritsinskaya Sloboda e come se non bastasse l’abito da sera, indossato per l’occasione, era strappato in più punti. Somigliava vagamente a una suicida impazzita tornata dall’Oltremondo per fare un dispetto al fidanzato che l’aveva tradita e portata al folle gesto.
Le strade erano deserte, neanche un veicolo in circolazione, fatta eccezione per i pochissimi taxi fermi sul ciglio della strada. Vuoti. Pensò di scassinarne uno, ma lei non era una ladra, era un’assassina, e seppur fosse riuscita ad aprire lo sportello, come avrebbe fatto a metterla in moto? Eddy Gordo, ecco chi sarebbe stato in grado di aiutarla, ma Eddy era in un altro continente. Anna? Si, forse sua sorella avrebbe saputo come fare per mettere in moto una macchina anche senza chiavi.
Al di là di una vetrina di un negozio di giocattoli un Babbo Natale a misura naturale la salutò con fare robotico, muovendo il grosso bacino a un ritmo che non poteva sentire. Camminò per diversi metri, forse un paio di chilometri, ormai non aveva più tatto alle mani e le gambe si muovevano per inerzia. Senza neanche rendersene conto si ritrovò ai piedi della Statua della Madre Russia, sulla collina di Mamaev Kurgan.
Nina sollevò lo sguardo, incantata dalla bellezza di quell’opera d’arte come le era già successo la prima volta che l’aveva vista, mentre suo padre la teneva per mano. Anna era rimasta in Irlanda a causa dell’influenza e Nina era stata così felice di fare finalmente un viaggio tutta sola con il papà che aveva provato un piacere malsano nel sapere la sua sorellina a letto malata.
Richard le aveva raccontato che quella donna dall’aspetto imponente e la fierezza di una dea, bella, forte e temibile, rappresentava la Russia, la Madre di tutti i russi che esortava a combattere per proteggere la patria. Quindi suo padre l’aveva presa in braccio per farla sentire un po’ meno lontana da una scultura così meravigliosa da sembrare reale. Una giovanissima Nina aveva osservato con occhi meravigliati e adoranti le curve sinuose e abbondanti della statua, le pieghe della veste e del mantello parevano scossi dal vento, mentre nella mano impugnava una spada, pronta a guidare i suoi figli alla difesa della Russia. Il titolo citava “La Madre Patria Chiama”.
In volo verso casa Nina aveva confidato al papà che anche lei voleva diventare bella e vigorosa come la Madre Russia. Richard le aveva lasciato un bacio sui lunghi capelli biondi.
 
La killer allungò una mano per sfiorare il piede della Madre, le dita erano ormai gonfie e quasi paralizzate dal freddo. Improvvisamente si arrestò, guardandosi intorno con circospezione: le era sembrato di udire le note di una delle canzoni preferite di suo padre, ma forse era solo la sua immaginazione a giocarle brutti scherzi. O forse no, in fondo era il 22 dicembre…
Si lasciò scivolare alla base della statua, socchiudendo gli occhi.

 
“Gli angeli delle campagne
cantano "Gloria" al Signor del ciel
e risponde dalle montagne
con questo canto l'eco fedel
Gloria in excelsis Deo”
 
Richard Williams amava il Natale.
Lasciava sempre che fosse Nina a inserire il punteruolo all’abete, spiegando ad Anna – rossa di pianto – che quel compito spettava alla primogenita, semplicemente perché era più alta e arrivava alla punta senza problemi. In realtà era solo grazie al papà che la issava oltre la propria testa, prendendola da sotto le ascelle, se riusciva a piazzare il punteruolo dorato lì sopra.
 
“Gloria in excelsis Deo
Perché mai sì gran fervore
accende il coro celestial
chi è mai il gran vincitore
per questo canto trionfal?
Gloria in excelsis Deo”
 
Richard Williams amava così tanto il Natale che insieme alle sue figlie trascorreva la notte del 24 dicembre per le strade di Dublino, a donare un pasto caldo e una coperta ai tanti senzatetto sparsi per le vie della capitale irlandese. Alla fine regalava alle sue bambine una doppia cioccolata calda nel loro bar preferito.
Richard Williams amava il Natale quasi quanto amasse Nina e Anna, considerandola una festa magica capace di portare buone nuove ai meno fortunati e donare coraggio ai più deboli. Ogni mattina del 25 sedeva intono all’albero addobbato con le proprie figlie e insieme scartavano i doni che Babbo Natale aveva lasciato loro. E ogni anno si rallegravano di sapere che erano state delle brave bambine, ancora una volta.
Adesso Babbo Natale cosa ne penserebbe?
Dovette appisolarsi per qualche minuto, perché un istante prima era accasciata ai piedi della Madre Russia, intirizzita dal freddo, l’attimo dopo al calduccio nella sua bella casa d’infanzia, appena fuori Dublino. Gli addobbi natalizi riempivano tutta la sala da pranzo, le lucine sull’abete brillavano a intermittenza, mentre lei e sua sorella sedevano ai piedi di Richard Williams, intento a suonare al pianoforte le note di un famoso canto di Natale, le parole intonate da egli stesso.
 
“È l'annuncio del Natale:
Scende nel mondo il Salvator!
Grato a chi ci trae dal male
Levi un gioioso canto il cuor
Gloria in excelsis Deo
“Gloria in excelsis Deo
Gloria in excelsis Deo.”
 
Poi un fruscio appena percettibile la destò bruscamente, catapultandola nella realtà ghiacciata di Volgograd. La Madre troneggiava ancora in tutto il suo splendore; nessuna anima vivente nel raggio di metri e metri, eppure lei aveva sentito qualcosa, come il rumore di passi ovattati sulla neve candida. E Nina Williams si fidava dei suoi sensi acuti.
Puntellandosi contro il marmo della statua alle sue spalle si mise in piedi, le gambe dolevano a causa delle bassissime temperature e per tutti i chilometri percorsi, le braccia così rigide che faceva fatica perfino a piegare il gomito. Un’ombra scura si allungò fino a raggiungerla e vide Sergei Dragunov risalire lungo la collina, senza accusare né il gelo né tantomeno lo sforzo di arrampicarsi fin lassù. Si arrestò a qualche passo dall’assassina, studiandola da capo a piedi: il viso cinereo, gli occhi azzurri cerchiati di nero, le labbra spaventosamente violacee, l’abito di velluto strappato in diversi punti lasciava scoperte le gambe da circa metà coscia. Dragunov abbozzò un sorrisetto vittorioso, sfiorandosi la bocca con il pollice destro. Un gesto che lo contraddistingueva, pensò Nina, ricordò di averglielo visto fare spesso durante l’ultimo torneo indetto dalla Mishima Zaibatsu, appena prima di sferrare il colpo finale al suo avversario.
Era questo il suo destino allora? Morire nello stesso Paese di suo padre? Accasciarsi su un manto candido e soffice dove lasciar defluire tutte le sue forze? Morire… come Richard… smettere di soffrire… di provare freddo… di cercare di battere Anna, in tutto. Morire, certo, ma non prima di essersi guadagnata il dovuto riposo.
Nina Williams inspirò a fondo, l’aria ghiacciata sembrò congelarle anche il sangue nelle vene, divaricò le gambe piantandole come meglio poteva nella neve e si portò le braccia in avanti, pronta ad affrontare l’ultimo combattimento. Dalle labbra fuoriuscivano sbuffi di fumo, mentre in lontananza una campana batteva dodici rintocchi. Riprese a nevicare.
Suo padre sarebbe stato fiero di lei.
«Irlandese» sospirò Sergei prendendo anch’egli posizione, «speravo di poter giocare un po’ con te prima di ammazzarti.» Allargò il suo sorriso terrificante. «Non deludi mai» concluse, sferrando il primo pugno.
Nina lo parò non senza sforzo, le braccia erano troppo intorpidite per poterle muovere velocemente, così come gli arti inferiori. Anche ragionare in maniera lucida era diventato difficile, a dirla tutta. Di fatto non fu in grado di prevedere il secondo colpo e con un calcio nello stomaco si ritrovò ai piedi della Madre Russia, di nuovo. Dragunov si inginocchiò al suo canto, mentre lei provava a rimettersi in piedi tossendo. Il freddo e il colpo violento le avevano mozzato il fiato. Sergei le acconciò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, sfuggita al codino.
«Proprio una fine impietosa per uno dei più abili e temuti mercenari in giro per il mondo.»
«Non-non sono più un mercenario. Lavoro alle dipendenze di Jin Kazama.» Nina tossì, cercando di inspirare a fondo.
«Si, l’ho sentito dire» Sergei l’afferrò per il mento costringendola a guardarlo negli occhi: due pozzi neri senza fondo che si riflessero in quelli color del cielo limpido di lei. «Da domani dovrà fare a meno della sua bambinaia. Chissà, magari potrei prendere il tuo posto.»
L’ex soldato russo tornò sull’attenti, indietreggiando di qualche passo, mentre estraeva la pistola dalla tasca interna della divisa.
«Un ultimo desiderio, irlandese?» gliela puntò contro, tenendola con una mano sola, l’altra distesa lunga il corpo.
«Muori!» sputò fra i denti l’assassina, senza mai abbassare lo sguardo dal suo boia e da quel sorriso acre, raggelante.
Il rimbombo dello sparo echeggiò tutt’intorno, coprendo l’ultimo rintocco della cattedrale di Aleksandr Nevskij. Nina Williams provò un dolore acuto, sempre più pungente, partire dalla spalla sinistra fino a espandersi per tutto il corpo. Urlò forte, portandosi la mano destra sulla ferita; oltre le dita il sangue gocciolò nella neve, il rosso vivo contro il bianco puro.
Sergei Dragunov ruzzolò a pochi metri da lei, lo vide annaspare sul terreno nevoso tentando di rimettersi in piedi velocemente, poi un’ombra lo raggiunse e lo issò a diversi centimetri da terra tenendolo per il collo. La killer assottigliò le palpebre per sforzarsi di vedere chi fosse quel combattente tanto abile da tenere a bada il militare russo. Attraverso la nebbia del dolore e dei sensi che stavano venendo meno, le parve di intravedere una figura che somigliava vagamente a quella di Jin.
Ma cosa ci faceva lui a Volgograd?
Chiuse gli occhi, anche l’ultimo barlume di lucidità la stava abbandonando. No, non era Jin Kazama quello, ma suo padre.
Kazuya Mishima.
Quindi il buio.
  
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