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Autore: Chiaroscura69    04/08/2018    1 recensioni
Riflessioni cupe, a volte affrante, altre volte apatiche, dettate dal mio malessere
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Connessione.
La parola di oggi è connessione.
Vivere in costante contatto con le altre persone mi porta a raggiungere il limite di sopportazione ogni giorno. Non perchè non mi piacciano le persone, non perchè sia misantropa o sociofobica ma solo perchè sento una connessione.
Nella terminologia comune questo processo è chiamato empatia: ciò che ti fa sentire tutto ciò che provano gli altri.
Per me è una connessione, un rapporto che mi permette di comprendere a fondo il dolore di ciascuno di quelli che mi circonda e sentirmi una piccola stilla di sofferenza del loro cuore.
Fa malissimo.
La connessione con gli altri ti ammorba, ti fa sentire ferita anche se non lo sei, ma, soprattutto, ti fa sentire impotente. Partiamo dal presupposto che io so di non essere abbastanza per il prossimo; non c'è mai stata una volta nella vita in cui qualcuno non me lo abbia fatto notare. Tuttavia sentire con estrema chiarezza il male che assedia l'animo altrui mi fa sentire ancora più piccola, ancora più insignificante.
Mi chiedo: l'amore, l'amicizia e il voler bene in generale non si basano anche sul saper alleviare il dolore?
Forse è per questo che non riesco a legarmi mai troppo a qualcuno, io ''sento'' troppo e agisco troppo poco.
La connessione con il prossimo mi ha sempre causato problemi, chiedetelo a qualsiasi empatico come ci si sente quando durante un litigio si sa di aver ragione ma si sente il dolore dell'altro e non si può fare a meno che arrendersi, e dargliela vinta.
Mi hanno chiamata debole per questo. Mi hanno detto che una vera donna non si fa mettere i piedi in testa pur di non ferire l'altro.
Io dico che c'è una parte di vero in questo, perchè nessuno deve farsi schiacciare, ma, d'altro canto, non posso fare a meno di riconoscermi una grande forza in quel momento.
Quanti di voi, di noi, sono capaci di mettere da parte il proprio dolore per evitarlo al prossimo? Pochi abneganti.
Ma io non parlo di fare il buon samaritano di turno, perchè la bontà si vede nel momento in cui si perdona per il semplice atto del perdono, spesso non per una ragione logica. Io parlo di connessione, di sentire nello stesso momento le medesime emozioni, di capire che se anche l'altro soffre si può raggiungere un compromesso.
E poi mi capita altrettanto spesso di percepire la gioia altrui, e lì si rivela il mio lato oscuro. So che dovremmo essere felici per i nostri familiari, per i nostri amici, per i nostri colleghi, se le cose prendono una svolta positiva e finalmente costoro trovano la propria serenità. Tuttavia la mia vita non mi ha mai fatto un regalo, non mi ha mai donato una stilla di felicità e inevitabilmente non riesco ad essere felice per loro. Mi sembra un'ennesima presa in giro, mi sembra di odiarli, di invidiarli e di disprezzarli, e allora passo all'analisi critica della loro vita, evidenziando tutte le azioni che hanno compiuto che non li rendono degni neanche di un quarto della felicità che hanno ottenuto. Analizzo la mia vita e mi sento male. Mi chiedo che tipo di bilancia usi il karma e mi chiedo se sia ancora il caso di credere nel buddismo, che di fatto non mi ha dato frutti.
Insomma in tutto ciò vorrei con tutta me stessa trovarmi sempre in un angolino di mondo isolato che mi permetta di non ricevere la connessione delle altre anime.
   
 
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