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Autore: Nereisi    10/08/2018    4 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note autrice: Ce l’ho fatta, finalmente. Chiedo scusa a tutti per i due mesi di vuoto, ma non è stato proprio un vuoto totale… Chi mi segue sugli altri profili ormai saprà che mi occupo anche della gestione di altre due pagine autore e che traduco fanfiction dall’inglese all’italiano. Questo mese è stato molto proficuo in quell’ambito, quindi non vedevo l’ora di tornare a postare anche qui. Ormai mi sono arresa: il proposito di avere 10 capitoli pronti è stato cestinato. Non è da me, non è nelle mie corde. Mi dispiace davvero tanto.
Questo capitolo è molto importante per me. La scena finale è stata la primissima scena che mi sia mai immaginata di questa fanfiction, ciò che ha dato vita a Barefoot. Per questo motivo ero super ansiosa di scriverlo… ma più mi avvicinavo al momento fatidico e più mi impanicavo. Avevo paura che non fosse all’altezza delle mie (e delle vostre) aspettative. A questo proposito, un ringraziamento speciale a Yuki Kiryukan, che è venuta a trovarmi e ha passato le nottate a discutere con me della trama, riempiendo un paio di buchi e facendo nascere qualche sorpresa… Ma lo vedrete più avanti. Anche in questo momento è di fianco a me mentre scrivo e ha praticamente betato il capitolo. Mi ha obbligato a stare piegata sulla tastiera e  s c r i v e r e. Grazie anche ai suoi sforzi e alla sua testardaggine il capitolo è riuscito a uscire ora.
Vi lascio alla lettura, sono davvero ansiosa di sapere cosa ne pensate!

 
 
Barefoot
- Stomping -



 
 
“Mana… Il mio nome è Mana.” 

La ragazza fu contenta di essersi appoggiata sul cuscino, perché non appena l’ultima sillaba uscì dalle sue labbra due pesi le si lanciarono addosso.
“Mana-nee!” Esclamarono Nird e Nafar. “Grazie… Grazie per averci salvato!” Disse il fratello con le lentiggini, le lacrime agli occhi. Lei sorrise, accarezzandogli la testa. “Tranquillo, non c’è di che.”

“Mana? Che nome strano!” Si intromise il ragazzo, ridendo senza un pensiero al mondo.
“Non insultare la signorina, cavernicolo!” Berciò un ragazzo biondo più indietro. Mana lo studiò. Sebbene ancora non riuscisse ad inquadrare tutte le persone nella stanza, lui era l’unico che le era totalmente sconosciuto.
“Nessuna offesa, me lo dicono spesso.” Sorrise pacatamente Mana, facendo mettere a sedere i due bambini per non averceli costantemente premuti addosso. “Però sarebbe cortese che mi ricambiaste il favore dicendomi chi siete voi.”

Il ragazzino si sbatté il pugno sulla mano, come se gli avesse appena spiegato uno dei dogmi dell’universo. “Oh! Hai ragione, scusa.” Si scusò ridacchiando. Mana fece scorrere velocemente gli occhi intorno alla stanza. Nessuno sembrava volesse fare gli onori di casa, lasciando quel lavoro al moro. Che fosse lui il capitano?
Aspetta un momento.
Una ciurma pirata con un capitano giovanissimo, apparentemente e probabilmente stupido e fin troppo spensierato… Mana impallidì. “Tu-“

“Sono Monkey D. Luffy, l’uomo che diventerà il re dei pirati!” Sorrise con la potenza di mille soli. “Benvenuta sulla Thousand Sunny, Mana.”
Il mondo la avvolse in una cortina di ovatta. Sorrise nervosamente, cercando di non dar loro nulla per cui insospettirsi. Si diede della stupida. Come aveva potuto dimenticare una ciurma del genere con delle facce così particolari? E soprattutto come aveva potuto non riconoscere il viso del ragazzo che infestava il sonno di ogni soldato della marina militare?

Mana deglutì, abbassando lo sguardo. Era sulla nave di una delle ciurme di pirati più forti dell’intera Grand Line, quella più rinomata per attirare sia disastri che miracoli ovunque andasse e quella che era diventata famosa per aver dichiarato guerra al mondo intero per salvare una loro compagna e per aver distrutto un membro della Flotta dei Sette – fermando una guerra civile tra l’altro – solo per fare un favore alla loro amica.
Strinse i pugni. Doveva andarsene di lì il prima possibile.

Un dito la punzecchiò sul braccio. Mana alzò lo sguardo, confusa. Trovò gli occhi larghi di Luffy a pochi centimetri di distanza dai suoi e sussultò per la sorpresa, stringendo le lenzuola a sé. “Beh?” Chiese lui, fissandola. Mana, interdetta, spostò lo sguardo sugli altri occupanti della stanza. Alcuni si erano coperti il viso in segno di rassegnazione, altri sembravano irritati, altri ancora sorridevano.
“Eh?” Chiese infine.
“Ti ho chiesto se vuoi entrare nella mia ciurma!” Sentenziò il ragazzino. “Allora?”
Mana lo guardò spaesata. Si sentì la lingua ricoperta di sabbia, improvvisamente tentennante. “Allora?!” La incalzò nuovamente il moro. Mana si riscosse. “No!” Gracchiò

“Tsk!” Monkey D. Luffy fece schioccare la lingua con fare irritato, gonfiando le guance come un bambino capriccioso. Incrociò le braccia e le diede le spalle. Mana vide con la coda dell’occhio alcune persone tirare un sospiro di sollievo. Chopper le porse con gentilezza un bicchiere d’acqua per farla finalmente bere – era veramente una creaturina dolce e gentile. Mana lo afferrò, grata, bevendole lunghi sorsi. Le sembrò di rinascere. Da quant’era che non beveva?
“Sto ricevendo troppi no ultimamente!” Fece Luffy tra l’offeso e il pensieroso. “Io sono il capitano e io decido chi entra!”
“In che senso Luffy? Chi hai invitato ultimamente?” Disse con un pizzico di timore nella voce un ragazzo dalla pelle scura e il naso lungo. Doveva essere Sogeking. “Non stai parlando delle gambe di Kin’emon, giusto?”
Le gambe?!
Mana cercò di nascondere la sua espressione smarrita dietro il vetro del bicchiere, imponendosi di non fare domande.
“Mh… No.” Borbottò il giovane.

“Chi hai invitato Luffy?!” Fece la rossa- Nami, palesemente irritata. “Spero nessuno di losco o pericoloso! Ha rifiutato vero? Ah, beh, se avesse detto di sì ce lo saremmo già ritrovati sulla nave.” Gli lanciò un’occhiataccia, il dubbio dipinto sul viso. “… Non ci sono degli sconosciuti pericolosi nascosti a bordo… Vero?” Chiese con un tono che prometteva dolore in caso di risposta affermativa.
“Non c’è nessun’altro a bordo!” Si spazientì il ragazzo. “E comunque mi ha detto di no. Anzi, ha anche cercato di colpirmi per averglielo proposto.” Borbottò gonfiando le guance.
“Oh. Meno male.” Disse la Gatta Ladra, sollevata.
Il cecchino si passò una mano sulla fronte, l’animo alleggerito. “Già! Beh, Luffy? A chi avevi chiesto di unirsi alla ciurma? Al drago?” Scherzò.
Luffy scosse la testa. “A Smokey!” Disse con un largo sorriso.
Mana si strozzò con l’acqua che stava bevendo. Cercò di resistere e deglutire per non sputarla in maniera teatrale, anche se vista la situazione ci sarebbe stato bene. Alzò gli occhi. La stanza sembrava essersi congelata in un istante di terrore e incredulità. Persino il Cacciatore di Pirati, Zoro, stava guardando il suo capitano come se si fosse bevuto definitivamente il cervello.

La prima a spezzare il silenzio fu Nico Robin, che si mise a ridere elegantemente sotto la mano. Come se l’incantesimo si fosse sciolto, la stanza esplose in una cacofonia di urla isteriche, generate per la maggior parte da Nami e Sogeking.
“Ma sei impazzito?!” Berciò la navigatrice. “Quello è un viceammiraglio della Marina! Ci dà la caccia sin da Logue Town, ci ha quasi presi un paio di volte!”
“Luffy, avevi detto nessuno di pericoloso! O spaventoso! Com’è che invece lui rientra in tutte e due le categorie?” Esalò il cecchino, terrorizzato. Mana represse un sorriso. Le espressioni di quel ragazzo la facevano morire.
“Avrei preferito il drago.” Borbottò Chopper, scosso.

“Smokey non è spaventoso. È forte e mi piace!” Luffy sparò un sorriso tutto denti. “In realtà è da quando l’ho incontrato per la prima volta che volevo chiederglielo ma tra una cosa e l’altra mi sono ricordato solo a Punk Hazard. Abbiamo fatto una gara per vedere chi arrivava prima alla stanza di Ceasar, sapete? Io ho corso così forte da incendiare il pavimento.” Disse orgogliosamente. “Smokey invece ha barato con quel suo potere fumoso. Allora mi sono ricordato che è forte. E gliel’ho chiesto. Ma lui non mi ha risposto e mi ha guardato strano. All’ora gliel’ho chiesto di nuovo ma ha cercato di ficcarmi il suo bastone nell’orecchio. O forse voleva trapassarmi la testa, non sono sicuro.” E rise. Mana non poté fare a meno di sorridere.
“Voleva trapassarti?!” Esclamò Nird, intimorito.

“Direi che questa non sia una conversazione adatta a dei bambini!” Esclamò nervosamente Sogeking. “Nird, Nafar; che ne dite se vi facciamo vedere il nostro sottomarino?” Disse guardando in direzione del cyborg.
“Avete un sottomarino?” Chiesero i due bambini, estasiati.
“E non solo quello!” Gonfiò il petto il cyborg. Allungò le mani enormi verso il letto permettendo ai due bambini di salirci sopra. Sogeking tenne la porta aperta per farlo passare, poi se la richiuse alle spalle.
La stanza si acquietò improvvisamente. Mana prese un lungo sorso dal bicchiere, cercando di calmarsi. Ora che i piccoli erano usciti era il momento delle domande.

“Allora,” Iniziò tentativamente Nami.
Mana abbassò il bicchiere, alzando lo sguardo fermo e piantando gli occhi dritti sul viso della Gatta Ladra. “Allora.”
Monkey D. Luffy si lasciò cadere di peso sul letto. “Allora!” Esclamò, rimbalzando sul letto. Aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e un’ignoranza totale della tensione che si era appena formata nell’infermeria. “Tu chi sei?” Chiese, incrociando le gambe sopra le lenzuola. “Perché hai salvato Nird e Nafar? Non che sia una cosa brutta – anzi, grazie! E poi, come hai fatto a saltare così in alto? Solo Sanji riesce a saltare così! Ah, e quelli della CP. Tu non sei una della CP vero?” Snocciolò molleggiandosi su e giù sul letto. La rossa si sbatté una mano in faccia. L’atmosfera seria se n’era andata.
Mana cercò di reggersi sul materasso. “I-io-“ Balbettò, confusa e sballottata. Non aveva mai sofferto di mal di mare ma essere scossi in quel modo appena dopo essersi svegliati da un coma non era la migliore delle cose.

Black Leg colpì il proprio capitano sulla testa con il tacco della scarpa. “Stai fermo, cretino.” Luffy si fermò ma non smise di fissarla.
La navigatrice tossicchiò. “Beh, sì, insomma… Più o meno volevamo sapere quello.” Borbottò cercando di darsi un tono. “Gradiremmo sapere le informazioni in tuo possesso.”
Mana si schiarì la gola, sentendola grattare dolorosamente. Non sapeva cosa dire- quanto dire. Guardò Monkey D. Luffy negli occhi e una tenue speranza iniziò a germogliare dentro lei. Il ragazzo le sorrise, un sorriso brillante e trasparente.

“Mi chiamo Mana, ma questo ve l’ho già detto.” Iniziò. “Come probabilmente avrete capito, sono a conoscenza dei rapimenti che stanno avvenendo in questi mari. Sto cercando di sventarli, per questo ho salvato quei due bambini.” Abbassò lo sguardo. “In realtà… Loro sono i primi due che io sia riuscita a recuperare prima che succedesse l’irreparabile.”
La rossa si avvicinò al letto, gli occhi attenti. “E cosa sarebbe questo irreparabile? Cosa c’entra la Marina in tutto questo?”
Mana alzò lo sguardo, scrutandola seriamente. “La Marina militare non è del tutto coinvolta in questa faccenda. Quelli al corrente di questi traffici sono pochissimi. Diciamo che fanno parte di una sezione della Marina di cui le altre non sono a conoscenza. Al di fuori del Mare Occidentale probabilmente nessuno sa della sua esistenza.”
Nami annuì. “Non hai risposto alla mia domanda però. Perché la Marina ha rapito quei bambini? Cosa vogliono fargli?”
Mana sospirò. Abbassò lo sguardo, rigirandosi fra le mani il bicchiere ormai vuoto. Restò in silenzio per un po’, fissando le goccioline che correvano sul fondo di vetro. Strinse le labbra in una linea sottile.
Si rimise dritta, porgendo il bicchiere vuoto a Chopper. La piccola renna lo afferrò dopo un attimo di sorpresa.

“Li arruolano. Con la forza.” Disse infine. Luffy inclinò la testa. “Come faceva mio nonno?”
Mana si costrinse a non imitarlo. “Garp l’Eroe, giusto? Non so cosa ti facesse, ma non penso sia la stessa cosa.”
“Potresti spiegarti meglio, per favore?” Si intromise lo scheletro gigante- Soul King.
“Non c’è nulla da spiegare, mi sembra abbastanza chiaro.” Rispose lei, tagliente. “La Marina deve fronteggiare una generazione di pirati mai vista prima. I quattro imperatori, le supernove e altre decine e decine di ciurme emergenti. Senza contare i pesci piccoli. Un soldato medio non riesce a tenere testa a tutto questo. La loro soluzione è stata creare un reparto semisegreto nel quale le reclute venissero addestrate in maniera… speciale. Il risultato sarebbe un esercito di soldati molto più forti di quelli normali. L’addestramento però è logorante a livelli estremi e i volontari sono pochi. Hanno ovviato a questa situazione procurandosi le loro nuove reclute tramite dei rapimenti. Per poter addestrare le nuove leve da zero, per tutta la loro vita.”

Black Leg aggrottò le sopracciglia. “… Non era per niente ovvio. Perdonami se te lo chiedo, ma tu come fai a sapere tutto questo?”
“Ero una delle nuove reclute. Di quelle prese con la forza, ovviamente.” Rispose. La sua voce non vacillò mentre lo diceva.
“... Sei stata prigioniera?” Riformulò Luffy.
“Sì. Per… due anni, più o meno.” Sotto lo sguardo inquisitore di Nico Robin, aggiunse: “Dopo un po’ ho perso il conto dei mesi… Mi sono rimessa in pari con gli avvenimenti recenti rubando qualche giornale.” Sotto le lenzuola, Mana arricciò le dita dei piedi. “Sono riuscita a scappare e da allora sono sulle tracce dei rapimenti. Volevo fermarli in qualche modo, ma da sola non potevo fare molto. Dopo mesi sono riuscita a trovare un’isola dove avvenivano fin troppe sparizioni senza che queste venissero riportate sui giornali. Ci ho messo un po’ ad arrivare, ma avevo ragione. Namea è una delle isole in combutta con questa… sezione della Marina. Gli forniscono di continuo carne fresca; in cambio, la Marina non prende i figli degli isolani. È per questo che Namea è diventato un paradiso turistico per tutte le fasce sociali. Devono attirare sempre nuove persone sull’isola, nuove famiglie.” Sputò con rabbia. “Più sono poveri e meglio è: nessuno darà loro attenzione quando protesteranno per la scomparsa dei loro figli.”

“Ma è oltraggioso!” Esclamò lo scheletro gigante, indignato. “Avevo pensato fosse un luogo stupendo quando invece è una vile trappola per gli indifesi!”
Mana sospirò con fare sarcastico. “Mi sarebbe piaciuto saperlo prima. Era a Namea che mi avevano catturata, molto tempo fa.”
La Gatta Ladra prese tra le braccia Chopper, sedendosi sulla sedia con lui in grembo. Nico Robin si avvicinò, rimanendo però in piedi. “Come hai fatto a sapere del rapimento?” Chiese la donna. “Li portano a termine con una frequenza precisa?”
Mana scosse la testa. “In realtà è stata pura fortuna. Ero arrivata a Namea da poco più di due settimane quando ho sentito per caso una conversazione al lumacofono che ordinava un nuovo carico di reclute. Non so quanto spesso rapiscano… Ma d’altronde se lo facessero troppo spesso, gente povera o meno, prima o poi finirebbe tutto sui giornali. E non credo proprio sia nel loro interesse essere notati.”

“Se la Marina ti ha fatto tutte queste cose, non dovresti odiarli? Perché hai chiesto a Luffy di non dire niente ai bambini? Penso che sia un loro diritto sapere chi ha tentato di rapirli.” Chiese la navigatrice.
Mana strinse i pugni. “… Glielo avete detto?” Nami scosse la testa senza levarle gli occhi di dosso. Mana sospirò, chiudendo gli occhi. Li riaprì. “Certo che li odio. Ma loro, non la Marina.” Disse infine. “Forse dal punto di vista di pirati e di chi ha subito soprusi da loro in passato i marines sono i ‘cattivi’- sì, so chi siete e conosco la vostra storia.” Disse guardando specialmente Nami e Nico Robin. “Ma dal punto di vista della gente comune i ‘buoni’ sono i marines, non il contrario. So che voi siete l’eccezione alla regola, ma non voglio che quei bambini perdano ogni tipo di fiducia verso la Marina. Non voglio che perdano la speranza.” Si passò la mano sul braccio, cercando di scaldarsi. Stare ferma fuori dalle lenzuola le stava facendo prendere freddo. “Se a quei bambini venisse detto che i loro eroi, coloro che dovrebbero proteggerli, sono in realtà chi ha cercato di fargli del male… A chi dovrebbero rivolgersi poi?” Guardò negli occhi Luffy. “Io so che la maggior parte della Marina è composto da brave persone, gente a cui verrebbero i capelli bianchi se scoprisse di questa ‘sezione segreta’.”

Ronoroa Zoro si staccò dal muro sul quale era appoggiato. “Oh beh, noi ne conosciamo di sicuro qualcuno. Vero, Luffy?” Disse, facendo un mezzo sorriso.
Luffy inclinò per mezzo secondo la testa, prima di illuminarsi. “Coby!”
Mana strabuzzò gli occhi. “Conoscete il capitano Coby?”
Luffy sparò un sorriso tutto denti. “Certo, è mio amic- CAPITANO?” Berciò, interrompendosi.
“Non ci posso credere… Il piccolo Coby, un capitano!” Gli fece eco Ronoroa, impressionato.
Nami si passò una mano sul viso. “Avrebbe dovuto restare un segreto… Ugh, lasciamo perdere.” Lasciò cadere le spalle, sconfitta. “Ehi tu… Mana, giusto?” La apostrofò. “Ce la fai ad alzarti? Vieni, ti presto dei vestiti.” Disse alzandosi e appoggiando la piccola renna sulla sedia.

Mana abbassò lo sguardo, notando di avere addosso una vestaglia. Scoprì anche di essere piacevolmente pulita e profumata, cosa che non accadeva da… Beh, da tempo. Arrossì. Dovevano averla lavata mentre era incosciente. Questo significava…
Mana si oscurò in viso. Mosse le gambe sotto il lenzuolo, e sentì che il tessuto scorreva sulla pelle nuda. Strinse le labbra, cercando di non dare a vedere la sua irritazione.

Chopper si divincolò, preoccupato. “Si è appena svegliata… Dovrebbe essere ancora troppo debole per alzar-“ La piccola renna si zittì quando vide la propria paziente levarsi il lenzuolo di dosso e scendere dal letto, mettendosi in piedi senza problemi.
Mana – ignorando la mano offertale da Sanji come supporto – fece un paio di passi. Aggrottò la fronte, facendo una smorfia con la bocca. Cos’era quella sensazione fastidiosa?
Fece un paio di passi verso la navigatrice. Sentì tirare fastidiosamente la pelle dell’interno coscia sinistro ed esitò, confusa. C’era molta gente nella stanza quindi non poteva certo alzarsi la gonna della vestaglia per controllare – come avrebbe volentieri fatto – ma il panico aveva cominciato ad attorcigliarsi intorno alle sue budella. Cosa le era successo?
“Ah, cerca di fare piano! Potresti tirarti i punti!” Esclamò il dottore.

Mana sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. “Quali punti?” Chiese, tesa.
“Giusto, eri incosciente…” Mormorò Chopper. Mana gli piantò gli occhi addosso, aspettando che continuasse. “Ricordi di essere stata colpita mentre scappavi con Nird e Nafar?” Chiese la renna. Mana aggrottò la fronte, annuendo. Prima ancora che Chopper continuasse a parlare, però, intuì improvvisamente la risposta e sbiancò. “Ho dovuto estrarre il proiettile dalla coscia. Hai perso molto sangue ma fortunatamente non ha intaccato né l’osso né l’arteria femorale. Ho dovuto richiuderti ma non preoccuparti, sono solo cinque punt-“

Mana si piegò improvvisamente in avanti, respirando affannosamente. Incurante degli sguardi di tutti, si alzò la vestaglia senza troppe cerimonie, allargando la gamba sinistra verso l’esterno. Ci furono varie esclamazioni di sorpresa e imbarazzo, si sentì il suono di un corpo che cadeva per terra- A Mana non importava. Inspirò violentemente quando vide che la garza copriva anche un po’ del tatuaggio che le decorava la gamba. Con dita tremanti, ignorando le ammonizioni della piccola renna, la ragazza sollevò la medicazione per osservare la cucitura sottostante.

La ferita – e quella che sarebbe poi diventata la sua unica cicatrice su entrambe le sue gambe – era pericolosamente vicina alle volute di inchiostro che le marchiavano la pelle, ma non si sovrapponevano ad esse. Non appena lo vide, Mana rilasciò un enorme respiro che quasi le svuotò del tutto i polmoni e si accasciò per terra, le gambe che non la reggevano più. Era riuscita a riappiccicare al proprio posto la garza. Non che servisse a molto.
La vestaglia tornò a coprirle le cosce, fluttuando leggermente mentre lo faceva. Sapeva di aver dato spettacolo – poteva sentire gli occhi di tutti fissi su di lei, ma non aveva le energie per preoccuparsene. Il breve e intenso spavento che si era presa le aveva prosciugato le poche energie che era riuscita a recuperare con il sonno e il mondo era diventato di nuovo ovattato nella sua testa. Registrò a malapena la voce di Chopper che intimava a tutti di uscire dall’infermeria, Nami che le parlava concitatamente o Luffy che la scuoteva per le spalle senza un minimo di tatto.

Le troppe emozioni di quei pochi minuti unite all’ansia e all’annebbiamento causato dai farmaci reclamarono il loro costo. Mana, dopo mesi di rigore emotivo, sentì delle lacrime calde solcarle le guance.

Dopo mesi di solitudine, pianse.
 
 
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Nami sospirò, chiudendo l’anta del proprio armadio. Fissò il legno, assorta nei propri pensieri. Ponderò accuratamente la possibilità di sbatterci ripetutamente la testa, nella speranza di alleviare quel pesante senso di disagio che le si era adagiato sul cervello come una vecchia coperta pruriginosa. Quasi si convinse, tirando indietro il collo; per poi rassegnarsi, limitandosi ad appoggiare la fronte. Ci diede comunque un piccolo colpo con la testa, dopodiché si girò, lasciandosi scivolare fino a sedersi a terra.

“Non credevo ti tormentassi così tanto per la nostra affascinante sconosciuta.” Fece una voce dall’inconfondibile tono ironico. Nami appoggiò la guancia sulla spalla, guardando Robin entrare nella stanza con la coda dell’occhio.
“Non mi sto tormentando.” Borbottò. Non ci credeva neppure lei. “Solo, non mi piace l’atmosfera che si è creata a bordo.”
L’archeologa si sedette sul proprio letto, accavallando elegantemente le gambe. “Sono dello stesso parere. Non è delle più piacevoli.”
 

Dopo la crisi di pianto del giorno prima, la nuova arrivata si era chiusa nel quasi più totale silenzio. Le uniche eccezioni al suo mutismo erano Nird e Nafar – con i quali parlava tranquillamente – e Luffy. Nami sbuffò al pensiero. Il loro capitano era talmente egocentrico che c’era solo da aspettarsi la sua rabbia quando veniva ignorato; questa volta non era stata un’eccezione. Con la sua imprevedibilità non gli era difficile piombare sul malcapitato di punto in bianco e prenderlo alla sprovvista. Anche Mana si era fatta levare il tappeto da sotto i piedi dal ragazzo in più di un’occasione, rispondendogli di riflesso e impiegandoci una manciata di secondi prima di capire cosa stava effettivamente succedendo. Una volta che se ne rendeva conto stringeva le labbra, guardava in basso e si limitava ad ascoltarlo senza rispondergli, aspettando che se ne andasse per la noia. Era da due giorni che andava avanti quella storia e l’intera ciurma non sapeva che pesci pigliare. Specialmente Sanji era col morale a terra per la questione, dal momento che non poteva nemmeno tentare di avvicinarsi all’affascinante fanciulla.

Inizialmente lo avevano preso solamente come l’effetto dell’imbarazzo – si era praticamente spogliata davanti a un gruppo di sconosciuti per poi si era lasciata andare alle lacrime, dopotutto – e probabilmente quel determinato fattore aveva giocato una parte importante nel suo successivo isolamento. Tuttavia, la faccenda poteva non essere così semplice. Nami ripensò a quando aveva guidato Mana nella cabina sua e di Robin per prestarle dei vestiti: nonostante si stesse ancora asciugando le lacrime e quindi l’episodio fosse molto recente, la giovane non aveva avuto comunque problemi a parlare con loro. Certo, il rossore le permeava le guance. Certo, era comunque imbarazzata. Ma questo non aveva impedito alle due donne di averci una breve conversazione.
Forse era successo qualcosa dopo il loro scambio? Nami si sentiva di escludere quella possibilità: nessuno dei suoi compagni le aveva riportato nulla di insolito, men che meno una conversazione con la loro nuova ospite.

Nami ripensò ai vestiti che le aveva fornito, una semplice maglietta a mezze maniche e una leggera gonna bianca lunga fino al ginocchio. Sapeva che faceva parecchio caldo, tuttavia aveva scelto quei vestiti tenendo a mente le peculiari condizioni della ragazza. La maglietta copriva perfettamente tutte le cicatrici e i tatuaggi che le ricoprivano la schiena. La gonna era di Robin ed era l’indumento più adatto che erano riuscite a trovare: a causa dei punti non potevano farle indossare nulla di stretto; la gonna ovviava a quel problema, essendo larga, e si sperava non le avrebbe fatto soffrire troppo il caldo.

Non erano riuscite, però, a farle indossare delle scarpe. Per quanto avessero (gentilmente) insistito, la ragazza non ne aveva voluto sapere, rifiutando senza fornire un motivo. Forse era sempre stata abituata così, avevano ipotizzato. Aveva dei piedi esili e magri, ma quando l’avevano lavata avevano notato dei calli ben costruiti e in quei due giorni non aveva avuto la benché minima esitazione a marciare con fare irrequieto per tutta la pancia della Sunny. Chopper le aveva vietato espressamente di uscire sul ponte: oltre a fare un caldo tremendo quel particolare tratto di mare era sventagliato da continui e potenti venti – bollenti anch’essi, sia mai che la Grand Line risparmiasse loro delle tribolazioni – e aveva reputato la sua paziente ancora troppo debole per dirsi completamente uscita dalla convalescenza. La piccola renna era stata irremovibile su questa decisione e la ragazza – nonostante il silenzio e l’orrore negli occhi – aveva abbassato la testa, onorando il volere del medico.

Da quel momento in poi, la ragazza aveva girato per la nave come una tigre in gabbia. Preferiva stare da sola, ignara degli occhi di Robin che la seguivano in ogni anfratto della Sunny – era un’estranea nella loro casa, dopotutto. Gli altri membri della ciurma riuscivano a vederla solamente ai pasti; per il resto era come una presenza fantasma all’interno del brigantino. A volte qualcuno giurava di aver visto lo svolazzare di qualche ciocca candida girando un angolo ma, eccezion fatta per l’archeologa, nessuno poteva mai esserne sicuro.
 
Robin la riscosse dai suoi pensieri offrendole una mano per aiutarla ad alzarsi. “Dai, è ora di pranzo. Andiamo a mangiare.” Nami sorrise, grata per la quieta presenza della donna. Era il tipo di persona matura con cui potevi condividere un silenzio senza renderlo disagevole. Era spesso lei a riportarla alla realtà quando si perdeva nella propria testa.

La ragazza accettò la mano, alzandosi con un’espressione decisa. Avrebbero rivisto Mana tra pochi minuti, a tavola. Doveva trovare il modo per parlarci faccia a faccia, senza il resto della ciurma tra i piedi. Magari Robin avrebbe potuto aiutarla con le sue abilità. Sarebbero arrivati all’isola nativa di Nird e Nafar tra poche ore e qualcosa le diceva che la loro ospite non vedeva l’ora di svignarsela dalla loro nave. Doveva assolutamente trovare un modo per farla restare a bordo prima del pomeriggio. Aveva troppe domande da farle per lasciarsela scappare senza fare nulla. Al resto della ciurma era piaciuta per la sua bellezza, per la sua forza, per la sua aura di mistero. A lei incuriosiva ciò che il resto dei suoi compagni ancora non sapeva: la mappa di cicatrici e tatuaggi che le ricoprivano la schiena; e l’evidente ed enorme segreto che portava con sé.

Se le cose stavano davvero come Mana aveva raccontato – i rapimenti, la “sezione oscura” della marina, un esercito da addestrare per affrontare i nemici più potenti - allora la sua fuga propizia era probabilmente una bugia. Un reparto segreto come quello che aveva descritto la ragazza necessitava di un controllo ferreo; e una ragazzina sola non poteva certo sperare di sfuggirvi con le proprie forze. Aveva convenientemente omesso dalla sua storia svariati particolari che Nami  sospettava essere incredibilmente importanti per avere finalmente un quadro completo della questione.

Robin le aprì con scherzosa galanteria la porta, come se avesse perfettamente capito le sue intenzioni e la sua risolutezza e volesse farle strada. Il che non era  poi così difficile da immaginare, più di qualche volta avevano sospettato delle doti da telepate dell’archeologa. Nami le passò di fianco, sparandole un ghigno felino mentre marciava verso la cambusa.
Era ora di avere delle risposte.
 
 
 
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Mana osservò da sotto le ciglia il resto del tavolo.
Nonostante l’atmosfera disagevole che si creava ogni volta che dovevano mangiare insieme, i Mugiwara non si erano mai fatti problemi per ingozzarsi, ad ogni pasto, come se non vedessero cibo da tre giorni. Gli impacciati buchi di conversazione derivanti la sua silenziosa presenza venivano spesso riempiti dai versi animaleschi dei componenti maschili della ciurma- eccezion fatta per il cuoco, Black Leg Sanji, che esibiva sempre un bon ton tipico di un ristorante di alta classe. Sembrava che il biondo e le due donne fossero l’unico esempio di civiltà a bordo.

Anche a Mana erano state insegnate le buone maniere, grazie mille. Non saranno state sofisticate come quelle di uno chef a cinque stelle ma erano abbastanza per distanziarsi da quel gruppo di cafoni. Allungò la forchetta verso la terrina di fronte a lei, mirando ad una succulenta polpetta. Il suo utensile si scontrò con quello di Sogek- Usopp, che aveva adocchiato la stessa preda. Il ragazzo batté immediatamente in ritirata, scusandosi in maniera esagerata. Mana riuscì a mantenere un’espressione neutra grazie ad uno stoicismo invidiabile, ma dentro di sé si stava pisciando sotto dalle risate. Concentrati, dannazione.

Aveva riflettuto molto se chiedere o meno di farsi portare i pasti in infermeria e mangiare da sola, ma poi aveva deciso di non farlo. Aveva visto quanto alacremente Sanji si era spezzato la schiena sui fornelli e quanto il suo viso si fosse illuminato vedendola mangiare. Non era così insensibile da negargli quella soddisfazione, in fondo non le costava nulla. Perciò, si era seduta a tavola e aveva accettato quello che le veniva offerto, senza dire una parola. E stava già tirando la corda.
Era molto meglio apparire distante e fredda piuttosto che legare con quella ciurma più di quanto avesse già fatto. Per quanto in realtà volesse conoscerli meglio, per quanto ad ogni canzone, racconto o frase casuale scambiata a tavola tendesse le orecchie non poteva permettersi di mostrarsi interessata a loro. Avrebbe giovato sia a lei che a loro, sul lungo termine. Per questo motivo, si era decisa a godere passivamente della loro compagnia solo durante i pasti, partecipando a quei momenti solo come ospite; un’ospite estranea e temporanea.

Temporanea. Si ripeté, infilzando la polpetta e portandola sul suo piatto. Doveva escogitare un piano per scendere da quella nave prima di subito e allontanarsi quanto più possibile da quella ciurma guerrafondaia. La reclusione all’interno della nave la stava lentamente portando alla pazzia. Odiava i posti chiusi con ogni fibra del suo essere; adorava sentire costantemente il vento sulla faccia, la libertà sulla sua pelle. Per quanto la Sunny fosse più che accogliente la reclusione forzata le riportava alla mente ricordi sgraditi, di pietra fredda e metallo che le mordeva la carne, di buio umido e aria ferrosa.
Mana calò la forchetta sul centro della polpetta, separandola in due con più forza del necessario. L’urto della posata sulla ceramica del piatto fu rumoroso e più di qualche sguardo guizzò verso di lei, ma non se ne curò. Non sarebbe mai riuscita a liberarsi dagli incubi e dai suoi ricordi, ma non significava che dovessero per forza riaffiorare in ogni momento di debolezza.

Infilzò una metà, portandosela alle labbra e masticando con gusto. Era sublime. Abbassò di nuovo il braccio sul tavolo. Il suo sguardo venne catturato dai bracciali che le adornavano entrambi i polsi. La ancoravano alla realtà, ricordandole costantemente che non poteva fuggire da quelle che ormai erano parti di lei. Poteva sentire le loro presenze muoversi sotto la sua pelle, ognuna più o meno ostile delle altre, ingabbiate nel suo corpo, tenute a bada non per loro volontà. Quei bracciali la tenevano insieme, impedendo ai suoi cocci di sparpagliarsi come un gesso che tiene insieme un osso rotto. Ne sfiorò uno con la punta delle dita, lasciandosi andare ad un’ondata di affetto e nostalgia.

Persa nei propri ricordi com’era, Mana si accorse di Nami solo quando la navigatrice si era ormai seduta di fianco a lei. Mana si irrigidì ma cercò di fare finta di niente, girando la testa dalla parte opposta con movimenti impercettibili.
Nami  scoccò una veloce occhiata a Robin. L’archeologa le fece un sorriso d’intesa, senza farsi notare dagli altri. Se avessero visto che stavano parlando l’attenzione si sarebbe completamente spostata su di loro, mettendo sotto pressione Mana, col rischio di farla chiudere di nuovo a guscio. Robin si spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio mentre accettava serafica l’ennesimo ortaggio offertole da un Franky bello alticcio. Nami poteva benissimo cavarsela da sola. Era la navigatrice degli StrawHats, dopotutto.
 
“Allora!” Cinguettò innocentemente Nami. Mana cercò di scivolare un po’ più in là. Nami le si avvicinò ancora di più. “Ci stavamo chiedendo tutti quanti quali sarebbero i tuoi piani, una volta accompagnati Nird e Nafar a casa.”
Mana cercò di mantenere la calma. Il suo cervello urlava ‘Scendere da questa nave e andarmene senza guardarmi indietro!’, ma non poteva dirlo per ovvi motivi. Continuò a evitare lo sguardo dell’altra ragazza e si mise a fissare con apatia il proprio piatto. Metà polpetta la fissò di rimando.
“Sai, anche noi stiamo facendo delle indagini per quanto riguarda i rapimenti.” Insistette Nami, alzando un pochino la voce. “Credo che sia un argomento di mutuo interesse.” Lo sguardo di Mana saettò verso l’altro capo del tavolo, dove Nird e Nafar ridevano a crepapelle guardando le maniere rozze dei pirati. Fortunatamente erano troppo distanti per riuscire a sentire quello che stava dicendo la navigatrice.

Suo malgrado, Mana girò impercettibilmente la testa di lato. Nami aveva ragione, quello era un argomento che le interessava parecchio. Inoltre, aveva il vago sospetto che se avesse continuato a ignorarla la rossa non si sarebbe fatta problemi ad alzare la voce fino a farsi sentire dai bambini.
Nami sorrise, vittoriosa. “Le informazioni che ci hai dato sono molto preziose.” Disse, parlando con tono cospiratorio. “Ma credo di essere in possesso di qualcosa che farebbe molto comodo anche a te.” Mana inarcò un sopracciglio. Si girò completamente verso la rossa, puntellando il gomito sul tavolo e appoggiando il mento sul dorso delle dita; un chiaro invito a continuare a parlare. Nami ghignò.

“Quanto potrebbero esserti utili dei documenti ufficiali con tanto di data e luogo di sparizione dei bambini?”

Mana deglutì.
 
 
 
 

Cazzo.
Mana sbatté con più forza del dovuto la pianta del piede sul pavimento di legno del corridoio. A forza di camminare rabbiosamente per la nave aveva già digerito, anche se l’ansia e i pensieri negativi minacciavano di farle rimettere quel pranzo esagerato. Ormai aveva capito che Sanji non sapeva cosa fosse la moderazione quando cucinava.
Svoltò per l’ennesima volta un angolo, noncurante della possibilità di perdersi. In quei pochi giorni aveva girato la Thousand Sunny così tante volte che avrebbero potuto nominarla membro onorario della ciurma per quanto la conosceva bene. Abbassò la testa per evitare una capocciata contro una lampada e riprese la sua marcia furiosa.
Merda. Lo sto facendo davvero. Merda!

“Perché a me? Perché proprio loro?!” Borbottò tra sé e sé. “Io una ciurma volevo evitare. Una! Che cazzo! Io e la mia fortuna- Ma che mi è saltato in mente?” Sibilò esasperata. “Ma sì, vado per mare da sola, cosa mai potrebbe capitare? Basta che mi faccia i cazzi miei… Magari!” Finì di percorrere anche quel corridoio, trovandosi davanti una parete. Senza nemmeno fermarsi fece dietro-front, piroettando sulla punta del piede e ricominciando a vagare senza meta per la nave.
Mai come prima di quel momento Mana aveva bramato così disperatamente la sensazione del vento sulla pelle. Camminare era sicuramente utile a sfogare un po’ della frustrazione, ma il non poter uscire la faceva sentire come una tigre in gabbia.

Aveva accettato. E come avrebbe potuto non farlo? Ma era colpa sua e della sua impulsività se era arrivata a quel punto. Si era tirata la zappa sui piedi da sola nel momento in cui aveva deciso di partire senza un minimo di preparazione preliminare. Nami era intelligente. Molto intelligente. Aveva capito benissimo che stava girando senza una vera e propria pista, che non aveva nulla di concreto in mano per raggiungere il suo obiettivo. Era come se avesse sventolato una succulenta bistecca davanti ad un leone affamato. Solo che Mana non si sentiva per niente un leone, ma più un pesce preso all’amo.
La luce del sole che passava attraverso un vetro la accecò per un momento. Mana si fermò davanti all’oblò, lo sguardo basso. Forse non tutto il male vien per nuocere, pensò. Potrebbe addirittura essere liberatorio, sotto certi aspetti. Il riflesso dei bracciali le attirò lo sguardo. Mana li fissò, pensierosa.

Un’ombra le carezzò il viso. Mana alzò la testa. Una nuvola di passaggio aveva addolcito i raggi del sole, permettendole di guardare il cielo. La ragazza socchiuse gli occhi, provando sollievo.

La voce stridula di Usopp si levò alta dalla coffa. “Terra in vista!”

La nuvola sparì dal suo campo visivo e fu sostituita da un’altra, più grande.

Mana girò sui tacchi e marciò verso il ponte, un’espressione calma in viso. Aveva preso la sua decisione.
 
 
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“E quindi.” Fece Black Leg esalando una boccata di fumo. “Ho sentito che viaggerai con noi per un po’.”
Mana si strinse nelle spalle. “Già.”
“Dev’essere un sollievo mettere finalmente il naso fuori da sottocoperta.” Disse retoricamente il cuoco. “È la nostra casa, ma capisco che può essere soffocante alle volte.”
La ragazza annuì, giocando distrattamente con il tessuto della gonna. “Visto che siamo entrati nella sfera climatica dell’isola la temperatura è calata di molto.” Mormorò. “Chopper ha detto che senza quelle folate bollenti posso uscire sul ponte senza problemi.” Che situazione imbarazzante.

Mana si era quasi dimenticata del comportamento scostante che aveva avuto nei confronti della ciurma nei giorni passati, ma uscire sul ponte con la maggior parte di loro che la guardavano incerti sul da farsi le aveva risbattuto tutto in faccia. Il prendere le distanze avrebbe avuto senso se poi se ne fosse andata. Ora che aveva deciso di rimanere a bordo l’unico risultato ottenuto era di sembrare una stronza ingrata che non voleva avere nulla a che fare con loro. Che figura di merda.

Ovviamente c’erano delle eccezioni, una su tutti Nami, che non si disturbava a nascondere il suo sorriso mefistofelico e che continuava a lanciarle spudoratamente delle occhiate. La Gatta Ladra si era dimostrata degna del suo nome; così come la sua compagna di complotti. Mana era pronta a scommetterci le mutande (non sue) che Nico Robin aveva partecipato a quel ricatto travestito da scambio equo. L’archeologa non si disturbava nemmeno a guardarla, si limitava a stare lì con quel suo eterno sorriso irritante senza dire una parola.

Luffy era un’eccezione in tutto quello che faceva, e ormai Mana aveva smesso di stupirsi. Era più che certa che il capitano dei Mugiwara non avesse capito un emerito cazzo di tutto quello che era successo, visto come le era saltellato intorno. Ad essere sinceri, non aveva mai smesso di farlo per tutti i giorni passati, nonostante la ritrosia di Mana ad avere contatti con la ciurma. A Ronoroa non era fregato niente prima e non gliene fregava niente nemmeno in quel momento, a giudicare dalla concentrazione che stava mettendo nel suo allenamento con i pesi.

“Qual è il tuo piatto preferito?”
Mana si riscosse dalla stasi in cui era scivolata. “Come scusa?”
Black Leg prese la sigaretta dalle labbra, forse per scandire meglio. “Il tuo piatto preferito. Qual è? Visto che viaggerai con noi per un po’ non posso essere impreparato.”
Mana lo guardò con gli occhi sgranati. Il cuoco non era girato verso di lei, probabilmente per non metterla a disagio. Quella dimostrazione di cortesia la fece vergognare ancora di più. Non sentiva di meritarsi quel tipo di gentilezza.
“Carbonara.” Mormorò, incurvandosi e desiderando di scomparire.

Sanji si voltò verso di lei con un sorriso speranzoso. “Davvero?” Esclamò con gli occhi (l’occhio?) che gli brillavano. Mana si irrigidì, guardando con orrore il suo interlocutore aprire la bocca, pronto a vomitare un fiume di parole e domande; ma fortunatamente fu salvata da degli ingenui Nird e Nafar. I bambini le si buttarono addosso in lacrime, aggrappandosi alla gonna con dita magre ma forti.
Mana si inginocchiò per abbracciarli, facendo attenzione a non far tirare i punti.

Non si vergognò quando la vista le si appannò a causa delle lacrime a stento trattenute.
 
 
 
 
La Mini Merry – così l’avevano chiamata Usopp e Franky – si allontanava sempre di più, e con essa Nird e Nafar. Avevano passato poco tempo insieme, ma uno dei punti deboli di Mana era che si affezionava velocemente alle persone: per questo motivo stringeva forte il parapetto fra le dita, sporgendosi sempre di più un poco alla volta per cercare di vedere i visi dei fratellini più a lungo possibile. Si era sciolta i capelli per nascondere la sua espressione, sicuramente imbarazzante. Non aveva motivo per piangere. Era un lieto fine, no? Stavano tornando a casa dai loro genitori. Il loro papà. La loro mamma.
Mana si morse il labbro per evitare di singhiozzare, tenendo lo sguardo puntato sui voluminosi ricci di Usopp, l’unica cosa che riusciva ancora a notare chiaramente da quella distanza.

“Ehi.” La apostrofò Luffy. Il giovane capitano stava seduto a gambe incrociate sulla polena, evidentemente il suo posto preferito sulla nave. Mana alzò la testa verso di lui. Gli occhi di ossidiana la fissavano da sopra la spalla, limpidi e chiari. “Vuoi vederli meglio?”.
Lei rimase in silenzio, attorcigliandosi i capelli candidi intorno alle dita. Non voleva fare scena muta, ma non era sicura di meritarsi qualsiasi cosa fosse che il ragazzo le stava offrendo. Poteva quasi sentire tutti gli occhi del resto della ciurma puntati sulla sua schiena. Aveva quasi paura a girarsi.

“Oi!” Le berciò dietro, spazientito. Mana sussultò. “Non mi sembra una domanda difficile!” Si alzò in piedi, reggendosi il cappello sulla nuca con una mano e piantandola sul posto con lo sguardo. “Vuoi vedere meglio?”
Mana si paralizzò sul posto, gli occhi sgranati. Respirare le era improvvisamente diventato difficile, ma riuscì in qualche modo a esalare un ‘sì’ parecchio strozzato. Luffy eruppe in un sorriso abbagliante.

Senza perdere tempo, la avviluppò intorno alla vita con un arto gommoso, facendo scattare l’altro verso la punta dell’albero maestro, poco sotto dove sventolava il loro Jolly Roger. Incurante delle esclamazioni di sorpresa degli altri – e delle urla preoccupate di Chopper – Luffy sparò entrambi verso l’alto. Mana si fece scappare un gridolino, stringendosi al corpo magro del ragazzo. In qualche modo riuscirono ad atterrare indenni sul tetto della coffa, il punto più alto della Thousand Sunny. Luffy la lasciò andare. Mana si mise in piedi su gambe ancora tremolanti per lo spavento.

Si raddrizzò con cautela, il cuore che gli rombava nelle orecchie e l’adrenalina nel sangue. Quella nave non era adatta ai deboli di cuore, poco ma sicuro.
Mana deglutì, scorgendo la Mini Merry con la coda dell’occhio. Poteva vedere Nird e Nafar che si sbracciavano come dei matti, salutandoli fino all’ultimo secondo.

“Meglio?” Le chiese la supernova, sorridendo senza una preoccupazione al mondo.
Lei sorrise, addolcita, ma prima ancora che potesse formulare una risposta-

Il vento la colpì in pieno viso, scompigliandole i capelli.

Mana chiuse d’istinto gli occhi, beandosi della sensazione, bevendone fino all’ultima goccia. Qualcosa si risvegliò dentro di lei, primitivo e selvaggio, riempiendola come il vento riempiva la vela poco sotto di loro. Mana inspirò, la brezza marina che le scorreva tra i capelli come la carezza di una madre. Sentiva il fischio della corrente disperdersi intorno a lei; il calmo sciabordio delle onde sulle fiancate della nave; i richiami ormai troppo lontani di Nird e Nafar; quelli preoccupati della ciurma sotto di loro. E si sentì di nuovo, finalmente, libera.

Mana aprì gli occhi. E improvvisamente non le importava più di nulla.

Con movimenti precisi e veloci – nonostante non li facesse da molto tempo – si sfilò i bracciali da entrambi i polsi.
“Luffy.”
“Mh?”Le fece lui, ancora concentratissimo a sbracciarsi in risposta ai due fratellini. 
Lo oltrepassò a larghe falcate, lanciandogli i bracciali mentre passava e dirigendosi verso il bordo del tetto, dove il vento era più forte. Il moro li acchiappò al volo per un pelo. “Eh- Cos? Ma che-“ Balbettò confuso, mentre sentiva le forze venirgli meno.
“Non farli cadere.” Lo avvertì, prima di girarsi verso il mare.

Mana chiuse gli occhi. Sentiva le presenze muoversi e serpeggiarle sotto la pelle come scariche elettriche, come a cercare una valvola di sfogo per riversarsi fuori da lei. Non aspettavano altro che una via di fuga per scappare dalla prigione dove erano rimaste imbottigliate per così tanto tempo.
Mana inspirò. Espirò. E lasciò la presa.

Fu come se un pezzo della sua anima venisse proiettato fuori di lei, lo strappo all’altezza delle scapole familiare e allo stesso tempo nuovo, da troppo tempo non sentito. Lo stappo del tessuto era nuovo, ma talmente superfluo che non ci fece nemmeno caso.
L’improvviso silenzio che aleggiava sulla nave la portò a realizzare che tutti la stavano guardando.

Per essere più precisi, non stavano guardando lei, ma le ali color cenere che le erano spuntate dalla schiena, spiegate ad accogliere il vento come in un abbraccio.

Mana azzardò un’occhiata verso il basso, dove i pirati la guardavano sbigottiti.
Oh, beh.
Via il dente, via il dolore. No?
 
 
 

 
Ecco un disegno di Mana, creato dalla gentilissima Patty! Potete trovarla su Facebook o Tumbrl sotto il nome “reverza art” oppure su Instagram con @reverzaart! È stata bravissima, sembra quasi che abbia preso vita! Ogni volta che la guardo mi viene da piangere!
L’ha creata a partire da alcuni miei schizzi (sono incapace di disegnare, sappiatelo) e da un mix di risultati ottenuti utilizzando vari character generator presenti sul web. Ancora una volta grazie mille per questo meraviglioso regalo, è stupendo! *singhiozza*


 
  
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