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Autore: alessandroago_94    06/08/2018    11 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo dodici

CAPITOLO DODICI

 

 

 

 

 

 

 

Non ebbi problemi a rincasare.

Seguii Piergiorgio per buona parte del percorso iniziale, e il suo inconfondibile fuoristrada, poi non appena ritrovai l’orientamento feci da me e lasciai che proseguisse verso la sua meta, preferendo seguire strade secondarie. Avrei avuto più modo di stare tranquilla e di riflettere, al di fuori del caos delle strade principali molto trafficate a quell’ora.

Giunsi quindi a casa senza difficoltà, ma il dolore mi colse di nuovo non appena parcheggiai. La casa di mia madre, per l’appunto, mi ricordava mia madre, e sapendo che lei era una delle pochissime persone che mi volevano bene a quel mondo, se non l’unica che mi volesse bene veramente, mi venne di nuovo da piangere, ripensando a quello che le era accaduto. Ma sapevo pure che dovevo essere fiduciosa e forte, e che entro qualche giorno sarebbe tornata a riprendere possesso di quello spazio suo.

Rincasai con la mente molto turbata, ma non feci neppure in tempo a varcare totalmente la soglia che fui investita da un profumo pungente e gradevole; quello delle rose che qualcuno mi aveva fatto recapitare la sera prima, e che con tutto il trambusto delle ultime ore avevo totalmente dimenticato.

Subito, tornarono a frullarmi per la testa tantissimi dubbi, soprattutto a riguardo di chi avesse mai avuto in testa l’idea di farmi un dono del genere. Un vero galantuomo, uno di quelli che, tra i ragazzi che avevo frequentato fino a qualche giorno prima, di certo non c’era.

Appoggiai la mia borsa in cucina, e, come attratta dal magnetismo di quel regalo inatteso, ne approfittai per avvicinarmi al mazzo di fiori, ancora ben tenuto a mollo col gambo in acqua, e avvicinai una rosa bianca alle narici.

Un profumo stupendo mi pervase dalla testa ai piedi; chiunque mi avesse mandato tali bellezze profumate, doveva essere molto esperto di fiori e piante, e conoscerne opportunamente i rispettivi odori, e forse addirittura anche i messaggi che potevano trasmettere, come aveva supposto anche mia madre.

Scossi il capo, leggermente, lasciandomi sfuggire un malinconico sorriso, e raccattai il fogliettino dove c’era scritto il mio nome.

Lo strinsi forte tra le mani, osservando quella piccola opera d’arte. Poi, mi decisi ad andare a farmi una doccia, per poi provare a riposare un po’, siccome quella turbolenta nottata mi aveva lasciato davvero molto sbattuta, e per mezzogiorno dovevo essere perfettamente in forma, sapendo che mi aspettava un pomeriggio di movimento senza sosta. Altroché palestra.

Mentre mi accingevo a salire al piano superiore, però, squillò il campanello.

Non avendo idea di chi potesse trattarsi, mi mossi a ritroso quasi con circospezione, e aprii per uno spiraglio la porta d’ingresso.

“Sono io, Isabella”, disse al di là dell’uscio una voce ben nota, e allora spalancai la porta e mi ritrovai di fronte Piergiorgio.

“Sono venuto a vedere se era andato tutto bene, e se era tutto a posto…”, mi disse, impacciatamente, allargando le sue manine all’altezza del petto.

Gli sorrisi.

“Tutto ok, come può vedere. L’ho seguita, fino ad un certo punto, e non ci sono stati problemi. Ora conosco perfettamente la strada”, lo rassicurai.

“Meglio così”, mi disse, giusto per dire qualcosa, e continuando a restarsene impalato di fronte a me.

“Certo che lei è davvero molto, molto gentile. Si preoccupa troppo per il prossimo”, mi venne spontaneo dirgli, così su due piedi e senza riflettere.

La verità era che Piergiorgio era un signore di cuore, di quelli fatti con uno stampo che poi era andato irrimediabilmente perduto. Dotato di tutta quella galanteria da uomo di una volta, e con un atteggiamento sicuro, ma non pesante per chi lo circondava, era tagliato per essere un grande professionista, e non solo nel suo mestiere, ma anche nella vita.

Che fosse vero che gli anni insegnano?

“Sai, è il minimo che posso fare. Vedere la gente che soffre per qualcosa non mi fa stare bene”, disse, saggiamente, ma un po’ in modo impacciato.

“Prego, io ancora non le ho chiesto se vuole ristorarsi un po’… mi perdoni, sono un po’ confusa, come può immaginare. Venga dentro, le offro qualcosina da bere”, aggiunsi poi con cortesia, facendogli spazio per entrare in casa.

“Oh, no, no, grazie, carissima! Sono a posto così. Poi ho fretta, sai, anche io devo riposare un po’… questa sera devo tornare all’ospedale, immagini come vanno le cose lì…”, si scusò, e gli credetti.

“Lei lavora decisamente troppo”.

Rise.

“Hai ragione… alla mia età dovrei starmene a riposo a godermi la pensione, vero? Ma non è la vita che fa per me, quella”.

“Non intendevo dirle questo. Lei è ancora giovane”, mi venne di nuovo da replicare.

“Ah, magari lo fossi, mia cara e giovane amica! Ma ora devo proprio andare. Ci vediamo”, si congedò, con un radioso sorriso a illuminargli il volto.

“Sicuro. A presto”.

Stavo per chiudere la porta, quando lo sentii tossicchiare.

“Isabella?”.

“Sì?”.

Riaprii la porta.

“Scusa, perdonami se insisto. Comunque, questa sera, se vuoi, durante l’orario delle visite posso darti uno strappo dalla mamma…”.

“E per tornare indietro?”, tornai a chiedergli, ma quasi arrossii davanti al suo imbarazzo.

Piergiorgio era come perduto, risucchiato in un attimo di eterna agitazione, ed era lui che cercava, in quel momento, di non scorgere tracce di dubbio nei miei occhi.

“Ti riporto di nuovo io”, rispose, dopo un attimo di esitazione, “non è un problema. Tanto, devo portare a casa una cosa che non può restare in ospedale fino a domattina”.

“Se ci tiene tanto, a me va bene”, acconsentii, anche se non seppi perché. Mi venne proprio naturale e spontaneo farlo, forse solo per il fatto che vedevo quanto impegno ci stava mettendo quel pover uomo. Ma perché, poi…?.

“Ma non vorrei essere un disturbo o un problema. Sa, io dovrei uscire da lavoro alle venti, ma la signora mi concederà di certo un permesso per uscire un’ora prima, ora che comunque recupererò quando tornerà tutto alla normalità. Quindi…”.

Non riuscii a dire altro, allargando io le mani, quella volta. Potevo solo ipotizzare, e siccome avevo previsto che sarebbe toccato solo a me il dover affrontare il viaggetto serale, non avevo ancora pensato e preparato un possibile scenario concreto.

“Questo è il mio numero di cellulare. Se hai bisogno di comunicarmi qualcosa, telefona pure, senza farti problemi. Altrimenti restiamo d’accordo che alle diciannove sono davanti a L’angolo della bontà, ad attenderti. Va bene?”, mi chiese, allungandomi un foglietto su cui c’era scritta la sequenza numerica che componeva il suo numero di telefono.

“Va bene. E grazie… che altro potrei dirle?”.

“Niente, siamo a posto così. A questa sera”.

E se ne andò, lasciandomi lì così, sulla mia porta di casa, come imbambolata, a fissare la sua sagoma che, immersa nella luce del sole mattutino, si muoveva verso il suo fuoristrada.

 

Arrivare alle undici e mezzo fu quasi un’inclemenza verso me stessa. Se avevo previsto di riposare un po’, e di dedicare qualche ora al relax, ebbene, presi un granchio, quasi nel senso più letterale dell’espressione, siccome non riuscii a chiudere un occhio e rimasi sdraiata sul mio letto quasi in ipertensione.

Riuscii solo a farmi una doccia e poi a telefonare a Irene, quando proprio non ne potei più, e le raccontai tutto quello che mi era accaduto dopo l’ultima volta che ci eravamo sentite.

Le narrai tutta la vicenda riguardante il mio ex, e quello che era accaduto a mia madre, oltre che la mia situazione di stress fortissimo… nascosi solo la storia riguardante le rose che avevo ricevuto da un anonimo, e tutto quello che riguardava Piergiorgio. Non volevo parlare a nessuno di quell’uomo, non sapevo il motivo di questa mia scelta inconscia, ma sentivo che la fortuna di avere un supporto così importante e deciso doveva restare solo per me.

Rischiavo altrimenti di creare unicamente delle futili ed inutili incomprensioni.

Chiacchierammo per oltre un’ora, e alla fine avevo la gola arida e dolorante, dal tanto che avevo parlato. La mia amica mi lasciò sfogare, poi mi promise una cosa; che ci saremmo riviste molto presto. Oh, e anche che avrebbe giurato guerra a Marco.

La spronai leggermente a non pensare neppure a una cosa del genere, ma Irene era da sempre stata inamovibile, testarda e cocciuta, e sapevo alla perfezione che non diceva mai nulla a vanvera. Mi disse anche che avrebbe trovato un modo originale per tirarmi su il morale, ed ancora non detti troppo peso a quelle parole, siccome sembrava che ormai il morale non me lo potesse più tirare su neanche un muletto.

La lasciai solo quando giunse il momento di cominciare a prepararmi, per affrontare il mio calvario lavorativo, quello a cui avevo sempre agognato. E mentre mi vestivo adeguatamente, come la signora Virginia gradiva, mi veniva continuamente da chiedermi chi me lo facesse fare, e se davvero non ci fosse qualcosa che stessi sbagliando in modo clamoroso, nella mia vita. Ma mi sembrava solo di ripercorrere le orme lasciate nel mio cuore e nella mia mente da Marco, e quella mossa desideravo davvero evitarla.

Quindi, annichilii la mia interiorità, e mi preparai al lavoro.

 

Giunsi puntualissima, a L’angolo della bontà, spaccando il minuto.

Non appena varcai la soglia del locale, avvolta dal sole rovente dell’esterno, fui accolta da una Virginia molto commossa, che lasciò in attesa un paio di clienti, pur di venirmi incontro ed abbracciarmi con calore.

“Isabella cara, ti avevo detto di prenderti tutto il tempo che volevi, e che non c’era problema!”, quasi mi rimproverò, spupazzandomi, mentre io, dal canto mio, me ne restavo quasi di sasso, di fronte a quella reazione passionale che non mi aspettavo proprio da quella signora che, evidentemente, riservava delle sorprese, nei momenti problematici.

“Lo so, la ringrazio tantissimo per questo, signora. Ma non volevo approfittarne, e poi mia madre ora è in buonissime mani e se la sta cavando, quindi… meglio per me venire qui, così posso darmi un po’ da fare”, le dissi, semplicemente, e con sincerità.

“Oh, meglio così, allora! Ben tornata, e… beh, sai bene cosa devi fare, quindi… buon lavoro!”.

E così dicendo, si allontanò da me e tornò alla cassa, presso la quale ormai stazionavano vari clienti il fila, tutti concentrati a guardare noi due, durante il nostro breve contatto.

Diedi così il cambio a Sabrina, e cominciai a darmi da fare, senza pietà, riuscendo per l’ennesima volta in quella giornata a mettere al tappeto la mia coscienza e i pensieri che mi stavano perseguitando senza sosta.

 

Più tardi, quando la situazione si fece più tranquilla, contrattai con la signora e mi fu concesso senza problemi il permesso di non svolgere le solite otto ore di contratto, ma solo sette. L’ottava l’avrei recuperata quando tutto avrebbe ripreso ad andare meglio, e contavo che ciò potesse accadere molto presto.

Così, alle diciannove riuscii a svignarmela, e ancora stanca e sudaticcia, uscii in strada, dopo essermi congedata con la dovuta cortesia dalla disponibilissima e gentile Virginia, che mi augurò tante belle cose. Addirittura, fu troppo melensa per i miei gusti.

Non appena però uscii dal locale, mi ritrovai subito di fronte il profilo inconfondibile del fuoristrada di Piergiorgio, che mi stava attendendo come promesso proprio lì davanti, e all’inizio mi prese un accidente, quasi, siccome ci misi un attimo a riconnettere tutto quanto.

Sbadata, come sempre.

Il galantuomo mi aprì lo sportello allungandosi dall’interno.

“Prego, accomodati pure”, disse, con grande cortesia.

Lo accontentai, e quasi balzai dentro.

“Grazie. Devo ancora abituarmi a queste macchine rialzate… mi sembrano bolidi. Altroché la mia”, borbottai simpaticamente, allacciandomi la cintura, dopo aver richiuso subito lo sportello.

Piergiorgio ingranò la marcia e partì.

Mi rivolse poi un caldo sorriso.

“Forse ho esagerato, ma sai, mi trovo bene con questo fuoristrada”.

“No, non ha esagerato, sono io che sono piuttosto imbranata a riguardo di auto e guida”, replicai, dicendo una grande verità. Il mio interlocutore si lasciò sfuggire una cortese risata, che non aveva nulla di derisorio.

“Non dire così. Sei una persona tosta, si vede da lontano. Poi, certo, ci sono cose per cui una persona è più portata, mentre per altre si è di meno… è naturale”.

“Lo so. Comunque, non mi sottovaluto così tanto, dai”.

“So anche questo. Altrimenti non avresti fatto tutta questa strada nel…”.

Piergiorgio s’interruppe, come se gli si fosse andato improvvisamente di traverso qualcosa.

Mi volsi a guardarlo, smettendo di fissare il paesaggio che scorreva al di là del finestrino abbassato, e con una leggera preoccupazione, constatando che non aveva segni tangibili di qualcosa d’imprecisato, lo punzecchiai.

“Nel…?”.

“Nel… nel mondo, certo”, borbottò, a quel punto molto serio, e senza guardarmi. Un leggero rossore gli imporporò la parte superiore delle gote.

“Sa, è bello aver fatto così tanta strada nel mondo da essere relegata a servire ai tavoli di un comunissimo locale, per circa otto ore al giorno”, gli feci notare, incuriosita dal suo strano comportamento, e chiedendomi cosa realmente avesse voluto dirmi, prima di lasciar perdere e di stopparsi con malagrazia.

Piergiorgio, udendo quelle parole, tornò di nuovo alla normalità, e sorrise, sempre al cospetto dei miei occhi indagatori, che non volevano lasciare il suo viso, anche al costo di poter apparire scortese.

“E’ pur sempre qualcosa. Pensa a chi non ha niente. Ce n’è di gente che la crisi, e non solo, l’ha resa indigente”.

“Ah, ok. Grazie per la considerazione”, dissi, a metà tra l’ironico e il serio, continuando a punzecchiarlo dolcemente.

“Ma non fare così, dai… tu sei una ragazza con la testa sulle spalle. Hai superato la separazione dal tuo ragazzo storico con un coraggio da eroina, e anche adesso ti stai comportando molto maturamente, nonostante le avversità della vita”, mi rincuorò.

Scossi la testa.

“Lo sa bene che non sono di metallo, o di pietra. Ha visto anche lei questa mattina, no?”.

Piergiorgio sbuffò piano.

2Non siamo statue, Isabella. Siamo umani. Ed ho visto umani fare scenate tremende per cose molto più futili degli eventi che stai vivendo tu in questo periodo”.

Scelsi di non aggiungere altro. Restammo in silenzio fino all’arrivo in ospedale, ma di tanto in tanto sentivo i suoi occhi su di me, per qualche secondo, quando era certo che io non lo stessi osservando.

 

Entrai in ospedale al fianco del mio accompagnatore, e con lui giunsi al cospetto di mia madre, che mi accolse molto serenamente.

“Piccola! Come stai?”, mi disse non appena mi scorse, dandomi solo il tempo per sorriderle.

“Mah, sai, in realtà starebbe bene che te la rivolgessi io, questa domanda”, mi venne spontaneo a dirle, senza smettere di sorridere, “ma ti rassicuro; io sto benone. Tu?”.

“Bene anch’io. E… ancora un paio di giorni, poi torno a casa”, mi disse, timidamente.

Si mise poi a sedere sul suo lettino.

“Certo. Poi riprendiamo le nostre solite discussioni, va bene?”, le dissi, con un vano e imbarazzante tentativo di farla sorridere. Ero tesa, non sapevo bene che altro aggiungere.

Piergiorgio, come sempre, fu puntuale nel suo intervento, salvandomi dal silenzio, e facendo capolino alle mie spalle.

“Dottore! C’è anche lei?”, allungò poi il collo mia madre, scorgendo anche lui.

“Sì, ci sono anche io. In borghese, come può vedere, ma ci sono”, rispose, non abbandonando la sua sottile dose di piacevole e accomodante ironia, ed accennando ai suoi vestiti, non coperti dal camice bianco. La sua camicia blu a maniche lunghe, leggermente arrotolate fino ai gomiti, e i suoi calzoni neri, uniti a scarpe di pelle altrettanto nere, lo rendevano ciò che c’era di più dissimile dal candore naturale di un medico, così a prima vista e senza ulteriori considerazioni.

“Tutto bene, signora?”, chiese poi, sempre a suo agio con mia madre.

“Tutto meravigliosamente a posto”.

“Lei sì che è una paziente che mi piace! Mi complimento, sul serio”, aggiunse lui, e a quel punto quasi mi sentivo una presenza in più.

Il dialogo tra medico e paziente stava venendo così spontaneo che continuava a mostrarmi quanto quello fosse il lavoro giusto per il mio accompagnatore. Una professione per la quale era davvero portato. Ma che anche l’esperienza avesse influito in tutto ciò? Probabilmente sì, eppure capivo che non sarei mai stata una grande persona come Piergiorgio.

Lui aveva qualcosa di speciale addosso, era come se avesse un’aura in grado di far calmare chiunque se lo trovasse di fronte… era una sorta di sole, un astro del cielo, che brillava su tutto e contro tutto. Nonostante l’apparenza insignificante, era un uomo straordinario, e lo si vedeva sempre da come si comportava.

“Isa”.

Mia madre tornò improvvisamente a reclamare la mia attenzione.

“Sì?”.

“Se il dottore deve visitarmi, potresti uscire…”.

“Ma no, signora! Sono in borghese, dir si voglia. Io riprendo il turno tra un paio d’ore, siccome sostituisco un collega che è andato in ferie”, precisò il medico, mentre io volevo far chiarezza su tutto.

“Mamma, il signore mi ha accompagnato fin qui. È stato molto gentile, non approfittarne”.

Io e lei ci scambiammo uno sguardo pregno di significati che non potevo conoscere fino a fondo. Chissà cosa stava frullando per la sua mente, dopo che avevo vuotato il sacco.

“Isa, non voglio che tu venga di nuovo qui. Ci vediamo il giorno in cui mi passerai a prendermi”, mi disse, all’improvviso, sorprendendomi.

Divenni improvvisamente di una serietà profonda, quasi triste e mortificata.

“Non lo dico perché non mi facciano piacere le tue visite, o per il fatto che ti reputi un’imbranata, cose che sono ben lungi dalla mia mente. Però, ecco, a me farebbe piacere, siccome non sono in punta di morte, che tu dedicassi un po’ più di tempo alla tua vita da ragazza giovane come sei”, volle aggiungere, notando la mia reazione immediata alle sue parole di poco prima.

Abbassai comunque lo sguardo, con un atteggiamento remissivo e ferito.

“Non importa. Sto dedicando fin troppo tempo alla mia vita, e… comunque, tu fai parte di essa”, riuscii a dirle, con un tono di voce mogio e basso.

“Va bene, ma non è questo il senso del discorso. Vorrei che tu dedicassi un po’ più di tempo all’uscire, al stare con i tuoi coetanei, cose così, insomma”.

“Ma…”.

“Non dire altro, figlia mia. Ti conosco, e per favore, non parliamone più! Ti prego di rispettare la mia volontà”.

Sospirò, prima di tornare ad aggiungere altro, mentre sembrava che una patina gelida fosse scesa su noi due.

“Sei andata al lavoro, oggi?”, mi chiese, più affabilmente.

“Sì”, mi limitai a risponderle brevemente, senza aggiungere altro.

Il fatto di essere stata umiliata in quel modo davanti a Piergiorgio, e per di più durante una visita, mi aveva davvero sconcertato, e mi sembrava un colpo basso. Ma il dottore, che era ancora lì con noi e che non era intervenuto durante la nostra brevissima ma significativa conversazione, pareva disposto a non lasciare che quella situazione gelida e inattesa persistesse.

“Sì, ha finito il suo turno poco fa, prima che l’accompagnassi qui”, volle infatti aggiungere alla mia scarna risposta.

“La ringrazio, dottore. È molto gentile da parte sua avere così a cuore mia figlia”, rispose mia madre, tranquillamente.

“Si figuri, per me è un piacere. È una ragazza squisita”.

Ci scambiammo un’occhiata, quella volta io e lui; mi fissò con quel suo sguardo profondo, eppure insondabile, una sorta di rebus racchiuso al di là di quella schermata che i suoi occhi formavano nel complesso. Mi sorrideva, come sempre bonario, ma quella volta scorsi una smorfietta che sembrava volermi suggerire di non prendermela con mia madre, e che stavo sbagliando a prendermela così.

Capii che in fondo era vero, siccome la mia genitrice stava, in realtà, solo pensando a me stessa. Era disposta a sacrificare l’unica visita quotidiana che avesse potuto sperare di ricevere solo per far sì che io potessi starmene calma e tranquilla a vivere la mia vita… ed io, allora, mi sentii così tanto spaesata da non sapere più cos’altro andare a pensare.

“Mia figlia è molto buona, dottore. Lo è fin troppo”, disse improvvisamente mia madre, dopo qualche istante di silenzio.

Poi, mi sorrise anche lei, e sostenni il suo sguardo fin quando allungò una mano verso di me, ed io potei stringerla con forza tra le mie, rivolgendole a mia volta un sorriso sincero. La breve crisi che c’era stata tra di noi era già tutta acqua passata.

“Me ne rendo conto. È davvero una brava figliola”, disse il medico, probabilmente notando con piacere che non c’era più tensione tra noi due.

“Grazie, Isa, per volermi così tanto bene. Ora, però, vorrei riposare, e il tempo riservato alle visite sta per esaurirsi, quindi… ti saluto, e ti auguro una buona serata e una buona nottata. Ci vediamo tra un paio di giorni, quando torno, ok?”.

Trattenni il fiato, sempre di più, mentre la mamma concludeva il suo breve discorsetto.

“Va bene… se è questo il tuo volere”, riuscii a dire.

“Lo è. E adesso, mia buonissima figlia, vieni qui che ti voglio dare un bacio sulla fronte”.

Mi chinai per farmi baciare dalla mamma, e le lasciai la mano.

“Lasciami un attimo sola con il dottore, poi vai a riposare. Ti vedo tanto stanca, e non voglio che tu sia così giù di morale. Riposa e prenditi più tempo per te”, tornò a dirmi, e sapevo che era giunto il momento del congedo.

La salutai solamente con un cenno del capo, ma le donai anche un sorrisetto stentato, il migliore che in quel momento potessi sfornare, sentendomi quasi su un’altalena di sentimenti contrastanti che dentro di me si agitavano ed erano in subbuglio.

Tornai nell’ampio corridoio dell’ospedale comprendendo le ragioni materne, ma allo stesso tempo respingendole… ma lasciai che Piergiorgio restasse solo con lei, con l’ultimo membro della famiglia che mi era rimasto. Non volevo più cercare di far pressione o di contraddirla, assolutamente, non era mia intenzione creare altre tensioni inutili in quel momento.

Mi fermai a bighellonare sull’ingresso del reparto di cardiologia, osservando le infermiere che, come loro solito, gironzolavano con i carrellini o andavano a sbirciare nelle varie camere, mentre altri visitatori come me continuavano ad arrivare o ad andarsene, tutti indaffarati e sovrappensiero.

Era vero, in fondo quello non era proprio un posto adatto a me. Continuava a mettermi ansia, ad agitarmi e a spaventarmi con tutta quella freddezza abitudinaria che sembrava trasparire da tutto e da tutti… o forse era solamente una mia impressione, e mi stavo solo lasciando suggestionare.

Da lì a qualche minuto, per fortuna, Piergiorgio abbandonò il cospetto di mia madre, ed uscì anch’egli in corridoio, tutto tranquillo, e la sua vista mi strappò da quel tumulto che avevo in testa.

“Allora?”, gli chiesi, andandogli incontro.

Ero molto curiosa, non lo potevo negare; anzi, sarei stata anche disposta a dar qualcosa in cambio di conoscere quello che i due si erano detti mentre io ero stata abilmente allontanata.

“Abbi pazienza, cara amica. Non turbare troppo tua madre; lei pensa anche a te, e tanto, e non vuole saperti triste per questa faccenda, che si risolverà a breve. Presto sarete di nuovo pronte per tornare alla normalità, quindi non pensarci più e cerca di rispettare i suoi desideri”, mi rispose, candidamente, allargando le braccia.

“Va bene, farò senz’altro così”, risposi a mia volta, ancora piuttosto scoraggiata e demotivata.

“Non prendertela, sai che ha le migliori intenzioni”, mi redarguì il mio saggio e maturo interlocutore.

“Certo”.

“Torniamo a casa, che dici?”.

“Non c’è problema, andiamo pure”, mi decisi, lasciando tutto così com’era. Ero pronta a seguire i consigli della malata e le sue volontà, nonostante tutto, anche se questo mi avrebbe fatto leggermente soffrire. Ma il pensiero che ben presto tutto sarebbe tornato alla normalità mi rincuorava.

Mentre trotterellavo con Piergiorgio a fianco verso l’uscita della struttura, ringraziai tacitamente il Cielo per avermi messo a fianco e fatto casualmente conoscere un uomo come lui, esperto e capace, che mi stava facendo da guida in quel mondo che, nella mia ancor giovanile inesperienza, non conoscevo affatto, e in cui rischiavo per tal motivo d’incespicare. In quel momento di bisogno e di necessità, si stava rivelando un faro per me.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Grazie ancora, a tutti voi ^^

   
 
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