僕は孤独さ – No Signal
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Parte settima: Il caso
Re.
Yoshitoki Washuu
era sempre stato un uomo rispettabile. Non si era mai sbilanciato troppo nel
suo rapporto con i subordinati, se fatta qualche eccezione, ma non era nemmeno
mai stato troppo distaccato. Cercava di infondere sicurezza nei suoi uomini,
tenendoli lontani dalla verità che strisciava ogni giorno sotto i loro occhi
resi ciechi dalla fedeltà a una famiglia di impostori. Voleva davvero che
quell’equilibrio delicato si mantenesse per il maggior tempo possibile per il
bene di tutti, ma Aiko Masa
aveva rischiato di mandare in frantumi la precaria pace che i suoi avi avevano
costruito tanto a fatica.
«Spero
che tu sappia cosa stai facendo, Kishou. Ogni
decisione che hai preso su questa ragazza fino ad oggi è stata discutibile.
Dalla istruttoria a suo carico per abuso di potere fino a questa potenziale
gravidanza di cui non mi avevi parlato. Ci sono altre cose che non mi hai
detto?»
Il
fratello non rispose. Tenne gli occhi sulla scacchiere dello Shogi,
sistemandosi gli occhiali sul naso. Quando spostò le dita su uno dei tasselli,
sembrava non curante. «No. Non c’è altro. Se temi che le abbia detto qualcosa di
troppo, ti sbagli. Ho commesso solo un errore di calcolo.»
«Un
errore solo?»
«Più
di un errore, in verità. Però non credo che la mia vita privata sia di tuo
interesse.»
Un
pugno colpì la scrivania così forte da far crepitare il legno e creare un
piccolo avvallo nella laccatura nera. Yoshitoki si
trattenne dall’alzare la voce, ma gli fu impossibile non tremare appena, livido
di rabbia. Nonostante tutto, si ricompose, accarezzando il danno fatto al
mobile con amarezza. «Ti ho concesso carta bianca nonostante ciò che l’agente Masa ha fatto a Noriko. Le ho
dato una medaglia e dei gradi perché lo desideravi. Tu quanto meno mi devi la
tua onestà, in questa ora oscura. Sei parte della mia famiglia, ma sei anche un
mio sottoposto, Kishou.»
«Mi
rammarico se ti ho offeso con le mie parole, non volevo.» Lo Shinigami Bianco smise di interessarsi al gioco da tavolo,
appoggiandosi con la schiena alla sedia per osservare meglio l’uomo che aveva
di fronte a sé. L’uomo con cui era cresciuto e che non avrebbe mai dovuto
dubitare della sua parola. «Ti assicuro che Aiko non
sapeva niente di più o niente di meno di ciò che sa Take Hirako,
per esempio.»
«Puoi
giurarlo, questo?»
«Lo
giuro e lo ripeto: lei non sapeva nulla di più.» Yoshitoki
lo privò del suo Generale d’Oro, mentre lui continuava a rassicurarlo con il
solito tono noncurante. Per lui, la faccenda pareva già bella che risolta.
«Affidare il caso a Sasaki è stata la scelta più
intelligente. Marude avrebbe sconfinato e lo sai
bene.»
«Però
Sasaki è non solo il tuo cane, ma anche un ghoul; molte persone si convinceranno che lo hai nominato ad hoc per insabbiare il tutto.»
«Non
l’ho fatto?»
Riuscì
a strappare un mezzo sorriso a Chika. «Touché», lo
riprese subito il maggiore, muovendo la pedina prima ancora di vedere l’altro
ritirare la sua mano. Venne comunque anticipato, di nuovo. «Sei sempre stato
bravo a cacciare il mio re, Kishou. Se ti fossi
impegnato allo stesso modo per catturare quello con il Sekigan,
tutto questo non sarebbe successo. Aogiri doveva
essere un ricordo lontano già cinque anni fa.»
«Si
sono rivelati più astuti di noi. Purtroppo non posso ancora leggere nelle
menti.»
«Una
simile abilità sarebbe così comoda, ora come ora!» Furuta
entrò nell’ufficio senza nemmeno bussare. Sul suo viso c’era un sorriso a dir
poco scomodo, obbligato. Non portava buone notizie. «Mi dispiace interrompere
la partita, ma non si sta mettendo bene.»
«A
cosa ti riferisci, Nimura?»
Il
morettino guardò il direttore diritto negli occhi, prima di stropicciare il
foglio che teneva fra le mani, indeciso su come iniziare il discorso. Quando il
suo nome venne pronunciato di nuovo, in modo più marcato, sospirò e
semplicemente sputò fuori la verità. «Ho parlato con Kaiko»,
snocciolò, allungando a Washuu il documento, come per
liberarsene. «Hanno ricevuto la chiamata dello speciale Arima
per prelevare il corpo, questa mattina. Però non lo hanno fatto.»
«E
per quale motivo?»
«Perché
qualcuno lo aveva già portato via.»
Yoshitoki rimase immobile, con gli occhi
sgranati sulla comunicazione di Kaiko. Sentì un
ingranaggio incepparsi nella ruota che continuava a rotolare da un centenario e
rischiò seriamente un attacco di nervi. Nonostante ciò, si mantenne saldo.
«Cosa significa tutto ciò?»
Furuta guardò Arima,
prima di parlare nuovamente. Prese il cellulare dalla tasca e sbloccò lo
schermo, passandolo a Yoshitoki. «Due uomini vestiti
di nero, con cappotto e cappello, hanno prelevato il corpo senza vita di Aiko Masa poco dopo la fine del
meeting con gli agenti coinvolti.»
Il
direttore guardò il video della sorveglianza, allibito. I due uomini che
tenevano la barella sapevano dove le telecamere erano state collocate, perché i
loro visi non erano mai a fuoco. Non solo però. Sembravano proprio due dei suoi
agenti.
«Non
sono uomini di Kaiko?»
«No.
Nessuno era in servizio a quell’ora e i badge che hanno utilizzato non possono
essere ricollegati a nessuno.»
«E
per quale motivo?»
«Sono
quelli dell’agente Ihei e dell’agente Shirazu, signore.»
Di
nuovo, Yoshitoki non si contenne. Il telefono finì in
pezzi nella sua stretta, mentre la mano libera si posizionava sui suoi occhi.
La voce uscì leggermente graffiante, maltenuta. «Due fantasmi hanno prelevato
un morto.» Non fu una domanda, la sua. Però precedette un ordine. «Fate luce su
questa storia, tutti e due. Entro la fine della giornata voglio che abbiate trovato
la talpa che ha inscenato in questa farsa e che Kaiko
l’abbia punita a dovere. Indagate sul patologo, Aizawa,
per verificare un suo coinvolgimento. Fate lo stesso con Urie Kuki e chiunque potrebbe avere interesse nel avere il
cadavere del prima classe Masa lontano da noi. E
voglio quel corpo in uno dei nostri laboratori o non sarà solo la mia testa a
saltare. Sono stato chiaro?»
Arima guardò le vene attorno alle
sue tempie ingrandirsi, ma il maggiore dei suoi fratelli non scostò mai la
mano. Si alzò, spostando la sedia sotto alla scrivania, prima di chinarsi
lievemente, insieme a Nimura. «Faremo tutto ciò che
va fatto per fare luce su questa questione e chiuderla definitivamente.»
Una
cameriera dall’aria gentile lo accolse non appena mise piede nel bar della
stazione della metropolitana di Shibuya. Lì
difficilmente qualche collega avrebbe sentito lui e Aizawa
parlare di ciò che era successo. Fatti di cui Urie, teoricamente, non poteva
parlare con nessuno prima della probabile istruttoria in cui l’avrebbe cacciato
Sasaki. Urie non aveva paura di ripercussioni
lavorative, però. In condizioni normali, la consapevolezza di un possibile
licenziamento o peggio, di un congedo con disonore e una pena di scontare, lo
avrebbero terrorizzato.
Ma
l’inferno di cui era stato testimone la notte precedente gli impediva di
preoccuparsi di qualsiasi ripercussione personale. Ogni suo pensiero finiva
laggiù, nel ricordo di ciò che aveva visto, rabbrividendo mentre lo riviveva
ancora e ancora.
Adocchiò
la chioma bionda del patologo, seduto ad un tavolino in angolo, raggiungendolo
immediatamente. Quando prese posto di fronte a lui, Ivak
smise di leggere il giornale, guardandolo con uno sguardo che Urie non avrebbe
mai e poi mai dimenticato. «Basta con la pietà», sbuffò il quinx,
lanciando un’occhiata alla prima pagina. «Ormai non si parla d’altro, vero?»
«Un
ghoul infiltrato nei sotterranei della sede centrale?
È un miracolo che siano riusciti a rigirare la storia.» Schiarendosi la voce, Aizawa lesse un piccolo estratto dell’articolo. «Il nome del ghoul
rimane sconosciuto, ma il suo raiting, secondo le
dichiarazioni del direttore Washuu Yoshitoki, era di livello SS. Durante lo scontro almeno tre
agenti sono rimasti feriti e uno di loro, il prima classe Masa Aiko, di ventitré anni, ha perso la vita. Io non mi
ricordo di nessun ferito.»
Urie
non aveva parole per commentare. L’insabbiatura avrebbe reso semplice il lavoro
di indagine interna e al contempo avrebbe tutelato il bureau dallo scandalo.
«Dovrei dire la verità alla stampa.»
Ivak lo guardò confuso. «La
verità?»
«Hirako l’ha uccisa. Io ero lì e ho visto tutto. È stata una
esecuzione, non un combattimento.»
Il
biondo prese un respiro profondo, accantonando il giornale e appoggiando la
mano sul braccio del giovane. «Senti, Kuki, fermati a
pensare alle conseguenze di una simile decisione», si mordicchiò il labbro,
cercando le parole giuste. Ma non esistevano parole giuste. «Ci sono passato anche io con Mei.
Lo so come ti senti, lo so davvero e non posso permetterti di fare scelte
avventate. Se ora tu parli con la stampa ti comprometterai per sempre. Senza
contare che è impossibile che tu possa ottenere giustizia per lei se si inizia
a parlare del suo coinvolgimento con Aogiri. E i Washuu lo faranno sapere, se saranno costretti. Ora come
ora la nostra arma più potente è ciò che Aiko ha
lasciato dietro di sé, tutte le molliche di pane che possiamo seguire per
capire cosa diavolo è successo. Se te lo stai chiedendo no, non avrai
giustizia. Non l’ho avuta io e non l’avrai nemmeno tu, perché c’entra Kishou Arima e lui non paga mai.
Però possiamo fare luce su ciò che è successo. Possiamo farlo per noi stessi e
per lei. Per dormire la notte.»
La
presa sul suo braccio si intensificò, mentre Kuki
meditava su quelle parole. Sapeva di non essere lucido, in quel momento. Sapeva
che Ivak ci era passato e aveva provato ciò che stava
provando lui, anche se irrazionalmente non poteva davvero credere che qualcuno
potesse sentirsi in quel modo. Si sentiva dilaniato, distrutto. Però doveva
fidarsi dell’amico, perché ci aveva visto giusto; se conosceva Aiko, si era sicuramente lasciata qualcosa alle spalle
prima di lanciarsi verso quella missione suicida e apparentemente priva di
senso, per una persona così metodica. «Ok, faremo così. Lavoreremo per conto
nostro, senza chiamare in causa Sasaki.»
«L’idea
è quella di comunicare con lui, in realtà.» Ivak
incrociò le mani di fronte a sé, sperando di non farlo infuriare. «Ho parlato
con lui e mi ha promesso che mi terrà aggiornato sulla sua indagine se noi lo
faremo con la nostra.»
Urie
assottigliò lo sguardo. «Prima hai parlato delle analisi sul sangue di Masa…. Le hai comunicate prima a lui che a me?»
«Era
nel palazzo e l’ho incontrato per caso.»
Ivak fu veloce ad alzarsi prima di
Urie, tenendolo seduto sulla sedia. «Dovevo farlo. Lui vuole davvero capire
cosa è successo o almeno questo è ciò che ho capito io. Pensaci, Kuki! Era un suo sottoposto nei quinx,
vuole sapere cosa le è successo tanto quanto noi.»
«Lui
è un cane di Arima.»
«Abbiamo
appena concordato che non ci aspettiamo giustizia ma verità, o sbaglio?» Il primo
livello doveva concordare di nuovo con lui. Tornò a sedersi, attendendo di
sapere cosa Ivak aveva in serbo per lui. «Cheiko ha eseguito le analisi poco prima di pranzo», gli
fece sapere, parlando piano. «Nel sangue di Masa
c’era qualcosa di davvero interessante: oltre a una conta irragionevolmente
bassa di cellule rc, le analisi chimiche hanno
rivelato la presenza di un alta percentuale di tetrodotossina
nel sangue.»
Kuki lo guardò stranito. «Tetrodotossina? Il veleno del pesce palla?»
Aizawa annuì. «O del polpo dagli
anelli blu. Un essere umano normale può venire ucciso da una goccia da
venticinque milligrammi. Non possiamo stimare con certezza la dose che è stata
introdotta nel sistema circolatorio di Aiko, ma Cheiko stima oltre i cinquantadue milligrammi per uccidere
un quinx. Non era comunque sola. Anche se non ne
abbiamo trovato traccia, la tetrodotossina era in
compagnia di qualche sorta di inibitore.»
«La
sua conta rc?»
«Ottantaquattro.»
«Questo
non ha senso», Urie si passò una mano sulla fronte, sentendola scottare contro
i guanti di pelle. «Più basso di quello di un essere umano. Non sarebbe mai
riuscita ad usare la kagune in quelle condizioni.»
Gli
occhi di Ivak scintillarono. «Appunto. Tu l’hai vista
utilizzarla?»
Urie
annuì lentamente. «Quando sono arrivato, stava usando un singolo tentacolo
contro l’agente Hirako. Però è durato poco lo scontro
a cui ho assistito. Quando era stesa a terra non sembrava nemmeno in grado di
alzarsi.»
«Perché
non poteva. La tetrodotossina è un veleno
neurotossico cento volte più potente del cianuro. Uno dei suoi effetti è il
blocco del sistema nervoso e di quello cardio
respiratorio. Non possiamo esaminare il corpo, ma sono sicuro che se avessi
effettuato dei tamponi sulle ferite, avrei trovato delle tracce lì.»
«Stai
dicendo che Arima potrebbe aver messo del veleno
sulla sua quinque?»
«Perché
no? È l’invincibile Shinigami. Magari gioca sporco.»
Per
l’agente, tutto ciò non aveva senso. «L’ho visto in azione, non ha alcun senso
imbrogliare per lui. È davvero veloce e forte, perché usare un simile
stratagemma?»
Aizawa scrollò le spalle, «Dobbiamo
scoprirlo.»
«Dalle
analisi non è emerso altro?»
Gli
occhi azzurri del dottore si scostarono dai suoi, mentre cercava qualcosa nella
giacca. «Niente di rilevante per il caso.»
«Qualcosa
di non rilevante?»
«No,
niente.»
Urie
sapeva che stava mentendo, per il semplice fatto che Ivak
non sembrava più esserne in grado. Non dopo la morte di Mei,
dopo aver perso tutto ciò che riempiva il suo mondo freddo. Non forzò la mano
però, deciso a fare il suo gioco. «Quando il corpo tornerà da noi per i
funerali potremo effettuare i tamponi. Sperando che non verrà lavato bene.»
Il
biondo annuì prendendo un blocco per appunti e appoggiandoselo di fronte,
insieme a una penna a sfera. «Esatto. Quando arriveranno i risultati
dell’autopsia possiamo almeno confrontare il tossicologico con quello degli
affari interni per verificare se stanno o meno mentendo per coprire il gran
bastardo.» La cameriera versò ad Urie il caffè, interrompendoli. Poi portò via
il piattino vuoto che Aizawa aveva ripulito e sorrise
nuovamente ai due. Solo quando furono di nuovo soli, il medico riprese a
parlare. «Posso farti qualche domanda scomoda? Sai, su Aogiri
e i nastri...»
Una
lancia immaginaria trafisse il cuore di Urie. Non ci aveva ancora pensato. «Tu
pensi che lei fosse li sotto per cercare quei nastri? Mi aveva detto che Arima le aveva garantito che avrebbe insabbiato tutto, sia
quello che il suo…. Coinvolgimento con Aogiri.»
A
quel punto fu Ivak a stupirsi. «Arima
sapeva di Aogiri?» «»
«Lei
glielo aveva confessato qualche giorno prima.»
Il
biondo venne preso in contropiede. Segnò qualche riga sul blocco, prima di
tornare a guardare l’investigatore. «Dobbiamo tenere conto che lui l’ha uccisa.
Non direttamente magari, ma è come se fosse l’esecutore.»
Urie
annuì lentamente. «Hirako esegue i suoi ordini, no?
Però non ha senso. Se lei e Arima avevano un accordo,
perché ucciderla? E perché era là sotto?»
«Forse
perché non lo avevano fatto, un accordo, e lei ti ha mentito per farsi
perdonare.»
Urie
appoggiò la tazzina di caffè senza averne preso nemmeno un sorso. «Se così
fosse allora sarebbe solo colpa mia. Se lei è scesa nel cavou
per cercare i nastri in cui io-»
«Fermati,
no. Non è colpa tua, va bene? Aiko cercava qualcosa
là sotto ma non possiamo sapere cosa. Se Arima sapeva
davvero di Aogiri, allora sicuramente non lo dirà al
presidente. Magari voleva usare Aiko come spia per la
ccg, invertendo il gioco, ma qualcosa è andato storto
e non ha potuto coprirla. Non traiamo conclusioni azzardate.» Fece una pausa,
sentendo di aver fatto un danno. Non avrebbe dovuto far menzione di quei
maledetti nastri, anche perché lui sapeva benissimo che Aiko
era lì sotto per quello. Lui aveva congiurato con lei per farla scendere quella
notte. Cosa che non avrebbe detto a Kuki in quel
momento, quanto meno. «Io credo che il primo passo sia capire dove sia il
corpo, ok? Senza quello non abbiamo niente.»
«Ce
l’hanno gli affari interni.»
«Siamo
sicuri?»
Urie
alzò le spalle. «Chi altro dovrebbe averlo preso?»
«Aogiri», lo freddò Aizawa. «I
Clown, qualcuno della ccg che vuole insabbiare tutto,
i Washuu stessi o magari….
Gli affari interni.»
Il
ragazzo iniziò a vedere qualcosa dietro il comportamento del medico. «Tu sai
qualcosa che non so.»
«So
tante cose che non sai, ma devo capire se sono o meno utili. Hai visto un quadernino nero?»
«Un
quadernino nero?»
Ivak gli fece cenno con le mani.
«Grande circa così, pieno di annotazioni e frasi criptate.» Dai suoi occhi, Aizawa capì che Urie non aveva idea di cosa stesse dicendo.
«Aiko lo ha trovato mentre indagava su Nagachika e ha passato molto tempo a cercare di
decodificarlo. Era pieno di nomi in codice e annotazioni su spostamenti.
Chiunque lo abbia scritto stava pedinando tutti noi, oltre che alcuni membri
delle organizzazioni che ho citato prima. Troviamo il quaderno e gli appunti di
Aiko e troveremo forse delle risposte.»
«Io
non ne avevo davvero idea che lei stesse- per chi indagava? Per la ccg? O per Aogiri?»
Il
medico non se la sentì di dire la verità. Non voleva caricarlo troppo di pesi.
«Voleva tenerti al sicuro e voleva farlo anche con tutti noi. Non importa se
lavorava per Aogiri, ok? È una stronzata, Urie. Lei
ti amava davvero e noi non sappiamo le motivazioni che l’hanno spinta a tradire,
anni fa. Non sappiamo un cazzo, ma la conoscevamo in questo preciso momento
storico e sappiamo entrambi che deve esserci sotto qualcosa di grosso.
Scopriamolo e facciamola finita.»
«Lo
cercherò fra le sue cose, a casa.» Urie aveva molto su cui rimuginare, dopo
quella conversazione. C’erano troppe note stonate in quella sinfonia e lui
voleva solo venirne a capo. Si sentiva messo all’angolo, si sentiva colpevole e
allo stesso tempo non riusciva a non provare un po’ di odio verso Aiko. Lei aveva mentito per così tanto tempo. Mentiva da
prima ancora di conoscerlo e nonostante sapesse cosa lui provasse, come lo
avesse fatto sentire il Gufo col Sekigan, lei
lavorava per Aogiri e lo faceva con dedizione. Un
cuore innamorato però non può non piangere in una situazione del genere. Ogni
singolo crimine commesso da Aiko, ogni bugia, ogni
secondo fine, era passato inesorabilmente in secondo piano. Perché era morta e
lui non avrebbe più avuto la possibilità di arrabbiarsi con lei per questo, ma
nemmeno di abbracciarla o farsi confortare. Non l’avrebbe più sentita blaterare
di sciocchezze o di esporre uno dei suoi ragionamenti machiavellici riguardo
una indagine. Una tristezza profonda, peggiore di quelle provata fino a quel
momento, lo colse. Portò una mano alla fronte mentre veniva investito dalla
consapevolezza che l’aveva persa per sempre e la colpa era anche sua. Incolpava
strenuamente Hirako per non fare i conti con la
realtà. Lei era morta per lui e non sapeva come assimilarlo. «Per questo non mi
ha lasciato nemmeno un biglietto.»
Aizawa smise di scribacchiare lo
guardò. Ciò che vide distrusse anche lui. «Urie io-»
«Mi
sono chiesto per ore e ore il motivo per cui non mi avesse lasciato nemmeno un
post-it sulla scrivania. Non mi ha scritto nulla perché non voleva che io
sapessi il motivo per cui lo ha fatto.»
«La
scelta è stata sua. Ora noi dobbiamo fare la nostra. Quanto sei disposto a
scavare per trovare risposte che non ti piaceranno?»
«Sono
disposto ad andare a fondo.»
Ivak gli porse la mano, che l’altro
strinse, siglando così l’accordo. «Allora ci muoveremo come avrebbe fatto lei;
iniziamo dagli indizi che sono rimasti e muoviamoci di conseguenza. Oggi iniziano
ufficialmente le nostre indagini.»
Sul
primo foglio, lasciato volutamente bianco, il patologo scrisse al centro
solamente un paio di righe, abbastanza grandi da poter essere lette da Urie.
18 novembre 2016. Il
Caso Masa.
Capitolo
trentasei
22 settembre 2016. Una data storica, seppure non
universalmente riconosciuta, ma che Aiko Masa non avrebbe mai e poi mai dimenticato. Come ci sarebbe
riuscita, dopotutto? Quella pallida mattina di autunno, mentre il sole
attardava il suo esordio giornaliero e una leggerissima nebbiolina avvolgeva la
prima circoscrizione facendo odorare l’aria di pioggia, il primo livello mise
piede nella struttura con il suo nuovo badge. Quando lo passò per la primissima
volta, nemmeno i detector rc all’ingresso volevano crederci: negarono l’accesso
per tre volte di fila prima dell’intervento di uno dei tecnici.
Nemmeno
quel passaggio artificiale riusciva a concepire come Aiko
Masa, ventitré anni da farsi, stretta in un completo
elegante che Aizawa le aveva trovato all’ultimo e che
sicuramente era appartenuto a Mei, fosse riuscita ad
entrare nella squadra di punta della S3. No anzi, nella squadra di punta dell’intera ccg.
«Hai
preso il bento?»
«Sì.»
«La
tua cartella personale? La richiesta per la quinque?»
Aiko prese un respiro profondo,
sventolando sotto al naso di Urie tutto ciò che lui le stava elencando e
trattenendolo dall’aggiungere altro. «Mi manca solo un po’ di autostima, in
questo momento.»
«Che
strano, ne hai sempre avuta in abbondanza di quella.»
I
due si scambiarono un’occhiata, lui sempre serioso nella sua posizione diritta
da soldatino e lei di leggero avvertimento, mentre una ciocca scappava dalla
coda di cavallo che aveva stretto in fretta e furia mentre era già in macchina.
La parò dietro all’orecchio, prima di rispondergli, adocchiando alle sue spalle
Kuramoto Itou. «Io vado a
vedere il mio nuovo ufficio. Augurami buona fortuna.»
«Lavorerai
con Kishou Arima; la
fortuna lasciala tutta a me.»
Masa sbuffò apertamente, avviandosi
in un oscillarsi di fianchi a causa dei tacchi che indossava. «Invidioso.»
«Dispotica
vipera.»
Aiko decise di non aggiungere
altro, conscia di quanto fosse dura per l’altro accettare che lei era appena
arrivata laddove lui ambiva di arrivare da quando aveva sei anni. Non avevano
litigato, né tanto meno lui l’aveva trattata con sufficienza o maleducazione
quando aveva trovato la sua firma sulla richiesta di trasferimento, ma in quel
preciso istante poteva concedergli un po’ di amarezza. Nei due giorni precedenti,
a casa, si era comportato come un fidanzato modello con tanto di colazione a
letto celebrativa e ben mezza giornata di permesso da passare insieme. Non
poteva chiedergli troppo, alla fin fine, che fosse o meno maturato dalla morte
di Shirazu, rimaneva sempre Urie Kuki.
Itou le sorrise maliziosamente,
facendo un passo verso l’ascensore e tenendole le porte aperte. Quel sorrisetto
non le diceva niente di buono. «Come devo chiamarti ora? Primo livello Masa? O posso già darti l’Associato alla Classe Speciale?»
Aiko lo guardò alzando le
sopracciglia, prima di scuotere il capo. «Stai volando un po’ troppo con
l’immaginazione, Kuramoto.»
«Sembri
Koori», rispose pragmatico il biondo, alludendo forse
alla frangetta o all’abbigliamento formale. «Fuori dalla porta dell’ufficio
sembri disinteressata al mondo, ma una buona promozione e BOOM!», Aiko quasi sussultò, portando poi
una mano al timpano sfondato dall’amico. «Ti trasformi in un super
investigatore di ghoul in completo firmato e fai la
seria.»
«Per
prima cosa, non credo che questo completo sia firmato. Secondariamente»,
proseguì mentre Itou le ribatteva che era un Gucci, «non sono seria, sono
preoccupata. Non ho nemmeno più la mia quinque. La nostra quinque, Kuramoto.»
L’altro
agente annuì, ora un po’ con espressione un po’ amara. «Ho sentito che non è
riparabile. Tatara ha distrutto il nucleo.»
«Chingyou ci sta lavorando da giorni», gli disse Aiko. «Però non sta avendo i risultati che sperava. Dice
che vuole provarle tutte prima di dirmi che è una quinque inutilizzabile, ma la verità è che sta solo rimandando le brutte
notizie.»
«Concentriamoci
su quelle buone, ok?», le disse Itou, come al solito
positivo. «Izanami ti ha servito bene per anni e
adesso che sei nella S3 potrai avere una nuova quinque ad alto potere offensivo.
Nutcraken è ancora disponibile, no?»
«L’arma
di Shirazu? No, non la voglio. L’ha quasi fatto
uscire di testa, quella spada è maledetta.»
Gli
occhi di Kuramoto, se possibile, si fecero ancor più
sottili. «Hai già in mente quale sarà la tua prossima quinque,
vero?»
Lei
non rispose. Gli sorrise appena, facendogli l’occhiolino. La conosceva fin
troppo bene. Le porte si aprirono sul settimo piano e di fronte ad esse si materializzò,
con un sorriso smagliante e un bicchiere di cartone contenente una miscela
profumata, Furuta Nimura.
«Da qui in poi la prendo io», disse con tono pacato eppure allegro il giovane,
salutando Itou che non uscì dall’ascensore, augurando
buona fortuna all’amica. Aiko prese il cappuccino che
le veniva offerto, sorpresa. «Hirako ha detto che lo
prendi al ginseng, giusto?»
«Hirako si ricorda i miei gusti, sono colpita.»
Furuta ridacchiò soave, prima di
indicare la cartellina cartacea che la donna aveva in mano. «Il tuo fascicolo?
Posso?», lei glielo passò, mentre soffiava sul liquido bollente. Camminarono
fianco a fianco lungo i corridoi dove entrambi salutarono più persone del
previsto, mentre lei beveva il suo cappuccino e lui leggeva una riga sì e due
no. «Sasaki è il segretario della squadra, ma questo
tipo di lavoro di ufficio lo fa fare a me», le fece sapere, tenendo una mano
vicino alla bocca, prima di arrivare a destinazione. Roteò anche gli occhi con
enfasi. «Non ho mai avuto un partner così noioso. Sta tutto il giorno con il
naso fra i fascicoli e parla da solo come i pazzi. Mi fa paura, sai? Mi manca Kijima.»
Aiko si ritrovò a pensare che non
poteva esistere una persona più diversa dal Sasaki
che lei ricordava di quell’uomo che Furuta stava descrivendo.
Haise, il mentore dei Quinx,
che li aveva trascinati a ballare per paura che non si godessero la loro
giovinezza, era diventato l’ombra di se stesso. Lo Shinigami
Nero della ccg non poteva essere più lontano da ciò
che era stato prima di quella notte al Lunar Eclipse. Le mise tristezza, quella consapevolezza.
Sentimento che venne in fretta accantonato quando, seduto sulle poltroncine di
fronte all’ufficio della S3, vide un ragazzo con i capelli celesti e gli occhi
luminosi, piegati in una curva un po’ tesa. «Ikari»,
lo salutò ritrovando l’allegria nel momento in cui lui le sorrise cortese.
«Cosa ci fai qui? Non dovresti salire sull’Eva?»
«In
realtà salgo a bordo di qualcosa, ma non è un robottone
senziente con la personalità di mia madre. È la squadra Arima.»
«Anche
tu sei nella S3 ora?»
«Con
effetto immediato dopo il colloquio di ieri mattina», le fece sapere Nimura, prendendo anche il fascicolo personale di Naoki, prima di appoggiare una mano sulla porta. «Sono così
felice di avere due nuovi ingressi in squadra, soprattutto perché qui dentro è
un vero mortorio e voi due già mi piacete. Ci divertiremo un mondo insieme.»
Aiko ne dubitava, mentre Nao al suo fianco sembrava sul punto di fare i salti di
gioia. La mora si interrogò per qualche secondo sulla peculiare scelta di avere
un elemento con Ikari nella squadra, soprattutto in
virtù del fatto che non sapeva si fosse distinto per merito. Quindi non lo
aveva fatto. Arima doveva avere qualcosa in mente per
creare un nuovo team sulle basi di ragazzi così giovani. Haise
aveva la stessa età di Aiko, mentre Ikari doveva ancora compiere i venti. Per non parlare di Furuta, che aveva il viso di un ragazzino.
Questa
fu esattamente l’impressione che ebbe quando mise piede nello spazioso ufficio
della S3. Un gruppo di ragazzini freschi per poter venire addestrati ad hoc. L’ambiente, molto luminoso
grazie alla vetrata a muro che lo costeggiava in lunghezza e che dava
direttamente sulla facciata anteriore dell’edificio, era caloroso, domestico
quasi. Profumava di caffè. C’erano due divani verdi sul lato occupato dalla
parete monocroma, decorata solamente da due bacheche. Una piena di fogli,
circolari e promemoria e un’altra, più colorata, con foto e bigliettini di
auguri e congratulazioni. Al centro della stanza la faceva da padrone un grande
tavolo ovale. Non c’erano celle separatorie, non cerano piccoli cubicoli.
L’ufficio era aperto e loro avrebbero lavorato gomito a gomito, senza niente a
dividerli. Questo la colpì molto mentre, insieme a Naoki,
avanzava qualche passo poco sicuro.
Seduti
alle loro postazioni c’erano già Sasaki e Hirako. Entrambi alzarono il capo per guardare le nuove
leve e Haise le sorrise, seppur pallidamente.
«Benvenuta, Aiko-chan.»
«Grazie,
Haise», fu la risposta informale della giovane,
sgombra da ogni possibile trascorso fra loro. Si erano create delle situazioni
parecchio complesse dopo la chiusa del caso Nagachika,
ma ad entrambi conveniva fingere che nulla fosse mai successo.
«Aiko, tu sei seduta qui. Naomi, invece mettiti qua.» Hirako attirò
la loro attenzione, indicando loro rispettivamente i posti alla sua sinistra e
alla sua destra. E sbagliando anche il nome del nuovo acquisto. Quando Masa prese posto dove le era stato indicato, di fronte a un
computer che sembrava di ultima generazione, si ritrovò alla sinistra di Take e
di fronte a Sasaki. Furuta
stava invece accanto al suo partner, dall’altra parte del tavolo, tutto giulivo
e desideroso di indovinare quale fosse la qualità di caffè preferita da Nao e come lo prendesse la mattina. Più che un investigatore
sembrava un segretario. O un amico particolarmente gentile.
Solo
quando furono tutti ai loro posti, come chiamato da Dio in persona, apparve Arima. Entrò in ufficio senza particolare fretta, mentre
tutti si rialzavano per fare un breve inchino. Il primo a risedersi fu Take
che, senza aspettare nemmeno di sapere se il capo aveva qualcosa da dire,
riprese a battere a macchina alcuni appunti svolazzanti che si era annotato su
dei tovaglioli da bar. Non che ad Arima potesse
importare. La sua attenzione sembrava calamitata dalle facce nuove o
relativamente nuove. Aiko lo conosceva già da anni,
dal suo ingresso nella squadra Hirako. Avevano
parlato più volte ed erano anche usciti a bere insieme con il solito gruppo, ma
in quel momento la prospettiva da cui lo guardava era totalmente nuova. Era
sempre stato bene o male il suo capo, almeno fino a che Matsuri
era subentrato come coordinatore dei Quinx, qualche
mese prima. Era rimasto una figura di riferimento anche allora, quando andava
da lui a chiedergli di firmarle rapporti e mandati perché il rampollo dei Washuu la disprezzava e le impediva di portare a termine le
sue indagini private. In quel momento però si sentiva terribilmente in
soggezione, come se qualcosa stonasse in quella sinfonia. Il suo ingresso nella
squadra migliore del dipartimento aveva qualcosa di forzato. Di nuovo, Aiko si chiese perché l’avesse presa. Sapeva che non poteva
rifiutare un’offerta del genere e le sue implicazioni con Aogiri
le impedivano di attirare su di sé l’attenzione di tutti. Il fatto che potesse
proprio centrare Aogiri, che Arima
potesse aver visto oltre ciò che aveva sospettato Nakarai,
le faceva venire i sudori freddi. Trovò comunque la forza di sorridergli
gentile e lui, dopo essersi sfilato il cappotto, prese posto a capo tavola.
Proprio alla sua destra.
«Oggi
iniziano le operazioni del nuovo nucleo della squadra coordinatrice della S3.»
Il discorso introduttivo del capo parve fermarsi lì. Arima
non era mai stato bravo nei discorsi, quello era un dato di fatto. Era un uomo
d’azione dopotutto. Ciò però non impedì ad un silenzio un po’ imbarazzato di
venire a crearsi, mentre Sasaki e Hirako
continuavano a lavorare e Furuta faceva allegramente
colazione.
Haise provò pena per lui quando notò
che non faceva altro se non ricambiare lo sguardo di Aiko
e Naoki. Sospirò, il moretto, prendendo un pezzo di
carta e scarabocchiandoci sopra un paio di appunti, prima di passarlo allo Shinigami Bianco. Questi lo prese, sollevandolo all’altezza
degli occhi, prima di riabbassarlo.
«Grazie
Haise», gli disse, senza vergognarsi neanche un po’,
mentre sistemava gli occhiali spingendoli verso la radice del naso. «Per quel
che riguarda gli orari di servizio e di allenamento congiunto, ne parleremo col
tempo. Per adesso presentatevi quando il vostro partner vi dirà di farlo. Per
la S3 i lavori di internato sono sospesi perché molto spesso dobbiamo coprire i
casi ad altro profilo con interventi di emergenza. In parole povere, tenete
sempre il cellulare acceso sul comodino anche quando siete di riposo o fuori
servizio.»
Vista
la nuova pausa che seguì, Hirako si sentì in dovere
di intervenire. «Non ci hai diviso in coppie.»
«Stavo
per farlo», rispose educatamente Kishou, attirandosi
uno sguardo di biasimo da parte del compagno di lunga data. «Ho pensato di fare
in modo che i meno esperti possano apprendere qualcosa dai veterani. Haise continuerai a lavorare con Nimura
sul caso aperto. Take, il giovane Naoki verrà con te,
mentre io lavorerà con Aiko.»
Masa socchiuse le labbra,
guardandolo stupita. Voleva dire qualcosa, ma venne presa totalmente in
contropiede. Era convinta che l’avrebbero riassegnata a Take, non avrebbe mai
pensato di diventare il braccio destro di Arima.
Sarebbe diventata una delle sue creazioni, con Hirako,
Ui e Hairu. Tutto il dipartimenti
ne avrebbe parlato per mesi e mesi.
«Il
caso, Arima-san», fece notare Sasaki,
con tono basso a causa della concentrazione. Non smise nemmeno per un istante
di battere sulla tastiera ritmicamente. «Non hai parlato del caso.»
«Giusto»,
farneticò lo Shinigami Bianco, dimostrando come
sempre di avere una pessima memoria. «Il direttore ci ha incaricati di lavorare
su Aogiri. Non su tutto il gruppo, ma
sull’individuazione e sull’eliminazione del Re con il Sekigan.
Sempre che esso esista, ovviamente.»
Haise prese un respiro profondo,
prima di incrociare le mani coperte dai guanti rossi sul tavolo, guardando
alternativamente Masa e Ikari.
«Stiamo operando in modo congiunto, seppure per nuclei separati, al fine di
catturare almeno uno dei capi di Aogiri e cercare di
scoprire così l’identità del Re. Non è scontato che essi parleranno,
naturalmente, ma togliere dalla strada anche una sola di queste personalità
sarebbe un enorme passo avanti.»
Aiko annuì, mostrandogli che stava
seguendo il discorso. «Chi sono gli obiettivi?»
«Tatara,
Naki degli Smoking Bianchi e il Gufo col Sekigan», le rispose Haise,
inclinando di lato il capo per osservarla bene. «Io e Furuta
stiamo lavorando su quest’ultimo, mentre il prima classe Hirako
ha chiesto di proseguire le indagini su Naki, visto
che è stato un suo vecchio caso.»
«Come
mai lavori sul Gufo?»
«Perché
l’ho vista in faccia.»
Aiko sorrise, voltandosi verso Arima. «Allora noi lavoreremo su Tatara.»
Non
voleva sapere come avrebbe dovuto sentirsi in quel momento, né come avrebbe
fatto da lì in avanti. Se avesse tenuto aggiornati Tatara, Eto
e Naki, l’avrebbero senza dubbio scoperta. Era finita
in una trappola da cui non poteva uscire viva.
Avrebbe
sacrificato Naki, mentre Eto
se la sarebbe cavata da sola, o non avrebbe rivelato il suo volto, ma come
avrebbe fatto con il Laoshi?
«Qualche
idea su dove iniziare?»
Aiko si morse piano il labbro,
prima di decidere di discutere di ciò che tutti sapevano. Così non avrebbe
fatto la figura della incompetente, ma al tempo stesso non avrebbe dovuto
rivelare niente. «Hakatori e Labbra Cucite sono sue
dirette sottoposte, vero?»
«Buona
idea iniziare da loro. Raccogli informazioni e se trovi qualcosa chiamami.»
Arima si alzò e sembrava già pronto
ad andarsene. A quel punto, però, mancava solo Furuta
a ricordargli che aveva dimenticato qualcosa. «Arima-san»,
lo chiamò con un sorrisetto. «La questione delle quinque…»
«Ah
già, è vero. Quella di Aiko è distrutta e quella di Naoki troppo debole.» Lo Shinigami
ci pensò su solamente due secondi. «Pensaci tu, Take.»
«In
realtà», si inserì Aiko, alzandosi a sua volta, «Io
volevo fare richiesta per una quinque specifica, ma che però è sotto la tua tutela.»
Arima si infilò il cappotto. «Se
stavi pensando a Yokimura, puoi avere una delle tre.
Infondo era la mia idea, affidarti quella spada.»
«No,
non stavo pensando a Yokimura.» Masa
prese un respiro profondo, prima di avanzare la richiesta. «Volevo chiederti di
prendere Aus.»
«La
quinque di Hairu.» Arima fece una pausa, riflettendo. Non sembrava però
arrabbiato, anzi. Quasi incuriosito. «Puoi prenderla, ma solo se impari ad
usare anche T-Human. Sarà divertente vedere se saprai
destreggiarti con quella lancia come faceva Hairu.
Lei era parecchio brava.»
«Lo
era, sì.»
«Puoi
prenderla, Take ti darà le chiavi del magazzino. Per quel che riguarda Naoki, siate creativi.»
☼
Il
magazzino dove venivano conservate le quinque non utilizzate sul campo era al primo piano
interrato, nel corridoio opposto rispetto alla sala autoptica. Quando Hirako spalancò la porta usando una vecchia e obsoleta
chiave metallica – ben diversa da quelle magnetiche che si impiegavano nel
resto dell’edificio- sia Aiko che Naoki
si guardarono perplessi. Una volta, prima che Aiko
entrasse nella squadra Hirako e prendesse servizio
nella prima giurisdizione, aveva sentito dire che il curatore di quella
particolare area della struttura era il padre dell’associato alla classe
speciale Mado, Kureo. Lui
non era mai stato particolarmente incline ai fronzoli e preferiva investire
tutto nelle nuove tecnologie per le armi, piuttosto che trasferire le quinque altrove per ristrutturare il magazzino.
Il
risultato di questa scelta pratica, ma poco estetica, aveva prodotto quello che
sembrava letteralmente lo scantinato di un palazzo. Sopra ogni piccola porta
metallica c’era un nome, di persona o identificativo di una squadra. Le prime
cinque porte erano proprio di proprietà del defunto Kureo
Mado.
Passando
oltre, trovarono quella della S1. Hirako prese dal
mazzo che gli avevano consegnato all’ingresso la chiave annessa e aprì la
porta, permettendo ad Aiko di entrare. C’erano alcune
valigette, disposte su diversi scaffali, circa una ventina. Fu semplice
individuare quelle che stava cercando, perché erano le sole nere laccate in
argento sui bordi. Le prese entrambe, come aveva detto Arima,
controllando per scrupolo la targhetta.
Prima classe Hairu Ihei, deceduta. Stato della
quinque: non attiva.
«Trovate»,
fece sapere ad Hirako, passandogli una delle due e
uscendo fuori, permettendogli di chiudere di nuovo tutto. Quando arrivarono di
fronte alla porta con segnato ancora il nome della ormai ex squadra Hirako, il rosso si fece da parte per permettere a Naoki di potersi sbizzarrire nella scelta.
C’erano
almeno il triplo delle valigette lì dentro e Aiko
sapeva benissimo il motivo. Mentre Hirako aveva
sempre puntato a una lavoro veloce e pulito, Koori
lavorava più come Arima e alla fine non rimaneva mai
molto con cui fare un’arma.
«Posso
davvero scegliere quella che voglio?», domandò Ikari
con lo stesso tono di un bambino immerso fra gli scaffali di un negozio di
caramelle.
Hirako si appoggiò allo stipite con
la spalla. «Dal livello S- in poi, quella che preferisci. Leggi anche le
specifiche e se hai domande, chiedi.» Lasciato il giovane partner ai suoi
svaghi, Take tornò a concentrare la sua attenzione su Aiko.
La trovò con un ginocchio appoggiato a terra e le valigette di fronte. I
capelli avevano vinto la battaglia e ora le cadevano lisci sulle spalle e sulla
schiena, liberi dalla coda. Sembrava assorta in un pensiero che si rimpicciolì
nei suoi occhi appena lui le rivolse la parola. «Come mai le quinque di Hairu? Nostalgia?»
Masa scosse il capo. «Non lo so
spiegare. Forse c’entra anche un po’ la nostalgia, perchè
l’ho sognata di recente e grazie a quel sogno ho pensato che magari potevo
usare Aus. Se devo essere onesta, però, volevo questa
quinque
perché è forte. Quando avevo Izanami mi sembrava di
maneggiare uno stuzzicadenti rispetto alla lancia di Hairu.
Poi il modo in cui la usava era perfetto. I suoi movimenti erano così rapidi da
incantarmi. Ho sempre pensato che non avrei mai raggiunto il suo livello e
infondo so che non lo raggiungerò mai.»
Take
si mise le mani in tasca, facendo un passo verso di lei e porgendole la mano
per farla alzare. Quella di Masa era fredda. «Dovrai
provarci o lui te la leverà e ti farà usare Yokimura.
Non è un uomo che parla a vanvera, Arima. Devi
imparare a usare Aus e T-Human
come faceva Ihei.»
«Impossibile.»
«Devi
solo impegnarti seriamente.»
Aiko lo guardò negli occhi, alzando
un sopracciglio. «Da quanto sei così tanto calato nella parte da supporter, Hirako?»
«Lo
sono sempre stato, tu non lo notavi.»
Come
al solito, stavano per litigare. O meglio, lei stava per litigare, facendo
tutto da sola, mentre lui le rispondeva normalmente. «Mi hai sempre impedito di
fare tutto. Ma abbiamo già accantonato l’argomento quella sera in macchina,
no?»
Take
non fece una piega. «Pensavo fossi troppo ubriaca per ricordartelo.»
«Tu sottovaluti il mio potere.» Non
smisero di guardarsi, mentre lei faceva un passo verso di lui. «Credi che
riuscirò a usare quella quinque
come la usava Hairu?»
«Ne
sono certo.»
«….Bugiardo.»
«Scusate
se vi interrompo, ma ho trovato qualcosa di interessante!»
Aiko fece due passi indietro,
guardando stupita Naoki, mentre Take rimaneva
granitico nella sua posizione. «Qualcosa
cosa?», si informò, guardandolo mentre agitava una valigetta con impeto. Gli fu
accanto in due falcate veloci, curiosa come una gatta, riuscendo a prendere la
targhetta di carta che pendeva dal manico. «Dente di Fata», lesse a voce alta,
facendo voltare Hirako. «Ukakou,
livello S+. Sì mi ricordo di lui, ci ha fatto penare
davvero tanto quella sera. Ti ricordi, Take? Ha quasi ucciso Machibita. Poveretto, era destinato a Noro
però.»
Hirako per la prima volta mostrò a Naoki una emozione: lo scetticismo. «Quella quinque è…. Particolare. La modalità spada è molto stabile e
versatile. Ha un taglio preciso. Però lo scudo da dei problemi di stabilità e
la frustra è ingestibile.»
Aiko sembrava confusa, mentre gli
occhi di Ikari brillavano per la meraviglia. «Come fa
una quinque a essere ingestibile? Errore di
fabbricazione?», chiese al prima classe, mentre osservava Naoki
che accarezzava la copertura in acciaio della valigetta come se stesse
coccolando un cucciolo. Era già sua.
«No,
è stata costruita in modo eccellente. Ha solo un carattere molto forte da
domare e non sono riuscito mai ad utilizzarla senza ferirmi o costringerla a
rimanere nella modalità spada.» Take si avvicinò a Naoki,
guardandolo negli occhi, mentre Masa capiva il punto.
Qualcosa del ghoul rimaneva intrappolato nel suo kakuho in certi casi. Aveva sperato in questa teoria quando
aveva affrontato Ginshui e ne era uscita vittoriosa
usando le bende di Eto. «Se lo vuoi davvero dovrai
trovargli un nome e imparare a farti rispettare. Non ti mentirò; non credo che
questa quinque potrà mai essere utilizzata.»
Ikari sorrise, giulivo. «Sono sicuro
che io e Oberon andremo perfettamente d’accordo non
appena avrà imparato a conoscermi un po’ meglio!»
«Oberon? Il re delle fate?», Aiko
sorrise, divertita, incrociando le braccia sotto al seno. «Fai sul serio? Anzi,
entrambi fate sul serio? Take, non puoi lasciargli prendere una quinque
instabile. Non combattiamo per la squadra di Marude,
siamo la S3. Al centro di un combattimento non può avere problemi logistici.»
Hirako guardò di nuovo Ikari, prima di prendere le chiavi per chiudere il
magazzino. «Lui ha scelto e sarà sua responsabilità ora gestire la sua arma. Tu
impara a usare le tue o prenditi Yokimura come tutti
i pivelli di Arima.»
Masa rimase a bocca aperta di
fronte a quella dichiarazione così sfrontata di Take. Lo guardò raccomandarsi a
Naoki di registrarla prima di provarla, possibilmente
in palestra o in un ambiente controllato. Ikari lo
ascoltò attentamente, prima di sfrecciare via tutto felice, lasciandoli soli in
quel corridoio.
«Sei
davvero uno stronzo. Dovevi per forza umiliarmi così di fronte a quello nuovo?»
Hirako non pareva della stessa
opinione. Le prese anche le valigette, come un vero cavaliere. «Anche tu sei
quella nuova, in realtà.» Non era la risposta che lei si aspettava, tanto che
non si spostò di un centimetro. «Non ho detto niente di strano, solo la verità.
Poi Yokimura è una ottima quinque, la usa anche Sasaki che è Associato alla Classe Speciale. Perché ti sei
offesa?»
«Senti,
lasciamo perdere, dammi Aus», senza attendere gliela
sfilò dalla mano.
«Non
aprirla prima di averla registrata.»
Come
se non avesse parlato. Aiko sganciò la sicura e la
valigetta nera si aprì, mentre la lancia si solidificava nella sua mano. Era
pesante rispetto a Izanami, ma ben bilanciata. Take
fece qualche passo indietro mentre lei si metteva di profilo, iniziando a
rigirarsela fra le mani. Era davvero un’arma spettacolare, bianca e ricca di
venature rosate, con un occhio centrale che sembrava fatto di vetro
limpidissimo. Tutto di quella lancia le ricordava Hairu,
persino l’odore.
«Se
impari a usare quella quinque
insieme alla tua kagune e a T Human,
allora non avrai rivali. Fra le donne.»
«Ora
sei anche sessista?»
«Ammetterai
che Arima, Sasaki e Suzuya sono una competizione a cui tu non puoi
partecipare.»
Aiko lo spiò da sotto la frangia,
prima di lanciare la quinque.
La afferrò con la kagune, allungandola fino a pochi
millimetri dalla gola di Hikaro.
«Ti
concedo Arima e Suzuya, ma
scommettiamo su Sasaki?»
Hirako spostò la lama con due dita,
prima di avvicinarsi. «Sei lenta», le fece notare, non timoroso di offenderla.
«Se avessi avuto Nagomi ti avrei disarmata e
distrutto la kagune.» Guardò gli occhi gialli della
ragazza ombrarsi di rabbia, ma non se ne curò, di nuovo. «Non avere fretta di
dimostrare niente. Registra questa quinque, vai a casa e inizia a prenderci la mano. Quando la
saprai usare conoscendola in ogni sua modalità e soprattutto quando la tua mano
avrà fatto l’abitudine al suo peso, allora usa anche la kagune.
Ti fregherà un giorno, pensare di essere un passo avanti perché ti hanno fatto
un’operazione.»
Masa decise di arrendersi di fronte
all’evidenza. Effettivamente, non era stata veloce. Non in quel modo
sorprendente che avrebbe dovuto rispecchiare i canoni della sua nuova squadra.
Ritirò a sé la kagune, prendendo in mano l’arma e
guardandola di nuovo, con occhi diversi, improvvisamente più tristi. Chi voleva
prendere in giro? Non sarebbe mai stata all’altezza di Hairu.
Avrebbe fatto meglio a rimetterle via e accettare l’arma che Arima aveva pensato di darle. Una mano si poggiò sulla sua
testa e quando alzò di nuovo lo sguardo in quello di Take, lui sembrava quasi
dispiaciuto per averle abbattuto lo spirito.
«Aiko, davvero. Non devi dimostrare niente a nessuno. Sei
stata scelta per lavorare con noi, non hai fatto la carità. Da adesso impegnati
e basta con queste messe in scena. Non sei più con i Quinx,
né con la squadra Suzuya. Noi lavoriamo in modo
diverso e imparerai molto in fretta quanto molesto eppure utile sia Arima come mentore.»
L’ultima
affermazione strappò un sorrisetto a Masa. Per puro
istinto abbassò la lancia, allacciando il braccio libero dietro al collo di Hirako per abbracciarlo. Lui le appoggiò una mano sulla
schiena. «Va bene, Take, sto per dirti una cosa, ma non montarti la testa.»
«Spara.»
«Ero
tesa quando ho firmato per questo cambio di team. Non sapevo perché Arima volesse proprio me e ho anche pensato di non essere
adatta. Poi però ho realizzato che qui c’eri anche tu.»
Hirako alzò gli occhi al cielo. «Stai
dicendo che sono imbranato o…?»
«No,
idiota. Ti sto facendo un complimento.» Lei scrollò il capo, con una leggera
punta di fastidio. Era sempre così fra loro, sembravano parlare due lingue diverse.
Si chinò sulla valigetta, richiudendo al suo interno Aus,
mentre proseguiva. «Ti conosco e so come lavori. Mi rassicura lo stare qui con
te. Se volevo sospettare che qualcuno non fosse all’altezza avrei detto Furuta.»
«Ti
stupirai delle abilità di Furuta», la corresse subito
lui, facendole cenno di uscire di lì. «In ogni caso, sono contento che la mia
presenza ti dia forza.»
«Ora
non esageriamo.» Il magazzino venne di nuovo chiuso a chiave e una volta in
ascensore, Aiko decise di levarsi anche l’ultimo
dubbio. «Ikari cosa ha detto ad Arima
al colloquio per farsi prendere?»
Hirako prenotò il settimo piano,
senza guardarla. «Che secondo lui non è giusto perseguire e uccidere tutti i ghoul, ma che dovremmo applicare un criterio di selezione
tra quelli pericolosi e quelli che cercano solo di sopravvivere. Incredibile,
vero?»
«Un
simile ragionamento potrebbe portarti in carcere, se formulato male. Ha
coraggio»
«Penso
che sia per questo che Arima lo ha voluto così
tanto.»
Masa non aggiunse altro.
Se
Furuta l’avrebbe sorpresa, Ikari
non sarebbe stato da meno. Improvvisamente si sentiva l’ultima persona in grado
di dare giudizi sugli altri.
☼
Mizurou le aveva fatto avere i suoi
effetti personali, rimasti nella sua piccola stanza nella sede della
tredicesima, subito dopo pranzo. Non era la sola cortesia che le aveva fatto,
però. Si era anche impegnato per non mantenere la promessa fatta a Nakarai riguardo alla segretezza sul caso della talpa. Il
castano aveva approfittato del fatto che nell’ufficio di Arima
non vi fossero le telecamere di sorveglianza per spiattellare tutto ciò che
sapeva.
A
quanto pare Marude aveva tolto il caso a Keijin, decidendo di dare un taglio netto a quella serie
inconcludente di supposizioni capate in aria che, a detta dello stesso classe
speciale, erano più mirate a scagionare che a catturare.
«Il
prima classe Nakarai è furioso.»
Urie
continuò a guidare la strada, mentre ascoltava la ragazza seduta sul sedile del
passeggero. «Tu non lo saresti? In modo molto sottile Marude
ha detto che è un incompetente e che non merita il caso.»
«Keijin è uno dei migliori investigatori che io abbia mai
incontrato. Quel rompipalle di Marude non riesce semplicemente a capire che siamo persone
e non macchine e che sotto accusa potrebbero finirci decine e decine di
investigatori che non c’entrano proprio un
cazzo.»
Il
capo dei Quinx non si sentì di aggiungere altro.
Aveva rispetto per il classe speciale, ma non poteva difenderlo da quelle
parole. Tutti temevano il giorno in cui Itsuki Marude si sarebbe messo a far loro una ramanzina. Anche
lui. Era quasi una tappa fondamentale del percorso di un investigatore.
«Tu
cosa ne pensi?»
Aiko smise di giocare con la ciocca
di capelli corvini, osservandone con scetticismo le doppie punte, per potersi
concentrare sulla domanda del ragazzo al volante. «Cosa ne penso di Nakarai?»
«Cosa
ne pensi della talpa. Sei una profiler, no? Traccia
un profilo psicologico del soggetto.»
Questo sì che è
divertente.
Giusto
per far scena, Masa sospirò teatralmente. «Chiesto
così su due piedi non è così semplice.» Si mise seduta diritta, sistemandosi la
cintura sul petto. «Non abbiamo avuto svolte significative abbastanza per
poterlo fare.»
«Un’idea
te la sarai fatta però, no? Hai lavorato con il prima classe Nakarai direttamente sul caso.»
«Posso
dirtelo come una confidenza fra le lenzuola? Solo fra me e te?»
Questa
volta fu Urie a sbuffare. «Puoi farmi confidenze anche senza lenzuola o
copertile di pile di mezzo, Aiko.»
La
mora sorrise, leggermente divertita. «La persona con cui abbiamo a che fare è
meticolosa, scrupolosa», iniziò a spiattellare, guardandosi le mani e
chiedendosi come potesse descrivere se stessa senza che lui ci arrivasse. «Non
lascia nulla al caso, non lascia indizi e quello che rimane è confusione
mentale. L’accuratezza con cui riporta ogni singola mossa ad Aogiri mi fa pensare che forse non lavora da solo. Potrebbero
essere due o tre persone. In questo caso sarebbe più semplice scoprirli perché
su tre teste ce n’è sempre una meno sveglia.» Appoggiando il gomito contro il
finestrino, Aiko si rilassò sul sedile, guardando
assorta il panorama urbano che scivolava via attorno a loro. «Se invece fosse
un singolo individuo, ipotizzo che soffra di un qualche disturbo ossessivo
compulsivo. Una mente camaleontica capace di mimetizzarsi perfettamente sia fra
di noi che fra loro. Non so se posso aggiungere altro.»
«Ho
una domanda.»
«Spara,
Cookie.»
«Credi
che la spia sia anche la stessa persona che ha progettato e creato le bombe
nella sede centrale e nella diciannovesima?»
Aiko, come sempre, non fece una
piega. Dentro di sé però si chiese perché Urie doveva essere sempre così
brillante. «Non saprei. Non ci sono prove in merito. Cosa te lo fa pensare?»
«Hai
detto pressappoco le stesse cose sul bombarolo. Scrupoloso. Attento.»
«Ma
anche narcisistico. Non è un narcisista una persona che spiando agisce
nell’ombra e porta alla morte i nostri colleghi.»
Kuki fermò l’auto di fronte allo chaetau, tirando il freno a meno. «Invece sì. Dopotutto è
fra i nostri ranghi, guarda e se ne compiace.»
Masa sorrise tristemente,
appoggiandogli una mano sul braccio. «Allora speriamo che ci pensi il karma,
non credi?»
«Meglio
ancora: ci penseremo noi.» Il discorso venne bruscamente interrotto, per la
somma felicità della mora. «Vado a fare spesa. Tu vedi di disfare le valige
senza fare un cesso nella mia
stanza.»
«Vorrai
dire la nostra stanza», lo ribeccò subito lei, scaricando la valigetta con
dentro Aus e la grande valigia. Quando chiuse il
bagagliaio fece il giro dell’auto, appoggiandosi alla portiera del conducente.
Gli sfilò gli occhiali da sole per poterlo guardare, prima di appoggiare un
bacio sulle sue labbra. «Fai presto, voglio allenarmi con la quinque.»
«Se
mi lasci andare, tornerò prima.»
Lei
roteò gli occhi, infilandogli di nuovo gli occhiali sul naso, storti. Lo guardò
sistemarli con la mano guantata di nero, mentre
arretrava con le braccia incrociate sotto al seno. «Veloce Cookie, il tempo è
denaro!», gli urlò dietro, mentre lui faceva manovra e si rimetteva in strada.
La
mora lo guardò andare via, svoltare dopo una curva e poi espirò profondamente,
svuotando i polmoni. Troppo stress tutto insieme da mascherare. Recuperò le sue
cose, utilizzando nuovamente le chiavi per aprire la porta di casa dopo tanto
tempo. Non c’era nessuno nell’ingresso e l’intero stabile era incredibilmente
silenzioso. Accese la luce delle scale, maledicendo le giornate che
accorciandosi avrebbero fatto arrivare delle belle bollette, trascinando la
valigia fino alla stanza che aveva diviso già in precedenza con Urie. Prima di
iniziare a sistemarsi si mise a sedere sul letto. Sospirò pesantemente,
lasciandosi cadere stesa con le mani fra i capelli e gli occhi puntati contro
il soffitto.
Non
voleva iniziare a perdersi in pensieri catastrofisti su Arima,
sul nuovo lavoro e sulla pressione ad essa correlata, immergendo il viso nel
cuscino e mugolando sofferente. Solo un bussare leggero sull’uscio le fece
rialzare il capo.
Di
fronte a lei, sulla soglia, c’era Hsiao. «Ciao Ginny», le disse, mettendosi diritta. «Non pensavo ci fosse
qualcuno in casa.»
«Sono
tornata un po’ prima oggi. Speravo di parlarti.»
Aiko la guardò curiosa, mettendosi
seduta e facendole cenno di raggiungerla. Hsiao però
non prese posto accanto a lei. Preferì rimanere in piedi, incidendo lentamente
nella stanza. La stava studiando, controllava le sue reazioni. Qualcosa non
andava.
«Tutto
bene?», domandò con voce morbida eppure ricca di perplessità Masa. Hsiao non rispose, agì e
basta. Le buttò qualcosa accanto e quando Aiko lo
riconobbe, sentì il pavimento mancarle sotto ai piedi.
Un
quadernino nero, dai bordi mangiati e una macchia di
sangue a sporcarne le ultime pagine e il dorso. Gli appunti di Nagachika.
«Dove
lo hai-»
«So
che eri tu quella notte nella diciannovesima, Aiko.»
Il panico si impossessò di Masa, mentre guardava con
occhi sconcertati e improvvisamente capaci di mentire Ginny.
Aveva usato il quaderno per distrarla, mentre quella era la vera questione. I
sospetti di Aiko si fecero improvvisamente reali. «So
che sei Labbra Cucite, anche se non capisco il motivo.» Non ricevendo risposta,
la giovane del Giardino infilò le mani nelle tasche dei pantaloni stretti. «Sei
sotto copertura, sei la spia, lavori per te stessa….
Non mi importa. Non ti sto chiedendo perché lo fai o se lo fai. So che ci sei
tu dietro quella maschera grottesca. Ciò che mi interessa è il fatto che quella
notte non è morto nessuno e tu l’hai saputa gestire molto bene.»
«Perché
non doveva morire nessuno.»
La
taiwanita inclinò il capo di lato, senza smettere di
scannerizzare ogni sua singola reazione. Poi annuì lentamente. «Non ho
intenzione di dirlo a Urie, se questo ti spaventa. Non lo dirò a nessuno e
nessuno lo saprà. Per il momento.»
L’aria fra loro si era fatta improvvisamente irrespirabile. In qualsiasi
altra situazione, Aiko avrebbe tentato il tutto per
tutto cercando di uccidere Ginny, ma non ci provò
nemmeno. Non voleva farlo e, soprattutto, non pensava che sarebbe stata in
grado. Senza contare che la superiorità dell’altra nel combattimento era
palese. E se avesse avuto successo? Come avrebbe ripulito tutto e fatto sparire
il corpo? No, non ne valeva la pena.
Non
avrebbe nemmeno tentato.
«Per
il momento…»
«Fino
a che non ucciderai davvero qualcuno, ho deciso di darti il beneficio del
dubbio.»
Aiko annuì, mentre un rivolo di sudore
le solcava la tempia. Che razza di situazione. «Dovrei ringraziarti. Anche per
non aver tagliato le bende sul mio braccio quella notte.»
«Sapevo
che sotto di essere c’era il tuo tatuaggio.»
«Come
hai capito che ero io?»
La
donna in piedi non rispose subito, ci pensò. «Intuito, suppongo. Poi
riflettendoci, non potevi essere che tu.»
Non
le disse nient’altro, inclinando il capo in cenno di rispettoso saluto, prima
di lasciare la stanza con la promessa di mantenere la segretezza.
Fin
quanto non fosse morto qualcuno.
Aiko non disse niente, si morse il
labbra piano e lanciò con violenza il quaderno contro il muro.
Si
arrabbiò. Con Eto, con Nagachika
e con se stessa.
Si
arrabbiò mentre la prima crepa iniziava a indebolire in muro di bugie dietro
cui si era nascosta per anni e anni.
☼Nda☼
Sono
viva. So che avvolte perdete le speranze, ma torno sempre, prima o poi.
Spero che
tutti vi stiate godendo le vacanze estive.
Io fra
un lavoro, la tesi e lo studio sto cercando di affrontare il lutto per la fine
di TG:RE.
No,
non lo accetterò mai.
Ma
almeno ho tutte le info per portare a termine questo lavoro.
Ho
deciso di interpretare alcune cose, quindi non vogliatemene se non vi piaceranno
alcune decisioni future.
O furute (?).
Grazie
alla personcina specialissima che mi ha commentato lo
scorso capitolo e grazie a chi ancora, dopo più di un anno, continua a stare al
fianco di Aiko.
Un abbraccio.
C.L.