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Autore: QueenInTheNorth    18/08/2018    8 recensioni
Vi chiedete mai cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente? Se dopo l'incoronazione di Jon Snow a Re del Nord nuove forze fossero scese in campo? Se vecchie profezie fossero tornate alla luce e la Canzone si fosse rivelata? Quanto può una decisione diversa cambiare le sorti dei Sette Regni?
La ruota continua a girare, nuovi re si faranno avanti e la terra tremerà ancora per il ruggito dei draghi.
Ma la Lunga Notte è vicina, gli Estranei attendono pazienti, e nell'ora più buia tutte le vostre certezze vacilleranno. Stavolta gli uomini sono soli e l'amore forse non basterà più a salvarli.
Siete pronti a perdere ogni speranza?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Sansa Stark, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 13



The labyrinth
                                                                                                             

 


Jon

 

Non avrebbe dovuto, non avrebbe dovuto farlo. Era stato un errore, un’azione sbagliata. Ma in fondo era stata Daenerys a baciarlo. Jon forse avrebbe dovuto respingerla, anzi, avrebbe sicuramente dovuto respingerla. Perché? continuava a chiedersi mentre l’acqua ormai fredda del bagno gli gocciolava negli occhi. Quando iniziarono a lacrimare li chiuse e passò una mano fra i capelli bagnati ed aggrovigliati.

Era seduto in quella vasca da neanche ricordava quanto, con la porta sprangata come era solito tenerla da piccolo a Grande Inverno quando non voleva intrusi nella sua stanza. Di solito in quei casi dopo qualche ora suo padre veniva a bussare, ma ora non arrivava nessuno. Jon era felice per la pace che aveva finalmente trovato, ma la quiete faceva solo rimbombare i suoi pensieri.

Il pomeriggio del giorno prima, mentre Daenerys parlava con Tyrion, Jon aveva salutato Davos e Gendry sulla spiaggia. Il ragazzo l’aveva guardato con occhi spaesati e Davos gli aveva passato un braccio intorno al collo. Jon non avrebbe voluto affidare a Gendry un compito così gravoso, ma non c’era altra soluzione. Senza il supporto dei lord delle Terre della Tempesta sarebbero sicuramente uccisi tutti da Euron e i suoi mercenari molto prima che il Re della Notte mettesse piede nei Sette Regni.

Jon aveva parlato con Davos e aveva ringraziato Gendry per il suo coraggio, ma poi era tornato nel castello. Non aveva voluto incontrare Daenerys. Aveva vagato per quei corridoi bui dalle pareti di roccia per ore senza avere una meta fissa ed era giunto in un’ala che sembrava abbandonata. Aveva visto le stanze che erano state di Rhaegar ed Elia e della loro figlia Rhaenys.

Mentre tentava di intravedere qualcosa oltre lo spesso strato di sporcizia che ricopriva la finestra della camera di Rhaenys era entrata Daenerys. Di ciò che era avvenuto dopo Jon conservava vaghi ricordi.

Ricordava la cera della candela che teneva in mano sciogliersi e bruciargli la pelle, ricordava il buio che li avvolgeva ogni secondo più del precedente, ricordava Daenerys che si avvicinava. E intanto parlava, parlava, parlava. Jon ancora una volta l’aveva vista fragile, sola, come quando era stata abbandonata dal suo drago.

Aveva provato qualcosa, un sentimento strano che gli diceva di non arretrare e di guardarla negli occhi. Jon aveva capito di aver forse sbagliato a giudicarla così precocemente. Daenerys usava belle parole ed espressioni formali per nascondere i suoi sentimenti. In quel momento doveva essersi sentita persa e allo sbando dopo la partenza di Tyrion. Anche Jon si era sentito così.

Era la stessa cosa che aveva provato quando aveva visto Sam salire sul carretto che l’avrebbe portato alla Cittadella. Non era una bella sensazione. Una parte di lui che Jon tentava di soffocare sperava che anche Sansa avesse sentito la stessa cosa quando lui aveva lasciato Grande Inverno per raggiungere la Roccia del Drago.

Daenerys aveva paura, anche questo Jon aveva capito. Aveva paura di non essere all’altezza del proprio ruolo, di non essere amata e riconosciuta dai popoli che si apprestava a governare. Mostrava la sua forza con i draghi e celava le sue insicurezze. Jon si era sentito così simile a lei in quel momento. Entrambi erano alla ricerca di un’identità. Poi finalmente Daenerys aveva smesso di fare domande.

Quando l’aveva baciato Jon non aveva opposto la minima resistenza, aveva accolto le sue braccia intorno al collo, le labbra di Daenerys sulle sue. La candela era caduta a terra, ma fortunatamente si era spenta senza causare incendi o danni. Jon e Dany erano rimasti abbracciati ancora per un po’, poi, sempre al buio e senza potersi guardare, si erano separati ed ognuno aveva proseguito per la sua strada. Lui aveva sentito le guance in fiamme anche dopo che la Madre dei Draghi aveva lasciato la stanza.

Jon scrollò con decisione la testa per tornare al presente. Ma cosa mi prende? si chiese stropicciandosi gli occhi già arrossati Dovrei pensare all’attacco di Euron… Anche quando era stato con Ygritte non era riuscito a concentrarsi sulla guerra allora alle porte. Jon sentì una fitta al cuore al solo pensiero. Per Daenerys provava la stessa cosa che aveva provato per lei?

No, pensò convinto tirandosi in piedi. Uscì dalla vasca e si asciugò con calma, per poi rivestirsi. Quando chiuse il fermaglio con le piccole teste di meta-lupo, il pensiero gli corse a Spettro.

Cosa c’entra ora Spettro?

Si infilò gli stivali e tirò i lacci troppo stretti. Soffocando un’imprecazione, li sciolse e rifece rapidamente i nodi. Poi legò i capelli ancora umidi e fu pronto ad uscire.

Sapeva che sarebbe dovuto andare ad aiutare gli Immacolati che stavano costruendo le fortificazioni, ma non era dell’umore giusto. Inoltre, se davvero Euron aveva preso un castello così robusto come quello di Porto Bianco, allora non sarebbero state certo delle torrette ad impedirgli di prendere anche Roccia del Drago.

Voleva scrivere a Sansa, Edd e Sam. Senza Gendry e Davos il loro quartiere era silenzioso e Jon non ebbe nemmeno bisogno di chiudere la porta. Si sedette al tavolo e, come al solito, vi trovò le lettere arrivate quella mattina. Gli si strinse il cuore quando vide che Sansa ancora non gli aveva scritto. Possibile che tutti i corvi si fossero persi nelle tempeste? Jon sospirò: forse sua sorella più semplicemente non voleva scrivergli.

Aprì la lettera di Edd, che come era ormai consuetudine si lamentava del freddo su alla Barriera e della poca disciplina dei soldati che Jon aveva inviato, e poi quella di Sam, che era molto più breve e gli comunicava solamente di star facendo lenti progressi. Mentre le rimetteva al loro posto, Jon notò una terza lettera che era rimasta seminascosta.

Ruppe l’anonimo sigillo e sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Riconobbe quella strana grafia distorta immediatamente. Chiunque avesse scritto quella lettera aveva sicuramente scritto anche quella in cui annunciava la morte di Walder Frey. Jon strinse le labbra.

Walder Frey era stato trovato morto con la gola squarciata e la notizia era stata data da Edmure Tully insieme alla sua offerta di alleanza, come Sansa aveva scritto nell’unica lettera arrivata a Roccia del Drago. Chiunque fosse chi aveva inviato la prima lettera senza mittente, aveva avuto ragione. Jon fece scivolare lo sguardo sulle poche parole scritte a fatica ed iniziò a leggere.

  
                    
                                                  
I tordi hanno orecchie

                                                                 La tempesta non arriva ancora

                                                              I lupi si parlano, ma non si sentono

 

Jon si affrettò a voltare il foglio e vide nuovamente quella firma che aveva tanto provato a decifrare. “Nessuno” mormorò. “Nessuno ancora una volta…” Si alzò ed andò alla finestra ripetendo in mente le parole della lettera.

Sembra un codice, c’è un messaggio nascosto.

La tempesta che non arrivava poteva essere quella che avrebbero portato con sé gli Estranei e in quel caso si sarebbe trattato di una buona notizia. Ma Jon sospettava che il codice fosse più complicato di così. Tordo, pensò, tordo, tordo… Cosa significa?

Fu colpito da un’immagine improvvisa: un piccolo fermaglio a forma d’uccello che chiudeva il mantello di Petyr Baelish. Tirò un pugno alla parete ignorando le fitte di dolore che ne seguirono. I tordi hanno orecchie, pensò. Ditocorto sta architettando qualcosa… Hanno orecchie. Forse Baelish stava spiando qualcuno. Jon pensò immediatamente a Sansa, ma si costrinse a non perdere la calma.

I lupi si parlano, ma non si sentono.

E Jon capì. Le lettere, si disse, io scrivo a Sansa e lei deve aver scritto a me, ma non sono mai arrivate. Nessuno, chiunque fosse, aveva voluto metterlo in guardia: Ditocorto aveva sabotato la loro corrispondenza.

Non c’entrano nulla i corvi persi nelle tempeste, pensò Jon riprendendo a camminare, è questo che il messaggio vuole dire. Probabilmente allora anche la prima lettera che Daenerys affermava di avergli inviato era finita nelle mani di Baelish. Jon dovette sedersi per evitare di buttare all’aria qualche mobile. Quel figlio di puttana ha rischiato di trascinare il Nord in una guerra contro i draghi, pensò irato. Come ho fatto a essere così cieco?

Capì che doveva trovare un modo per mettersi in contatto con Sansa, un modo sicuro. Forse avrebbe dovuto anche lui utilizzare dei messaggi in codice. In quel momento sentì dei passi lungo il corridoio e d’istinto si alzò in piedi. Sulla porta era comparsa Daenerys.

“Spero di non aver disturbato.”

Jon scosse la testa nervoso. Improvvisamente gli sudavano le mani. “No, stavo solo riordinando le lettere…”

“A chi scrivi?” chiese Dany curiosa, ma Jon la fissò irritato. “So che hai letto le mie lettere ieri” l’avvertì. L’aveva capito dal profumo, lo stesso della regina.

Daenerys era arrossita appena e aveva chinato il capo. “Ero venuta a cercarti” si giustificò.

“E non hai saputo resistere alla curiosità” concluse Jon. Poi sorrise. “Alla Barriera il Lord Comandante poteva leggere, se voleva, le lettere che arrivavano ai confratelli” ricordò, “quando arrivò la notizia del risveglio di mio fratello Bran, il Lord Comandante fu il primo ad essere messo al corrente.”

“Non eri tu il Lord Comandante?” chiese Daenerys con una punta d’accusa nella voce.

Jon non poteva darle torto: lo considerava ancora un disertore. “Non all’epoca.”  

“E’ vero che hai salvato i bruti?”

Jon annuì.

“Perché?” chiese Dany confusa “Ho sempre sentito dire che i Guardiani della Notte proteggono la Barriera dai bruti, che altrimenti invaderebbero il Nord.”

“Un tempo era così” assentì Jon, “ma il Popolo Libero voleva solamente sfuggire alla minaccia degli Estranei. Eravamo naturali alleati.”

Anche se non tutti la pensavano così…

Daenerys era silenziosa. “Sì” disse infine, “suppongo di sì.” Poi indicò il corridoio. “Vuoi venire a fare una passeggiata con me?” chiese.

Jon la guardò. “Forse dovrei aiutare Verme Grigio…” 

La regina scoppiò a ridere. “Meglio di no” gli disse, “dopo il vostro fraintendimento non credo sia un’idea saggia. Allora? Questa passeggiata?”

A Jon non rimase altra possibilità che annuire. Uscirono insieme nel corridoio e salirono sulle mura a strapiombo sul mare. Intanto Daenerys parlava. “Jorah sta meglio” diceva, “maestro Pylos dice che ancora un paio di giorni e avrà riacquisito completamente le forze. Quando Euron arriverà però non voglio che combatta: sarebbe troppo pericoloso. Secondo te abbiamo qualche possibilità contro Euron?”

Jon fece una smorfia mentre salivano i gradini. “Credo di sì” rispose cauto, “ma molto dipenderà dall’esito della missione nelle Terre della Tempesta.”

Dany annuì. “Hai ragione” disse. “Penso sia strano per Gendry ritrovarsi da un giorno all’altro lord di Capo Tempesta…”

Non più di quanto lo sia per me ad essere Re del Nord.

“Insomma” stava continuando Daenerys, “era solo un bastardo.” Si fermò. “Senza offesa” aggiunse subito.

Jon rise. “E’ la verità, non può offendermi.” Ripresero a salire.

“Sai” disse Daenerys dopo un po’, “mi sono chiesta perché ora che sei re non hai preso il nome della famiglia di tuo padre. Non sarebbe tutto più semplice?”

Jon abbassò lo sguardo. “Certo che sarebbe più semplice” ammise, “ma non giusto.”

Erano arrivati in cima e Jon si voltò a guardare Daenerys negli occhi. Lei indossava un vestito di tessuto pesante nero con decori rossi ed aveva i capelli raccolti in un nido di trecce spettinate dal vento.

“Mio padre non ha mai voluto chiamarmi Stark” raccontò lui e fu come riaprire una ferita mai del tutto cicatrizzata, “non l’ha mai neanche negato certo, ma non voglio disonorare la sua memoria più di quanto abbia già fatto.”

“Magari c’era un motivo che spingeva tuo padre a non darti il suo nome.”

“Ovvio che c’era” replicò Jon, “non voleva mancare di rispetto a sua moglie.” Al pensiero di lady Catelyn, sentì la bocca inaridirsi.

“Ma come pensi di governare il Nord senza il nome della tua famiglia?” chiese ancora Daenerys.

Jon sospirò. “Il nome non è tutto.”

“No, suppongo non lo sia” disse Dany e per un po’ nessuno dei due parlò.

Era quasi il tramonto e il cielo limpido sembrava beffarsi delle preoccupazioni di coloro che si trovavano alla Roccia del Drago. Euron sarebbe arrivato da lì a tre giorni e nessuno di loro era pronto. Jon poggiò le mani sui merli delle mura e si sporse. La struttura del castello sembrava fondersi con la roccia sottostante che si ergeva indifferente alle onde che la consumavano sollevando schizzi di schiuma. Il mare era abbastanza agitato.

Poi un suono stridente fendette l’aria e Jon e Daenerys si voltarono all’unisono. Un drago gigantesco, nero come la pece, stava sorvolando la spiaggia. Aveva un’apertura alare impressionante e delle fauci imponenti. Jon era pronto a scommetere potesse stradicare un albero intero.

“Drogon!” esclamò Dany correndo per quanto poteva in direzione dell’animale. Jon la seguì incerto.

Quella bestia era molto più grande di Rhaegal e decisamente più selvaggia. Il drago si era avvicinato e Jon ora poteva sentire il vento provocato dalle sue ali. Poi il gigante posò le zampe sulle mura che tremarono. Daenerys si protese ad accarezzare la sua pelle squamosa.

“E’ il più grande” spiegò, come se Jon non se ne fosse già accorto da solo, “si chiama Drogon perché il nome del mio primo marito era Drogo.”

“Avevi detto che tuo fratello ti aveva venduta ai Dothraki…”  

“L’ha fatto” confermò Dany senza smettere di accarezzare il drago, “ma con il tempo io e Drogo abbiamo imparato ad amarci.” Jon notò che lei cercava di evitare il suo sguardo.

“Hai mai amato qualcuno?” chiese Daenerys a bruciapelo.

“Sì” disse Jon con amarezza, “si chiamava Ygritte ed era una bruta.”

Erasussurrò Dany. “E' morta?”

“Fra le mie braccia” disse Jon stringendo i pugni.

Daenerys si voltò verso di lui. “Mi dispiace.”  

“Eravamo in guerra” ribatté Jon con voce atona, “sapevamo entrambi che poteva succedere.”

Tu non sai niente, Jon Snow.

“Ho dovuto uccidere Drogo con le mie mani” raccontò Daenerys e Jon inorridì. “Una strega mi ha ingannata e ha preso la vita del bambino che portavo in grembo, Rhaego, dicendomi che avrebbe salvato mio marito. E invece lo ridusse ad una larva e io fui costretta a soffocarlo con un cuscino.” Aveva parlato con calma e con voce ferma, come se il dolore non la toccasse più, ma Jon sapeva quanto facesse male.

“Non è stata colpa tua” riuscì a dire solamente.

“E neanche tua se Ygritte è morta” disse Dany girandosi nuovamente, “ma sono morti in ogni caso.”

Riprese ad accarezzare Drogon per poi sussurrargli qualcosa in una lingua che Jon non comprese. Il drago ringhiò e spiegò nuovamente le ali. Un secondo dopo si sollevava in aria allontanandosi dalla fortezza. Dany rimase ad osservarlo mentre la sua figura rimpiccioliva.

“Quando ti ho invitato su quest’isola” cominciò senza guardarlo, “Varys e Tyrion mi hanno suggerito un modo per riunire Nord e Sud.” Fece una pausa, nonostante Jon avesse già capito dove volesse andare a parare.

“Era inclusa una proposta” proseguì Daenerys voltandosi, “una proposta di matrimonio.” Jon se l’aspettava, ma non poté impedire ad un fremito di rabbia di scuoterlo.

“Sarebbe per il meglio” stava dicendo Daenerys mentre gli si avvicinava, “un modo per garantire la pace e l’unità dei Sette Regni. Saremmo re e regina e divideremmo il potere di…”

“No” la interruppe seccamente Jon, “il Nord è un regno indipendente: mio fratello è morto credendo fermamente in questa causa e così tutti gli uomini che lo seguivano.”

“Jon, ascoltami” disse Dany prendendogli la mano, ma Jon la ritrasse bruscamente.

“Era tutto programmato quindi?”

Daenerys spalancò gli occhi. “Io non capisco…”

“I bei discorsi” la interruppe Jon, “le belle parole, la tua comprensione... era tutto un inganno.”

Dany sembrava sinceramente ferita. “No! Ascoltami, io…”

“No, ora ascoltami tu” disse Jon fissandola negli occhi. “Se ho accettato di aiutarti è solo perché ho bisogno di tutti gli uomini che riuscirò a trovare per affrontare quello che ci aspetta oltre la Barriera, ma ciò non vuol dire che condivida i tuoi metodi o le tue ambizioni. Finchè non vedrò il vessillo dei Targaryen sventolare su Grande Inverno, il Nord sarà un regno indipendente.”

Forse aveva esagerato e le parole erano state un po’ troppo aspre, ma non aveva visto altro modo per uscire da quella situazione. Magari Daenerys non aveva avuto sul serio l’intenzione di ingannarlo, ma Jon non poteva rimangiarsi ciò che aveva detto.

Le voltò le spalle e iniziò a scendere dalle mura. Quasi inciampò sui gradini bagnati e dovette aggrapparsi alla parete, ferendosi anche la mano. Si maledisse per aver dimenticato i guanti. Mentre scendeva tentò di convincersi di aver fatto la cosa giusta.

Ma se era davvero così, perché sentiva un macigno al posto del cuore?

 

Davos

 

Le onde facevano oscillare pericolosamente la piccola imbarcazione, ma almeno il vento la spingeva più veloce. Tyrion aveva già vomitato due volte.

“Non pensavo soffrissi il mal di mare” aveva scherzato Davos e il nano era riuscito addirittura a sorridere prima di doversi di nuovo sporgere fuori bordo.

Erano in viaggio da mezza giornata e la costa non era ancora in vista. Tyrion era preoccupato che potessero essere intercettati dalla flotta di Cersei, ma Davos sapeva dove si trovavano. Erano più o meno all’altezza di Capo Tagliente e avevano superato con successo la baia delle Acque Nere. Presto sarebbero arrivati in vista dell’isola di Tarth, la patria di Brienne, e da lì bastava seguire la costa per raggiungere Capo Tempesta.

Tyrion aveva già provveduto a inviare tutti i corvi in loro possesso con altrettanti messaggi ai lord di quelle terre. Erano stati tutti convocati a Capo Tempesta e dovevano recarsi al castello il più in fretta possibile e allertare i loro eserciti. Davos sapeva che molti di quei lord erano morti al seguito di Stannis, ma sperava che almeno i loro eredi si sarebbero presentati. Tyrion sembrava molto ottimista, Gendry invece era taciturno.

Trascorreva le ore seduto a poppa ad ossservare il mare e Davos non voleva disturbarlo. Tyrion tentava di intrattenerli con alcune scadenti battute, ma quando vide che nessuno gli stava più prestando attenzione smise di provare. Davos gliene fu grato.

Prima di partire Daenerys gli aveva affidato Giuramento, la spada di Brienne, e Davos sperava ardentemente di non ritrovarsi nella situazione di doverla usare. Sapeva che si trattava di acciaio di Valyria, Tyrion gli aveva detto che proveniva dalla spada di Ned Stark, ma non c’erano Estranei da uccidere nel Sud, non ancora almeno. Quando si erano salutati, Jon gli aveva detto di essere prudente.

“Ero un contrabbandiere” gli aveva ricordato Davos, “essere prudente è il mio mestiere.” E Jon aveva riso. Davos non credeva di averlo mai visto ridere davvero.

Poi Jon si era rivolto a Gendry. “So cosa significa per te” aveva detto, “dover sopportare questo onore che è più un peso che altro. Credimi, nessuno ti capisce meglio di me.” Gendry aveva annuito nervosamente e Jon gli aveva sorriso.

“Tornate presto” aveva detto prima di andarsene, “e tornate con un esercito. Dopo che avremo sconfitto Euron torneremo a casa.” Probabilmente aveva detto casa senza pensare che Gendry non aveva mai visto Grande Inverno e che Davos ci aveva passato a stento due settimane. Questa è stata la mia casa per molti anni, aveva pensato Davos e si era ricordato le parole molto simili che Mance Rayder, il Re oltre la Barriera, aveva pronunciato prima di salire sul rogo.

La barca non era eccessivamente piccola e lo spazio sottocoperta era sufficiente a ospitare tutti e tre nel sonno e a contenere le provviste. Aveva anche un ponte riparato da una tenda marrone logora, ma adatta a proteggerli da eventuali piogge. Tyrion ovviamente aveva portato il vino a bordo, ma, essendosi dimenticato i calici, lo tracannava direttamente dalla borraccia versandosene metà addosso. Era Davos di solito a tenere il timone. Le vele erano sempre gonfie di vento e si procedeva spediti.

Il secondo giorno Gendry gli aveva chiesto se poteva insegnargli a tenere la nave e Davos aveva accettato volentieri. Così, mentre Tyrion russava rumorosomente sottocoperta, Gendry correva da una parte all’altra afferrando quella o quell’altra corda. Almeno si distrae dai suoi pensieri, si disse Davos. Quali che siano non sembrano renderlo molto felice.

Gendry era lesto a imparare e abbastanza sveglio da capire in quale direzione soffiava il vento e in che verso era saggio orientare le vele per prenderlo al meglio. Si era portato dietro la sua mazza, alta quasi quanto Tyrion, e trascorreva molto tempo ad affilarne i bordi già estremamente taglienti. Si era anche offerto di sistemare Giuramento, dicendo di conoscere l’acciaio di Valyria, ma Davos si rifiutava di prendere decisioni senza consultare prima Brienne.

Chissà dove sarà lei a quest’ora.

Era sicuro fosse riuscita a lasciare in qualche modo la Roccia del Drago, ma era tornata al Nord o vagabondava ancora per gli déi sapevano quali terre? Davos sperava vivamente nella prima ipotesi. Certo, lui e Jon avevano parzialmente cambiato idea circa Daenerys Targaryen e forse non doveva più essere considerata una tale minaccia, ma Davos voleva che giungessero notizie dal Nord. Jon diceva sempre di aver scritto molte volte a sua sorella, ma di non aver ricevuto alcuna risposta. E non è un buon segno, pensò Davos stringendo i denti e tirando la fune della vela maggiore. La barca ebbe un sussulto, ma subito accelerò.

“Saremo a Capo Tempesta entrò l’alba” annunciò scendendo sottocoperta, “fareste meglio a riposarvi.”

“Non vuoi il cambio al timone?” chiese Tyrion disteso sulle pellicce e con i capelli arruffati. Davos fece una smorfia. “Non vedresti nemmeno il mare davanti a te.”

Tyrion si distese di nuovo. “Vorrà dire che impiegherò il mio tempo dedicandomi ad attività più produttive.”

“Quali attività, mio signore?” chiese piuttosto ingenuamente Gendry.

“Credo si riferisse all’ubriacarsi fino a perdere i sensi” rispose divertito Davos e fece per risalire la corta scaletta che portava sul ponte.

“Aspetta” lo richiamò Gendry, “voglio venire con te.” Davos si voltò a fissarlo. “E’ meglio se ti riposi” suggerì, “domani dovrai incontrare tutti quei lord e devi far loro una buona impressione.”

“Sono abituato a lavorare notte e giorno” replicò Gendry, “succedeva spesso quando vivevo ad Approdo del Re.” Davos lo osservò per qualche secondo, poi annuì.

Salirono insieme e Gendry si sedette sull’unica panca presente, mentre Davos si posizionò dietro il timone. Per qualche minuto si udì solamente lo scrosciare dell’acqua e l’infrangersi delle onde sui fianchi della nave. Gendry sporse una mano fuori accogliendo gli spruzzi gelidi. Uno lo colpì in pieno viso e Davos rise vedendolo ritrarsi.

“Senti” disse tentando di iniziare una conversazione, “non mi hai mai raccontato cosa è successo dopo che ti ho fatto fuggire dalla Roccia del Drago. Pensavo saresti tornato ad Approdo del Re…”

“Lo pensavo anch’io” ammise Gendry asciugandosi la faccia con la manica, “ma devo avere sbagliato rotta. Dopo qualche giorno avevo finito le provviste e mi sono dovuto fermare su una spiaggia. Gli abitanti di un piccolo villaggio mi hanno rifornito e mi hanno detto che mi trovavo alle Dita. Re Joffrey era appena stato ucciso e ho pensato che tornare nella capitale non sarebbe stata una scelta saggia. Così ho proseguito verso nord e sono arrivato a Porto Bianco. Lì un vecchio fabbro mi ha assunto nella sua bottega e quando è morto me l’ha lasciata in eredità.”

Davos lo stava guardando. “Hai fatto bene” si complimentò, “ma come ti sei ritrovato su quella barca con Jon?”

Gendry sospirò e chinò il capo. “Un giorno avevo sentito che il Re del Nord era arrivato in città” disse, “ma non avrei mai pensato di ritrovarmelo nella mia bottega. Voleva che affilassi la sua spada. Poi mi ha chiesto se volevo diventare il suo scudiero e partire con lui e io ho accettato.”

Davos era confuso. “L’ultima volta che ci siamo visti” ricordò, “mi hai detto che avevi sbagliato a fidarti dei nobili. Perché hai seguito un uomo che nemmeno conoscevi?” Gendry sollevò il mento.

“Avevo sentito parlare molto di lui” spiegò, “dicevano che aveva sconfitto i Bolton ed aiutato molte persone in difficoltà.” Gendry esitò. “Si diceva anche che era un bastardo” sussurrò come a non voler essere sentito, “come me e allora…” Lasciò cadere la frase. Davos annuì.

“Durante il viaggio in nave ho capito chi era” continuò Gendry, “ho sentito altri uomini chiamarlo per nome e mi sono ricordato. Arya Stark era mia amica, ser Davos, mi aveva parlato tanto del fratello che era andato alla Barriera e che le aveva regalato Ago.”

Vedendo la faccia confusa del Cavaliere delle Cipolle, Gendry rise. “Una spada, Ago era una spada.” Deglutì un paio di volte come a voler allontanare un pensiero triste.

“Sapevo che mi potevo fidare di Jon Snow” proseguì, “così gli ho detto chi ero e come avevo conosciuto sua sorella.”

Davos sapeva che Arya Stark non era più stata vista da anni e preferì non fare domande in merito. “Hai fatto bene” ripeté, “e ora sei Gendry Baratheon, lord di Capo Tempesta.”

“Non voglio essere un lord” disse Gendry. “I Baratheon non significano niente per me e non so nemmeno dove si trova il mio castello. Che razza di lord sarei se non so riconoscere nemmeno le mie terre, se non so nemmeno i nomi dei miei alfieri?” Aveva sputato quelle parole con rabbia repressa troppo a lungo e Davos capì che il ragazzo aveva bisogno di sfogarsi. Lo lasciò quindi parlare.

“Io non so cosa vi aspettiate da me” stava dicendo Gendry, “ma non ho idea di cosa dirò a tutti quei signori che verranno ad ascoltarmi. Se anche dovessero farmi delle domande stupide, come chi fu il fondatore di casa Baratheon, non saprei rispondere.”

“Orys Baratheon…”

“Cosa?”

“Il fondatore di casa Baratheon come lord di Capo Tempesta.”

Gendry sorrise. “Va bene” disse, “ora questo lo so, ma che mi dici di tutto il resto? Tutte le cose che un lord dovrebbe sapere e che io invece ignoro?”

“Io e Tyrion ti accompagniamo proprio per questo” replicò Davos incoraggiante e Gendry distolse lo sguardo.

“Guardami” lo invitò Davos con dolcezza. Gendry si voltò verso di lui. I suoi occhi azzurri brillavano anche nell’ombra.

Forse perché sta piangendo.

“Quando Stannis mi fece cavaliere” raccontò, “non avevo mai tenuto una spada in mano e conoscevo a malapena il modo appropriato per rivolgersi a un nobile. Il primo periodo fu un inferno, non facevo altro che sbagliare una regola dopo l’altra. Stannis però non se ne curava, diceva che l’importante era che rimanessi lucido e continuassi a usare il cervello. La buona educazione poteva andare a farsi fottere.”

“Stannis era cattivo” sussurrò Gendry rabbrividendo, “ho visto l’odio nei suoi occhi.”

Davos scosse la testa. “Stannis non era una persona malvagia” disse, “ma lo è diventato. Vedi, la Donna Rossa lo teneva sotto il suo controllo e lo spingeva a compiere azioni cattive. Lo Stannis che conoscevo io non avrebbe mai bruciato vivo un ragazzo innocente.”

Né tantomeno sua figlia.

“Ma un bravo lord non dovrebbe permettere a persone malvagie di controllarlo” osservò Gendry.

“No” replicò Davos, “non dovrebbe, ma non tutti sono abbastanza forti.”

Gendry lo guardò negli occhi. “E io?” chiese “Sono abbastanza forte io?”

Davos sorrise. “Assolutamente” lo tranquillizzò. “Tu hai conosciuto la miseria e sai come va il mondo. Un giorno potrai governare con giustizia e saggezza.” Gli spettinò i capelli neri. “Ma per il momento” continuò, “basterà che tu spieghi ai tuoi lord il perché a Daenerys Targaryen servano i loro uomini.”

Gendry aggrottò le sopracciglia. “E che succede” chiese, “se si rifiutano di aiutarci?”

Davos tirò un lungo sospiro. “Allora suppongo Euron ucciderà ogni singola persona rimasta a Roccia del Drago.”

Gendry sgranò gli occhi. “Ma è orribile” mormorò.

“Già” disse Davos, “per questo dovremo riuscire a convincerli.” Inclinò leggermente la testa. “Prova a dire il tuo nome…”

Gendry lo fissò con sguardo interrogativo. “Prova a presentarti” spiegò Davos, “devi convincerli di essere davvero un Baratheon.”

“Ma se non ne sono convinto nemmeno io!”

“Ma loro non lo devono sapere” ribatté Davos. “Su, avanti, prova…”

Gendry strinse le labbra e raddrizzò la schiena. “Io sono Gendry…”

“Voce più alta.”

“Io sono…”

“E tieni lo sguardo sui tuoi ascoltatori” disse ancora Davos, “osserva ognuno di loro, falli sentire importanti.”

Gendry annuì. “Io sono Gendry Baratheon…”

“Non trattenere il fiato prima di parlare” lo corresse di nuovo Davos, “si nota.”

“E’ inutile” disse Gendry.

“Prova” gli ordinò Davos.

“Io sono Gendry Baratheon.” Ci fu un attimo di pausa.

“Figlio di…” lo incoraggiò Davos.

“Figlio di Robert Baratheon” continuò Gendry.

Davos sbuffò. “I titoli di tuo padre…”

“Non li so!”

“Sì che li sai. Concentrati.”

“Figlio di Robert Baratheon” tentò ancora Gendry, “primo del suo nome, re degli Andali dei Rhaynar…”

“Si dice Rhoynar…”

Gendry brontolò. “Re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e protettore del Rame.”

Reame rise Davos, “non Rame.”

Gendry stava perdendo la pazienza. “Non è facile” sibilò trattenendo la rabbia.

“Lo sarebbe” disse Davos, “se ci credessi…”

Gendry aveva il viso rosso ed i pugni contratti. “IO SONO GENDRY BARATHEON” urlò a pieni polmoni, “figlio di Robert Baratheon primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e protettore del Reame!”

Alla fine stava ansimando e Davos gli lanciò un’occhiata trionfante. “Ecco” disse sorridendo, “stavolta era perfetto.”

Ci fu un rumore di passi veloci e Tyrion comparve sul ponte. “Qualcuno ha gridato?!” chiese stordito e ancora mezzo addromentato. Davos e Gendry si guardarono divertiti.

“No” rispose Davos in tono falsamente confuso, “forse stavi solo dormendo.” Alzò lo sguardo al cielo che si stava schiarendo. “Meglio che ti sia svegliato, comunque” continuò, “perché siamo arrivati.” Indicò la costa che era appena apparsa davanti alla prua. Tyrion e Gendry si voltarono di scatto.

Davos sorrise. Aveva visto Capo Tempesta solo due volte: quando aveva rotto l’assedio di Mace Tyrell e quando Stannis aveva marciato contro suo fratello Renly. Ogni volta la vista di quel castello lo impressionava. Se la Roccia del Drago era arroccata sulla collina e appariva come parte di questa, allora Capo Tempesta sembrava volersi gettare nel mare sottostante per quanto le sue mura si protendevano verso di esso.

Aveva solamente due grosse torri e pochissime finestre, piccole come feritoie. Le mura erano più spesse di qualunque altro castello del Continente Occidentale e compensavano l’assenza di un fossato divensivo. Si diceva fossero protette da potenti incantesimi. Davos sorrise ricordando come, insieme a pochi amici fidati, avesse scalato quella parete di roccia, rischiando anche di precipitare in mare, salvando il castello dalla fame.

Si voltò verso Tyrion e Gendry. “Capo Tempesta non ha un porto” spiegò, “perciò ci limiteremo a lasciare la barca sulla spiaggia. Da lì saliremo al castello tramite un sentiero che conosco.”

“E’ vero che questo golfo lo chiamano Golfo dei Naufragi?” chiese Tyrion.

“Aye” rispose Davos con una smorfia, “non tutte le navi sono abbastanza fortunate come la nostra.”

Tyrion inarcò le sopracciglia. Ormai erano vicinissimi e Davos poteva vedere la spiaggia di sabbia nera e ciottoli con alle spalle un bosco di alberi bassi. “Ci siamo” disse e saltò in acqua. Era gelida e gli inzuppò i pantaloni fin quasi al ginocchio, ma Davos ci era abituato. Trascinò la barca a secco e si accertò che fosse incastrata bene. Gendry scese a terra con un salto, Tyrion era esitante.

“Vuoi una mano?” chiese sarcastico Davos e il nano gli lanciò un’occhiataccia. “Sto bene così, grazie” rispose a denti stretti. Poi, reggendosi al bordo, si calò a terra.

Si incamminarono verso il sentiero che Stannis aveva mostrato a Davos molti anni prima attraverso il boschetto. L’aria era umida e si respirava a fatica. Ciò tuttavia non impediva al vento che spazzava incessamente le Terre della Tempesta di soffiare anche quel giorno.

Arrivati ai piedi della scalinata di pietra che portava al palazzo, furono però fermati da tre guardie armate. Davos riconobbe ser Gilbert Forring, il castellano che Stannis aveva lasciato a governare Capo Tempesta. Era un uomo alto e ben piazzato, con folti baffi scuri e sopracciglia cespugliose. Stringeva in pugno una lancia e aveva la spada legata alla cintura.

“Chi siete?” chiese con voce profonda il cavaliere “Cosa vi porta qui?”

Davos fece un passo avanti. “Sono ser Davos Seaworth, ser” si presentò, nonostante fosse convinto l’altro si ricordasse di lui, “Primo Cavaliere di re Stannis e nominato lord di Bosco delle Piogge.”

Ser Gilbert lo squadrò a lungo. “Re Stannis è morto” disse infine, “e così anche sua moglie e sua figlia, insieme a tutti gli uomini che l’avevano seguito. Perché tu sei ancora vivo, ser Davos?”

“Stannis mi aveva ordinato di tornare alla Barriera” rispose il Cavaliere delle Cipolle, “non ero presente quando è stato sconfitto.”

Gilbert spostò lo sguardo su Tyrion. “Che ci fa con voi un Lannister?”

“Magari sono il loro giullare” scherzò Tyrion, ma Forring rimase impassibile.

Tyrion abbassò lo sguardo. “Dai… Era solo una battuta, non delle mie migliori, certo, ma comunque…”

“Risparmia il fiato, Folletto” lo interruppe Gilbert, “ne avrai bisogno.”

“Non siamo qui per litigare” si intromise Gendry, “dobbiamo parlare con i lord che abbiamo convocato ed abbiamo fretta.”

Gilbert si voltò a guardarlo. “Così sarebbe lui il bastardo di re Robert che pretende di governare le nostre terre?” chiese con cruda ironia “Dimmi, ragazzino, perché i nobili signori che sono seduti nella sala d’ascolto del castello dovrebbero volerti ascoltare?”

Gendry assunse la postura che Davos gli aveva insegnato. “Perché io sono Gendry Baratheon” rispose con fierezza e Davos sorrise, “ultimo figlio di Robert Baratheon primo del suo nome, re degli Andali, dei Rhoynar e dei Primi Uomini, lord dei Sette Regni e Protettore del Reame. La regina Daenerys Targaryen mi ha onorato della sua fiducia e ho una missione importante da portare a termine.” Fece una pausa. “E poi ora che i lord hanno viaggiato fino qui non sarebbe educato non riceverli” aggiunse velocemente.

Ser Gilbert lo fissò per qualche secondo, poi sorrise. “Credo tu abbia ragione” disse divertito. Poi si rivolse ad uno dei due soldati alle sue spalle.

“Lord Elwood” chiamò, “vai ad ordinare di aprire il portone e dì ai lord di tenersi pronti ad accogliere l’aspirante lord di Capo Tempesta.”

 

Jaime

 

Nymeria Sand era saltata giù da un bel pezzo quando Jaime decise finalmente di muoversi. Non era rimasto nessuno sulle mura. Spinse lo sguardo fuori dal castello e contò sette corpi di nemici che erano precipitati durante la scalata. Soltanto sette, pensò rinfoderando la spada. Abbiamo perso il vantaggio che avevamo.

Jaime non capiva quale fosse il piano di Olenna che Nymeria aveva così stupidamente menzionato. Anche se fossero riusciti a raggiungere il portone esterno da dentro, gli uomini Lannister schierati nei cortili sarebbero stati comunque troppi per essere sopraffatti. Forse non lo sanno, si disse Jaime affrettandosi a scendere dalle mura.

Da lontano giungevano le grida e il rumore della battaglia in corso e Jaime sperò Bronn avesse preso il controllo della situazione. I Tyrell non potevano pensare di vincere. Avevano più uomini, certo, ma arrivando tardi, avevano perso il vantaggio di potersi chiudere in un castello e difenderlo da un assedio.

Sceso a terra, Jaime si guardò intorno. Si trovava vicino alla struttura di legno chiaro che ospitava le stalle, con la paglia sul pavimento e rampicanti arrotolati intorno ai pali che sorreggevano la tettoia. Il cortile era delimitato da muriccioli nei quali si aprivano strade che portavano ad altri giardini e Jaime intravide fontane, bassi alberi da frutto e statue di marmo bianco. I sentieri erano di ghiaia e la pietra era trapunta di muschio.

Davanti a lui svettavano le mura interne e si apriva una porta sovrastata da un grazioso arco in pietra. Sicuramente Nymeria e il suo gruppo erano andati da quella parte e Jaime decise di seguirli. Forse così avrebbe capito cosa stessero organizzando. Oltrepassata la porta, si ritrovò con suo sommo stupore circondato da siepi così imponenti da guardare dall’alto in basso un uomo adulto.

Sollevando lo sguardo, Jaime vide la terza cinta di mura, la più alta, che proteggeva il palazzo vero e proprio. Sapeva che di entrata all’edificio ve n’era una sola ad est, entrata che i suoi soldati avevano trovato sbarrata. Cosa cercavano i nemici in quella specie di labirinto? Jaime rabbrividì, ricordando le leggende che si raccontavano su Alto Giardino.

In effetti quel posto assomigliava proprio ad un labirinto, fiorito e raffinato, ma allo stesso tempo insidioso. Jaime si voltò, deciso a tornare alle stalle, ma si accorse di essersi già inoltrato troppo per poter sperare di trovare la via d’uscita. Sospirò profondamente. Davanti a lui si aprivano tre diversi sentieri. Ne scelse uno a caso e continuò a camminare.

La battaglia chissà dove continuava ad infuriare e Jaime alzò gli occhi al cielo. Gli uomini stanno combattendo e morendo, pensò irato, e io perdo tempo fra i fiori.

Di fiori le siepi erano piene e stranamente la maggior parte non era ancora secca. Ve n’erano di tutti i colori e sarebbero stati un vero balsamo per la vista se Jaime non fosse stato così ansioso di uscire di lì.

Cercava di camminare senza far scricchiolare troppo la ghiaia sotto le suole per non attirare l’attenzione e aveva la mano sinistra adagiata sull’elsa della spada. Se era fortunato avrebbe almeno trovato gli scalatori e posto fine al loro piano, qualunque esso fosse. Di tanto in tanto sollevava lo sguardo e constatava che si stava avvicinando al palazzo e al cuore di Alto Giardino. Non sapeva neppure se ciò fosse uno sviluppo positivo. A un certo punto udì dei passi provenienti dal sentiero parallelo al suo e si arrestò.

“Aveva detto fiori rossi. Stiamo girando in tondo.”

“Assolutamente no, stiamo andando nella direzione giusta: adesso vedrai…”

Jaime seguì le loro voci fino al punto in cui i due sentieri si incontravano. I due uomini, che indossavano lo stemma di casa Redwyne, girarono nella sua direzione, ma Jaime fu più rapido. Aveva già estratto la spada in precedenza e li colse di sorpresa.

Colpì il primo al torace ed il secondo alle gambe, per poi tagliargli la gola quando vide che ancora respirava. Jaime si guardò intorno in allerta. Le grida non avevano richiamato nessuno e Jaime si convinse che il gruppo di scalatori aveva deciso di dividersi. Saggia decisione. Così posso ucciderli un po’ per volta.

Pulì la lama sui pantaloni di uno dei due morti e proseguì, continuando a scegliere la strada da seguire senza alcun criterio logico. Un paio di volte giunse a un vicolo cieco e dovette tornare indietro. Sapendo che Alto Giardino era di forma circolare, Jaime sperava di potere costeggiare le mura fino a raggiungere un’altra porta.

Il clamore della battaglia era sempre più intenso, segno che si stava avvicinando alla meta. Alla fine si ritrovò davanti le mura interne che proteggevano il labirinto. Jaime sorrise. Adesso posso seguirle, si disse, e trovare l’uscita.

Ad un tratto però sentì nuovamente delle voci, stavolta più numerose e concitate. Riconobbe quella del giovane Hightower.

“Sono nel labirinto” stava dicendo Garth, “sono entrati dalla porta sud e a quest’ora si saranno già persi. Nymeria è andata alla porta nord, in caso ne arrivino altri da quella parte: Feyer e Tytus, raggiungetela. Gli altri con me!” Ci furono esclamazioni e passi frettolosi.

Jaime si nascose dietro un tronco tagliato male e attaccò i due soldati che stavano passando in quel momento. Non era stata una mossa molto onorevole, ma a Jaime non interessava. Lasciò i corpi per terra e proseguì nella direzione opposta, verso il gruppo di Garth Hightower.

Da quel che aveva capito alcuni soldati Lannister erano stati così idioti da farsi attrarre all’interno del labirinto e ora rischiavano di cadere in una trappola. Jaime sbuffò: non aveva tempo per occuparsi di loro, doveva tornare sulle mura a dirigere la difesa del castello. Sperò che Bronn se la stesse cavando bene. Dunque, hanno parlato di porte nord e sud, ragionò fermandosi un attimo. Quella ad est deve quindi essere la porta sbarrata, mentre io sono entrato da quella a ovest.

Tornare indietro era fuori discussione, così Jaime decise di continuare il cammino verso la porta sud. Forse se era fortunato il gruppo di Nymeria a nord sarebbe anche stato respinto. Riprese a correre nella direzione che credeva essere esatta e si lasciò alle spalle le urla provenienti dal campo di battaglia. Incredibilmente trovò la porta che cercava in poco tempo, ma non vide nessuno nemmeno appostato nel cortile di fronte.  Jaime strinse le labbra. Aveva schierato più di cento uomini in quel dannato cortile, possibile che fossero tutti entrati nel labirinto?

Come a risposta alla sua muta domanda si elevarono alle sue spalle delle urla provenienti da più luoghi indistinti del labirinto e rumori di spade che iniziavano a cozzare. Jaime corse fuori verso le mura esterne e si diresse in fretta al portone principale. Con suo sommo sgomento vide che pochissimi uomini erano rimasti di guardia.

“Cosa vi salta in mente?!” esclamò con rabbia afferrando il primo soldato che gli capitò a tiro.

“N-non lo so, ser” balbettò quello in preda al panico. “Si sono sentiti dei rumori provenienti da oltre le mura interne e dei soldati sono andati a controllare.”

Jaime lo lasciò andare e rinfoderò la spada. Poi si passò la mano sana sul viso. Se la forza dothraki o Tyrell avesse sfondato il portone in quell’esatto momento, i Lannister non avrebbero avuto gli uomini per respingere gli aggressori.

“Rimanete in posizione” ordinò, “il primo che si allontana dal suo posto senza aver ricevuto ordini specifici sarà impiccato.”

“Ma i soldati hanno ricevuto ordini specifici, ser” si intromise un altro soldato, “da lord Randyll Tarly. Voleva facessero luce su quei rumori, li ha guidati lui stesso…”

Jaime era esterrefatto. Dalla padella alla brace, pensò incredulo. Ora anche i generali esperti cadono in trappole così ovvie? Notò che il portone era aperto e dovette trattenersi dal mettersi ad urlare.

“Perché quel cazzo di portone è aperto?” gridò “Volete che i Dothraki ci vengano a salutare fin dentro le mura? Sapete cosa significa difendere un castello?”

“Ordini di lord Tarly, ser, dice che presto molti uomini dovranno rientrare…”

Jaime non disse nulla, si limitò a correre su per i gradini di pietra fino in cima alle mura. Come si aspettava la situazione era tragica. Bronn non si vedeva da nessuna parte e i Dothraki erano ormai praticamente sotto le mura. Lo schieramento Lannister era allo sbando, stretto fra due lati dai soldati della rosa. Gli arcieri sulle mura erano stati decimati dalle frecce lanciate in corsa dai Dothraki e non erano più in grado di arrestare l’avanzata nemica. Jaime cercò con lo sguardo i vessilli dei Tarly e dei Merryweather, ma non li trovò.

Senza porsi troppe domande afferrò bruscamente il corno della ritirata dal collo della vedetta più vicina e lo suonò tre volte. Non possono fermarli, pensò Jaime con amarezza. Meglio che entrino nel castello: tenteremo di difendere le sue mura, per quanto possibile.

Gli uomini Lannister inziarono a ripiegare sul castello e, quando la maggior parte fu entrata, Jaime diede ordine di serrare il portone. Immediatamente i nemici iniziarono a prendere d’assalto le mura, che però per il momento reggevano. Jaime ordinò che nuovi arcieri fossero posizionati sui bastioni e nelle torri e che tutti gli altri si schierassero immediatamente.

Scese dalle mura e passò attraverso le fila in cerca di Bronn. Non lo trovò nemmeno questa volta. Iniziò a preoccuparsi e fece domande, ma nessuno l’aveva visto o sapeva di chi si trattasse.

“Dove sono i soldati di Collina del Corno e Lunga Tavola?” chiese allora a nessuno in particolare.

“Lord Randyll li ha portati con sé all’interno” spiegò un uomo che sanguinava dal braccio.

“Erano seimila uomini” osservò Jaime sforzandosi di essere calmo, “come hanno fatto ad entrare tutti quanti?” Nessuno rispose e molti scossero la testa.

La situazione era strana: come mai Randyll Tarly aveva sentito la necessità di portare i suoi uomini dentro le mura? Non era un codardo e la sua decisione di affrontare i Dothraki in campo aperto lo confermava. Qualcosa non andava e Jaime era sicuro c’entrasse il labirinto. Forse perfino Bronn era andato da quella parte.

“Difendete il portone” ordinò, “se entrano, siete morti. Più arceri sulle mura e lanciate ai nemici tutto quello che trovate.” Ci furono bisbiglii d’assenso. Jaime sapeva che potevano resistere massimo un paio d’ore, ma forse a quel punto sarebbe riuscito a mettere in salvo almeno l’altra parte dell’esercito che si era persa nel labirinto.

Davanti a lui si ergeva la porta est, chiusa con battenti di ferro, e Jaime si chiese se fosse stata Alerie Tyrell a dare quell’ordine. Decise di tentare la sorte con la porta nord e si diresse in quella direzione. Superò un numero incredibile di giardini quasi intatti, con alberi e piccoli chiostri, ma la terra smossa tradiva il passaggio di uomini. Jaime capì di essere sulla pista giusta. Quando finalmente giunse alla porta nord oltre la quale si estendeva l’ormai noto labirinto, Jaime si trovò davanti ad un orribile spettacolo.

Sulla soglia giaceva una decina di cadaveri, tra cui quello di Nymeria Sand. La ragazza aveva la schiena appoggiata alla siepe e gli occhi chiusi. Stringeva fra le mani la frusta e la daga dai bordi ondulati giaceva per terra qualche metro più in là. Del sangue fresco le sgorgava da una ferita all’altezza delle costole e inzuppava il terreno. Aveva la testa reclinata su una spalla.

Jaime vide altri cadaveri, alcuni che sfoggiavano l’emblema dei Tyrell, altri quello dei Lannister, tutti morti nello stesso posto e più o meno nello stesso modo. Alcuni erano stati colpiti da lunghe frecce. E poi, isolato al centro del primo sentiero del labirinto con un rivolo di sangue che gli scorreva sul mento, Jaime vide Bronn.

Non seppe mai quanto ci mise, ma in pochi secondi era al suo fianco. Gli prese la mano e Bronn aprì gli occhi. Sembrava stanco e rassegnato, ma quando vide Jaime si sforzò di sorridere.

“Dove cazzo eri finito?” 

Jaime notò che perdeva sangue dal petto e la ferita era grave. “Cosa è successo?” chiese in un sussurro incapace di dire altro.

Bronn fece una smorfia che si trasformò in un gemito di dolore. “Tradimento” disse a fatica, “siamo stati attaccati alle spalle…”

“Chi è stato?”

“Randyll Tarly” rispose Bronn iniziando a tossire, “è entrato nel labirinto, credo voglia uccidere chiunque incontri, non importa se combatte per i Lannister o per i Tyrell.” Jaime strinse le labbra.

Bronn si guardò la ferita. “Non era così che pensavo di morire” ammise, “ma ci sono modi peggiori. Salutami tuo fratello semmai lo rivedrai, digli che è l’uomo alto meno di un metro più coraggioso che abbia mai conosciuto.”

La tosse lo prese di nuovo e Jaime vide che stava sputando sangue. “Lo farò” promise.

“E la ragazza” mormorò Bronn chiudendo gli occhi e rilassando i muscoli, “credo provi qualcosa per te…”

“Chi?” si affrettò a chiedere Jaime “Quale ragazza?”

Ma non ottenne mai una risposta. Il corpo di Bronn fu percorso da brividi e poi rimase immobile. Jaime abbassò il capo. Bronn l’aveva aiutato in situazioni difficili, certo lo faceva per oro, ma aveva rischiato la vita più di una volta. Tyrion gli aveva raccontato che era stato Bronn a salvarlo dal processo a Nido dell’Aquila e a incendiare la nave carica di Altofuoco durante la Battaglia delle Acque Nere.

Bronn era diventato una presenza fissa e Jaime non aveva mai davvero pensato la storia potesse finire in quel modo. Avevano scherzato sulla morte così a lungo che si erano dimenticati che li attendeva paziente.

Jaime si tirò in piedi. Trascinò il corpo di Bronn fra le foglie per metterlo al sicuro e si promise di andarlo a riprendere semmai fosse uscito vivo da quella situazione. Spostò lo sguardo verso l’interno del labirinto. Impugnò la spada e si inoltrò fra le siepi, deciso a trovare Randyll Tarly.

Andando avanti, continuando a scegliere strade al posto di altre, si imbatté in altri cadaveri di soldati Lannister e Tyrell e, in qualche raro caso, Tarly o Merryweather. Jaime si chiedeva cosa mai avesse portato Randyll e Orton a tradire la causa di Cersei. Se non erano fedeli alla regina sul Trono di Spade e neppure alla ribelle Daenerys Targaryen, allora con chi si erano schierati? Jaime era assolutamente certo il Nord non avesse ruolo in questa cospirazione, ma allora chi?

Continuava anche a chiedersi chi fosse la ragazza di cui parlava Bronn. Certamente non si riferiva a Nymeria. Forse le sue erano state solo le parole senza senso di un morente. Giunse in una piazzola straordinariamente ampia, che constatò con tristezza essere occupata da cadaveri Lannister. Il sangue impregnava il terreno e l’odore era terribile.

All’improvviso sentì dei passi alle sue spalle e fece appena in tempo a schivare il fendente diretto alla sua spalla. Davanti a lui era apparso Randyll Tarly. Il suo volto come al solito non esprimeva emozioni, e la sua armatura era macchiata in più punti di sangue. Nonostante ciò, Jaime notò con rabbia che era illeso.

“Sterminatore di Re” lo salutò con voce piatta, “non mi aspettavo di trovarti qui.”

“E io di vedere che hai abbandonato così vigliaccamente il tuo posto” replicò freddamente Jaime. “Perché i tuoi uomini stanno massacrando i miei?”

Tarly fece una specie di sorriso. “Quando ho visto cosa il mio figlio maggiore stava diventando” raccontò, “l’ho costretto a prendere il Nero. Non volevo disonorasse il mio nome e la mia famiglia con la sua viltà.”

Jaime non capiva dove volesse arrivare. “Tu e lord Orton avete giurato fedeltà a mia sorella” gli ricordò Jaime stringendo la spada, “siete passati al nemico?”

Randyll sembrò disgustato. “Ti credevo un uomo, sai” disse con voce dura, “ma vedo che sei solo un rammollito che si nasconde fra le gonne di sua sorella, troppo pauroso per ammettere che sia una regnante disastrosa.” Jaime non disse nulla.

“E così anche quella ragazzina che si crede regina solo perché ha tre animali da compagnia che sputano fuoco” stava continuando Tarly. “Perché i draghi sono animali e possono essere uccisi come tutti gli altri. Finchè sarò in vita lotterò affinchè nessuna donna sieda sul Trono di Spade, ser Jaime. Non sono fatte per governare, porterebbero solo rovina.”

A Jaime venne quasi voglia di ridere, nonostante la situazione tragica. “Pensala come ti pare” disse, “ma hai seguito i vessilli di Cersei in guerra, i tuoi uomini sono morti per la sua causa, perché questo cambio d’idea tardivo?”

Stavolta Randyll rise sul serio, ma era una risata fredda e gutturale. “Questo” disse allargando le braccia, “era il piano fin dall’inizio. Così nessuno uscirà vincitore dalla battaglia e di certo non tu.”

“Ma perché lo fai?” chiese ancora Jaime “Non ha senso! Se anche tu adesso uccidessi ogni singolo soldato del mio esercito, Daenerys ne avrebbe uno dieci volte il tuo.”

“Sai cosa accadrà nel giro di pochi giorni alla Roccia del Drago?” chiese Tarly “Euron Greyjoy ha sconfitto la flotta di Daenerys Targaryen a Porto Bianco e attaccherà presto l’isola con tutti i mercenari per i quali tua sorella è stata così gentile da pagare. Annienterà anche questa minaccia e poi prenderà Approdo del Re.”

“Euron Greyjoy è un alleato di Cersei” replicò Jaime, “e mia sorella gli ha ordinato di aspettare. Non attaccherà la Roccia del Drago.”

“Euron non è agli ordini di Cersei” disse Randyll avvicinandosi, “così come non lo siamo io ed Orton Meeryweather. L’abbiamo seguita finché ci è risultato comodo, ma ora non lo è più. Come credi mi ricompenserà Euron quando gli consegnerò la tua testa?” E con questa domanda Randyll Tarly attaccò.

Jaime fu abbastanza abile da respingere l’attacco, ma si ritrovò costretto a fare un passo indietro e quasi inciampò in un cadavere. Randyll era un uomo abbastanza anziano, ma combatteva sufficientemente bene da mettere Jaime in difficoltà. I combattimenti veri testavano brutalmente le capacità della sua mano sinistra e mandavano all’aria mesi di miglioramenti.

Le spade si incrociarono e Jaime tentò di fare pressione per sbilanciare l’avversario. Ovviamente non ci riuscì: Tarly era solido come una roccia.

“Mio figlio saprebbe combattere meglio di te” disse Randyll con voce delusa, “mi aspettavo di meglio…”

“E allora continua ad aspettare” replicò Jaime liberandosi dalla situazione di stallo. Iniziarono a muoversi in cerchio scrutandosi.

“Hai ucciso il mio amico Bronn” disse Jaime. Era più un’affermazione che una domanda.

Tarly annuì. “Aye” rispose, “un lurido mercenario tagliagole. Un insulto a tutti i cavalieri.”

Jaime sentì i polsi fremere di rabbia. “Era mio amico” ripeté.

“Allora un insulto anche alla tua memoria” disse Tarly colpendo con veemenza.

Jaime non se l’aspettava, si era troppo distratto. Non fu capace di reagire in tempo e due colpi dopo aveva perso la presa sulla spada, che cadde a terra. Randyll la calciò lontana e Jaime indietreggiò. Questa volta inciampò davvero in un cadavere e cadde lungo disteso.

“Avrei preferito ucciderti mentri eri in piedi con una spada in mano” constatò Tarly alzando la spada, “ma credo non faccia alcuna differenza.” Jaime lo fissò negli occhi. Non sapeva cosa dire, ma non sarebbe scappato. Avrebbe affrontato la morte e peggio.

Proprio quando la spada stava per calare, Randyll sussultò violentemente guardandosi lo stomaco. Jaime seguì il suo sguardo e vide con meraviglia che era stato trapassato da una lama insanguinata conficcata nella sua schiena. Quando la spada fu estratta, il sangue sgorgò a fiumi e Tarly cadde a terra senza un grido.

Jaime sollevò lo sguardo verso il suo salvatore e rimase senza fiato. A pulire la lama sui pantaloni e a guardarlo dall’alto in basso con aria impassibile c’era Brienne.

 

Bran

 

Dopo aver visitato il Forte della Notte, seppur nella sua decadenza, a Bran il Castello Nero parve veramente piccolo. Era di forma quadrata e non aveva mura. Benjen diceva sempre che i Guardiani della Notte non sarebbero mai stati attaccati da sud e a nord erano protetti dalla Barriera, ma Bran riteneva che un castello per definizione dovesse avere delle difese. Invece il Castello Nero era costruito per metà di legno ed era un miracolo che non fosse bruciato già un centinaio di volte.

I due uomini che li avevano accolti oltre la Barriera aiutarono Meera a trasportarlo dentro e Bran si sentì addosso gli sguardi curiosi e interrogativi dei confratelli dei Guardiani. Cercò con lo sguardo Jon, ma non lo vide da nessuna parte. Le parole e le occhiate che i due uomini si erano rivolti gli avevano messo agitazione ed era ansioso di parlare con il Lord Comandante. Prima però furono scortati in quelle che immaginò sarebbero diventate le loro stanze, sotto alla grande gabbia che permetteva ai Guardiani di salire sulla Barriera.

“Verrà qualcuno a chiamarvi” disse uno dei due uomini, “quando il Lord Comandante sarà pronto a ricevervi.” Bran annuì e la porta fu chiusa. Meera si stava guardando intorno.

La stanza non era molto grande; aveva due letti bassi coperti da pellicce e un tavolino con una candela mezza consumata appoggiata sopra. Niente sedie o altri mobili. Poi Meera scorse qualcosa in un angolo e sorrise.

“Guarda, c’è una tinozza… Potremo farci il bagno!” Oltre la Barriera erano sopravvissuti lavandosi solo quando strettamente necessario e l’acqua dei torrenti era congelata.

“Forse è meglio aspettare” disse Bran incerto, ma Meera lo guardò male. Bran odiava quando diceva qualcosa che la faceva arrabbiare: si sentiva così in colpa.

“Sono mesi che non mi faccio un bagno” disse infatti Meera irata, poi si addolcì. “Non vuoi che ti aiuti?”

Bran scosse la testa: voleva solo riposare. “No grazie” rispose, “se puoi aiutami solo a salire sul letto.” Meera annuì e lo prese sotto le ascelle. Lo adagiò delicatamente sulle coperte e gli voltò le spalle. Quando Bran si spinse sul fianco fronteggiando il muro, sentì Meera togliersi i vestiti per il bagno. Pochi minuti dopo era addormentato.

Sognò di corvi, migliaia e migliaia di corvi che volavano sopra la Barriera. Vide i Figli della Foresta sotto gli Alberi del Cuore e uno di loro si voltò verso di lui. Bran indietreggiò.

“Lo sta cercando” disse la creatura. Aveva gli occhi color del muschio e la pelle scura come i Figli della Foresta della caverna del Corvo con Tre Occhi.

“Lui lo sta cercando” stava ripetendo quell’essere, “e quando l’avrà trovato non ci sarà più salvezza.”

Bran sentì un brivido corrergli lungo la schiena. “Cosa posso fare?” chiese preoccupato.

Il Figlio della Foresta lo osservò a lungo. “Scappa” disse poi, “prima che sia troppo tardi: la Barriera non è un posto sicuro.”

Poi la scena si dissolse come inchiostro nell’acqua e Bran si trovò nuovamente davanti all’esercito degli Estranei. Il Re della Notte venne avanti e sembrava quasi sorridere, per quanto ciò fosse possibile, e Bran sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene.

Poi il capo degli Estranei fece qualcosa che mai Bran si sarebbe aspettato: iniziò a parlare. Era una lingua sconosciuta, ma il suono faceva sanguinare le orecchie. Alzò lo sguardo e vide un’enorme creatura che lo fissava. Bran non aveva mai visto nulla del genere.

Il drago era bianco con scaglie dorate e aprì le mascelle irte di denti acuminati. Era pronto a sputare fuoco.

Bran si ritrovò a urlare e si svegliò si soprassalto con Meera che lo scuoteva violentemente. “Bran! Bran! Svegliati, è solo un sogno!” Sembrava disperata.

Bran aprì gli occhi e faticò qualche secondo a mettere a fuoco le immagini. Meera gli stava davanti, in ginocchio sul letto, con i capelli ancora bagnati e mezza svestita. I suoi occhi erano colmi di paura e sollievo.

“Che è successo? Cosa hai visto?”

Bran si tirò lentamente a sedere. “Avevo una visione” spiegò, “non pensavo mi sarebbe più successo nei sogni. Pensavo servissero gli alberi…”

Meera aveva stretto le labbra. “Jojen aveva visioni ovunque” ricordò con un velo di tristezza, “non servivano quegli stupidi alberi.”

Bran scosse la testa. “Stavolta era diverso” disse, “era come se qualcuno stesse cercando di mettersi in contatto con me…”

Meera aveva un’aria incredula. “E chi potrebbe mai fare una cosa del genere?”

“Non lo so” ammise Bran, “ma nel sogno ho visto i Figli della Foresta.”

Meera inarcò le sopracciglia. “Foglia mi aveva detto che loro erano gli ultimi della specie” osservò.

“Sì, l’aveva detto anche a me” replicò Bran, “ma questi erano diversi…” Non sapeva come spiegarsi: in quella visione c’era qualcosa che non lo convinceva. Poi d’un tratto capì.

“Gli alberi!” esclamò e Meera lo guardò interdetta “Gli Alberi del Cuore che i Figli della Foresta nel sogno stavano proteggendo non erano innevati. La terra era fertile: non possono trovarsi oltre la Barriera.”

Meera sembrava incredula. “Non ci sono Figli della Foresta a sud della Barriera” disse scettica.

Bran alzò gli occhi al cielo: molte cose non sarebbero dovute essere quelle che erano. “Così come non c’erano meta-lupi” replicò e il pensiero di Estate lo fece intristire. Si impose di essere forte.

“C’è un luogo nei Sette Regni dove i Figli della Foresta siano potuti sopravvivere?” chiese e Meera si alzò in piedi. Era pensierosa e Bran fu felice di vedere che aveva preso la sua supposizione sul serio.

“Mio padre” iniziò Meera incerta, “raccontava che alcuni Figli della Foresta potrebbero essere sopravvissuti sull’Isola dei Volti, nelle Terre dei Fiumi, protetti dagli Uomini Verdi. Ma nessuno li ha mai visti: sono solo leggende…”

“Anche gli Estranei lo erano” le ricordò Bran, “magari c’è del vero in quelle storie. Forse esistono Figli della Foresta ancora vivi…”

“Ma cosa volevano dirti?” chiese Meera “Hai detto era come se volessero mettersi in contatto con te…”

“Ed è così” affermò Bran, “mi hanno detto che lui sta cercando qualcosa e che quando lo troverà sarà la fine. Mi hanno detto di lasciare la Barriera perché è troppo pericoloso.”

Meera aveva sgranato gli occhi. “Lui chi?”

Bran abbassò lo sguardo. “Credo si riferissero al Re della Notte” rispose indeciso su come continuare. “Ho visto anche lui e, Meera, gli Estranei sanno parlare.”

Stavolta il volto della ragazza tradiva tutta la sua sorpresa. “E che ha detto?” chiese avvicinandosi.

“Non ho capito nulla” ammise Bran, “ma la loro voce è tremenda, fa venire voglia di strapparsi le orecchie.” Per un po’ nessuno dei due parlò. Bran decise di non dire del drago.

“Ma cosa sta cercando il Re della Notte?” chiese alla fine Meera e Bran scosse la testa. “Non ne ho idea” rispose e in quel momento la porta si aprì. Meera sobbalzò e si affrettò a coprirsi come meglio poteva.

L’uomo che era entrato distolse subito lo sguardo. “Chiedo perdono, mia signora” si scusò, “il Lord Comandante vuole vedervi. Sono venuto a scortarvi nelle sue stanze.” Bran fece forza sulle braccia per alzare la schiena il più possibile. L’uomo gli venne subito incontro. “Lascia che ti aiuti…” disse e lo prese in braccio. Aveva braccia robuste e lunghi capelli neri.

“Io mi chiamo Emmett” disse l’uomo, “ma gli altri mi chiamano il Ferrigno. Ora sono maestro d’armi al Castello Nero.”

“Dov’è mio fratello?” chiese Bran mentre Meera si legava i capelli.

Emmett sospirò. “Meglio che sia Edd a spiegarvi tutto” mormorò e Bran temette il peggio. Emmett lo trasportò lungo i corridoi e Meera li seguì. Entrarono in una stanza buia e angusta dalla porta di legno semisfondata e Bran fu aiutato a sedersi come meglio poteva. Meera rimase in piedi.

Dietro al lungo tavolo di legno invaso di carte di tutti i tipi sedeva un uomo che li osservava curioso. Aveva la fronte ampia ed i capelli lisci che arrivavano alle spalle. Vestiva tutto di nero, come erano tenuti i Guardiani della Notte.

“Puoi andare, Emmett” lo congedò il Lord Comandante e l’uomo alle loro spalle uscì chiudendo la porta. Bran tornò a concentrarsi su questo Edd che ora gli stava sorridendo.

“Quindi tu sei Brandon Stark?” Bran annuì. “Incredibile… E tu sei…?”

“Meera Reed” rispose Meera sulle difensive, “da Torre delle Acque Grigie.”

“Bene!” esclamò il Lord Comandante “Io sono Eddison Tollett, ma potete chiamarmi solo Edd. Sarete stanchi, volete qualcosa da mangiare?”

“No grazie, semmai dopo” rispose cortesemente Bran, “vorrei vedere mio fratello, Jon Snow.” Era strano chiamarlo ancora fratello dopo aver saputo la verità. La bocca di Edd assunse una piega amara e Bran fu sicuro di aver visto un’ombra calare sul suo viso.

“Jon mi aveva detto che vi eravate persi oltre la Barriera e che non era riuscito a trovarvi al Castello di Craster” disse Edd con voce seria, “aveva parlato anche di un meta-lupo e di un mezzo-gigante che stavano con voi…” Bran abbassò lo sguardo: il ricordo di Hodor bruciava ancora e avrebbe bruciato per sempre.

“Sono morti, ma cos’è successo a mio fratello?”

Edd spinse la schiena contro lo schienale. “E’ complicato” disse, “vuoi sapere tutta la storia?” Bran annuì con forza.

“Jon era stato eletto Lord Comandante” raccontò Edd, “ma in molti lo odiavano. So che forse è difficile da credere, ma le leggende su delle creature chiamate Estranei…”

“Sono vere” concluse per lui Bran, “lo sappiamo, abbiamo incontrato il loro esercito. Meera ne ha anche ucciso uno.”

Edd si voltò verso di lei con ammirazione. “Anche Jon ne ha ucciso uno” continuò, “e anche il suo amico Sam, ma credo lui voi lo conosciate già…”

Bran sorrise e annuì. “Sì, mi piacerebbe vederlo…”

“E’ partito per Vecchia Città” replicò Edd, “vuole diventare il nuovo maestro.”

Bran abbassò lo sguardo. “Cosa è successo a mio fratello?” chiese ancora vedendo che la storia si era arenata.

Edd sospirò. “Abbiamo combattuto gli Estranei insieme” proseguì, “e Jon ha deciso di permettere ai bruti di passare la Barriera per farli diventare nostri alleati nella guerra che verrà, ma molti confratelli non hanno apprezzato il suo gesto.” Fece una pausa.

“L’hanno pugnalato a morte.”

Bran non disse nulla. Era arrivato troppo tardi, tutte le sue visioni non avevano più valore.

“So che può sembrare incredibile” stava continuando Edd, “ma è stato riportato in vita da una sacerdotessa.” Bran alzò la testa di scatto non credendo alle proprie orecchie.

“Ma questo non ha senso!” esclamò Meera esterrefatta.

“Hai ragione” ammise Edd, “ma io l’ho visto con i miei fottuti occhi. Prima Jon era morto, adagiato proprio su questo tavolo, e poi era vivo. E’ stata la cosa più pazzesca che abbia mai visto.” Nonostante la situazione surreale in cui si trovava, Bran era felice suo fratello fosse vivo.

Mio cugino.

“E poi?” chiese allora “Dov’è ora?”

“Ha lasciato il Castello Nero con l’esercito dei bruti” spiegò Edd, “insieme a vostra sorella, quella con i capelli rossi, Sansa credo si chiami…” Quella conversazione era sempre più strana.

“Sansa?!” esclamò Bran non sapendo più cosa pensare “Cosa ci faceva alla Barriera?”

“Da quello che ho capito” rispose Edd, “era fuggita da suo marito, un Bolton mi pare, e voleva riprendere Grande Inverno.”

“Grande Inverno è bruciata.”

Edd lo fissò intensamente. “Quanti anni sono che sei oltre la Barriera?” chiese in tono doloroso e Bran sentì un groppo in gola.

“Cos’è successo mentre ero via?” chiese con un filo di voce non del tutto sicuro di voler sentire le risposte.

“I Bolton hanno preso il vostro castello” disse Edd, ma Bran lo interruppe.

“I Bolton sono alfieri di mio fratello Robb” disse, nonostante il vessillo di quella casata gli avesse sempre incusso timore.

Il volto di Edd esprimeva una profonda tristezza. “Mi dispiace, Brandon” disse, “ma tuo fratello Robb e tua madre sono morti. Jon aveva detto erano stati proprio i Bolton a tradirli…” Bran se l’aspettava. Sapeva che era sciocco sperare di ritrovare sua madre e Robb ancora vivi, ma il colpo fu duro lo stesso.

“Jon e Sansa hanno combattuto per riprendere Grande Inverno” proseguì Edd, “e hanno vinto. Ora le casate del Nord si sono schierate al loro fianco ed hanno proclamato Jon Re del Nord. Devo ammettere che un po’ lo invidio…” Bran si costrinse sorridere: almeno Jon e Sansa erano al sicuro. Grande Inverno è di nuovo degli Stark.

Chissà dov’erano Arya e Rickon in tutto questo. Di Arya non si sapeva più nulla, ma Rickon doveva essere ancora ad Ultimo Focolare.

Come leggendogli i pensieri, Edd scosse la testa. “Jon mi ha mandato un corvo” disse a bassa voce, “tuo fratello Rickon è morto.”

Bran aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Meera gli si avvicinò e gli strinse forte la mano. E’ colpa mia, pensò Bran disperato, pensavo sarebbe stato al sicuro. Lottò per ricacciare indietro le lacrime. Gli Stark avevano ripreso le loro terre, sì, ma la loro famiglia era stata massacrata. Rimanevano solo Jon e Sansa.

L’ultima volta che Bran aveva visto sua sorella era prima della caduta che gli aveva portato via le gambe, non ricordava nemmeno bene come era fatta. Realizzare ciò lo spaventò a morte. Avrebbe dimenticato anche Robb e sua madre? Le immagini di Arya si confondevano già nella sua mente e Bran ebbe paura.

Meera dovette comprenderlo, perché lo abbracciò stretto. “Troveremo la tua famiglia” gli sussurrò all’orecchio, “potrai tornare a Grande Inverno. Te lo prometto.” Bran si perse in quell’abbraccio e in quel momento non gli interessava che Edd li stesse guardando. Poi si separarono.

“Gli Estranei stanno arrivando” disse Bran ricomponendosi, “il loro esercito è immenso: sapete come combatterli?”

Edd fece una smorfia. “Jon ha inviato alla Barriera circa mille uomini per difenderla” spiegò, “ne ho inviati alcuni anche alla Torre delle Ombre e al Forte Orientale.”

“Inviane altri al Forte della Notte” suggerì Bran, “là esiste un passaggio segreto sotto la Barriera che gli Estranei potrebbero attraversare.”

Edd annuì. “Ma perché combattete questa battaglia?” chiese spostando lo sguardo da Bran a Meera e viceversa “Una ragazza e uno…” Lasciò cadere la parola storpio.

Bran sospirò. “Perché dobbiamo” rispose semplicemente, “non abbiamo avuto scelta. Ma non è stato sufficiente a fermarli, abbiamo solamente appreso più cose su di loro.”

“Per esempio?” chiese Edd alzandosi in piedi. Bran sollevò la testa per poter continuare a guardarlo in faccia.

“Come sono stati creati gli Estranei” rispose lui senza effettivamente spiegare come ciò fosse accaduto, “e altre cose che riguardano mio fratello. Per questo devo vederlo.”

“Temo che Jon non sia a Grande Inverno ora” disse Edd, “nell’ultima lettera diceva di trovarsi a Porto Bianco, pronto a partire per la Roccia del Drago.”

Bran corrugò la fronte. “Cosa va a fare alla Roccia del Drago?”

“Incontra Daenerys Targaryen” rispose Edd arrotolando alcuni fogli, “si dice abbia tre draghi.” Perfino Bran aveva udito quelle storie quando era ancora a Grande Inverno, ma ora il nome di Daenerys assumeva un significato completamente diverso. E’ la zia di Jon, realizzò sorpreso, e lui non lo sa!

“Posso mandare degli uomini che vi riaccompagnino a Grande Inverno” propose Edd con un sorriso, “da tua sorella.” Bran annuì: non aveva più nulla che lo legava alla Barriera o a ciò che stava più a nord. Sarebbero tornati a fronteggiare gli Estranei con un vero esercito e per quel giorno Bran avrebbe fatto in modo di trovarsi in groppa a un cavallo.

In quel momento un gelo irreale si diffuse nella stanza e Bran e Meera si guardarono con l’orrore negli occhi. Il fiato iniziò a condensarsi e tutte le candele si spensero. Edd si guardava intorno confuso e Meera aveva afferrato il braccio di Bran e stretto forte fino a fargli male. Il corno suonò una volta.

“Ranger di ritorno” mormorò Edd, “ma non ne abbiamo più inviati…”

La sua voce fu sovrastata dal secondo squillo. Bran sapeva ce ne sarebbe presto stato un terzo.

“Non ci sono più bruti oltre la Barriera…” Edd li fissò.

Il terzò suono pervase tetro e minaccioso l’aria del Castello Nero. Per un attimo nessuno si mosse.

Poi Edd si precipitò alla porta urlando ordini frenetici a confratelli terrorizzati. Bran guardò Meera, che annuì decisa. La ragazza lo prese in braccio trattendendo il fiato per lo sforzo e si affrettò a uscire. Bran sperò di non essere troppo pesante. Videro Edd precipitarsi sull’ascensore che l’avrebbe portato in cima alla Barriera insieme ad altri tre confratelli. Nel cortile regnava il caos.

“Meera, dobbiamo salire sulla Barriera” disse Bran e lei annuì. Lo trasportò fino alla cabina che aveva già iniziato ad alzarsi.

“Tornate dentro!” urlò Edd vedendoli arrivare “E’ pericoloso qui…”

Ovunque è pericoloso” replicò Bran. “Facci salire: dobbiamo vedere il loro esercito.”

La cabina si era arrestata a circa un metro da terra. Edd li stava studiando. Poi annuì. Due degli uomini che stavano con lui aiutarono Bran a salire e Meera saltò agilmente dentro chiudendo il cancelletto. Il vento aveva iniziato a soffiare forte e il legno scricchiolava minaccioso. Presto la foschia rese impossibile distinguere il Castello Nero.

“E’ incredibile” sussurrò uno degli uomini.

Bran sentiva la punta del suo naso congelare e gli occhi seccarsi. Meera aveva piccoli ghiaccioli fra i capelli. Finalmente arrivarono in cima. Si precipitarono fuori e Bran fu trasportato tra le fortificazioni di legno e i sentieri scavati nel ghiaccio.

“Meera, portami dall’altra parte… Voglio vedere…”

Meera si inginocchiò al suo fianco. Il vento ululava più forte che mai. Lo trascinò fino sull’altro lato e da lì Bran si sporse per vedere oltre. La vista mozzava il fiato già messo a dura prova dal gelo che si insinuava fin dentro le ossa.

L’esercito di non-morti copriva tutto lo spazio esistente fra la Barriera e il bosco. Gli Estranei non si vedevano ancora, ma Bran sapeva che sarebbero arrivati, alla fine, per far risorgere nel loro esercito i caduti della fazione avversaria. Meera stava tremando, forse di freddo, forse di paura.

Bran abbassò la testa. “Sono arrivati” disse semplicemente, mentre i versi striduli dei non-morti si elevavano e facevano tremare la Barriera.



                                                                         "I feel something so wrong doing the right thing." 





N.D.A.

Eccomi! Bentornati e spero proprio abbiate passato un buon Ferragosto ^_^ Forse un capitolo così tetro non è esattamente il miglior augurio però XD XD
C'era qualcuno che sperava le cose sarebbero andate meglio, ma ovunque guardate stanno andando a rotoli (salvo forse per la missione di Davos, Tyrion e Gendry che finora sta andando bene). E ora anche la Barriera è in pericolo perchè stavolta gli Estranei non perdono tempo come nella serie XD sono già qui e sono pericolosi.

E come avete visto sono iniziate le morti :-\ mi dispiace tantissimo per Bronn perchè come personaggio mi è sempre piaciuto, ma era giunta la sua ora. E purtroppo siamo solo all'inizio del massacro: nessun personaggio è al sicuro. Ovviamente nel prossimo capitolo attraverso il POV di Brienne si vedrà esattamente cosa sia successo tra il suo incontro con Bronn sotto le mura (quando Jaime stava ancora combattendo Nymeria) e il suo tempestivo intervento in aiuto di Jaime.
Per quanto riguarda il tradimento di Randyll Tarly (e Orton Merryweather) è ovviamente una mia interpretazione. Dai libri si capisce che Randyll è molto maschilista e odia vedere le donne indipendenti (come ad esempio Brienne, dato che si incontrano nel libro) o in posizioni di potere. E' inoltre un uomo rigido di carattere e tradizionalista, quindi non c'era modo appoggiasse Cersei o ancora meno Daenerys. Una sua alleanza con Euron quindi pareva una buona soluzione, un modo per lui per assicurarsi un posto importante nella nuova corte (ovviamente supponendo Randyll non sapesse nulla degli Estranei e dell'estenzione della follia di Euron). Ecco quali erano i tentacoli in movimento a cui Euron si riferiva nella sua conversazione con Yara, gli alleati che avrebbero attaccato Tyrell e Lannister dall'interno. E diciamo che ha anche funzionato dato che entrambe le parti sono state indebolite. Cersei pensava di tenere in scacco Euron e invece è risultato il contrario. Per fortuna c'era Brienne che, essendo sopra le parti, può permettersi di uccidere o salvare chiunque XD
Ovviamente non è stato l'intero esercito Tarly/Merryweather a entrare nel labirinto con Randyll. La maggior parte dell'esercito, guidata da Dickon, si è allontanata dalla battaglia molto presto lasciando l'avanguardia scoperta. Si chiarirà tutto più avanti.

La scelta di Jon di respingere Daenerys è una scelta emotiva dettata dal momento, ma posso dire che in questa situazione è nel torto. In questo momento era Daenerys la persona saggia che anteponeva il benessere del regno ai suoi desideri personali, mentre Jon, pur con tutte le attenuanti dovute alla sua situazione, era l'egoista. Se ci ripenserà si saprà solamente più avanti, ma in questo caso io sto con Dany.
Per le lettere ovviamente Arya è intervenuta per mettere al corrente Jon del problema di Ditocorto e ora almeno si smorza una ipotetica tensione fra lui e Sansa.

Come al solito ringrazio i miei recensori appassionati: GiorgiaXX, __Starlight__, giona e Spettro94. Un ringraziamento anche a NightLion che si sta rimettendo in pari ^_^

Vi auguro buone vancanze e ferie e ci si rivede fra due settimane!


PS: la citazione di questa volta, come molti avranno già capito, viene dalla canzone "Counting stars". L'ho pensata espressamente per Jon e il momento in cui cammina via da Daenerys pensando di star facendo la cosa giusta, ma sentendosi tremendamente in colpa.










 

   
 
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