The labyrinth
Jon
Non
avrebbe dovuto, non
avrebbe dovuto farlo. Era stato un errore, un’azione sbagliata. Ma in
fondo era
stata Daenerys a baciarlo. Jon forse avrebbe dovuto respingerla, anzi,
avrebbe sicuramente dovuto respingerla. Perché? continuava a chiedersi
mentre l’acqua
ormai fredda del bagno gli gocciolava negli occhi. Quando iniziarono a
lacrimare li chiuse e passò una mano fra i capelli bagnati ed
aggrovigliati.
Era seduto
in quella vasca
da neanche ricordava quanto, con la porta sprangata come era solito
tenerla da
piccolo a Grande Inverno quando non voleva intrusi nella sua stanza. Di
solito
in quei casi dopo qualche ora suo padre veniva a bussare, ma ora non
arrivava
nessuno. Jon era felice per la pace che aveva finalmente trovato, ma la
quiete
faceva solo rimbombare i suoi pensieri.
Il
pomeriggio del giorno
prima, mentre Daenerys parlava con Tyrion, Jon aveva salutato Davos e
Gendry
sulla spiaggia. Il ragazzo l’aveva guardato con occhi spaesati e Davos
gli
aveva passato un braccio intorno al collo. Jon non avrebbe voluto
affidare a
Gendry un compito così gravoso, ma non c’era altra soluzione. Senza il
supporto
dei lord delle Terre della Tempesta sarebbero sicuramente uccisi tutti
da Euron
e i suoi mercenari molto prima che il Re della Notte mettesse piede nei
Sette
Regni.
Jon aveva
parlato con
Davos e aveva ringraziato Gendry per il suo coraggio, ma poi era
tornato nel
castello. Non aveva voluto incontrare Daenerys. Aveva vagato per quei
corridoi
bui dalle pareti di roccia per ore senza avere una meta fissa ed era
giunto in
un’ala che sembrava abbandonata. Aveva visto le stanze che erano state
di
Rhaegar ed Elia e della loro figlia Rhaenys.
Mentre
tentava di intravedere
qualcosa oltre lo spesso strato di sporcizia che ricopriva la finestra
della
camera di Rhaenys era entrata Daenerys. Di ciò che era avvenuto dopo
Jon
conservava vaghi ricordi.
Ricordava
la cera della
candela che teneva in mano sciogliersi e bruciargli la pelle, ricordava
il buio
che li avvolgeva ogni secondo più del precedente, ricordava Daenerys
che si
avvicinava. E intanto parlava, parlava, parlava. Jon ancora una volta
l’aveva
vista fragile, sola, come quando era stata abbandonata dal suo drago.
Aveva
provato qualcosa, un
sentimento strano che gli diceva di non arretrare e di guardarla negli
occhi.
Jon aveva capito di aver forse sbagliato a giudicarla così
precocemente.
Daenerys usava belle parole ed espressioni formali per nascondere i
suoi
sentimenti. In quel momento doveva essersi sentita persa e allo sbando
dopo la
partenza di Tyrion. Anche Jon si era sentito così.
Era la
stessa cosa
che aveva provato quando aveva visto Sam salire sul carretto che
l’avrebbe
portato alla Cittadella. Non era una bella sensazione. Una parte di lui
che Jon
tentava di soffocare sperava che anche Sansa avesse sentito la stessa
cosa
quando lui aveva lasciato Grande Inverno per raggiungere la Roccia del
Drago.
Daenerys
aveva paura,
anche questo Jon aveva capito. Aveva paura di non essere all’altezza
del
proprio ruolo, di non essere amata e riconosciuta dai popoli che si
apprestava
a governare. Mostrava la sua forza con i draghi e celava le sue
insicurezze.
Jon si era sentito così simile a lei in quel momento. Entrambi erano
alla
ricerca di un’identità. Poi finalmente Daenerys aveva smesso di fare
domande.
Quando
l’aveva baciato Jon
non aveva opposto la minima resistenza, aveva accolto le sue braccia
intorno al
collo, le labbra di Daenerys sulle sue. La candela era caduta a terra,
ma
fortunatamente si era spenta senza causare incendi o danni. Jon e Dany
erano
rimasti abbracciati ancora per un po’, poi, sempre al buio e senza
potersi
guardare, si erano separati ed ognuno aveva proseguito per la sua
strada. Lui
aveva sentito le guance in fiamme anche dopo che la Madre dei Draghi
aveva
lasciato la stanza.
Jon
scrollò con decisione
la testa per tornare al presente. Ma
cosa mi prende? si chiese
stropicciandosi gli occhi già arrossati Dovrei pensare all’attacco di Euron…
Anche quando era stato con Ygritte non era riuscito a concentrarsi
sulla guerra
allora alle porte. Jon sentì una fitta al cuore al solo pensiero. Per
Daenerys
provava la stessa cosa che aveva provato per lei?
No, pensò convinto
tirandosi in piedi. Uscì dalla vasca e si asciugò con calma, per poi
rivestirsi. Quando chiuse il fermaglio con le piccole teste di
meta-lupo, il
pensiero gli corse a Spettro.
Cosa
c’entra ora Spettro?
Si infilò
gli stivali e tirò
i lacci troppo stretti. Soffocando un’imprecazione, li sciolse e rifece
rapidamente i nodi. Poi legò i capelli ancora umidi e fu pronto ad
uscire.
Sapeva che
sarebbe dovuto
andare ad aiutare gli Immacolati che stavano costruendo le
fortificazioni, ma
non era dell’umore giusto. Inoltre, se davvero Euron aveva preso un
castello
così robusto come quello di Porto Bianco, allora non sarebbero state
certo
delle torrette ad impedirgli di prendere anche Roccia del Drago.
Voleva
scrivere a Sansa,
Edd e Sam. Senza Gendry e Davos il loro quartiere era silenzioso e Jon
non ebbe
nemmeno bisogno di chiudere la porta. Si sedette al tavolo e, come al
solito,
vi trovò le lettere arrivate quella mattina. Gli si strinse il cuore
quando
vide che Sansa ancora non gli aveva scritto. Possibile che tutti i
corvi si
fossero persi nelle tempeste? Jon sospirò: forse sua sorella più
semplicemente
non voleva scrivergli.
Aprì la
lettera di Edd,
che come era ormai consuetudine si lamentava del freddo su alla
Barriera e
della poca disciplina dei soldati che Jon aveva inviato, e poi quella
di Sam,
che era molto più breve e gli comunicava solamente di star facendo
lenti
progressi. Mentre le rimetteva al loro posto, Jon notò una terza
lettera che
era rimasta seminascosta.
Ruppe
l’anonimo sigillo e
sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Riconobbe quella strana
grafia
distorta immediatamente. Chiunque avesse scritto quella lettera aveva
sicuramente scritto anche quella in cui annunciava la morte di Walder
Frey. Jon
strinse le labbra.
Walder
Frey era stato trovato
morto con la gola squarciata e la notizia era stata data da Edmure
Tully insieme
alla sua offerta di alleanza, come Sansa aveva scritto nell’unica
lettera
arrivata a Roccia del Drago. Chiunque fosse chi aveva inviato la prima
lettera
senza mittente, aveva avuto ragione. Jon fece scivolare lo sguardo
sulle poche parole
scritte a fatica ed iniziò a leggere.
I tordi hanno orecchie
La tempesta non arriva ancora
I lupi si parlano, ma non si sentono
Jon si
affrettò a voltare
il foglio e vide nuovamente quella firma che aveva tanto provato a
decifrare. “Nessuno” mormorò. “Nessuno ancora una
volta…” Si alzò
ed andò alla finestra ripetendo in mente le parole della lettera.
Sembra
un codice, c’è un messaggio nascosto.
La
tempesta che non
arrivava poteva essere quella che avrebbero portato con sé gli Estranei
e in quel
caso si sarebbe trattato di una buona notizia. Ma Jon sospettava che il
codice
fosse più complicato di così. Tordo,
pensò, tordo, tordo… Cosa significa?
Fu colpito
da un’immagine
improvvisa: un piccolo fermaglio a forma d’uccello che chiudeva il
mantello di
Petyr Baelish. Tirò un pugno alla parete ignorando le fitte di dolore
che ne
seguirono. I tordi hanno
orecchie,
pensò. Ditocorto sta
architettando qualcosa… Hanno orecchie. Forse
Baelish stava spiando qualcuno. Jon pensò immediatamente a Sansa,
ma si costrinse a non perdere la calma.
I
lupi si parlano, ma non si sentono.
E Jon
capì. Le lettere,
si disse, io scrivo a Sansa e lei
deve aver scritto a me, ma non sono mai
arrivate. Nessuno, chiunque fosse, aveva voluto metterlo in
guardia: Ditocorto
aveva sabotato la loro corrispondenza.
Non c’entrano nulla i
corvi persi nelle tempeste, pensò Jon riprendendo a camminare, è questo che il
messaggio vuole dire. Probabilmente allora anche la prima
lettera che Daenerys
affermava di avergli inviato era finita nelle mani di Baelish. Jon
dovette
sedersi per evitare di buttare all’aria qualche mobile. Quel figlio di puttana
ha rischiato di trascinare il Nord in una guerra contro i draghi,
pensò irato. Come ho fatto a essere
così cieco?
Capì che
doveva trovare un
modo per mettersi in contatto con Sansa, un modo sicuro. Forse avrebbe
dovuto
anche lui utilizzare dei messaggi in codice. In quel momento sentì dei
passi
lungo il corridoio e d’istinto si alzò in piedi. Sulla porta era
comparsa
Daenerys.
“Spero di
non aver
disturbato.”
Jon scosse
la testa nervoso. Improvvisamente
gli sudavano le mani.
“A chi
scrivi?” chiese
Dany curiosa, ma Jon la fissò irritato. “So che hai letto le mie
lettere ieri”
l’avvertì. L’aveva capito dal profumo, lo stesso della regina.
Daenerys
era
arrossita appena e aveva chinato il capo.
“E non hai
saputo
resistere alla curiosità” concluse Jon. Poi sorrise. “Alla Barriera il
Lord
Comandante poteva leggere, se voleva, le lettere che arrivavano ai
confratelli”
ricordò, “quando arrivò la notizia del risveglio di mio fratello Bran,
il Lord
Comandante fu il primo ad essere messo al corrente.”
“Non eri
tu il Lord
Comandante?” chiese Daenerys con una punta d’accusa nella voce.
Jon non
poteva
darle torto: lo considerava ancora un disertore.
“E’ vero
che hai salvato i
bruti?”
Jon annuì.
“Perché?”
chiese Dany
confusa “Ho sempre sentito dire che i Guardiani della Notte proteggono
la
Barriera dai bruti, che altrimenti invaderebbero il Nord.”
“Un tempo
era così”
assentì Jon, “ma il Popolo Libero voleva solamente sfuggire alla
minaccia degli
Estranei. Eravamo naturali alleati.”
Anche
se non tutti la pensavano così…
Daenerys
era silenziosa.
“Sì” disse infine, “suppongo di sì.” Poi indicò il corridoio. “Vuoi
venire a
fare una passeggiata con me?” chiese.
Jon la
guardò.
La regina
scoppiò a ridere.
A Jon non
rimase altra possibilità che annuire. Uscirono insieme
nel corridoio e salirono sulle mura a strapiombo sul mare. Intanto
Daenerys
parlava.
Jon fece
una smorfia mentre salivano i gradini.
Dany
annuì. “Hai ragione” disse. “Penso sia strano per Gendry
ritrovarsi da un giorno all’altro lord di Capo Tempesta…”
Non
più di quanto lo sia per me ad essere Re del Nord.
“Insomma”
stava
continuando Daenerys, “era solo un bastardo.” Si fermò. “Senza offesa”
aggiunse subito.
Jon rise.
“Sai”
disse Daenerys dopo
un po’, “mi sono chiesta perché ora che sei re non hai preso il nome
della
famiglia di tuo padre. Non sarebbe tutto più semplice?”
Jon
abbassò lo sguardo.
Erano
arrivati in cima e
Jon si voltò a guardare Daenerys negli occhi. Lei indossava un vestito
di
tessuto pesante nero con decori rossi ed aveva i capelli raccolti in un
nido di
trecce spettinate dal vento.
“Mio padre
non ha mai
voluto chiamarmi Stark” raccontò lui e fu come riaprire una ferita mai
del tutto
cicatrizzata, “non l’ha mai neanche negato certo, ma non voglio
disonorare la
sua memoria più di quanto abbia già fatto.”
“Magari
c’era un motivo
che spingeva tuo padre a non darti il suo nome.”
“Ovvio che
c’era” replicò
Jon, “non voleva mancare di rispetto a sua moglie.” Al pensiero di lady
Catelyn, sentì la bocca inaridirsi.
“Ma come
pensi di
governare il Nord senza il nome della tua famiglia?” chiese ancora
Daenerys.
Jon
sospirò.
“No,
suppongo non lo sia” disse Dany e per un po’ nessuno dei due
parlò.
Era quasi
il tramonto e il
cielo limpido sembrava beffarsi delle preoccupazioni di coloro che si
trovavano
alla Roccia del Drago. Euron sarebbe arrivato da lì a tre giorni e
nessuno di
loro era pronto. Jon poggiò le mani sui merli delle mura e si sporse.
La struttura
del castello sembrava fondersi con la roccia sottostante che si ergeva
indifferente
alle onde che la consumavano sollevando schizzi di schiuma. Il mare era
abbastanza agitato.
Poi un
suono stridente
fendette l’aria e Jon e Daenerys si voltarono all’unisono. Un drago
gigantesco,
nero come la pece, stava sorvolando la spiaggia. Aveva un’apertura
alare
impressionante e delle fauci imponenti. Jon era pronto a scommetere
potesse
stradicare un albero intero.
“Drogon!”
esclamò Dany
correndo per quanto poteva in direzione dell’animale. Jon la seguì
incerto.
Quella
bestia era molto
più grande di Rhaegal e decisamente più selvaggia. Il drago si era
avvicinato e
Jon ora poteva sentire il vento provocato dalle sue ali. Poi il gigante
posò le
zampe sulle mura che tremarono. Daenerys si protese ad accarezzare la
sua pelle
squamosa.
“E’ il più
grande” spiegò,
come se Jon non se ne fosse già accorto da solo, “si chiama Drogon
perché il
nome del mio primo marito era Drogo.”
“Avevi
detto che tuo
fratello ti aveva venduta ai Dothraki…”
“L’ha
fatto” confermò Dany
senza smettere di accarezzare il drago, “ma con il tempo io e Drogo
abbiamo
imparato ad amarci.” Jon notò che lei cercava di evitare il suo
sguardo.
“Hai mai
amato qualcuno?”
chiese Daenerys a bruciapelo.
“Sì” disse
Jon con
amarezza, “si chiamava Ygritte ed era una bruta.”
“Era” sussurrò
Dany. “E' morta?”
“Fra le
mie braccia” disse
Jon stringendo i pugni.
Daenerys
si voltò verso di lui.
“Eravamo
in guerra”
ribatté Jon con voce atona, “sapevamo entrambi che poteva succedere.”
Tu
non sai niente, Jon Snow.
“Ho dovuto
uccidere Drogo
con le mie mani” raccontò Daenerys e Jon inorridì. “Una strega mi ha
ingannata
e ha preso la vita del bambino che portavo in grembo, Rhaego, dicendomi
che
avrebbe salvato mio marito. E invece lo ridusse ad una larva e io fui
costretta a soffocarlo con un cuscino.” Aveva parlato con calma e con
voce
ferma, come se il dolore non la toccasse più, ma Jon sapeva quanto
facesse male.
“Non è
stata colpa tua”
riuscì a dire solamente.
“E neanche
tua se Ygritte
è morta” disse Dany girandosi nuovamente, “ma sono morti in ogni caso.”
Riprese ad
accarezzare
Drogon per poi sussurrargli qualcosa in una lingua che Jon non
comprese. Il
drago ringhiò e spiegò nuovamente le ali. Un secondo dopo si sollevava
in aria
allontanandosi dalla fortezza. Dany rimase ad osservarlo mentre la sua
figura rimpiccioliva.
“Quando ti
ho invitato su
quest’isola” cominciò senza guardarlo, “Varys e Tyrion mi hanno
suggerito un
modo per riunire Nord e Sud.” Fece una pausa, nonostante Jon avesse già
capito
dove volesse andare a parare.
“Era
inclusa una proposta”
proseguì Daenerys voltandosi, “una proposta di matrimonio.” Jon se
l’aspettava,
ma non poté impedire ad un fremito di rabbia di scuoterlo.
“Sarebbe
per il meglio”
stava dicendo Daenerys mentre gli si avvicinava, “un modo per garantire
la pace
e l’unità dei Sette Regni. Saremmo re e regina e divideremmo il potere
di…”
“No” la
interruppe seccamente
Jon, “il Nord è un regno indipendente: mio fratello è morto credendo
fermamente
in questa causa e così tutti gli uomini che lo seguivano.”
“Jon,
ascoltami” disse
Dany prendendogli la mano, ma Jon la ritrasse bruscamente.
“Era tutto
programmato
quindi?”
Daenerys
spalancò gli occhi.
“I bei
discorsi” la
interruppe Jon, “le belle parole, la tua comprensione... era
tutto un inganno.”
Dany
sembrava sinceramente ferita.
“No, ora
ascoltami tu”
disse Jon fissandola negli occhi. “Se ho accettato di aiutarti è solo
perché ho
bisogno di tutti gli uomini che riuscirò a trovare per affrontare
quello che ci
aspetta oltre la Barriera, ma ciò non vuol dire che condivida i tuoi
metodi o
le tue ambizioni. Finchè non vedrò il vessillo dei Targaryen sventolare
su
Grande Inverno, il Nord sarà un regno indipendente.”
Forse
aveva esagerato e le
parole erano state un po’ troppo aspre, ma non aveva visto altro modo
per
uscire da quella situazione. Magari Daenerys non aveva avuto sul serio
l’intenzione di ingannarlo, ma Jon non poteva rimangiarsi ciò che aveva
detto.
Le voltò
le spalle e
iniziò a scendere dalle mura. Quasi inciampò sui gradini bagnati e
dovette
aggrapparsi alla parete, ferendosi anche la mano. Si maledisse per aver
dimenticato i guanti. Mentre scendeva tentò di convincersi di aver
fatto la
cosa giusta.
Ma se era
davvero così,
perché sentiva un macigno al posto del cuore?
Davos
Le onde
facevano oscillare
pericolosamente la piccola imbarcazione, ma almeno il vento la spingeva
più
veloce. Tyrion aveva già vomitato due volte.
“Non
pensavo soffrissi il
mal di mare” aveva scherzato Davos e il nano era riuscito addirittura a
sorridere prima di doversi di nuovo sporgere fuori bordo.
Erano in
viaggio da mezza
giornata e la costa non era ancora in vista. Tyrion era preoccupato che
potessero essere intercettati dalla flotta di Cersei, ma Davos sapeva
dove si
trovavano. Erano più o meno all’altezza di Capo Tagliente e avevano
superato
con successo la baia delle Acque Nere. Presto sarebbero arrivati in
vista
dell’isola di Tarth, la patria di Brienne, e da lì bastava seguire la
costa per
raggiungere Capo Tempesta.
Tyrion
aveva già
provveduto a inviare tutti i corvi in loro possesso con altrettanti
messaggi
ai lord di quelle terre. Erano stati tutti convocati a Capo Tempesta e
dovevano
recarsi al castello il più in fretta possibile e allertare i loro
eserciti.
Davos sapeva che molti di quei lord erano morti al seguito di Stannis,
ma
sperava che almeno i loro eredi si sarebbero presentati. Tyrion
sembrava molto
ottimista, Gendry invece era taciturno.
Trascorreva
le ore seduto
a poppa ad ossservare il mare e Davos non voleva disturbarlo. Tyrion
tentava di
intrattenerli con alcune scadenti battute, ma quando vide che nessuno
gli stava
più prestando attenzione smise di provare. Davos gliene fu grato.
Prima di
partire Daenerys
gli aveva affidato Giuramento, la spada di Brienne, e Davos sperava
ardentemente di non ritrovarsi nella situazione di doverla usare.
Sapeva che si
trattava di acciaio di Valyria, Tyrion gli aveva detto che proveniva
dalla
spada di Ned Stark, ma non c’erano Estranei da uccidere nel Sud, non
ancora almeno.
Quando si erano salutati, Jon gli aveva detto di essere prudente.
“Ero un
contrabbandiere”
gli aveva ricordato Davos, “essere prudente è il mio mestiere.” E Jon
aveva
riso. Davos non credeva di averlo mai visto ridere davvero.
Poi Jon si
era
rivolto a Gendry.
“Tornate
presto” aveva
detto prima di andarsene, “e tornate con un esercito. Dopo che avremo
sconfitto
Euron torneremo a casa.” Probabilmente aveva detto casa senza
pensare che Gendry non aveva mai visto Grande Inverno e che
Davos ci aveva passato a stento due settimane. Questa è stata la mia casa per
molti anni, aveva pensato Davos e si era ricordato le parole
molto simili che
Mance Rayder, il Re oltre la Barriera, aveva pronunciato prima di
salire sul
rogo.
La barca
non era
eccessivamente piccola e lo spazio sottocoperta era sufficiente a
ospitare
tutti e tre nel sonno e a contenere le provviste. Aveva anche un ponte
riparato
da una tenda marrone logora, ma adatta a proteggerli da eventuali
piogge.
Tyrion ovviamente aveva portato il vino a bordo, ma, essendosi
dimenticato i
calici, lo tracannava direttamente dalla borraccia versandosene metà
addosso.
Era Davos di solito a tenere il timone. Le vele erano sempre gonfie di
vento e
si procedeva spediti.
Il secondo
giorno Gendry gli
aveva chiesto se poteva insegnargli a tenere la nave e Davos aveva
accettato
volentieri. Così, mentre Tyrion russava rumorosomente sottocoperta,
Gendry correva
da una parte all’altra afferrando quella o quell’altra corda. Almeno si
distrae dai suoi pensieri, si disse Davos. Quali che siano non sembrano
renderlo molto felice.
Gendry era
lesto a
imparare e abbastanza sveglio da capire in quale direzione soffiava il
vento e
in che verso era saggio orientare le vele per prenderlo al meglio. Si
era
portato dietro la sua mazza, alta quasi quanto Tyrion, e trascorreva
molto
tempo ad affilarne i bordi già estremamente taglienti. Si era anche
offerto di
sistemare Giuramento, dicendo di conoscere l’acciaio di Valyria, ma
Davos si
rifiutava di prendere decisioni senza consultare prima Brienne.
Chissà
dove sarà lei a quest’ora.
Era sicuro
fosse riuscita
a lasciare in qualche modo la Roccia del Drago, ma era tornata al Nord
o
vagabondava ancora per gli déi sapevano quali terre? Davos sperava
vivamente
nella prima ipotesi. Certo, lui e Jon avevano parzialmente cambiato
idea circa
Daenerys Targaryen e forse non doveva più essere considerata una tale
minaccia,
ma Davos voleva che giungessero notizie dal Nord. Jon diceva sempre di
aver
scritto molte volte a sua sorella, ma di non aver ricevuto alcuna
risposta. E
non è un buon segno, pensò Davos stringendo i denti e tirando la
fune della
vela maggiore. La barca ebbe un sussulto, ma subito accelerò.
“Saremo a
Capo Tempesta
entrò l’alba” annunciò scendendo sottocoperta, “fareste meglio a
riposarvi.”
“Non vuoi
il cambio al
timone?” chiese Tyrion disteso sulle pellicce e con i capelli
arruffati. Davos
fece una smorfia. “Non vedresti nemmeno il mare davanti a te.”
Tyrion si
distese di nuovo.
“Quali
attività, mio
signore?” chiese piuttosto ingenuamente Gendry.
“Credo si
riferisse
all’ubriacarsi fino a perdere i sensi” rispose divertito Davos e fece
per
risalire la corta scaletta che portava sul ponte.
“Aspetta”
lo richiamò
Gendry, “voglio venire con te.” Davos si voltò a fissarlo. “E’ meglio
se ti
riposi” suggerì, “domani dovrai incontrare tutti quei lord e devi far
loro una
buona impressione.”
“Sono
abituato a lavorare
notte e giorno” replicò Gendry, “succedeva spesso quando vivevo ad
Approdo del
Re.” Davos lo osservò per qualche secondo, poi annuì.
Salirono
insieme e Gendry
si sedette sull’unica panca presente, mentre Davos si posizionò dietro
il
timone. Per qualche minuto si udì solamente lo scrosciare dell’acqua e
l’infrangersi delle onde sui fianchi della nave. Gendry sporse una mano
fuori
accogliendo gli spruzzi gelidi. Uno lo colpì in pieno viso e Davos rise
vedendolo ritrarsi.
“Senti”
disse tentando di
iniziare una conversazione, “non mi hai mai raccontato cosa è successo
dopo che
ti ho fatto fuggire dalla Roccia del Drago. Pensavo saresti tornato ad
Approdo
del Re…”
“Lo
pensavo anch’io”
ammise Gendry asciugandosi la faccia con la manica, “ma devo avere
sbagliato
rotta. Dopo qualche giorno avevo finito le provviste e mi sono dovuto
fermare
su una spiaggia. Gli abitanti di un piccolo villaggio mi hanno
rifornito e mi
hanno detto che mi trovavo alle Dita. Re Joffrey era appena stato
ucciso e ho
pensato che tornare nella capitale non sarebbe stata una scelta saggia.
Così ho
proseguito verso nord e sono arrivato a Porto Bianco. Lì un vecchio
fabbro mi
ha assunto nella sua bottega e quando è morto me l’ha lasciata in
eredità.”
Davos lo
stava guardando.
Gendry
sospirò
e chinò il capo.
Davos era
confuso.
“Avevo
sentito parlare
molto di lui” spiegò, “dicevano che aveva sconfitto i Bolton ed aiutato
molte
persone in difficoltà.” Gendry esitò. “Si diceva anche che era un
bastardo”
sussurrò come a non voler essere sentito, “come me e allora…” Lasciò
cadere la
frase. Davos annuì.
“Durante
il viaggio in
nave ho capito chi era” continuò Gendry, “ho sentito altri uomini
chiamarlo per
nome e mi sono ricordato. Arya Stark era mia amica, ser Davos, mi aveva
parlato
tanto del fratello che era andato alla Barriera e che le aveva regalato
Ago.”
Vedendo la
faccia confusa del Cavaliere delle Cipolle, Gendry rise.
“Sapevo
che mi potevo
fidare di Jon Snow” proseguì, “così gli ho detto chi ero e come avevo
conosciuto sua sorella.”
Davos
sapeva che Arya Stark non era più stata vista da
anni e preferì non fare domande in merito.
“Non
voglio essere un
lord” disse Gendry. “I Baratheon non significano niente per me e non so
nemmeno
dove si trova il mio castello. Che razza di lord sarei se non so
riconoscere
nemmeno le mie terre, se non so nemmeno i nomi dei miei alfieri?” Aveva
sputato
quelle parole con rabbia repressa troppo a lungo e Davos capì che il
ragazzo
aveva bisogno di sfogarsi. Lo lasciò quindi parlare.
“Io non so
cosa vi aspettiate
da me” stava dicendo Gendry, “ma non ho idea di cosa dirò a tutti quei
signori
che verranno ad ascoltarmi. Se anche dovessero farmi delle domande
stupide,
come chi fu il fondatore di casa Baratheon, non saprei rispondere.”
“Orys
Baratheon…”
“Cosa?”
“Il
fondatore di casa
Baratheon come lord di Capo Tempesta.”
Gendry
sorrise.
“Io e
Tyrion ti
accompagniamo proprio per questo” replicò Davos incoraggiante e Gendry
distolse
lo sguardo.
“Guardami”
lo invitò Davos
con dolcezza. Gendry si voltò verso di lui. I suoi occhi azzurri
brillavano
anche nell’ombra.
Forse
perché sta piangendo.
“Quando
Stannis mi fece
cavaliere” raccontò, “non avevo mai tenuto una spada in mano e
conoscevo a
malapena il modo appropriato per rivolgersi a un nobile. Il primo
periodo fu
un inferno, non facevo altro che sbagliare una regola dopo l’altra.
Stannis
però non se ne curava, diceva che l’importante era che rimanessi lucido
e
continuassi a usare il cervello. La buona educazione poteva andare a
farsi
fottere.”
“Stannis
era cattivo”
sussurrò Gendry rabbrividendo, “ho visto l’odio nei suoi occhi.”
Davos
scosse
la testa.
Né
tantomeno sua figlia.
“Ma un
bravo lord non
dovrebbe permettere a persone malvagie di controllarlo” osservò Gendry.
“No”
replicò Davos, “non
dovrebbe, ma non tutti sono abbastanza forti.”
Gendry lo
guardò negli occhi.
Davos
sorrise.
“Assolutamente” lo tranquillizzò. “Tu hai conosciuto la miseria e sai
come va
il mondo. Un giorno potrai governare con giustizia e saggezza.” Gli
spettinò i
capelli neri. “Ma per il momento” continuò, “basterà che tu spieghi ai
tuoi
lord il perché a Daenerys Targaryen servano i loro uomini.”
Gendry
aggrottò le
sopracciglia.
Davos tirò
un lungo sospiro.
Gendry
sgranò gli occhi.
“Ma è orribile” mormorò.
“Già”
disse Davos, “per questo dovremo riuscire a
convincerli.” Inclinò leggermente la testa.
Gendry lo
fissò con sguardo interrogativo. “Prova a presentarti” spiegò Davos,
“devi convincerli di essere davvero un Baratheon.”
“Ma se non
ne sono
convinto nemmeno io!”
“Ma loro
non lo devono
sapere” ribatté Davos. “Su, avanti, prova…”
Gendry
strinse le labbra e raddrizzò
la schiena.
“Voce più
alta.”
“Io sono…”
“E tieni
lo sguardo sui
tuoi ascoltatori” disse ancora Davos, “osserva ognuno di loro, falli
sentire
importanti.”
Gendry
annuì.
“Non
trattenere il fiato
prima di parlare” lo corresse di nuovo Davos, “si nota.”
“E’
inutile” disse Gendry.
“Prova”
gli ordinò Davos.
“Io sono
Gendry
Baratheon.” Ci fu un attimo di pausa.
“Figlio
di…” lo incoraggiò Davos.
“Figlio di
Robert
Baratheon” continuò Gendry.
Davos
sbuffò.
“Non li
so!”
“Sì che li
sai. Concentrati.”
“Figlio di
Robert
Baratheon” tentò ancora Gendry, “primo del suo nome, re degli Andali
dei
Rhaynar…”
“Si dice Rhoynar…”
Gendry
brontolò.
“Reame” rise
Davos, “non Rame.”
Gendry
stava perdendo
la pazienza.
“Lo
sarebbe” disse Davos,
“se ci credessi…”
Gendry
aveva il viso rosso ed i pugni contratti.
Alla fine
stava ansimando e Davos gli lanciò un’occhiata trionfante.
Ci fu un
rumore di passi veloci e Tyrion comparve sul
ponte.
“No”
rispose Davos in tono
falsamente confuso, “forse stavi solo dormendo.” Alzò lo sguardo al
cielo che
si stava schiarendo. “Meglio che ti sia svegliato, comunque” continuò,
“perché
siamo arrivati.” Indicò la costa che era appena apparsa davanti alla
prua.
Tyrion e Gendry si voltarono di scatto.
Davos
sorrise.
Aveva
solamente due grosse
torri e pochissime finestre, piccole come feritoie. Le mura erano più
spesse di
qualunque altro castello del Continente Occidentale e compensavano
l’assenza di
un fossato divensivo. Si diceva fossero protette da potenti
incantesimi. Davos
sorrise ricordando come, insieme a pochi amici fidati, avesse scalato
quella
parete di roccia, rischiando anche di precipitare in mare, salvando il
castello
dalla fame.
Si voltò
verso Tyrion e
Gendry. “Capo Tempesta non ha un porto” spiegò, “perciò ci limiteremo a
lasciare la barca sulla spiaggia. Da lì saliremo al castello tramite un
sentiero che conosco.”
“E’ vero
che questo golfo
lo chiamano Golfo dei Naufragi?” chiese
Tyrion.
“Aye”
rispose Davos con
una smorfia, “non tutte le navi sono abbastanza fortunate come la
nostra.”
Tyrion
inarcò le sopracciglia.
Ormai erano vicinissimi e Davos poteva vedere la spiaggia di sabbia
nera e
ciottoli con alle spalle un bosco di alberi bassi. “Ci siamo” disse e
saltò in
acqua. Era gelida e gli inzuppò i pantaloni fin quasi al ginocchio, ma
Davos ci
era abituato. Trascinò la barca a secco e si accertò che fosse
incastrata bene.
Gendry scese a terra con un salto, Tyrion era esitante.
“Vuoi una
mano?” chiese
sarcastico Davos e il nano gli lanciò un’occhiataccia. “Sto bene così,
grazie”
rispose a denti stretti. Poi, reggendosi al bordo, si calò a terra.
Si
incamminarono verso il
sentiero che Stannis aveva mostrato a Davos molti anni prima attraverso
il
boschetto. L’aria era umida e si respirava a fatica. Ciò tuttavia non
impediva
al vento che spazzava incessamente le Terre della Tempesta di soffiare
anche
quel giorno.
Arrivati
ai piedi della
scalinata di pietra che portava al palazzo, furono però fermati da tre
guardie
armate. Davos riconobbe ser Gilbert Forring, il castellano che Stannis
aveva
lasciato a governare Capo Tempesta. Era un uomo alto e ben piazzato,
con folti
baffi scuri e sopracciglia cespugliose. Stringeva in pugno una lancia e
aveva
la spada legata alla cintura.
“Chi
siete?” chiese con
voce profonda il cavaliere “Cosa vi porta qui?”
Davos fece
un passo avanti.
Ser
Gilbert lo squadrò a lungo.
“Stannis
mi aveva ordinato
di tornare alla Barriera” rispose il Cavaliere delle Cipolle, “non ero
presente
quando è stato sconfitto.”
Gilbert
spostò lo sguardo su Tyrion.
“Magari
sono il loro
giullare” scherzò Tyrion, ma Forring rimase impassibile.
Tyrion
abbassò lo
sguardo.
“Risparmia
il fiato,
Folletto” lo interruppe Gilbert, “ne avrai bisogno.”
“Non siamo
qui per
litigare” si intromise Gendry, “dobbiamo parlare con i lord che abbiamo
convocato ed abbiamo fretta.”
Gilbert si
voltò a guardarlo.
Gendry
assunse la
postura che Davos gli aveva insegnato.
Ser
Gilbert lo fissò per qualche
secondo, poi sorrise.
“Lord
Elwood” chiamò, “vai
ad ordinare di aprire il portone e dì ai lord di tenersi pronti ad
accogliere
l’aspirante lord di Capo Tempesta.”
Jaime
Nymeria
Sand era saltata
giù da un bel pezzo quando Jaime decise finalmente di muoversi. Non era
rimasto
nessuno sulle mura. Spinse lo sguardo fuori dal castello e contò sette
corpi di
nemici che erano precipitati durante la scalata. Soltanto sette, pensò rinfoderando
la spada. Abbiamo perso il vantaggio
che avevamo.
Jaime non
capiva quale
fosse il piano di Olenna che Nymeria aveva così stupidamente
menzionato. Anche
se fossero riusciti a raggiungere il portone esterno da dentro, gli
uomini
Lannister schierati nei cortili sarebbero stati comunque troppi per
essere
sopraffatti. Forse non lo sanno,
si disse Jaime affrettandosi a scendere dalle
mura.
Da lontano
giungevano le
grida e il rumore della battaglia in corso e Jaime sperò Bronn avesse
preso il
controllo della situazione. I Tyrell non potevano pensare di vincere.
Avevano
più uomini, certo, ma arrivando tardi, avevano perso il vantaggio di
potersi
chiudere in un castello e difenderlo da un assedio.
Sceso a
terra, Jaime si
guardò intorno. Si trovava vicino alla struttura di legno chiaro che
ospitava
le stalle, con la paglia sul pavimento e rampicanti arrotolati intorno
ai pali
che sorreggevano la tettoia. Il cortile era delimitato da muriccioli
nei quali
si aprivano strade che portavano ad altri giardini e Jaime intravide
fontane,
bassi alberi da frutto e statue di marmo bianco. I sentieri erano di
ghiaia e
la pietra era trapunta di muschio.
Davanti a
lui svettavano
le mura interne e si apriva una porta sovrastata da un grazioso arco in
pietra.
Sicuramente Nymeria e il suo gruppo erano andati da quella parte e
Jaime decise
di seguirli. Forse così avrebbe capito cosa stessero organizzando.
Oltrepassata
la porta, si ritrovò con suo sommo stupore circondato da siepi così
imponenti
da guardare dall’alto in basso un uomo adulto.
Sollevando
lo sguardo,
Jaime vide la terza cinta di mura, la più alta, che proteggeva il
palazzo vero
e proprio. Sapeva che di entrata all’edificio ve n’era una sola ad est,
entrata
che i suoi soldati avevano trovato sbarrata. Cosa cercavano i nemici in
quella
specie di labirinto? Jaime rabbrividì, ricordando le leggende che si
raccontavano su Alto Giardino.
In effetti
quel posto
assomigliava proprio ad un labirinto, fiorito e raffinato, ma allo
stesso tempo
insidioso. Jaime si voltò, deciso a tornare alle stalle, ma si accorse
di
essersi già inoltrato troppo per poter sperare di trovare la via
d’uscita.
Sospirò profondamente. Davanti a lui si aprivano tre diversi sentieri.
Ne
scelse uno a caso e continuò a camminare.
La
battaglia chissà dove
continuava ad infuriare e Jaime alzò gli occhi al cielo. Gli uomini stanno
combattendo e morendo, pensò irato, e io perdo tempo fra i fiori.
Di fiori
le siepi erano
piene e stranamente la maggior parte non era ancora secca. Ve n’erano
di tutti
i colori e sarebbero stati un vero balsamo per la vista se Jaime non
fosse
stato così ansioso di uscire di lì.
Cercava di
camminare senza
far scricchiolare troppo la ghiaia sotto le suole per non attirare
l’attenzione
e aveva la mano sinistra adagiata sull’elsa della spada. Se era
fortunato
avrebbe almeno trovato gli scalatori e posto fine al loro piano,
qualunque esso
fosse. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo e constatava che si stava
avvicinando al palazzo e al cuore di Alto Giardino. Non sapeva neppure
se ciò
fosse uno sviluppo positivo. A un certo punto udì dei passi provenienti
dal
sentiero parallelo al suo e si arrestò.
“Aveva
detto fiori rossi. Stiamo girando in tondo.”
“Assolutamente
no, stiamo andando nella direzione giusta: adesso vedrai…”
Jaime
seguì le loro voci
fino al punto in cui i due sentieri si incontravano. I due uomini, che
indossavano lo stemma di casa Redwyne, girarono nella sua direzione, ma
Jaime
fu più rapido. Aveva già estratto la spada in precedenza e li colse di
sorpresa.
Colpì il
primo al torace
ed il secondo alle gambe, per poi tagliargli la gola quando vide che
ancora
respirava. Jaime si guardò intorno in allerta. Le grida non avevano
richiamato
nessuno e Jaime si convinse che il gruppo di scalatori aveva deciso di
dividersi. Saggia decisione. Così
posso ucciderli un po’ per volta.
Pulì la
lama sui pantaloni
di uno dei due morti e proseguì, continuando a scegliere la strada da
seguire
senza alcun criterio logico. Un paio di volte giunse a un vicolo cieco
e
dovette tornare indietro. Sapendo che Alto Giardino era di forma
circolare,
Jaime sperava di potere costeggiare le mura fino a raggiungere un’altra
porta.
Il clamore
della battaglia
era sempre più intenso, segno che si stava avvicinando alla meta. Alla
fine si
ritrovò davanti le mura interne che proteggevano il labirinto. Jaime
sorrise. Adesso posso seguirle,
si disse, e trovare l’uscita.
Ad un
tratto però sentì
nuovamente delle voci, stavolta più numerose e concitate. Riconobbe
quella del
giovane Hightower.
“Sono nel
labirinto” stava
dicendo Garth, “sono entrati dalla porta sud e a quest’ora si saranno
già
persi. Nymeria è andata alla porta nord, in caso ne arrivino altri da
quella
parte: Feyer e Tytus, raggiungetela. Gli altri con me!” Ci furono
esclamazioni e
passi frettolosi.
Jaime si
nascose dietro un
tronco tagliato male e attaccò i due soldati che stavano passando in
quel
momento. Non era stata una mossa molto onorevole, ma a Jaime non
interessava.
Lasciò i corpi per terra e proseguì nella direzione opposta, verso il
gruppo di
Garth Hightower.
Da quel
che aveva capito
alcuni soldati Lannister erano stati così idioti da farsi attrarre
all’interno
del labirinto e ora rischiavano di cadere in una trappola. Jaime
sbuffò: non
aveva tempo per occuparsi di loro, doveva tornare sulle mura a dirigere
la
difesa del castello. Sperò che Bronn se la stesse cavando bene. Dunque, hanno
parlato di porte nord e sud, ragionò fermandosi un attimo. Quella ad est deve
quindi essere la porta sbarrata, mentre io sono entrato da quella a
ovest.
Tornare
indietro era fuori
discussione, così Jaime decise di continuare il cammino verso la porta
sud.
Forse se era fortunato il gruppo di Nymeria a nord sarebbe anche stato
respinto. Riprese a correre nella direzione che credeva essere esatta e
si
lasciò alle spalle le urla provenienti dal campo di battaglia.
Incredibilmente
trovò la porta che cercava in poco tempo, ma non vide nessuno nemmeno
appostato
nel cortile di fronte. Jaime strinse le
labbra. Aveva schierato più di cento uomini in quel dannato cortile,
possibile
che fossero tutti entrati nel labirinto?
Come a
risposta alla sua
muta domanda si elevarono alle sue spalle delle urla provenienti da più
luoghi
indistinti del labirinto e rumori di spade che iniziavano a cozzare.
Jaime
corse fuori verso le mura esterne e si diresse in fretta al portone
principale.
Con suo sommo sgomento vide che pochissimi uomini erano rimasti di
guardia.
“Cosa vi
salta in mente?!”
esclamò con rabbia afferrando il primo soldato che gli capitò a tiro.
“N-non lo
so, ser” balbettò
quello in preda al panico. “Si sono sentiti dei rumori provenienti da
oltre le
mura interne e dei soldati sono andati a controllare.”
Jaime lo
lasciò andare e
rinfoderò la spada. Poi si passò la mano sana sul viso. Se la forza
dothraki o
Tyrell avesse sfondato il portone in quell’esatto momento, i Lannister
non
avrebbero avuto gli uomini per respingere gli aggressori.
“Rimanete
in posizione” ordinò,
“il primo che si allontana dal suo posto senza aver ricevuto ordini
specifici
sarà impiccato.”
“Ma i
soldati hanno
ricevuto ordini specifici, ser” si intromise un altro soldato, “da lord
Randyll
Tarly. Voleva facessero luce su quei rumori, li ha guidati lui stesso…”
Jaime
era esterrefatto.
“Perché
quel cazzo di
portone è aperto?” gridò “Volete che i Dothraki ci vengano a salutare
fin
dentro le mura? Sapete cosa significa difendere un castello?”
“Ordini di
lord Tarly, ser,
dice che presto molti uomini dovranno rientrare…”
Jaime non
disse nulla, si
limitò a correre su per i gradini di pietra fino in cima alle mura.
Come si
aspettava la situazione era tragica. Bronn non si vedeva da nessuna
parte e i
Dothraki erano ormai praticamente sotto le mura. Lo schieramento
Lannister era
allo sbando, stretto fra due lati dai soldati della rosa. Gli arcieri
sulle
mura erano stati decimati dalle frecce lanciate in corsa dai Dothraki e
non
erano più in grado di arrestare l’avanzata nemica. Jaime cercò con lo
sguardo i
vessilli dei Tarly e dei Merryweather, ma non li trovò.
Senza
porsi troppe domande
afferrò bruscamente il corno della ritirata dal collo della vedetta più
vicina
e lo suonò tre volte. Non possono
fermarli, pensò Jaime con amarezza. Meglio
che entrino nel castello: tenteremo di difendere le sue mura, per
quanto
possibile.
Gli uomini
Lannister
inziarono a ripiegare sul castello e, quando la maggior parte fu
entrata, Jaime
diede ordine di serrare il portone. Immediatamente i nemici iniziarono
a
prendere d’assalto le mura, che però per il momento reggevano. Jaime
ordinò che
nuovi arcieri fossero posizionati sui bastioni e nelle torri e che
tutti gli
altri si schierassero immediatamente.
Scese
dalle mura e passò
attraverso le fila in cerca di Bronn. Non lo trovò nemmeno questa
volta. Iniziò
a preoccuparsi e fece domande, ma nessuno l’aveva visto o sapeva di chi
si
trattasse.
“Dove sono
i soldati di
Collina del Corno e Lunga Tavola?” chiese allora a nessuno in
particolare.
“Lord
Randyll li ha
portati con sé all’interno” spiegò un uomo che sanguinava dal braccio.
“Erano
seimila uomini”
osservò Jaime sforzandosi di essere calmo, “come hanno fatto ad entrare
tutti
quanti?” Nessuno rispose e molti scossero la testa.
La
situazione era strana:
come mai Randyll Tarly aveva sentito la necessità di portare i suoi
uomini
dentro le mura? Non era un codardo e la sua decisione di affrontare i
Dothraki
in campo aperto lo confermava. Qualcosa non andava e Jaime era sicuro
c’entrasse il labirinto. Forse perfino Bronn era andato da quella
parte.
“Difendete
il portone”
ordinò, “se entrano, siete morti. Più arceri sulle mura e lanciate ai
nemici
tutto quello che trovate.” Ci furono bisbiglii d’assenso. Jaime sapeva
che
potevano resistere massimo un paio d’ore, ma forse a quel punto sarebbe
riuscito a mettere in salvo almeno l’altra parte dell’esercito che si
era persa
nel labirinto.
Davanti a
lui si ergeva la
porta est, chiusa con battenti di ferro, e Jaime si chiese se fosse
stata
Alerie Tyrell a dare quell’ordine. Decise di tentare la sorte con la
porta nord
e si diresse in quella direzione. Superò un numero incredibile di
giardini
quasi intatti, con alberi e piccoli chiostri, ma la terra smossa
tradiva il
passaggio di uomini. Jaime capì di essere sulla pista giusta. Quando
finalmente
giunse alla porta nord oltre la quale si estendeva l’ormai noto
labirinto,
Jaime si trovò davanti ad un orribile spettacolo.
Sulla
soglia giaceva una
decina di cadaveri, tra cui quello di Nymeria Sand. La ragazza aveva la
schiena
appoggiata alla siepe e gli occhi chiusi. Stringeva fra le mani la
frusta e la
daga dai bordi ondulati giaceva per terra qualche metro più in là. Del
sangue
fresco le sgorgava da una ferita all’altezza delle costole e inzuppava
il
terreno. Aveva la testa reclinata su una spalla.
Jaime vide
altri cadaveri,
alcuni che sfoggiavano l’emblema dei Tyrell, altri quello dei
Lannister, tutti
morti nello stesso posto e più o meno nello stesso modo. Alcuni erano
stati
colpiti da lunghe frecce. E poi, isolato al centro del primo sentiero
del
labirinto con un rivolo di sangue che gli scorreva sul mento, Jaime
vide Bronn.
Non seppe
mai quanto ci
mise, ma in pochi secondi era al suo fianco. Gli prese la mano e Bronn
aprì gli
occhi. Sembrava stanco e rassegnato, ma quando vide Jaime si sforzò di
sorridere.
“Dove
cazzo eri finito?”
Jaime notò
che perdeva sangue dal petto e la ferita era
grave.
Bronn fece
una smorfia che si trasformò
in un gemito di dolore.
“Chi è
stato?”
“Randyll
Tarly” rispose
Bronn iniziando a tossire, “è entrato nel labirinto, credo voglia
uccidere
chiunque incontri, non importa se combatte per i Lannister o per i
Tyrell.”
Jaime strinse le labbra.
Bronn si
guardò la ferita.
La tosse
lo prese di nuovo e Jaime vide che stava sputando sangue.
“E la
ragazza” mormorò
Bronn chiudendo gli occhi e rilassando i muscoli, “credo provi qualcosa
per
te…”
“Chi?” si
affrettò a
chiedere Jaime “Quale ragazza?”
Ma non
ottenne mai una
risposta. Il corpo di Bronn fu percorso da brividi e poi rimase
immobile. Jaime
abbassò il capo. Bronn l’aveva aiutato in situazioni difficili, certo
lo faceva
per oro, ma aveva rischiato la vita più di una volta. Tyrion gli aveva
raccontato che era stato Bronn a salvarlo dal processo a Nido
dell’Aquila e a
incendiare la nave carica di Altofuoco durante la Battaglia delle Acque
Nere.
Bronn era
diventato una
presenza fissa e Jaime non aveva mai davvero pensato la storia potesse
finire
in quel modo. Avevano scherzato sulla morte così a lungo che si erano
dimenticati
che li attendeva paziente.
Jaime si
tirò in piedi.
Trascinò il corpo di Bronn fra le foglie per metterlo al sicuro e si
promise di
andarlo a riprendere semmai fosse uscito vivo da quella situazione.
Spostò lo
sguardo verso l’interno del labirinto. Impugnò la spada e si inoltrò
fra le
siepi, deciso a trovare Randyll Tarly.
Andando
avanti,
continuando a scegliere strade al posto di altre, si imbatté in altri
cadaveri
di soldati Lannister e Tyrell e, in qualche raro caso, Tarly o
Merryweather. Jaime
si chiedeva cosa mai avesse portato Randyll e Orton a tradire la causa
di
Cersei. Se non erano fedeli alla regina sul Trono di Spade e neppure
alla
ribelle Daenerys Targaryen, allora con chi si erano schierati? Jaime
era
assolutamente certo il Nord non avesse ruolo in questa cospirazione, ma
allora
chi?
Continuava
anche a
chiedersi chi fosse la ragazza di cui parlava Bronn. Certamente non si
riferiva
a Nymeria. Forse le sue erano state solo le parole senza senso di un
morente.
Giunse in una piazzola straordinariamente ampia, che constatò con
tristezza
essere occupata da cadaveri Lannister. Il sangue impregnava il terreno
e
l’odore era terribile.
All’improvviso
sentì dei
passi alle sue spalle e fece appena in tempo a schivare il fendente
diretto
alla sua spalla. Davanti a lui era apparso Randyll Tarly. Il suo volto
come al
solito non esprimeva emozioni, e la sua armatura era macchiata in più
punti di
sangue. Nonostante ciò, Jaime notò con rabbia che era illeso.
“Sterminatore
di Re” lo
salutò con voce piatta, “non mi aspettavo di trovarti qui.”
“E io di
vedere che hai
abbandonato così vigliaccamente il tuo posto” replicò freddamente
Jaime.
“Perché i tuoi uomini stanno massacrando i miei?”
Tarly fece
una specie di
sorriso.
Jaime
non capiva dove volesse arrivare.
Randyll
sembrò disgustato.
“Ti credevo un uomo, sai” disse con voce dura, “ma vedo che sei solo un
rammollito che si nasconde fra le gonne di sua sorella, troppo pauroso
per
ammettere che sia una regnante disastrosa.” Jaime non disse nulla.
“E così
anche quella
ragazzina che si crede regina solo perché ha tre animali da compagnia
che
sputano fuoco” stava continuando Tarly. “Perché i draghi sono animali e
possono
essere uccisi come tutti gli altri. Finchè sarò in vita lotterò
affinchè
nessuna donna sieda sul Trono di Spade, ser Jaime. Non sono fatte per
governare, porterebbero solo rovina.”
A Jaime
venne quasi voglia di ridere,
nonostante la situazione tragica.
Stavolta
Randyll rise
sul serio, ma era una risata fredda e gutturale.
“Ma perché
lo fai?” chiese
ancora Jaime “Non ha senso! Se anche tu adesso uccidessi ogni singolo
soldato
del mio esercito, Daenerys ne avrebbe uno dieci volte il tuo.”
“Sai cosa
accadrà nel giro
di pochi giorni alla Roccia del Drago?” chiese Tarly “Euron Greyjoy ha
sconfitto la flotta di Daenerys Targaryen a Porto Bianco e attaccherà
presto
l’isola con tutti i mercenari per i quali tua sorella è stata così
gentile da
pagare. Annienterà anche questa minaccia e poi prenderà Approdo del
Re.”
“Euron
Greyjoy è un
alleato di Cersei” replicò Jaime, “e mia sorella gli ha ordinato di
aspettare.
Non attaccherà la Roccia del Drago.”
“Euron non
è agli ordini
di Cersei” disse Randyll avvicinandosi, “così come non lo siamo io ed
Orton
Meeryweather. L’abbiamo seguita finché ci è risultato comodo, ma ora
non lo è
più. Come credi mi ricompenserà Euron quando gli consegnerò la tua
testa?” E
con questa domanda Randyll Tarly attaccò.
Jaime fu
abbastanza abile
da respingere l’attacco, ma si ritrovò costretto a fare un passo
indietro e
quasi inciampò in un cadavere. Randyll era un uomo abbastanza anziano,
ma
combatteva sufficientemente bene da mettere Jaime in difficoltà. I
combattimenti
veri testavano brutalmente le capacità della sua mano sinistra e
mandavano
all’aria mesi di miglioramenti.
Le spade
si incrociarono e
Jaime tentò di fare pressione per sbilanciare l’avversario. Ovviamente
non ci
riuscì: Tarly era solido come una roccia.
“Mio
figlio saprebbe
combattere meglio di te” disse Randyll con voce delusa, “mi aspettavo
di
meglio…”
“E allora
continua ad
aspettare” replicò Jaime liberandosi dalla situazione di stallo.
Iniziarono a
muoversi in cerchio scrutandosi.
“Hai
ucciso il mio amico
Bronn” disse Jaime. Era più un’affermazione che una domanda.
Tarly
annuì. “Aye”
rispose, “un lurido mercenario tagliagole. Un insulto a tutti i
cavalieri.”
Jaime
sentì i polsi fremere
di rabbia. “Era mio amico” ripeté.
“Allora un
insulto anche
alla tua memoria” disse Tarly colpendo con veemenza.
Jaime non
se l’aspettava,
si era troppo distratto. Non fu capace di reagire in tempo e due colpi
dopo
aveva perso la presa sulla spada, che cadde a terra. Randyll la calciò
lontana
e Jaime indietreggiò. Questa volta inciampò davvero in un cadavere e
cadde
lungo disteso.
“Avrei
preferito ucciderti
mentri eri in piedi con una spada in mano” constatò Tarly alzando la
spada, “ma
credo non faccia alcuna differenza.” Jaime lo fissò negli occhi. Non
sapeva
cosa dire, ma non sarebbe scappato. Avrebbe affrontato la morte e
peggio.
Proprio
quando la spada
stava per calare, Randyll sussultò violentemente guardandosi lo
stomaco. Jaime
seguì il suo sguardo e vide con meraviglia che era stato trapassato da
una lama
insanguinata conficcata nella sua schiena. Quando la spada fu estratta,
il
sangue sgorgò a fiumi e Tarly cadde a terra senza un grido.
Jaime
sollevò lo sguardo
verso il suo salvatore e rimase senza fiato. A pulire la lama sui
pantaloni e a
guardarlo dall’alto in basso con aria impassibile c’era Brienne.
Bran
Dopo aver
visitato il
Forte della Notte, seppur nella sua decadenza, a Bran il Castello Nero
parve
veramente piccolo. Era di forma quadrata e non aveva mura. Benjen
diceva sempre
che i Guardiani della Notte non sarebbero mai stati attaccati da sud e
a nord
erano protetti dalla Barriera, ma Bran riteneva che un castello per
definizione
dovesse avere delle difese. Invece il Castello Nero era costruito per
metà di
legno ed era un miracolo che non fosse bruciato già un centinaio di
volte.
I due
uomini che li
avevano accolti oltre la Barriera aiutarono Meera a trasportarlo dentro
e Bran
si sentì addosso gli sguardi curiosi e interrogativi dei confratelli
dei
Guardiani. Cercò con lo sguardo Jon, ma non lo vide da nessuna parte.
Le parole
e le occhiate che i due uomini si erano rivolti gli avevano messo
agitazione ed
era ansioso di parlare con il Lord Comandante. Prima però furono
scortati in
quelle che immaginò sarebbero diventate le loro stanze, sotto alla
grande gabbia
che permetteva ai Guardiani di salire sulla Barriera.
“Verrà
qualcuno a
chiamarvi” disse uno dei due uomini, “quando il Lord Comandante sarà
pronto a
ricevervi.” Bran annuì e la porta fu chiusa. Meera si stava guardando
intorno.
La stanza
non era molto
grande; aveva due letti bassi coperti da pellicce e un tavolino con una
candela
mezza consumata appoggiata sopra. Niente sedie o altri mobili. Poi
Meera scorse
qualcosa in un angolo e sorrise.
“Guarda,
c’è una tinozza…
Potremo farci il bagno!” Oltre la Barriera erano sopravvissuti
lavandosi solo
quando strettamente necessario e l’acqua dei torrenti era congelata.
“Forse è
meglio aspettare”
disse Bran incerto, ma Meera lo guardò male. Bran odiava quando diceva
qualcosa
che la faceva arrabbiare: si sentiva così in colpa.
“Sono mesi
che non mi
faccio un bagno” disse infatti Meera irata, poi si addolcì. “Non vuoi
che ti
aiuti?”
Bran
scosse la testa: voleva solo riposare.
Sognò di
corvi, migliaia e
migliaia di corvi che volavano sopra la Barriera. Vide i Figli della
Foresta
sotto gli Alberi del Cuore e uno di loro si voltò verso di lui. Bran
indietreggiò.
“Lo sta
cercando” disse la
creatura. Aveva gli occhi color del muschio e la pelle scura come i
Figli della
Foresta della caverna del Corvo con Tre Occhi.
“Lui lo
sta cercando”
stava ripetendo quell’essere, “e quando l’avrà trovato non ci sarà più
salvezza.”
Bran sentì
un brivido corrergli lungo la schiena.
Il Figlio
della Foresta lo osservò a lungo.
Poi la
scena si dissolse
come inchiostro nell’acqua e Bran si trovò nuovamente davanti
all’esercito
degli Estranei. Il Re della Notte venne avanti e sembrava quasi
sorridere, per
quanto ciò fosse possibile, e Bran sentì il sangue ghiacciarsi nelle
vene.
Poi il
capo degli Estranei
fece qualcosa che mai Bran si sarebbe aspettato: iniziò a parlare. Era
una
lingua sconosciuta, ma il suono faceva sanguinare le orecchie. Alzò lo
sguardo
e vide un’enorme creatura che lo fissava. Bran non aveva mai visto
nulla del
genere.
Il drago
era bianco con
scaglie dorate e aprì le mascelle irte di denti acuminati. Era pronto a
sputare fuoco.
Bran si
ritrovò a urlare
e si svegliò si soprassalto con Meera che lo scuoteva violentemente.
“Bran!
Bran! Svegliati, è solo un sogno!” Sembrava disperata.
Bran aprì
gli occhi e
faticò qualche secondo a mettere a fuoco le immagini. Meera gli stava
davanti,
in ginocchio sul letto, con i capelli ancora bagnati e mezza svestita.
I suoi
occhi erano colmi di paura e sollievo.
“Che è
successo? Cosa hai
visto?”
Bran si
tirò lentamente a
sedere. “Avevo una visione” spiegò, “non pensavo mi sarebbe più
successo nei
sogni. Pensavo servissero gli alberi…”
Meera
aveva stretto le labbra.
Bran
scosse la testa.
Meera
aveva un’aria incredula.
“Non lo
so” ammise Bran,
“ma nel sogno ho visto i Figli della Foresta.”
Meera
inarcò le
sopracciglia. “Foglia mi aveva detto che loro erano gli ultimi della
specie”
osservò.
“Sì,
l’aveva detto anche a
me” replicò Bran, “ma questi erano diversi…” Non sapeva come spiegarsi:
in
quella visione c’era qualcosa che non lo convinceva. Poi d’un tratto
capì.
“Gli
alberi!” esclamò e
Meera lo guardò interdetta “Gli Alberi del Cuore che i Figli della
Foresta nel
sogno stavano proteggendo non erano innevati. La terra era fertile: non
possono
trovarsi oltre la Barriera.”
Meera
sembrava incredula.
Bran alzò
gli occhi al cielo:
molte cose non sarebbero dovute essere quelle che erano.
“C’è un
luogo nei Sette
Regni dove i Figli della Foresta siano potuti sopravvivere?” chiese e
Meera si
alzò in piedi. Era pensierosa e Bran fu felice di vedere che aveva
preso la sua
supposizione sul serio.
“Mio
padre” iniziò Meera
incerta, “raccontava che alcuni Figli della Foresta potrebbero essere
sopravvissuti sull’Isola dei Volti, nelle Terre dei Fiumi, protetti
dagli
Uomini Verdi. Ma nessuno li ha mai visti: sono solo leggende…”
“Anche gli
Estranei lo
erano” le ricordò Bran, “magari c’è del vero in quelle storie. Forse
esistono
Figli della Foresta ancora vivi…”
“Ma cosa
volevano dirti?”
chiese Meera “Hai detto era come se volessero mettersi in contatto con
te…”
“Ed è
così” affermò Bran,
“mi hanno detto che lui sta cercando qualcosa e che quando lo troverà
sarà la
fine. Mi hanno detto di lasciare la Barriera perché è troppo
pericoloso.”
Meera
aveva sgranato gli occhi.
Bran
abbassò lo sguardo.
“Credo si riferissero al Re della Notte” rispose indeciso su come
continuare.
“Ho visto anche lui e, Meera, gli Estranei sanno parlare.”
Stavolta
il volto della ragazza tradiva tutta la sua sorpresa.
“Non ho
capito nulla” ammise Bran, “ma la loro voce è tremenda,
fa venire voglia di strapparsi le orecchie.” Per un po’ nessuno dei due
parlò. Bran
decise di non dire del drago.
“Ma cosa
sta cercando il
Re della Notte?” chiese alla fine Meera e Bran scosse la testa. “Non ne
ho
idea” rispose e in quel momento la porta si aprì. Meera sobbalzò e si
affrettò
a coprirsi come meglio poteva.
L’uomo che
era entrato distolse subito lo
sguardo.
“Io mi
chiamo Emmett”
disse l’uomo, “ma gli altri mi chiamano il Ferrigno. Ora sono maestro
d’armi al
Castello Nero.”
“Dov’è mio
fratello?”
chiese Bran mentre Meera si legava i capelli.
Emmett
sospirò.
Dietro al
lungo tavolo di
legno invaso di carte di tutti i tipi sedeva un uomo che li osservava
curioso.
Aveva la fronte ampia ed i capelli lisci che arrivavano alle spalle.
Vestiva
tutto di nero, come erano tenuti i Guardiani della Notte.
“Puoi
andare, Emmett” lo
congedò il Lord Comandante e l’uomo alle loro spalle uscì chiudendo la
porta.
Bran tornò a concentrarsi su questo Edd che ora gli stava sorridendo.
“Quindi tu
sei Brandon
Stark?” Bran annuì. “Incredibile… E tu sei…?”
“Meera
Reed” rispose Meera
sulle difensive, “da Torre delle Acque Grigie.”
“Bene!”
esclamò il Lord
Comandante “Io sono Eddison Tollett, ma potete chiamarmi solo Edd.
Sarete
stanchi, volete qualcosa da mangiare?”
“No
grazie, semmai dopo”
rispose cortesemente Bran, “vorrei vedere mio fratello, Jon Snow.” Era
strano
chiamarlo ancora fratello dopo aver saputo la
verità. La bocca di Edd assunse una piega amara e Bran fu sicuro di
aver visto
un’ombra calare sul suo viso.
“Jon mi
aveva detto che vi
eravate persi oltre la Barriera e che non era riuscito a trovarvi al
Castello
di Craster” disse Edd con voce seria, “aveva parlato anche di un
meta-lupo e di
un mezzo-gigante che stavano con voi…” Bran abbassò lo sguardo: il
ricordo di
Hodor bruciava ancora e avrebbe bruciato per sempre.
“Sono
morti, ma cos’è successo a mio fratello?”
Edd spinse
la schiena contro lo schienale.
“Jon era
stato eletto Lord
Comandante” raccontò Edd, “ma in molti lo odiavano. So che forse è
difficile da
credere, ma le leggende su delle creature chiamate Estranei…”
“Sono
vere” concluse per
lui Bran, “lo sappiamo, abbiamo incontrato il loro esercito. Meera ne
ha anche
ucciso uno.”
Edd si
voltò verso di lei con ammirazione.
Bran
sorrise e annuì.
“E’
partito per Vecchia Città”
replicò Edd, “vuole diventare il nuovo maestro.”
Bran
abbassò lo sguardo.
Edd
sospirò.
“L’hanno
pugnalato a morte.”
Bran non
disse nulla. Era
arrivato troppo tardi, tutte le sue visioni non avevano più valore.
“So che
può sembrare
incredibile” stava continuando Edd, “ma è stato riportato in vita da
una
sacerdotessa.” Bran alzò la testa di scatto non credendo alle proprie
orecchie.
“Ma questo
non ha senso!”
esclamò Meera esterrefatta.
“Hai
ragione” ammise Edd,
“ma io l’ho visto con i miei fottuti occhi. Prima Jon era morto,
adagiato
proprio su questo tavolo, e poi era vivo. E’ stata la cosa più pazzesca
che
abbia mai visto.” Nonostante la situazione surreale in cui si trovava,
Bran era
felice suo fratello fosse vivo.
Mio
cugino.
“E poi?”
chiese allora
“Dov’è ora?”
“Ha
lasciato il Castello
Nero con l’esercito dei bruti” spiegò Edd, “insieme a vostra sorella,
quella
con i capelli rossi, Sansa credo si chiami…” Quella conversazione era
sempre
più strana.
“Sansa?!”
esclamò Bran non
sapendo più cosa pensare “Cosa ci faceva alla Barriera?”
“Da quello
che ho capito”
rispose Edd, “era fuggita da suo marito, un Bolton mi pare, e voleva
riprendere
Grande Inverno.”
“Grande
Inverno è bruciata.”
Edd lo
fissò intensamente.
“Quanti anni sono che sei oltre la Barriera?” chiese in tono doloroso e
Bran
sentì un groppo in gola.
“Cos’è
successo mentre ero
via?” chiese con un filo di voce non del tutto sicuro di voler sentire
le
risposte.
“I Bolton
hanno preso il
vostro castello” disse Edd, ma Bran lo interruppe.
“I Bolton
sono alfieri di
mio fratello Robb” disse, nonostante il vessillo di quella casata gli
avesse
sempre incusso timore.
Il volto
di Edd esprimeva una profonda tristezza.
“Jon e
Sansa hanno
combattuto per riprendere Grande Inverno” proseguì Edd, “e hanno vinto.
Ora le
casate del Nord si sono schierate al loro fianco ed hanno proclamato
Jon Re del
Nord. Devo ammettere che un po’ lo invidio…” Bran si costrinse
sorridere:
almeno Jon e Sansa erano al sicuro. Grande Inverno è di nuovo degli
Stark.
Chissà
dov’erano Arya e
Rickon in tutto questo. Di Arya non si sapeva più nulla, ma Rickon
doveva
essere ancora ad Ultimo Focolare.
Come
leggendogli i pensieri, Edd scosse la
testa.
Bran aprì
la bocca, ma non
ne uscì alcun suono. Meera gli si avvicinò e gli strinse forte la mano.
E’
colpa mia, pensò Bran disperato, pensavo sarebbe stato al sicuro.
Lottò per
ricacciare indietro le lacrime. Gli Stark avevano ripreso le loro
terre, sì, ma
la loro famiglia era stata massacrata. Rimanevano solo Jon e Sansa.
L’ultima
volta che Bran
aveva visto sua sorella era prima della caduta che gli aveva portato
via le
gambe, non ricordava nemmeno bene come era fatta. Realizzare ciò lo
spaventò a
morte. Avrebbe dimenticato anche Robb e sua madre? Le immagini di Arya
si
confondevano già nella sua mente e Bran ebbe paura.
Meera
dovette comprenderlo,
perché lo abbracciò stretto.
“Gli
Estranei stanno
arrivando” disse Bran ricomponendosi, “il loro esercito è immenso:
sapete come
combatterli?”
Edd fece
una smorfia.
“Inviane
altri al Forte
della Notte” suggerì Bran, “là esiste un passaggio segreto sotto la
Barriera
che gli Estranei potrebbero attraversare.”
Edd annuì.
Bran
sospirò. “Perché
dobbiamo” rispose semplicemente, “non abbiamo avuto scelta. Ma non è
stato
sufficiente a fermarli, abbiamo solamente appreso più cose su di loro.”
“Per
esempio?” chiese Edd
alzandosi in piedi. Bran sollevò la testa per poter continuare a
guardarlo in
faccia.
“Come sono
stati creati
gli Estranei” rispose lui senza effettivamente spiegare come ciò fosse
accaduto, “e altre cose che riguardano mio fratello. Per questo devo
vederlo.”
“Temo che
Jon non sia a
Grande Inverno ora” disse Edd, “nell’ultima lettera diceva di trovarsi
a Porto
Bianco, pronto a partire per la Roccia del Drago.”
Bran
corrugò la fronte.
“Incontra
Daenerys Targaryen”
rispose Edd arrotolando alcuni fogli, “si dice abbia tre draghi.”
Perfino Bran
aveva udito quelle storie quando era ancora a Grande Inverno, ma ora il
nome di
Daenerys assumeva un significato completamente diverso. E’ la zia di Jon,
realizzò sorpreso, e lui non lo sa!
“Posso
mandare degli
uomini che vi riaccompagnino a Grande Inverno” propose Edd con un
sorriso, “da
tua sorella.” Bran annuì: non aveva più nulla che lo legava alla
Barriera o a
ciò che stava più a nord. Sarebbero tornati a fronteggiare gli Estranei
con un
vero esercito e per quel giorno Bran avrebbe fatto in modo di trovarsi
in
groppa a un cavallo.
In quel
momento un gelo
irreale si diffuse nella stanza e Bran e Meera si guardarono con
l’orrore negli
occhi. Il fiato iniziò a condensarsi e tutte le candele si spensero.
Edd si
guardava intorno confuso e Meera aveva afferrato il braccio di Bran e
stretto
forte fino a fargli male. Il corno suonò una volta.
“Ranger di
ritorno”
mormorò Edd, “ma non ne abbiamo più inviati…”
La sua
voce fu sovrastata
dal secondo squillo. Bran sapeva ce ne sarebbe presto stato un terzo.
“Non ci
sono più bruti
oltre la Barriera…” Edd li fissò.
Il terzò
suono pervase
tetro e minaccioso l’aria del Castello Nero. Per un attimo nessuno si
mosse.
Poi Edd si
precipitò alla
porta urlando ordini frenetici a confratelli terrorizzati. Bran guardò
Meera,
che annuì decisa. La ragazza lo prese in braccio trattendendo il fiato
per lo
sforzo e si affrettò a uscire. Bran sperò di non essere troppo pesante.
Videro
Edd precipitarsi sull’ascensore che l’avrebbe portato in cima alla
Barriera insieme
ad altri tre confratelli. Nel cortile regnava il caos.
“Meera,
dobbiamo salire
sulla Barriera” disse Bran e lei annuì. Lo trasportò fino alla cabina
che aveva
già iniziato ad alzarsi.
“Tornate
dentro!” urlò Edd
vedendoli arrivare “E’ pericoloso qui…”
“Ovunque è
pericoloso” replicò Bran. “Facci salire: dobbiamo vedere il loro
esercito.”
La cabina
si era arrestata
a circa un metro da terra. Edd li stava studiando. Poi annuì. Due degli
uomini
che stavano con lui aiutarono Bran a salire e Meera saltò agilmente
dentro
chiudendo il cancelletto. Il vento aveva iniziato a soffiare forte e il
legno
scricchiolava minaccioso. Presto la foschia rese impossibile
distinguere il
Castello Nero.
“E’
incredibile” sussurrò
uno degli uomini.
Bran
sentiva la punta del
suo naso congelare e gli occhi seccarsi. Meera aveva piccoli ghiaccioli
fra i
capelli. Finalmente arrivarono in cima. Si precipitarono fuori e Bran
fu
trasportato tra le fortificazioni di legno e i sentieri scavati nel
ghiaccio.
“Meera,
portami
dall’altra parte… Voglio vedere…”
Meera si
inginocchiò al
suo fianco. Il vento ululava più forte che mai. Lo trascinò fino
sull’altro
lato e da lì Bran si sporse per vedere oltre. La vista mozzava il fiato
già
messo a dura prova dal gelo che si insinuava fin dentro le ossa.
L’esercito
di non-morti
copriva tutto lo spazio esistente fra la Barriera e il bosco. Gli
Estranei non
si vedevano ancora, ma Bran sapeva che sarebbero arrivati, alla fine,
per far
risorgere nel loro esercito i caduti della fazione avversaria. Meera
stava
tremando, forse di freddo, forse di paura.
Bran
abbassò la testa.
"I feel something so wrong doing the right thing."
Eccomi! Bentornati e spero proprio abbiate passato un buon Ferragosto ^_^ Forse un capitolo così tetro non è esattamente il miglior augurio però XD XD
C'era qualcuno che sperava le cose sarebbero andate meglio, ma ovunque guardate stanno andando a rotoli (salvo forse per la missione di Davos, Tyrion e Gendry che finora sta andando bene). E ora anche la Barriera è in pericolo perchè stavolta gli Estranei non perdono tempo come nella serie XD sono già qui e sono pericolosi.
E come avete visto sono iniziate le morti :-\ mi dispiace tantissimo per Bronn perchè come personaggio mi è sempre piaciuto, ma era giunta la sua ora. E purtroppo siamo solo all'inizio del massacro: nessun personaggio è al sicuro. Ovviamente nel prossimo capitolo attraverso il POV di Brienne si vedrà esattamente cosa sia successo tra il suo incontro con Bronn sotto le mura (quando Jaime stava ancora combattendo Nymeria) e il suo tempestivo intervento in aiuto di Jaime.
Per quanto riguarda il tradimento di Randyll Tarly (e Orton Merryweather) è ovviamente una mia interpretazione. Dai libri si capisce che Randyll è molto maschilista e odia vedere le donne indipendenti (come ad esempio Brienne, dato che si incontrano nel libro) o in posizioni di potere. E' inoltre un uomo rigido di carattere e tradizionalista, quindi non c'era modo appoggiasse Cersei o ancora meno Daenerys. Una sua alleanza con Euron quindi pareva una buona soluzione, un modo per lui per assicurarsi un posto importante nella nuova corte (ovviamente supponendo Randyll non sapesse nulla degli Estranei e dell'estenzione della follia di Euron). Ecco quali erano i tentacoli in movimento a cui Euron si riferiva nella sua conversazione con Yara, gli alleati che avrebbero attaccato Tyrell e Lannister dall'interno. E diciamo che ha anche funzionato dato che entrambe le parti sono state indebolite. Cersei pensava di tenere in scacco Euron e invece è risultato il contrario. Per fortuna c'era Brienne che, essendo sopra le parti, può permettersi di uccidere o salvare chiunque XD
Ovviamente non è stato l'intero esercito Tarly/Merryweather a entrare nel labirinto con Randyll. La maggior parte dell'esercito, guidata da Dickon, si è allontanata dalla battaglia molto presto lasciando l'avanguardia scoperta. Si chiarirà tutto più avanti.
La scelta di Jon di respingere Daenerys è una scelta emotiva dettata dal momento, ma posso dire che in questa situazione è nel torto. In questo momento era Daenerys la persona saggia che anteponeva il benessere del regno ai suoi desideri personali, mentre Jon, pur con tutte le attenuanti dovute alla sua situazione, era l'egoista. Se ci ripenserà si saprà solamente più avanti, ma in questo caso io sto con Dany.
Per le lettere ovviamente Arya è intervenuta per mettere al corrente Jon del problema di Ditocorto e ora almeno si smorza una ipotetica tensione fra lui e Sansa.
Come al solito ringrazio i miei recensori appassionati: GiorgiaXX, __Starlight__, giona e Spettro94. Un ringraziamento anche a NightLion che si sta rimettendo in pari ^_^
Vi auguro buone vancanze e ferie e ci si rivede fra due settimane!
PS: la citazione di questa volta, come molti avranno già capito, viene dalla canzone "Counting stars". L'ho pensata espressamente per Jon e il momento in cui cammina via da Daenerys pensando di star facendo la cosa giusta, ma sentendosi tremendamente in colpa.