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Autore: Ghost Writer TNCS    04/08/2018    3 recensioni
Da quando la sua famiglia è stata uccisa, Tenko ha combattuto ogni giorno, decisa a sopravvivere solo per compiere la sua vendetta. Ma il suo nemico è il Clero, la più potente istituzione del mondo, fondata dagli dei per garantire pace e prosperità a tutti i popoli.
Vessata dal destino, Tenko dovrà affrontare i suoi sbagli, le sue paure così come i suoi nemici, per scoprire che – forse – un modo esiste per distruggere il Clero: svelare le vere origini del loro mondo, Raémia.
Ma dimostrare le menzogne degli dei non sarà facile. Il Clero è pronto a schierare tutte le sue forze per difendere la dottrina, e gli dei stessi non si faranno scrupoli a distruggere chiunque metta in dubbio la loro verità.
La sua è una guerra persa, un suicidio, o peggio. Ma che importa? Quando ti tolgono tutto, non hai più nulla da perdere.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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7. Consapevolezza

Forse era per via della pessima nottata, o forse a causa dello stomaco vuoto, di fatto Tenko ci mise diversi secondi per elaborare le parole del suo interlocutore.

“Siamo gli ultimi superstiti del nostro circo.”

Due settimane prima sarebbe saltata sulla sedia dopo una frase del genere, ma in quel momento era solo… In realtà non lo sapeva nemmeno lei come si sentiva. Avrebbe voluto fargli dozzine di domande, ma non sapeva da quali cominciare.

«Hai preso l’antidoto?» le chiese Zabar. «A quest’ora gli effetti collaterali dovrebbero essere passati.»

Tenko, ancora confusa, si limitò ad annuire.

«Quindi? Come ti senti?»

«Sto… bene. Credo. In realtà è stata una nottata orribile. Fuga a parte, ovviamente.»

«Lo immagino. Hai già mangiato? Posso offrirti qualcosa?»

Lei annuì. Dopo un attimo si rese conto che era il caso di usare le buone maniere: «Grazie. E grazie per avermi aiutato a fuggire.»

«Non potevo lasciarti lì. A proposito, ti ho portato una cosa.» Aprì l’ampio mantello, e a Tenko bastò un’occhiata per capire cosa stesse prendendo.

«La mia frusta» esalò, felice e stupita.

«Non è stato facile recuperarla, ma ho pensato ti sarebbe piaciuto riaverla.»

«Sì. Ti ringrazio» confermò lei rimirandosela tra le mani. In realtà non era una semplice frusta, infatti la corda era intrecciata con un materiale speciale che reagiva alla magia: le bastava infondervi un po’ di energia e la punta si avvolgeva saldamente a qualsiasi cosa. Ne aveva sentito la mancanza.

La demone portò la frusta alla cintura, ma le sue dita non trovarono il consueto laccio, ovviamente: quelli non erano i suoi vestiti.

La figlia dell’oste passò a prendere la loro ordinazione e la demone attese che il suo interlocutore finisse di parlare.

«Come hai fatto?» gli chiese poi. «A diluire la droga e tutto il resto.»

Zabar si guardò un attimo intorno, attento che nessuno li stesse ascoltando. «Beh, io in realtà faccio parte del Clero. Sono un chierico.»

Questa volta il cervello di Tenko reagì in un lampo, e altrettanto fece il suo corpo: sbatté le mani sul tavolo e scattò in piedi, così in fretta da far ribaltare lo sgabello. «Che cosa?!»

«Calmati, non urlare. Adesso ti spiego.»

«Non c’è niente da spiegare!» ribatté lei.

Fece per andare, ma lui la prese per un braccio. «Ti ho salvato la vita! Ascoltami per cinque minuti!»

La demone serrò i pugni. In una qualsiasi altra situazione sarebbe andata via sbattendo la porta, ma lui aveva ragione: senza il suo aiuto sarebbe ancora prigioniera.

Raccolse lo sgabello e tornò a sedersi. «Cinque minuti.»

Zabar annuì. «Cercherò di andare dritto al punto. Quando il Clero ha attaccato la carovana, i miei genitori mi hanno dato il grimorio tramandato nella mia famiglia e mi hanno detto di andare via, di nascondermi. Forse pensavano di poter fermare gli inquisitori, non lo so, comunque hanno deciso di restare con gli altri e di combattere fino alla fine. Quando ho capito che non sarebbero più tornati, mi sono sentito perduto. Ho passato anni per le strade, sfruttando la magia per sopravvivere, e – come immagino avrai fatto anche tu – ho cercato un modo per vendicarmi.»

Fece una pausa per permettere alla figlia dell’oste di servire loro la colazione: latte, pane e una ciotola con piccoli frutti rossi e arancioni.

«Pensavo che nel grimorio ci fosse la risposta» proseguì il demone, «ma non esiste un incantesimo così potente da spazzare via una forza come il Clero. È per questo che sono diventato un chierico: per studiare il Clero dall’interno. Volevo scoprirne i segreti per sfruttarli a mio vantaggio, ma è stato più difficile di quanto pensassi. Ci sono segreti che solo ai grandi sacerdoti è permesso conoscere, e forse nemmeno a loro.»

Tenko finì di inzuppare un pezzo di pane e lo mise in bocca. Sapeva che gli ecclesiastici erano persone discutibili, ma non pensava ci fossero verità custodite così gelosamente.

Zabar mangiò un paio di frutti, poi riprese a parlare: «Una cosa è certa: finché il popolo crederà ciecamente negli dei, il Clero non potrà essere sconfitto. Ho un piano, ma da solo non posso farcela: ho bisogno del tuo aiuto.» La guardò dritto negli occhi. «Mi aiuterai?»

La demone smise di mangiare. Guardò l’uomo davanti a sé, poi la ciotola con il poco latte rimasto. «Io… Io non ti capisco. Come puoi lavorare per quelli che hanno massacrato le nostre famiglie?»

«Ma te l’ho appena spiegato. È l’unico modo.»

Lei scosse il capo. «No! Non è vero. Deve esserci un altro modo. Dobbiamo solo trovare altra gente disposta ad aiutarci. Il mondo è pieno di persone che vogliono combattere il Clero, dobbiamo solo trovarle e unire le forze.»

«Non essere stupida! È impossibile sconfiggere il Clero con le armi.»

Tenko gli lanciò un’occhiataccia. «Pensi di sapere tutto? Ma certo: questo spiega perché ti sei unito al Clero. Sei proprio come loro: pensi di avere la verità in tasca, e chi non ti ascolta è solo un idiota.»

«Non è quello che ho detto» ribatté Zabar cercando di trattenere il disappunto.

«Ma è quello che pensi. Pensi che io sia una stupida. Quando mi hai visto in cella avrai pensato: oh, che fortuna, finalmente ho trovato qualcuno a cui far fare il lavoro sporco. Sai che ti dico? Trovati qualcun altro da comandare a bacchetta.» Si alzò. «I cinque minuti sono finiti. Ti ringrazio per avermi liberata, ma non lavorerò mai più per qualcuno del Clero. Addio.»

Zabar provò a fermarla, ma lei non gli diede ascolto. Si diresse decisa verso l’uscita, varcò la soglia e si allontanò dalla locanda. Girò un angolo, quindi si fermò per controllare che lui non la stesse seguendo. Voleva davvero andarsene? Voleva davvero voltare le spalle all’unica persona in grado di capire il suo dolore?

Era confusa: avrebbe voluto fidarsi di lui, ma non poteva tollerare il fatto che si fosse unito al Clero. Si sentiva un’ingrata, ma ormai sapeva che i chierici sono tutti i uguali. I fatti recenti glielo avevano insegnato fin troppo chiaramente.

Strinse la presa sulla frusta e riprese a camminare. Doveva allontanarsi il prima possibile dalla città: di sicuro le guardie la stavano cercando, e in più voleva mettere più distanza possibile fra lei e Zabar. Non voleva correre il rischio di cambiare idea su di lui.

Il sole aveva già staccato l’orizzonte, quindi le strade erano piuttosto affollate. Non vedeva guardie nei paraggi, ma era meglio affrettarsi a cambiare vestiti. Soprattutto doveva trovare un mantello col cappuccio: per quanto apprezzasse i suoi capelli fucsia, in situazioni come quella erano peggio di un segnale di fumo.

Individuò una bancarella che faceva al caso suo e cominciò a guardare la merce esposta. Non aveva gli abiti succinti a cui era abituata, ma del resto i suoi vecchi top e pantaloncini li aveva realizzati lei stessa partendo da indumenti simili a quelli esposti.

«Ti va uno scambio?» propose alla mercante, una vecchia faunomorfa quasi senza denti. «Posso darti la camicia e i pantaloni in cambio di una camicia, un paio di pantaloni, un mantello, un borsello e un po’ di monete. Ah, e anche un laccio: va bene uno qualsiasi.»

La donna studiò attentamente gli abiti della demone, e alla fine parve interessata. «Posso darti questi e dieci monete di bronzo» propose mostrando alcuni dei suoi pezzi più economici.

«Non mi pigliare per il culo!» imprecò Tenko, ma quasi subito si sforzò di ricomporsi: era inutile sfogare sulla mercante la sua rabbia. «Questi sono vestiti di pregio» disse cercando di usare un tono meno brusco. «Quaranta monete.»

«Trenta monete» propose la faunomorfa, forse intimorita dallo scatto d’ira della sua cliente.

«Trenta monete» concesse la demone.

«Siamo d’accordo. Puoi cambiarti sul retro.»

Tenko non se lo fece ripetere e con grande soddisfazione si liberò degli abiti del priore. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso, ma era la prima volta che poteva indossare una camicia normale senza dover praticare dei buchi per le ali. Questo pensiero le regalò una sensazione strana, un misto di rammarico e sollievo: se il sacerdote avesse deciso di tagliarle le mani, ad esempio, sarebbe stata condannata. Di sicuro però non l’aveva fatto per clemenza: lui voleva solo sfruttarla, e l’amputazione delle mani avrebbe svalutato il suo “strumento”.

Una volta cambiata, la demone prese il borsello e le monete, legò la frusta alla cintura e tirò su il cappuccio. Aveva tenuto la cintura e gli stivali, ma questi ultimi contava di scambiarli con un paio della sua misura in una bottega.

Usò parte dei soldi guadagnati per comprare un lungo pugnale, quindi si diresse verso le mura. Conosceva abbastanza bene quella cittadina, quindi sapeva quali fossero i punti migliori per uscire senza essere vista.

Scelse un edificio a ridosso della cinta muraria: era alto due piani, ma soprattutto c’erano alcune casse che le avrebbero permesso di arrampicarsi senza troppi problemi. Una volta sul tetto controllò rapidamente che non ci fossero guardie per le strade, quindi slacciò la frusta. Con un movimento fluido la fece scattare verso le mura e allo stesso tempo vi infuse un po’ di magia: la punta della corda oltrepassò la barriera di mattoni e vi si agganciò come un uncino. Tenko saltò nel vuoto senza timore, le mani strette alla frusta. Senza smettere di infondervi energia, si arrampicò fino in cima, quindi si calò dalla parte opposta usando lo stesso stratagemma.

Una volta a terra inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni. Ora era davvero libera, libera di andare dove voleva e di cercare vendetta nel modo che riteneva più giusto.

Le venne da chiedersi se il suo zaino era ancora dove l’aveva lasciato. Non ricordava alla perfezione su quale albero l’avesse nascosto, ma più o meno aveva in mente la zona di foresta. Tra l’altro infilarsi tra gli alberi era un buon modo per far perdere le sue tracce, così non ci pensò due volte e si diresse là dove la guidavano i ricordi. Fin da piccola aveva sempre avuto un ottimo senso dell’orientamento e un’ottima memoria visiva – le piaceva pensare che erano le sue abilità da cartografa – per questo non ci mise molto a ritrovare la zona desiderata.

Cominciò a scrutare le chiome degli alberi, ma quasi subito dei rumori la misero in allerta. Forse le guardie l’avevano seguita? Improbabile. Magari erano dei fuorilegge. Non si sentiva pronta ad affrontarli – il suo corpo era ancora provato dalla lunga prigionia – quindi doveva essere pronta a fuggire. Prima però doveva capire dove fossero i nemici.

Di nuovo un rumore di foglie smosse: leggero, ma molto vicino.

Slacciò la frusta e prese il pugnale.

«Vieni fuori. Lo so che sei lì.»

I secondi parvero dilatarsi all’infinito, poi eccolo: non era una persona, bensì un animale simile a un grosso gatto striato. Il predatore si avventò su di lei con gli artigli spiegati, ma Tenko schivò di lato.

L’animale soffiò minaccioso e le sue strisce si accesero di piccole fiamme. Invece di spaventarla, questo strappò alla demone un subdolo sorrisetto: le parti di animali con poteri magici potevano essere vendute a caro prezzo perché venivano usate per realizzare bacchette e altri artefatti. Per giunta quell’esemplare non era ancora adulto: poteva farcela.

«Vieni, avanti» lo stuzzicò. «Ti farò arrosto.»

Il felino scattò e Tenko rispose con la frusta: un colpo deciso dritto sul muso. L’animale guaì di dolore e indietreggiò spaventato. Ma non aveva intenzione di arrendersi.

Il predatore si caricò di energia e scagliò una palla di fuoco. Tenko si gettò di lato e con la frusta lo prese per una zampa. Tirò con forza e l’animale cadde a terra spaventato. Tenko si avventò fulminea sulla sua preda e la pugnalò al costato. Il felino si dibatté per qualche istante, poi esalò l’ultimo respiro e i suoi muscoli smisero di contrarsi.

Vittoriosa, la demone tirò un sospiro di sollievo. Il suo corpo non aveva dimenticato il ritmo della battaglia, e adesso aveva anche un’utile fonte di materie prime: carne, pelliccia, ossa.

Poco dopo trovò anche il suo zaino: era dove lo aveva lasciato, purtroppo però qualche animale aveva pensato di assaggiarlo, lasciando così alcuni fastidiosi buchi. Non poteva ripararlo senza ago e filo, ma doveva arrangiarsi: infilò i resti del felino nello zaino e se lo mise in spalla.

Dunque era pronta a riprendere la sua vita, e nelle stesse condizioni di quando l’aveva interrotta: con pochi soldi, nessuna meta e una perpetua brama di vendetta. Allo stesso tempo però si sentiva profondamente cambiata: ali a parte, ora sapeva che c’era un altro superstite. Forse in futuro avrebbe riconsiderato la sua offerta? In realtà non ne aveva la minima idea: ne aveva passate così tante ultimamente che le risultava difficile anche solo prevedere il giorno seguente.

Mentre era in cella aveva avuto molto tempo per riflettere, e aveva capito che il suo modo di fare non l’avrebbe portata da nessuna parte. Fino a quel momento aveva vissuto alla giornata, sperando che all’improvviso le capitasse un’occasione per distruggere il Clero. Ma quell’occasione poteva non arrivare mai. O, se arrivava, poteva rivelarsi inaccettabile come quella di Zabar. Doveva creare lei stessa quell’occasione.

Guardò un’ultima volta la città dove era stata prigioniera, poi si incamminò nella foresta. Era tempo di mettersi all’opera.


Note dell’autore

Ciao a tutti!

A quanto pare la “rimpatriata” dei superstiti del circo non è andata molto bene. Forse Zabar non ha saputo toccare le corde giuste, e da parte sua Tenko non è mai stata particolarmente aperta verso il prossimo, figuriamoci verso un chierico. Anche se alla fine pure lei è rimasta male per avergli voltato le spalle.

In ogni caso la demone ha deciso di andare per la sua strada, armata solo della sua fedele frusta e di un pugnale. Ha avuto fortuna a riuscire a scappare dalla prigionia, ma non intende più fare affidamento sul caso.

Nel finale sono finalmente riuscito a introdurre un mostro, un elemento piuttosto importante per Raémia. Quello dei mostri è un tema secondario per Eresia, ma forse in futuro avrò modo di approfondirlo (magari in un’altra saga XD).

Come sempre grazie a tutti e a presto! ^.^


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