Farewell
Sansa
I lord e le loro
famiglie erano
arrivati tutti insieme verso l’ora di pranzo. Sansa si era dovuta
alzare di
buon’ora per lavarsi i capelli e rendersi presentabile. Le temperature
calavano
giorno dopo giorno, così aveva scelto un vestito di lana pesante con
ricami
scarlatti. Myun le aveva chiuso i lacci del mantello intorno al collo e
Sansa
aveva accarezzato soddisfatta i piccoli lupi d’argento, l’unico
gioiello che si
concedeva.
Quella mattina erano
attese molte
nobili famiglie in seguito alla decisione di Sansa di invitare tutti i
lord del
Nord a trasferirsi a Grande Inverno. La paura per le dilaganti
scorrerie dei
Greyjoy aveva attanagliato i cuori di tutti, specialmente di coloro che
avevano
un castello sul mare.
Era stata Alys a
proporre questa soluzione.
Si era deciso di
aprire le porte
di tutti i castelli più interni e sicuri, ma Grande Inverno avrebbe
ospitato la
maggior parte dei pellegrini. Alcuni avevano suggerito di trasferire
alcune
famiglie a Forte Terrore, ma Sansa si era rifiutata categoricamente.
Così quella mattina
erano attesi
ospiti da tutti gli angoli del Nord e Sansa era psicologicamente pronta
a
trascorrere l’intera giornata ad ascoltare i finti complimenti delle
lady e i giuramenti
dei lord.
Come al solito prese
posto nella
sala dei banchetti dopo aver dato ordine alle cucine di preparare dei
pasti
abbondanti. Le cuoche le avevano fatto notare che le provviste
scarseggiavano,
ma Sansa era decisa a lasciare quei problemi a un altro momento. Sedeva
rigida
sul trono di legno e per la prima volta si accorse di quanto fosse
scomodo.
Spettro quella mattina non si presentò, ma Sansa aveva ormai rinunciato
a
qualunque tentativo di comprendere le strane abitudini del meta-lupo.
Tormund era in
viaggio con i
bruti verso Ultimo Focolare, mentre Alys sarebbe arrivata in ritardo.
Così
aveva permesso a Myun di sederle accanto, insieme alla piccola lady
Mormont,
puntuale come al solito.
Quando due giorni
prima c’era stata tutta la questione
riguardo alla lettera di Jon, Sansa aveva capito benissimo che Myun non
l’aveva
trovata per terra in un corridoio.
I primi ad arrivare
furono i
membri della famiglia Glover da Deepwood Motte. Il castello non era
particolarmente in pericolo data la sua posizione nei boschi, ma era
caduto
nelle mani dei Greyjoy già una volta e per questo, quando aveva udito
dell’attacco a Porto Bianco, lady Sybelle aveva preteso che il marito
le
concedesse di venire a Grande Inverno. Robett Glover aveva accettato e
ora Sybelle
si inchinava a Sansa, tenendo per mano il figlio Gawen ed in braccio la
piccola
Erena.
“Spero ci siano delle
allattatrici” disse la lady con un sorriso. Non era particolarmente
bella ed
era anche abbastanza formosa, ma aveva un sorriso molto dolce. Sansa
ovviamente
si affrettò a far scortare lady Sybelle ed i figli nelle loro stanze,
facendo
promesse che non era sicura di poter mantenere.
Dopo fu il turno
delle donne di Piazza
di Thorren. Il castello era stato conquistato dagli Uomini di Ferro e
il lord
e il suo erede diretto erano stati uccisi. Piazza di Thorren era
passata a
lady Eddara Tallhart che ora si presentava insieme alla moglie del suo
defunto
zio, Berena Hornwood, e i cugini, Brandon e Beren.
Anch’essi furono
tutti accolti
calorosamente da Sansa, felice di poter vedere presto Grande Inverno
risuonare
di urla di fanciulli. Quest’accoglienza avrebbe ridato vita al castello
e
speranza ai suoi abitanti che magari avevano visto un padre o un
fratello
partire per la Barriera.
A mezzogiorno Cley
Cerwyn
presentò sua sorella, Jonelle, che doveva avere poco più di vent’anni.
Era una
ragazza molto graziosa e delicata, con grandi occhi neri e capelli
castani.
In seguito giunsero a
Grande
Inverno anche Lyessa Flint, lady di Capo della Vedova, uno dei luoghi
colpiti
dalle razzie di Euron, e l’anziano Ondrew Locke, lord di Antico
Castello, che
insistette per avere il permesso di baciare la mano di Sansa.
Nonostante non si
reggesse bene sulle gambe, lasciò il proprio posto a lady Lyessa e
rimase in
piedi finchè il giovane Beren Tallhart non si alzò per permettergli di
sedersi.
Per ultima,
accompagnata da una
numerosa scorta, arrivò Barbrey Dustin, lady vedova di Barrowton. Sansa
sapeva
di non potersi fidare di lei: lady Dustin era conosciuta per l’odio che
provava
nei confronti di Eddard Stark, al seguito del quale aveva perso la vita
il
marito William.
Lord William Dustin
era morto al
tempo della Ribellione di Robert, durante la battaglia alla Torre della
Gioia
dove Ned aveva sconfitto ser Arthur Dayne. Per questo motivo lady
Barbrey
vestiva sempre di nero e portava i capelli perennemente raccolti.
Giravano
molte storie su di lei.
“Chiedo perdono a
nome di mio
padre” disse lady Dustin in tono piatto. “Lord Ryswell non ha potuto
lasciare i
Rills perché colto da una febbre improvvisa. E’ molto anziano, ma
ringrazia per
la generosa offerta d’ospitalità.”
Sansa si sforzò di
sorridere, nonostante
quella donna la mettesse in soggezione.
Barbrey fece una
smorfia che forse poteva passare per un sorriso.
Alys, che nel
frattempo era arrivata sedendosi al posto di Myun, si
protese per parlare all’orecchio di Sansa.
Sansa era inorridita.
“Incolpa tuo padre
della morte di
suo marito” rispose Alys Karstark, “e tua madre di avergli sottratto
Brandon.”
“Ma mia madre non
l’ha mai
sposato!” esclamò Sansa incredula “Mio zio è morto prima che fosse
celebrato il
matrimonio.”
“Certo” replicò Alys,
“ma le
persone come Barbrey non capiscono questa differenza. Si dice
addirittura che
abbia tentato di fermare a Barrowton le ossa del lord tuo padre, ma
fortunatamente ha fallito.”
Sansa stava scuotendo
la testa.
I nemici stavano
diventando
troppi e Sansa per un momento credette di essere tornata ad Approdo del
Re. Poi
si ricordò che aveva accanto anche delle persone di cui poteva fidarsi
e si
tranquillizzò. Accolse anche gli ultimi ritardatari e riuscì perfino a
rilassarsi. Alla fine le guardie annunciarono che il flusso dei
viaggiatori era
terminato. Era pomeriggio inoltrato. Sansa fece per alzarsi.
“Un momento, mia
signora” la fermò
lord Cerwyn, “lord Howland Reed non è arrivato...” Sansa ricordò
l’amico di suo
padre di cui Ned aveva spesso parlato.
“Non credo verrà”
intervenne
Robett Glover, “è da anni ormai che evita ogni incontro e riunione. Lui
e sua
moglie si sentiranno al sicuro a Torre delle Acque Grigie e non posso
certo dar
loro torto. In quelle paludi non correranno alcun pericolo.”
Secondo le dicerie la
Torre delle
Acque Grigie, che si trovava nelle paludi impenetrabili
dell’Incollatura, nella
nebbia cambiava posizione lungo l’affluente della Forca Verde su cui
sorgeva.
Era un luogo di mistero, in cui gli stranieri raramente si
avventuravano per
paura dei Crannogmen, i piccoli uomini delle paludi che, secondo le
leggende,
erano nati dall’incrocio fra uomini e Figli della Foresta.
Le storie della
Vecchia Nan erano
piene di quei mostriciattoli e Sansa ricordava come si rannicchiava
spaventata
nelle coperte, terrorizzata dall’idea che uno di quei cacciatori di
rane
potesse uscire dall’armadio. Robb rideva sempre quando la vedeva così
in ansia
e Sansa sorrise con amarezza al ricordo.
“Scriverò una lettera
a lord
Reed” decise alzandosi, “e chiederò spiegazioni circa la sua assenza.
Ricordo a tutti il banchetto di stasera e la riunione a cui tutti i
lord e le
lady sono invitati a partecipare subito dopo.”
La sala iniziò a
svuotarsi.
Stranamente Petyr Baelish non si era fatto vivo, nonostante Yohn Royce
fosse al
suo solito posto. Una parte di Sansa sperava che Myun avesse seguito i
movimenti di Ditocorto. Scambiò qualche parola cortese con le persone
che la
fermavano e tentò di liberarsi della loro presenza il più in fretta
possibile.
Voleva il silenzio. Finalmente riuscì a chiudersi in camera sua, dove
trovò
Myun. Appena la vide, la ragazzina sorrise radiosa.
“Perché te ne sei
andata?” chiese
Sansa sedendosi al tavolo da toeletta “Mi avrebbe fatto piacere se
fossi
rimasta…”
Myun alzò le spalle.
Sansa strinse le
labbra. Alys si era comportata male
con Myun e la sua fretta di allontanarla dalla sala era ingiustificata.
C’è qualcuno
di cui possa fidarmi? si chiese Sansa esasperata da tutte quelle
incertezze.
Sapeva che la risposta più intelligente sarebbe stata no.
Myun aveva preso in
mano la
spazzola, ma Sansa le fece cenno di riporla. “Dimmi, Myun” iniziò in
tono
tranquillo, “dove hai trovato veramente la lettera che Jon mi aveva
spedito?”
Myun non batté
ciglio, probabilmente si aspettava una domanda del genere.
“Sansa” la corresse
subito la
lady di Grande Inverno.
“L’ho rubata da un
cassetto”
replicò Myun senza accennare a voler continuare.
“Di chi era il
cassetto?”
“Di lord Baelish”
rispose Myun
abbassando la testa, “mi dispiace, so che non avrei dovuto leggerla, ma
avevo
sentito lord Baelish dire cose strane e allora…”
“Va tutto bene” la
rassicurò
Sansa, “ma ora mi devi dire esattamente cosa hai sentito.”
Myun parve
riordinare le idee per qualche momento.
Anche dopo che Myun
ebbe finito di parlare, Sansa rimase a fissarla a bocca
aperta.
Troppo
vicini.
Sansa si alzò di
scatto e si
diresse alla porta. Il Nord era sull’orlo di una guerra e neanche lo
sapeva.
“Myun” la chiamò, “ti prego, sii gentile e vammi a chiamare Alys
Karstark. Poi
trovami un giovanotto riservato che possa portare un messaggio
importante… Fai
in fretta.” Myun scattò e Sansa attese paziente.
Aveva voglia di
piangere. Perché
Baelish si comportava così? Se voleva il Trono di Spade poteva
benissimo
portare il suo esercito a Sud, perché non la lasciava in pace? In pochi
minuti
Alys si precipitò dentro sconvolta.
“Sansa! Cos’è
successo?”
Ma Sansa
era troppo presa dal giovanotto che
Myun aveva trovato.
“Buonasera,
uccelletto” la salutò
il Mastino. Sansa lanciò un’occhiata a Myun, che scrollò le spalle.
“Non credo tu sia la
persona
adatta...”
Sandor Clegane
scoppiò a ridere.
Sansa sospirò, ma in
effetti il Mastino era la loro migliore
opzione.
Il Mastino la
guardò negli occhi.
Sorrise.
Alys si portò
le mani alla bocca. Sandor guardò ancora Sansa.
“No” lo interruppe
Sansa, “Myun
parlerà con Beric, tu devi andare subito, Sandor. Contiamo su di te.”
Il Mastino
annuì e lasciò la stanza.
Alys sembrava in
preda all’agitazione.
“Ditocorto minaccia
il Nord con i
Cavalieri della Valle” rispose Sansa. “Sai dov’è oggi?” Alys scosse la
testa.
“Andiamo a scoprirlo”
disse Sansa
risoluta.
Si precipitarono
nella Sala
Grande dove tutti i lord si erano già accomodati per il banchetto.
“Miei
signori” disse Sansa ad alta voce, “vi chiedo dove si trovi in questo
momento
lord Petyr Baelish: desidero parlargli.” Ci furono mormorii confusi.
Poi lord
Royce si alzò in piedi.
“Cavalieri” disse,
“in nome di
mio fratello Jon Snow da voi acclamato Re del Nord, io accuso Yohn
Royce di
tradimento e vi invito a portarlo nelle segrete perché possa essere
interrogato
più tardi.”
Le esclamazioni
stupite riempirono la sala e perfino Alys afferrò
Sansa per un braccio.
“Se aspettassi Jon
farei prima a
consegnare direttamente Grande Inverno a Baelish” ribatté, “devo
cavarmela da
sola.” Lyanna Mormont era stata la prima a ubbidire agli ordini di
Sansa e le
sue guardie avevano afferrato Royce, che si dibatteva urlando.
“Cosa significa tutto
ciò?” stava
chiedendo Wyman Manderly, ma Sansa lo ignorò. Come a conferma dei suoi
sospetti, a Grande Inverno erano rimasti pochissimi Cavalieri della
Vallle, giusto
quelli necessari per quella sceneggiata.
Petyr,
non mi puoi ingannare, ho imparato troppo bene da te.
Aveva sperato che
richiamare
tutti i lord del Nord a Grande Inverno avrebbe scoraggiato le eventuali
azioni
belliche di Baelish, ma ora si rendeva conto che era proprio
l’occasione che
Ditocorto stava aspettando. Royce fu portato via. Tutti chiamavano
Sansa,
chiedevano spiegazioni, urlavano.
“Era solo una
precauzione” li
rassicurò Sansa, “tornate pure a mangiare, miei signori, noi vi
raggiungeremo
fra poco.” Lentamente la calma tornò nella sala mentre Sansa usciva
seguita da
Alys e Myun.
“Ora tocca a noi”
disse Sansa,
“dipende tutto da quello che faremo. Myun, tu andrai alla locanda della
Fratellanza senza Vessilli e dirai loro di restare pronti. Sai chi
sono, vero?”
Myun annuì e schizzò via.
“Perché non hai
avvertito i lord
del pericolo imminente?” chiese Alys.
“Perché l’unico modo
per
sconfiggere Ditocorto è prenderlo con le mani nel sacco” spiegò Sansa,
“e ciò
può accadere solo se attacca questo castello. E io voglio
che lo attacchi così che possa condannarlo a morte.
Ditocorto è stato sempre un passo avanti a noi perché aveva Royce che
lo
aiutava. Sapeva quando attaccare e quando non farlo perché si erano
creati dei
sospetti. Ora che Royce è in catene non potrà riferirgli che abbiamo
capito il
suo gioco e attaccherà, pensando di avere questo vantaggio. Ma non ci
coglierà
di sorpresa e lo sconfiggeremo facilmente.”
Sansa era convinta di
potercela
fare. Quando i Cavalieri della Valle si fossero trovati davanti un Nord
unito,
protetto dalle antiche mura di Grande Inverno, con un esercito di bruti
in
marcia verso di loro, si sarebbero certamente rifiutati di portare a
termine
l’attacco.
E io potrò parlare in nome di
Robin Arryn, si disse Sansa mentre si allontanavano dalla sala
del banchetto, e dire che sono stati
manipolati da Baelish. Potrò rivelare anche che è stato
lui ad uccidere Jon e Lysa Arryn. Stavolta aveva tutte le carte
in regola per
vincere: Ditocorto si era fidato troppo della sua ingenuità.
Alys si era
fermata poco più indietro e si stava risistemando le gonne.
“Che succede?” le
chiese Sansa
fermandosi a sua volta e tornando indietro.
Alys fece una
smorfia.
All’improvviso ci fu
un lampo
d’argento e Sansa cacciò un urlo di dolore e sorpresa. Guardò incredula
il suo
braccio sanguinare lì dove l’abito si era strappato e gli occhi le
caddero sul
pugnale dalla pesante impugnatura che Alys stringeva in mano. Stava
stava
sorridendo, ma senza calore o affetto, era un sorriso carico di scherno
ed
odio.
“Sei stata molto
intelligente” si
complimentò con lei mentre Sansa boccheggiava. “Davvero, hai compreso
il suo
piano alla perfezione, ma non hai ancora capito la lezione più
importante…”
Sansa sentì un dolore lancinante alla nuca e, prima che il buio la
inghiottisse,
udì le ultime parole di Alys.
“Non puoi fidarti di
nessuno!”
Daenerys
Jon Snow non le parlò
più per due
giorni. Daenerys vide che la stava evitando, ma era troppo occupata
nell’organizzazione della difesa dell’isola per preoccuparsene. Verme
Grigio
faceva lavorare gli immacolati senza sosta e al quarto giorno erano
state
erette ben cinque fortificazioni nei punti più esposti dell’isola.
Solo una
sulla sponda ovest…
Fu Varys a spiegarle
la
situazione. “Quella riva è quasi a picco sul mare” disse, “le rocce e
gli
scogli non permetteranno a Euron di attraccare. La Torre delle
Conchiglie sarà
sufficiente.”
“In ogni caso voglio
degli
arcieri lì durante l’attacco” ordinò Daenerys e Varys chinò il capo in
segno di
reverenza.
Anche la costruzione
delle navi
procedeva molto bene. Tutte quelle che potevano essere sistemate erano
state
rimesse in acqua, compresa la Lupa
Solitaria, la nave di Jon, che era la più malridotta. Alla Balerion, l’imbarcazione che Dany aveva
acquistato per recarsi nelle Baia degli Schiavisti la prima volta, si
erano
aggiunte Vhagar e Meraxes e insieme
erano le tre navi
migliori a loro disposizione in quel momento. Ciò tuttavia non cambiava
certo la
cruda verità: se Tyrion e gli altri non fossero tornati presto con i
rinforzi,
niente avrebbe potuto arrestare l’avanzata di Euron.
Nessuna notizia era
arrivata da
Capo Tempesta e nemmeno da Alto Giardino. Daenerys non sapeva come la
missione
di Olenna stesse procedendo e sperava i Tyrell si sarebbero fatti
sentire
presto. Con una notizia di vittoria,
pensò. Dopo la clamorosa sconfitta a
Porto Bianco avevano disperato bisogno di buone notizie.
Theon e Missandei
collaboravano
sorprendentemente bene e perfino Obara aveva smesso di chiedere ogni
due minuti
della sua lancia. Tutti si davano da fare. Dal terzo giorno anche Jon
era sceso
in spiaggia a dare una mano, sempre evitando lo sguardo di Daenerys.
Lei lo
osservava dal balcone, guardava come trasportava la legna e spostava le
pietre
che sarebbero state lanciate agli invasori.
La scarsa popolazione
di Roccia
del Drago aveva trovato rifugio nel castello e a tutti color che
potevano
combattere erano state promesse armi ed armatura.
Dany aveva anche un
problema
con i draghi.
Viserion invece, il
più piccolo
dei suoi draghi, era scomparso. Ormai non si faceva vedere da giorni e
Dany era
sempre più preoccupata. Non era da lui un comportamento del genere: era
sempre
stato il più pauroso fra i fratelli. Ma non aveva tempo nemmeno per
andarlo a
cercare, magari nei dintorni dell’isola o su qualche scoglio solitario,
perché
la sua presenza era richiesta da tutte le parti.
I pochi armaioli
rimasti alla
Roccia del Drago avevano intagliato quante più frecce possibili, ma non
c’erano
abbastanza archi oltre a quelli dei Dothraki. Il pomeriggio Dany si
prendeva
una pausa ed andava a visitare Jorah.
Il quarto giorno
maestro Pylos
annunciò che ser Jorah Mormont si era rimesso completamente in forze.
Daenerys
corse al suo capezzale e come al solito si sedette sul suo letto. Gli
accarezzò
i capelli finché Jorah non aprì gli occhi. Ora era visibilmente guarito
e la
sua pelle aveva riacquisito il colorito ambrato di sempre. I suoi occhi
erano
lucidi ed attenti.
“Khaleesi” la salutò
con affetto,
“non pensavo saresti passata…”
Dany sorrise.
“Come procedono i
tuoi piani?”
chiese Jorah sistemandosi le maniche che gli arrivavano fino ai polsi.
“Stiamo
in una fase di stallo” replicò Daenerys, “dobbiamo aspettare la
risposta di
Tyrion…”
Jorah rise. “Non è
strano?”
chiese ironico “Che la tua vita dipenda da un Lannister?” Dany abbassò
il capo.
“Scusa non volevo” disse Jorah, “era solo una battuta.”
“Avevi ragione” disse
Daenerys,
“ma io mi fido di Tyrion e ti ringrazio per averlo portato da me…”
“Ti fidi anche di
Varys?” chiese
Jorah e Dany non rispose. “Era lui a mettere al corrente Robert dei
tuoi
spostamenti” continuò Jorah.
“Lo so” replicò
Daenerys, “ma
Tyrion dice che probabilmente è stato Varys a impedire che fossi uccisa
subito
dopo la mia nascita.”
Jorah fece una
smorfia.
Fece per
alzarsi, ma Daenerys lo trattenne.
“Devo allenarmi”
rispose Jorah,
“devo essere pronto per la battaglia.”
Dany quasi scoppiò a
ridere.
Jorah la stava
guardando con occhi
adoranti.
“Certo che puoi”
tagliò corto
Dany, “e lo farai, a costo di obbligarti a bere il latte di papavero
fino a
farti addormentare.” Gli si avvicinò.
“Non puoi combattere
in queste
condizioni” disse, “non ci faccio niente con il tuo cadavere.” Si alzò
in
piedi.
“Ti prego Khaleesi”
la scongiurò
Jorah, “fammi combattere per te, non chiedo altro…”
“Lo farai” promise
Daenerys, “ma
solo se vinceremo questa battaglia. Ti avevo detto che saresti stato al
mio fianco
quando avrei conquistato il Trono di Spade e intendo mantenere questa
promessa, ma sei troppo debole per questa
battaglia.” Senza veramente salutarlo Dany uscì dalla camera. Jorah,
nonostante
i suoi passati tradimenti, era forse la persona a cui teneva di più al
mondo.
Non gli avrebbe permesso di morire nella mischia caotica che sarebbe
stata la
battaglia contro Euron.
Dalle mura vide
Missandei e Verme
Grigio rincorrersi sulla sabbia durante una delle rare pause dal
lavoro.
Missandei rideva forte e Verme Grigio la schizzava con l’acqua marina
che
Daenerys sapeva essere gelida. Missandei si era messa a correre, ma
Verme
Grigio era più veloce e l’aveva acchiappata. Lei aveva cacciato un
urletto,
quando entrambi erano caduti nella sabbia. Dany sorrise: era bello
vedere che
qualcuno non dimenticava per cosa loro tutti stessero lottando.
La felicità, la
spensieratezza,
la pura serenità, erano tutti sentimenti che Daenerys Nata dalla
Tempesta
agognava da quando aveva memoria e che non aveva mai appieno compreso.
Sperava
che il Trono di Spade potesse colmare in qualche modo questo vuoto, ma
ogni
giorno i dubbi affondavano le loro radici sempre più in profondità in
lei. Dany
inspirò profondamente.
Perché Jon l’aveva
attaccata quel
pomeriggio sulle mura? L’aveva accusata di averlo ingannato e di
avergli
mentito, ma Daenerys non aveva capito nemmeno bene a cosa si riferisse.
Pensava
davvero che lei l’avesse baciato solo per spingerlo tra le su braccia e
attrarlo in una trappola? Ha una così
bassa opinione di me?
Sapeva di essersi
comportata male
con Jon durante i loro primi incontri, ma quel bacio non nascondeva
secondi
fini. In quel momento seplicemente Daenerys si era sentita in pace.
Strinse le
mani a pugno. Forse ha ragione,
pensò allontanandosi dai bastioni, forse
non
sono in grado di controllare il Nord, forse dovrei smettere di provarci.
Ma ormai non era più
un conto di
sterile politica e alleanze: Daenerys sentiva di provare davvero
qualcosa per
Jon. Era un sentimento diverso dalla passione che l’aveva unita a Khal
Drogo e
a Daario Naharis e dall’affetto che provava per Jorah, era più una
sorta di
profondo rispetto che non era ancora pronta ad ammettere.
Dany ammirava Jon, le
piaceva
come parlava, come si infiammava nei discorsi che gli stavano più a
cuore e
come i suoi uomini lo seguivano. Jon Snow la metteva spesso in
soggezione, la
faceva sentire piccola e ingenua. Una ragazzina che doveva tutto quello
che
aveva più ai suoi draghi che alle sue reali capacità. Ma la cosa
peggiore era
che lei un po’ ci credeva a questi pensieri.
Sospirando, Daenerys
riaggiustò
il mantello sulle spalle e fece per scendere dalle mura. Quasi si
scontrò con
Jon che stava salendo di corsa. Rimasero a guardarsi: erano
praticamente nello
stesso punto di due giorni prima.
Jon sembrava tentare
di evitare il suo
sguardo ed era visibilemente nervoso.
Quando la finirà
di andare in giro per il mio castello
senza permesso? si chiese Dany, ma in realtà era felice che Jon
le rivolgesse
di nuovo la parola. Forse si era pentito di quello che le aveva detto.
“Un giardino?” chiese
sinceramente stupita “Non pensavo ci fossero giardini all’interno della
Roccia
del Drago…” La struttura del castello in teoria non ne avrebbe neanche
permesso
l’esistenza.
Jon sgranò gli occhi.
“Il tuo Vetro è nei
sotterranei”
osservò Dany, “mi sembra di avertelo già detto…”
“E infatti pensavo di
aver
trovato l’entrata ai sotterranei” puntualizzò Jon, “e invece…” Le voltò
le
spalle e inziò a scendere.
“Dove vai?”
Jon girò appena la
testa. “Te lo
faccio vedere” rispose semplicemente e Dany dovette trattenere un
sorriso. Lo
seguì senza parlare e in silenzio percorsero corridoi che Daenerys non
aveva
mai visto.
“L’entrata ai
sotterranei è
completamente da un’altra parte” disse mentre tirava su la gonna per
non
inciampare. Jon non rispose e si limitò a fermarsi davanti a una porta
arrugginita. Una debole luce filtrava attraverso la feritoia che si
apriva nel
ferro.
“Fa’ attenzione”
l’avvvertì Jon,
“è molto affilata…” Indicò il varco che evidentemente portava al
giardino e
Dany vide che era molto stretto e minacciato da barre di ferro
acuminate. Jon
le tese la mano e Daenerys l’accolse senza pensarci due volte. Insieme
riuscirono a passare dall’altra parte.
Oltre una piccola e
bassa
galleria sbucarono all’aria aperta. Dany rimase a bocca aperta. Non
avrebbe mai
pensato che un simile posto potesse esistere alla Roccia del Drago.
L’erba
cresceva rigogliosa ed il prato soffice era punteggiato da fiori e
piante
aromatiche. C’era un piccolo laghetto d’acqua trasparente e tre alberi
dalle
fronde che quasi toccavano terra.
Daenerys sollevò il
viso e vide
che tutto intorno il giardino era protetto dalla viva roccia delle
pareti del
castello, nella quale non si aprivano finestre. Era facile capire il
motivo per
cui quel posto non era mai stato idividuato: l’unico modo per accedervi
era attraverso
quella porticina malmessa. Il giardino non era molto grande e la sua
forma si
adattava a quella delle mura. La luce che raggiungeva terra non era
abbondante
e Dany si chiese come potessero crescere tutte quelle piante, senza
cure poi!
Iniziò a camminare e
Jon le venne
dietro. Al centro del giardino torreggiava una statua di bronzo più
alta di un
uomo. Raffigurava un drago con le ali spiegate e le fauci spalancate. I
suoi
occhi erano rubini rossi come il sangue. D’un tratto Daenerys si
ricordò di un’antica
storia che le aveva raccontato tante volte Viserys.
“Deve essere il
leggendario
Giardino di Aegon” mormorò e Jon si voltò a guardarla curioso. Dany
capì che
gli avrebbe dovuto spiegare tutta la storia.
“Si dice che Aegon il
Conquistatore fece costruire un giardino alla Roccia del Drago” spiegò,
“ma
pochissimi conoscevano la sua vera posizione. Mio fratello diceva che
solo un
Targaryen può trovare il giardino, ma è ovvio che sia solo una leggenda
questa.” Dany fece scorrere la mano sulla superficie della statua.
“Deve essere Balerion
il Terrore
Nero” disse, “il drago di Aegon.”
Jon si stava
guardando intorno.
Daenerys scrollò le
spalle. “Probabilmente il segreto è morto insieme a un mio antenato
chissà
quanti anni fa” disse, “fino a questo momento…”
Improvvisamente la
quiete
spettrale del giardino fu rotta da un ringhio sommesso. Daenerys si
voltò verso
l’angolo più lontano del giardino e quasi scoppiò a ridere per la
sorpresa. Le
scaglie di Rhaegal erano così verdi che gli avevano permesso di
confondersi con
il manto d’erba e nessuno dei due si era accorto della sua presenza. Il
drago
era rannicchiato in quella che doveva essere la sua tana e sembrava
abbastanza
assonnato. Dany e Jon si avvicinarono.
“Non pensavo fosse
ancora
sull’isola” sussurrò Jon sorpreso. Daenerys strinse le labbra: una
parte di lei
avrebbe voluto trovare Viserion al suo posto. Jon era arrivato molto
vicino al
drago sonnacchioso e Dany non lo fermò. Stavolta voleva vedere cosa era
in
grado di fare. Nessuno aveva mai domato i suoi draghi eccetto lei,
nonostante
Tyrion li avesse tenuti buoni il tempo necessario per liberarli dalle
catene, o
almeno così aveva raccontato.
Rhaegal aveva
sollevato la testa
e stava annusando la mano tesa di Jon. Sfoderò i denti ringhiando e Jon
tirò
indietro la mano. Si voltò verso Daenerys. “Sulla nave mi ha salvato la
vita”
raccontò, “è arrivato dal nulla e ha dato alle fiamme l’imbarcazione
nemica.
Io e Gendry saremmo morti se non fosse stato per lui.”
Jon sospirò.
Dany non disse nulla.
Si sentiva
in imbarazzo, perché effettivamente aveva provato una fitta di gelosia
quella
volta sul balcone quando Rhaegal si era rifiutato di obbedirle. Aveva
davvero
temuto Jon potesse portarglielo via. Ora si accorgeva di quanto fossero
vane e
sciocche le sue preoccupazioni.
“Ero così accecata
dai miei
desideri” disse abbassando lo sguardo, “da non curarmi delle persone
che mi
stavano intorno. Rhaegal voleva solamente dirmi che stavo sbagliando
tutto e ci
è riuscito.” Il drago emise un verso basso e profondo.
Daenerys si voltò a
guardare Jon negli occhi.
Jon stava scuotendo
la testa.
Jon fece una pausa.
Daenerys sapeva
quanto gli era
costato pronunciare quelle parole e non replicò. A cosa era disposta a
rinunciare
lei? Erano sempre gli altri a dover sacrificare i loro desideri? No,
adesso
anche lei doveva dimostrarsi comprensiva o non avrebbe mai potuto
governare i
Sette Regni.
“E’ questo quello che
vuoi?”
chiese a bassa voce.
Jon si morse il
labbro.
“Ma tu cosa vuoi?”
insistette
avvicinandosi appena.
“Non lo so.”
Daenerys annuì. Ci
furono momenti di silenzio riempiti solo dal respiro pesante di Rhaegal
che
doveva essersi addormentato.
“Il nostro matrimonio
è
importante per i Sette Regni” proseguì poi Daenerys, “magari non è
quello che
avevamo immaginato, ma è nostro compito mantenere la pace. Io so quello
che ti
sto chiedendo, davvero, lasciare la tua casa e seguirmi al Sud, ma non
lo farei
se non fosse indispensabile.”
Jon annuì.
Daenerys non dovette
neanche
pensarci troppo, era più di quello che aveva sperato. “Accetto” disse.
“Quando
ci sposeremo rinuncierai al tuo titolo di Re del Nord, ma diventerai
sovrano
dei Sette Regni e…”
“Non voglio essere re
dei Sette
Regni” la interruppe subito Jon, “e puoi tenerti il tuo trono, non è
questo che
conta.”
Non è
questo che conta. Quelle parole furono come un pugno nello
stomaco per Dany, che quasi indietreggiò.
“A me interessa solo
dell’alleanza” continuò Jon fissandola negli occhi, “ho la tua parola
che
quando verrà il momento combatterai con i tuoi draghi contro il nostro
nemico?”
“Hai la mia parola”
assentì
solennemente Dany.
Jon annuì. “Bene”
mormorò, “credo
dovrò scriverlo a mia sorella…”
C’era dolore nella
sua voce e Daenerys
si sentì in colpa. Perché si sentiva così? Era la cosa giusta, anche
Jon lo
sapeva…
“Aspetta” lo richiamò
mentre Jon
stava già camminando verso l’uscita. Lui si fermò e si voltò a
guardarla.
“Jon, i-io spero”
balbettò Dany
d’un tratto impacciata, “che possiamo essere felici insieme. Lo spero
davvero, e
sappi che non avrei mai voluto costringerti a fare nulla, è solo che…”
Daenerys
fece una pausa.
“Non abbiamo scelta.”
Jon era rimasto
immobile. “Lo so”
mormorò, prima di girarsi ancora una volta e scomparire fra i
rampicanti.
Daenerys rimase da sola, il vento che le fischiava nelle orecchie, ed
una
strana tristezza che le opprimeva lo stomaco.
E accanto a lei
Rhaegal emise un
tetro lamento.
Brienne
Bronn non sembrava
intenzionato a
lasciarla passare facilmente. Intorno a loro ancora infuriava la
battaglia e i
Dothraki stavano guadagnando terreno. Brienne aveva perso di vista
Randyll
Tarly, che si era allontanato verso lo schieramento Lannister interno,
ma era
decisa a seguirlo. In quel momento Nymeria e Garth dovevano essere già
entrati
nel labirinto e forse erano riusciti ad attirare i nemici nella
trappola. A
giudicare dall’esiguo numero di soldati che Brienne scorgeva dentro le
mura, la
situazione doveva stare proprio così.
Bronn stava roteando
la spada.
“Non pensavo di rivederti qui, mia signora” disse con un cenno di
saluto. “Non
eri forse al servizio di lady Sansa?”
“Lo sono” rispose
fiera Brienne.
“Allora credo tu ti
sia ritrovata
nella battaglia sbagliata” replicò Bronn, “lady Sansa è nel Nord.”
Brienne era
stufa di sentirsi ripetere sempre le stesse frasi: neanche lei avrebbe
voluto
trovarsi là. “Combatti per i Tyrell?” chiese ancora Bronn “Per la Madre
dei
Draghi?”
Brienne roetò gli
occhi. “Non
credo sia tenuta a dirlo a te” rispose impugnando la spada a due mani.
Bronn
sospirò.
Neanch’io, pensò Brienne mettendosi
in posizione.
Bronn colpì per primo
mirando
alla gamba e Brienne fece appena in tempo ad intercettare il fendente.
Lui fece
una smorfia d’apprezzamento. Brienne spinse la lama verso l’alto,
costringendo
il mercenario a perdere il suo vantaggio. Bronn tentò un affondo a
destra e
subito dopo uno a sinistra. Era rapido e aveva i riflessi pronti. Non
possedeva certo la forza bruta del Mastino, ma compensava questa
mancanza con
una più che discreta abilità con la spada. La sua tecnica di
combattimento era
molto particolare e sembrava un miscuglio di stili diversi. Brienne per
fortuna
era abituata ad adattarsi a situazioni estreme.
“Perché combatti per
Cersei
Lannister?” chiese per prendere tempo. Bronn tuttavia non interruppe
certo la
lotta e il combattimento li portò dentro le mura. I pochi soldati di
guardia
non accennavano a volersi intromettere.
“Combatto per oro”
rispose Bronn
menando un fendente alla gola, “è questo che significa mercenario.”
Brienne scartò di lato per evitare che la spada di
Bronn le tagliasse un braccio.
“Cersei è folle”
esclamò Brienne,
“sai quello che ha fatto, come fai a seguirla ancora?”
“I Lannister hanno
l’oro” osservò
Bronn, “piuttosto chiedilo a tutti questi bei soldati che credono nella
sua
causa.” Brienne strinse le labbra. Anche Jaime era rimasto al fianco di
Cersei. Se la storia sul Re Folle è
vera, si chiese, come può
ancora appoggiare sua
sorella? Forse perchè era sua sorella.
Ormai erano nel
cortile. Alle
loro spalle le urla di nemici e alleati diminuivano d’intensità. Le
spade
continuavano a cozzare e Brienne cominciava ad accusare la stanchezza.
A
giudicare dal sudore che imperlava la fronte di Bronn lo stesso si
poteva dire
di lui.
In quel momento da
oltre le mura
interne iniziarono a provenire delle grida strozzate e dei rumori di
lotta.
Bronn fermò il colpo e si girò verso la provenienza del frastuono.
Brienne capì
che gli scontri nel labirinto erano iniziati.
“Cosa sta
succedendo?” chiese
Bronn incredulo “Jaime aveva dato ordine di non entrare nel palazzo!”
Brienne sollevò lo
sguardo.
Davanti a loro si ergeva la porta est, che, come anticipato da Olenna
Tyrell,
era stata chiusa. Brienne vide un gruppo di soldati Lannister dirigersi
verso i
cortili di sinistra, quindi l’unico modo per allontanarsi dalla
battaglia era
andare a destra. Così, sfruttando il momento di distrazione di Bronn,
Brienne
si mise a correre in quella direzione, sparendo subito nel giardino
adiacente.
Sentiva dei passi
dietro di lei,
ma non se ne curava più di tanto: nessuno di quei soldati aveva delle
frecce.
Superò una decina di graziosi cortiletti alberati e pieni di fontane
prima di
ritrovarsi davanti alla porta nord che Olenna aveva loro descritto.
Sotto l’arco della
porta trovò
Nymeria Sand, intenta a farsi scorrere la frusta fra le mani. Quando la
vide
arrivare scattò in piedi. Era accompagnata da sette uomini con stemmi
delle
casate dell’Altopiano.
“Che ci fai qui?”
chiese Nym
avvicinandosi “Era Baelor che doveva arrivare con i rinforzi…” Brienne
era
assolutamene certa di aver visto l’erede di Vecchia Città tentare di
sfondare
lo schieramento Lannister sotto le mura.
“Arriverà” disse
convinta,
“Piuttosto, perché siete voi qui?
Lady Olenna ha detto di…”
“Lo so cosa ha detto”
la interruppe
brusca Nymeria, “ma restare nascosti era noioso. E comunque tutti i
soldati
sono entrati dalla porta sud: se ne stanno occupando Garth e i suoi.”
Brienne
si guardò nervosamente dietro le spalle.
Nymeria sorrise.
Bronn sollevò le
sopracciglia.
Nymeria ghignò.
Nymeria e Bronn
avevano preso a
scrutarsi avvicinandosi e Brienne raggiunse l’entrata del labirinto.
Nym fece
schiocchiare la frusta un paio di volte e fece per attaccare.
All’improvviso
frecce scagliate dal nulla colpirono due uomini di Nymeria, che caddero
a terra
ansimando. Nym si voltò verso l’entrata del cortile, dove erano apparsi
gli
uomini di Collina del Corno guidati da Randyll Tarly.
Bronn era stupito.
“Ordini di ser Jaime”
rispose
Randyll facendo cenno ai suoi uomini di attaccare. Altre frecce
partirono dai
lunghi archi dei Tarly e il gruppo di Nymeria arretrò nel labirinto.
Brienne
capì che l’unica via di scampo consisteva nel tentare di far perdere le
proprie
tracce e, lentamente, avanzò verso il punto in cui il sentiero si
ramificava,
nascondendosi dietro una siepe. Non sarebbe morta in una guerra che non
era la
sua.
Nymeria invece non
accennava a
voler scappare ulteriormente e di fatto stava condannando i suoi uomini
a
morte. Uno dopo l’altro furono colpiti da frecce degli avversari o
trapassati
dalle loro spade. Nym combattè contro Randyll Tarly in persona e riuscì
a
tenergli testa per qualche tempo, finchè un soldato di Lunga Tavola non
le
affondò la lancia fra le scapole.
La ragazza cadde in
ginocchio,
abbandonandosi contro la pietra delle mura. Presto smise di respirare.
Tutti i
soldati dei Tyrell erano morti, ma Randyll continuò ad avanzare verso
il cuore
del labirinto. Bronn gli venne dietro.
“Il tuo lavoro qui è
finito”
disse, “i tuoi uomini servono fuori dalle mura: i Dothraki sono quasi
arrivati
al cancel…” Bronn non riuscì mai a finire la frase perché Randyll Tarly
si era
voltato di scatto colpendolo con la spada al torace. Brienne dovette
reprimere
un urlo di sorpresa.
Il volto di Bronn
esprimeva
incredulità mentre cadeva a terra contro la siepe. Il sangue sgorgava
dalla
ferita e tingeva di rosso le sue vesti. Randyll pulì la spada sui
pantaloni e
proseguì, mentre i suoi uomini si occupavano dei soldati Lannister che
avevano
seguito Bronn, prima di sparire anch’essi nel labirinto. Quando fu
certa che se
ne fossero andati, Brienne uscì dal suo nascondiglio.
Il sentiero che
portava alla
porta nord era sporco di sangue e coperto di cadaveri, Lannister e
Tyrell in
ugual misura. Bronn era ancora vivo e stava tossendo. Brienne gli si
inginocchiò affianco.
“T-trova Jaime”
balbettò lui,
“trovalo e digli che è stato tradito.”
Brienne annuì. “Lo
farò.”
“Credo sia in questo
dannato
labirinto” disse alzando gli occhi per vedere la siepe davanti a lui.
Brienne
annuì nuovamente.
Olenna aveva spiegato
come
orientarsi, quali fiori seguire per raggiungere le porte desiderate, ma
Brienne
non ricordava nulla. Allontanandosi dalla porta nord, Brienne si
ritrovò a
vagare senza meta. Sperava di poter trovare il gruppo di Garth prima
che
venisse attaccato dagli uomini di Tarly. Nymeria ha detto alla porta sud,
ricordò, nonostante ciò non le desse alcun indizio circa la strada da
seguire.
Brienne si chiedeva
come stesse
procedendo la battaglia oltre le mura esterne. Senza i soldati di
Collina del
Corno e Lunga Tavola a fermarli, i Dothraki dovevano essere ormai stati
in
grado di sfondare il portone. “Che poi era anche aperto” osservò
Brienne
continuando a camminare.
Qual era il piano di
Randyll
Tarly? Una volta che l’esercito di Daenerys avesse ripreso il castello,
sarebbe
rimasto intrappolato con i suoi uomini all’interno del labirinto. E che
senso
aveva tradire i Lannister se poi non si alleava comunque con i loro
nemici?
Improvvisamente udì
una voce
provenire oltre la siepe alla sua destra. Raggiunse il varco fra le
piante più
vicino e si sporse leggermente, con estrema cautela. Davanti le si
apriva una
piazzola dal terreno di terra battuta delimitata dalle siepi. Vide non
meno di
venti cadaveri, ma dovette interrompere il conto perché la sua
attenzione fu
attratta da qualcos’altro.
Randyll Tarly era in
piedi al
centro della piazzola e le dava le spalle. Puntava la spada contro un
uomo
disteso ai suoi piedi la cui arma era volata qualche metro più in là.
Brienne
rabbrividì quando si rese conto si trattava di Jaime.
“Avrei preferito
ucciderti in
piedi con una spada in mano” stava dicendo Randyll con disprezzo, “ma
non credo
faccia alcuna differenza.”
Brienne lo vide
sollevare la
spada e agì d’impulso, senza pensare minimamente alle conseguenze. In
quel
momento non le interessava l’onore o il buon senso che le suggeriva di
rimanere
nascosta: in quel momento le interessava solamente che quella spada non
colpisse Jaime Lannister. Non si accorse nemmeno di aver affondato la
propria
lama nella schiena di Randyll Tarly finchè non lo vide stramazzare ai
suoi
piedi. Rigidamente pulì la spada come faceva tutte le volte, tentando
di
evitare lo sguardo esterrefatto di Jaime.
“Brienne” mormorò lui
visibilmente
sconvolto senza nemmeno provare ad alzarsi.
“Ti conviene
rimetterti in piedi”
lo avvertì Brienne rinfoderando la spada, “potrebbero arrivarne altri.”
Jaime
apriva e chiudeva la bocca senza dire una parola. Brienne alzò gli
occhi al
cielo e gli porse la mano, aiutandolo ad alzarsi.
“Che ci fai qui?”
chiese Jaime
ancora incredulo.
“E’ una storia
complicata” ammise Brienne guardandosi
nervosamente intorno, “ci conviene allontanarci da qui…” Fece per
dirigersi
verso un nuovo sentiero, ma Jaime la trattenne per il braccio.
“Combatti per
Daenerys
Targaryen?” le chiese e nonostante tutto Brienne ebbe voglia di dargli
un pugno
in faccia. Jaime dovette intuire le sue intenzioni, perché lasciò la
presa.
“Mi hai salvato la
vita” osservò,
“grazie.”
“Ti ho restituito il
favore”
precisò Brienne. Poi abbassò lo sguardo. “Il tuo amico Bronn è morto”
disse a
bassa voce, “mi dispiace.”
Jaime non sembrava
sorpreso.
“Allora” chiese con
amara ironia
Jaime, “come ci si sente dopo aver colpito un uomo alle spalle?” Jaime
scoppiò
a ridere, una risata senza gioia. “Tutti mi hanno sempre rimproverato
di aver
pugnalato il Re Folle alla schiena” disse, “ma qual è la differenza?”
Brienne
non era in vena di ragionamenti filosofici.
“Aye” disse Jaime
annuendo, “ho
lasciato dei soldati a proteggere le mura, ma non potranno resistere a
lungo.
Speravo almeno di portare in salvo gli uomini che sono entrati qui.”
Brienne
decise di rivelare i piani di Olenna.
Jaime si
morse un labbro.
“Io non combatto per
Daenerys
Targaryen” rispose tagliente Brienne, “io sono al servizio di lady
Sansa.”
“Sì, questo me
l’avevi già detto”
la interruppe Jaime. “Ma allora perché ti trovi qui?”
“Ti ho detto che è
una lunga
storia” ripeté Brienne, “non credo sia una priorità adesso.”
Jaime la fissò.
“No, non lo è” ammise. Poi sospirò. “Allora” disse, “cosa mi consigli
di fare?”
Brienne ci pensò
qualche momento.
Jaime subito la
interruppe. “Lo so” disse, “ci sono passato.”
“Se la smettessi di
interrompermi” disse Brienne irritata, “forse potrei concludere
qualcosa.”
Jaime alzò le mani in segno di resa.
“Se raggiungi le mura
esterne da
lì” continuò Brienne, “potrai calarti a terra e fuggire. Se segui il
fiume
potrai tornare ad Approdo del Re.”
Jaime annuì.
“Ti calerò con una
corda” propose
Brienne.
Jaime annuì di nuovo.
Non lo so perché lo faccio,
pensò Brienne e non rispose. “Dobbiamo andare” disse solamente,
“a cercare i
tuoi uomini.” Si misero in cammino senza scambiarsi più una parola.
Seguirono
le voci e qua e là trovarono nuovi cadaveri. A un certo punto furono
quasi
attaccati da un gruppo di una decina di soldati Lannister.
“Fermi, sono io”
disse Jaime,
“dove sono gli altri?” Gli uomini si guardarono.
“Alcuni sono morti,
ser” disse un
ragazzo che poteva avere al massimo vent’anni, “gli altri si
nascondono. Non
sappiamo come uscire…”
Un ricordo improvviso
fulminò Brienne.
“Fate come vi dice”
ordinò Jaime,
“io vi raggiungerò.”
Gli uomini si
allontanarono e
Jaime e Brienne si rimisero in cammino. Incontrarono altri gruppi più o
meno
numerosi di soldati Lannister che si erano nascosti per evitare di
cadere nelle
imboscate degli uomini di Garth. A tutti Brienne spiegò la stessa cosa
e tutti
ebbero bisogno della conferma di Jaime. Alla fine arrivarono alla porta
sud. Lo
spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era surreale.
Una trentina di
soldati Lannister
aveva unito le forze con il gruppo di Garth per affrontare i traditori,
che
tuttavia risultavano in vantaggio. I cadaveri si stavano accumulando.
Jaime
fece per gettarsi nella mischia, ma Brienne lo trattenne.
“Dove vai?”
“A combattere”
rispose Jaime
fissandola stupito, “sono il loro comandante…”
“Non puoi fare nulla”
disse
Brienne, “dobbiamo andare…”
Jaime la guardò come
se fosse impazzita.
“Devi” replicò
Brienne sicura, “così come
hai lasciato a morire i soldati sulle mura ad est. Se Garth è fortunato
verrà a
salvarli l’avanguardia di suo fratello, ma in ogni caso per i tuoi
uomini sarà
la fine. Se ora vai rimarrai ucciso per niente.”
“Non voglio fuggire
da codardo”
disse Jaime irato.
“I tuoi uomini hanno
bisogno di
te” continuò Brienne decisa a essere forte, “gli uomini che ora ti
aspettano
su quelle mura, gli unici per cui la tua presenza può fare davvero la
differenza.” Gli prese la mano sinistra e gliela strinse.
“So che è difficile”
disse, “ma è
la cosa giusta da fare.”
Jaime rimase a
guardare qualche
secondo la battaglia che ancora infuriava, poi si voltò e tornò sui
suoi passi.
Brienne gli venne subito dietro. Seguendo la pista dei fiori viola
trovarono la
porta ovest in pochi minuti e risalirono sulle mura esterne. A terra
erano già
scesi più di cinquanta uomini.
“Guarda quanti sei
riuscito a
salvarne” disse Brienne con un sorriso.
“Sei stata tu a
salvarli” replicò
Jaime guardandola negli occhi. “Quando i Tyrell avranno vinto, ti
prego, fa’
avere sepolture dignitose a Bronn. Troverete il suo cadavere nella
siepe vicino
alla porta dove è morto.”
Brienne annuì.
“Non sei abbastanza
forte”
scherzò lui, ma fece come gli era stato detto. Brienne sentì qualcosa
sciogliersi in lei mentre lo vedeva posizionarsi sul bordo. Sembrava
combattuto.
“Brienne” disse Jaime
in tono
indecifrabile, “Bronn mi ha detto una cosa prima di morire… Ha detto
che
secondo lui tu… Tu, ecco, provavi qualcosa per me…” Brienne ci rimase
di sasso
e probabilmente arrossì anche, come una stupida ragazzina. Come poteva
essersene accorto? Deglutì un paio di volte e scelse le parole da
utilizzare.
“Io provo qualcosa
per te”
ammise, “da quando quella volta sei sceso nella fossa dell’orso. Ti
ammiravo e
mi chiedevo come era possibile che una persona così sensibile come te
potesse
fingere di essere egoista e prepotente. Quello non eri tu…”
Jaime abbassò lo
sguardo.
“Anch’io provo
qualcosa per te.”
Brienne sentì tutto
il suo corpo tremare. Lei che era così brava a
dissimulare le proprie emozioni, stava lasciando che queste avessero il
sopravvento.
Jaime aveva gli occhi
lucidi, ma ora la stava guardando in faccia.
“Vorrei potermi
strappare il
simbolo del leone dal petto” continuò, “e vivere una vita semplice,
magari con
te, ma non posso. Non ho niente da offrirti, Brienne, non ti merito.”
Brienne
sentì le lacrime scorrerle lungo le guance prima che potesse
ricacciarle indietro.
“Un giorno troverai
un uomo che
ti ami” stava dicendo Jaime, “e che tu amerai, e allora sarai felice.
Te lo
auguro, Brienne, ma non posso dividere con nessuno il peso delle mie
scelte, men
che meno con le persone a cui voglio bene.” Jaime si lasciò cadere
oltre le mura
e Brienne dovette trattenere la corda fino a spellarsi le mani.
“Jaime” lo chiamò
quando ormai
aveva toccato terra. Jaime sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi
arrossati.
“Io devo tornare nel
Nord” disse,
“lady Sansa ha bisogno di me.”
Jaime dal basso
annuì.
I suoi uomini avevano
già
raggiunto il fiume. Brienne non sapeva cosa dire, il dolore le faceva
impigliare le parole in gola. Cosa avrebbe voluto, che Jaime Lannister
rinunciasse a tutto per lei?
“Lo è” disse, i suoi
occhi
allacciati a quelli di lui.
“Mi mancherai,
Brienne” disse
Jaime in tono dolce, “sei la donna più speciale che abbia mai
incontrato e ti
devo tanto.” Brienne temette di poter scoppiare a piangere di nuovo.
Fece
cadere la fune, che si arrotolò a terra molti piedi più in basso. Ora
c’erano
le mura a dividerli e nessun modo di colmare quella distanza.
“Ti auguro buona
fortuna” disse
Brienne combattendo contro la malinconia.
Jaime strinse le
labbra, il viso
ancora rivolto in alto.
Alle sue spalle
Brienne udì il
corno della vittoria suonare e seppe che avevano vinto. Tutto ciò però
non
aveva importanza quando la guerra che si combatteva non aveva senso.
Nel
pallido sole del tramonto Jaime si voltò a guardarla un’ultima volta. I
loro
ruoli sembravano essersi invertiti dal loro incontro a Delta delle
Acque.
Brienne ora era sulle mura e Jaime in fuga, ma la tristezza era
rimasta.
Nessuno dei due
salutò, nessuno
parlò o fece alcun cenno. Jaime si girò ancora una volta e proseguì a
passo più
svelto e Brienne rimase immobile, senza più tentare di trattenere le
lacrime.
Per il momento potevano scorrere, ci avrebbe pensato in seguito ad
asciugarle.
Presto la sagoma di Jaime si confuse con le altre, troppo lontane per
essere
riconosciute, e Brienne sentì qualcosa dentro spezzarsi.
Entrambi sapevano che
non si
sarebbero mai più rivisti.
Tyrion
La salita a Capo
Tempesta fu più
faticosa del previsto. I gradini di pietra non erano scivolosi, ma
erano troppo
alti per le gambe tozze e storte di Tyrion. Il nano fu costretto a far
fermare
il piccolo corteo non meno di tre volte perché era rimasto indietro. Il
capo
delle guardie, che Davos aveva detto chiamarsi Gilbert Farring, gli
lanciava
occhiate sospettose e Tyrion non riuscì a trattenersi.
“Sono uno spettacolo
così
raccapricciante?” chiese sarcastico cercando di tenere il passo. Ser
Gilbert
non lo degnò di una risposta. Tyrion iniziava a capire perché Stannis
avesse
scelto un uomo del genere come castellano di Capo Tempesta. Sbuffando,
riprese
a salire. Gendry almeno sembrava più rilassato e forse aveva perfino
fatto
breccia nella corazza spietata di Farring.
“Cosa succederà ora?”
chiese
Tyrion a Davos in un sussurro.
“Ascolteranno quello
che abbiamo da
dire” assicurò il Cavaliere delle Cipolle, “ma poi probabilmente
metteranno
Gendry alla prova, per vedere se veramente è il figlio di Robert.”
Tyrion
decise di non chiedere che tipo di prova dovevano aspettarsi.
Finalmente arrivarono
in cima
alla scogliera battuta dal vento e Tyrion si prese un attimo per
ammirare il
panorama. Il golfo sembrava così quieto e il mare era liscio. Non
appariva
come il luogo dove potesse scatenarsi una tempesta. Davos dovette
indovinare i
suoi pensieri, perché si avvicinò.
“Non farti illudere”
gli suggerì.
“Stannis mi ha raccontato che al tempo del regno di Aerys lui e Robert
erano su
questa scogliera a guardare la nave dei loro genitori rientrare nella
baia. Il
mare era calmo, ma all’improvviso si è alzato un forte vento e ha
iniziato a
piovere e la nave è affondata. Lord Steffon e lady Cassana sono morti
in quel
naufragio e Stannis e suo fratello non hanno potuto fare nulla.”
Tyrion
rabbrividì.
Seguirono Gilbert
dentro le
spesse mura di Capo Tempesta e attesero qualche minuto nel cortile
brullo.
Tyrion sapeva che i Baratheon erano rinomati per il disprezzo che
provavano nei
confronti dello sfarzo e del futile, in questo erano simili agli Stark
anche
non potevano vantarsi della stessa storia gloriosa.
Quella dei Baratheon
era la
casata maggiore più recente dei Sette Regni e, fino all’incoronazione
di
Robert, non erano stati molto potenti. Le loro tradizioni avevano da
sempre
combaciato perfettamente con le regole che Aegon il Conquistatore e i
suoi
discendenti avevano imposto e di conseguenza le Terre della Tempesta
potevano
sembrare il regno meno attaccato ai propri costumi, soprattutto se
confrontato
con il Nord o Dorne. Tuttavia Tyrion era certo che la gente della
Tempesta
conservasse gelosamente le proprie tradizioni, ma non era sicuro di
volerle
scoprire.
Alla fine anche
l’enorme portone
di bronzo, l’unico ornamento permesso in quel castello, venne aperto e
Davos li
guidò attraverso i corridoi. All’interno Capo Tempesta assomigliava
sorprendentemente a Roccia del Drago, ma i soffitti erano più alti e la
pietra
più levigata. Tyrion notò che Gendry si guardava intorno nervoso, ma
non aveva
parole per confortarlo.
Arrivarono nella sala
dei banchetti
e Tyrion si stupì di trovarla così illuminata. Erano state accese
sicuramente
più di cento candele, che non erano solo posizionate sui lampadari, ma
anche
lungo le pareti. Tyrion dovette trattenere un sospiro di sollievo
vedendo la
sala gremita di gente. Le panche avevano una forma strana ed erano
disposte a
semicerchio intorno a quello che un tempo doveva essere stato il trono
dei Re
della Tempesta, che di fatto era una sedia normalissima con lo
schienale
leggermente più alto.
Ser Gilbert venne
avanti.
“Allora è vero” disse
un uomo
anziano seduto in prima fila, “uno dei bastardi di re Robert era
riuscito a
salvarsi. Se sei chi dici di essere allora sei mio pronipote.” Gendry
lo guardò
esterrefatto. L’uomo si alzò e gli porse la mano. Davos invitò con lo
sguardo
Gendry ad accettarla.
“Lui è lord Eldon
Estermont”
spiegò Davos mentre i due si stringevano la mano, “lord di Pietraverde
e zio di
re Robert.” Tyrion sapeva che gli Estermont avevano mantenuto una
posizione molto
cauta durante la guerra, rifiutandosi di schierarsi apertamente per la
fazione
di Stannis piuttosto che per quella di Joffrey. Lord Eldon era stato
molto
abile a mantenere la pace con entrambi i re e aveva inviato il suo
erede e il
di lui figlio ad Approdo del Re. Tyrion si chiedeva che fine avessero
fatto.
“Perché siete qui?”
chiese un
ragazzino di massimo diciasette anni seduto all’estrema destra del
semicerchio.
Aveva la fronte sporgente e lo sopracciglia unite sopra il naso che gli
conferivano un’aria da uomo. Gendry si voltò verso di lui.
“Chiedo perdono, mio
signore”
disse in tono educato, “con chi ho l’onore di parlare?”
Il ragazzo ghignò.
“Sono Gendry
Barathe…”
“Certo, certo” lo
interruppe
Lucos, “ma cosa sai della casata di cui porti il simbolo? Della sua
storia,
della sua gente…” Gendry abbassò lo sguardo e Lucos sorrise. Tyrion
iniziava a
considerarlo irritante.
“Come pensavo” disse
il
ragazzino, “solo un bastardo…”
Lord Eldon mise una
mano sulla spalla di Gendry.
“Vuol dire che ha
bisogno dei
nostri uomini, fratello” lo interruppe un uomo stravaccato sulla panca
accanto
al posto vuoto di Eldon, “questa è la semplice verità.”
Eldon scosse la
testa.
“Ah, ma per favore!”
esclamò un
uomo in seconda fila alzandosi in piedi. Indicò Tyrion. “Che razza di
codardo
si alleerebbe con un Lannister?” chiese a voce alta “Credevo l’ultima
Targaryen
dovrebbe odiare il fratello dell’uomo che le ha ucciso il padre.”
Tyrion corrugò la
fronte. “Non ti
conosco” disse pensieroso, “lord…?”
“Lester Morrigen”
rispose l’uomo,
“da Nido dei Corvi.”
“Bene, lord Morrigen”
replicò
Tyrion facendo un passo avanti, “mettiamo subito in chiaro un paio di
cose. Io
non sono mio fratello. E’ facile da ricordare, non ci assomigliamo
nemmeno.” Ci
furono delle risatine.
“Daenerys mi ha
scelto come suo
Primo Cavaliere” continuò Tyrion, “ma solo per la mia abilità nel dare
consigli. Quindi ora ve ne voglio dare uno anche a voi. Daenerys vuole
prendere
il Trono di Spade e per farlo dovrà sconfiggere la mia dolce sorella.
Vi
ricordate di Cersei, vero? E’ accusata di aver fatto uccidere suo
marito, il
vostro lord e re.”
“Mio figlio Aemon e
mio nipote Alyn
sono morti nell’esplosione del Tempio di Baelor” disse in tono grave
lord
Eldon. Ecco che fine hanno fatto…
“Il punto è” proseguì
Tyrion,
“che ora avete l’occasione di vendicare il vostro re e di aiutare la
legittima
regina dei Sette Regni a sedersi su quel dannato Trono. Fateci un
pensierino
almeno.” Si alzò in piedi un uomo dalla folta barba scura. Gendry lo
invitò a
presentarsi.
“Sono Arstan Selmy”
disse lui,
“lord di Sala del Raccolto.” Tyrion sussultò: quell’uomo doveva essere
imparentato con ser Barristan il Valoroso. Daenerys aveva raccontato
più di una
volta come Barristan avesse coraggiosamente difeso la sua città dai
Figli
dell’Arpia, perendo nel tentativo.
“Non ho rifiutato la
chiamata di
Renly Baratheon” stava continuando lord Arstan, “e in seguito i miei
uomini
hanno combattuto per re Stannis nella Battaglia delle Acque Nere. Molti
l’hanno
seguito alla Barriera e sono morti con il loro re. Ora un’altra regina
chiede il nostro aiuto per sconfiggere i suoi nemici dal mare.”
Arstan sospirò.
“Sono d’accordo”
intervenne un
ragazzo seduto vicino a Lester Morrigen, “la mia casata ha supportato
Stannis
fin dal principio, io ho perso mio padre e i miei zii in guerra, ma non
ci
siamo mai tirati indietro al nostro dovere. Io sono disposto ad
accettare un
nuovo lord di Capo Tempesta, ma non chiedetemi di mandare i miei uomini
in
guerra ancora una volta.”
“Tu sei Duram Bar
Emmon, vero?”
chiese Davos e il ragazzo annuì. “Conoscevo tuo padre” continuò Davos,
“un
brav’uomo, devoto alla causa di Stannis. Il nostro re si fidava di lui,
gli
aveva affidato una nave nell’avanguardia alle Acque Nere.” Tyrion
strinse le
labbra: in fondo era stato lui ad ordinare il ricorso all’Altofuoco
contro
quelle navi.
“Stannis è morto”
stava dicendo
Davos, “e le vostre terre sono lacerate dall’anarchia e dal caos.
Gendry non
sarà cresciuto per diventare lord, questo è vero, ma neanche Robert era
nato
per diventare re. Questa è la vostra occasione non solo per prendervi
la vostra
vendetta, ma anche per portare la pace in queste terre, unendovi sotto
un unico
vessillo.” Duram taceva.
“Ma lui non è adatto
a governare
le Terre della Tempesta” intervenne nuovamente Lucos Chyttering, “non è
il
nostro signore.”
“Ci sarà tempo per
imparare”
ribatté Eldon Estermont, “io direi di dare a questo ragazzo la
possibilità di
dimostrare quanto vale.” Nessuno osò contraddirlo, in fin dei conti era
pur
sempre lo zio del loro defunto re. Lucos borbottò qualcosa e incrociò
le
braccia.
Gendry si fece
avanti: sembrava più sicuro di sé di quanto Tyrion non l’avesse
mai visto prima.
“So quello che vi
stiamo
chiedendo” continuò dopo essersi ripreso, “i pericoli ai quali andrete
incontro
se appoggerete la nostra causa. Non conoscevo mio padre, non l’avevo
mai visto
e neanche sapevo di essere suo figlio fino a un paio d’anni fa. Non ho
mai
nutrito alcun sentimento benevolo nei confronti di Stannis: ha tentato
di farmi
bruciare sul rogo.” Molti nella sala trasalirono.
“Ser Davos mi ha
salvato la vita”
proseguì Gendry, “e mi ha detto di fuggire. Così sono fuggito. Poi la
Madre dei
Draghi e il Re del Nord mi hanno detto che sarei diventato lord di Capo
Tempesta ed ho detto di sì. Che alternativa avevo? Quale alternativa
avete voi? Daenerys è l’unica con un esercito
abbastanza grande da poter sconfiggere Cersei, ma se ora voi non
l’aiutate,
Euron Greyjoy distruggerà ogni cosa alla Roccia del Drago.”
“Allora le voci sono
vere?”
chiese Duram Emmon “Le Isole di Ferro si sono alleate con Cersei
Lannister?”
Gendry annuì e Duram appoggiò la schiena allo schienale.
“Se la regina ha così
tanti
uomini” intervenne Lomas Estermont, “perché avrebbe bisogno dei
nostri?”
“Perché ha inviato il
suo
esercito a combattere altre battaglie” spiegò Tyrion. Ser Lomas fece
una
smorfia. “Non molto saggio da parte sua” osservò sarcastico.
“Padre!” lo riprese
il giovane
seduto alla sua sinistra “Non sta a noi giudicare le azioni strategiche
di un
sovrano.” Si alzò in piedi. Era un giovanotto piuttosto attraente, con
folti
capelli castano chiaro e occhi color nocciola. Avanzò finché non fu
davanti a
Gendry.
“Il mio nome è Andrew
Estermont”
disse a capo chino, “sembra che io sia tuo zio… Spero di poterti
servire con
onore.” Gendry era rimasto senza parole, forse troppo incredulo per
poter
rispondere.
“Accettiamo con gioia
la tua
fedeltà, ser Andrew” intervenne Davos in tono di cortesia, “alzati per
favore.”
Andrew si rimise in piedi.
“La casata Estermont
sosterrà
Gendry Baratheon come legittimo lord di Capo Tempesta” disse lord Eldon
guardando fieramente il nipote, “e non verrà meno al suo dovere nei
confronti
della vera regina dei Sette Regni.”
“Eldon, è una
follia!” esclamò
Lomas esterrefatto.
“Taci, fratello” lo
rimproverò
duramente Eldon, “ho preso la mia decisione. Perfino tuo figlio ha
capito
meglio di te: non è follia servire il proprio signore.” Ser Lomas serrò
i pugni
con rabbia, ma non disse niente. Tyrion capì che stavano procedendo
bene. Gli
Estermont erano la più importante famiglia delle Terre della Tempesta
dopo i
Baratheon, ed averli dalla loro parte era un grande risultato. Come
previsto,
gli altri lord iniziarono a parlare a bassa voce fra di loro. Ser
Andrew si
risedette, mentre Eldon rimase in piedi.
“Non dirò che il
ragazzo si sia
comportato male” prese la parola lord Morrigen, “ma ciò non vuol dire
che noi
dobbiamo seguire una regina straniera che, a quanto ho sentito, ha
portato nel
Continente Occidentale dei Dothraki selvaggi.” Lucos Chyttering alzò il
proprio
calice in segno di assenso. A Tyrion quel ragazzino sembrava sempre più
antipatico.
“Non è una regina
straniera!”
esclamò una vocetta acuta dal fondo della sala. Tyrion strinse gli
occhi e vide
un bambino che ad occhio e croce doveva avere sette anni venire verso
di loro.
Nonostante la
giovanissima età,
aveva dei tratti così raffinati ed eleganti da renderlo immediatamente
riconoscibile nella folla che si era accalcata nella sala. I suoi
capelli erano
di un biondo chiaro e gli arrivavano alle spalle e la sua pelle era
bianca come
il latte. Aveva occhi azzurri e lentiggini sul naso e indossava vestiti
troppo
imponenti per la sua corporatura minuta.
“Sono Monterys
Velaryon” disse il
bambino e Tyrion sgranò gli occhi. I Velaryon discendevano dall’antica
Valyria
e condividevano lo stesso sangue dei Targaryen. Spesso i re del drago
si erano
sposati con esponenti di quella casata per mantenere puro il loro
prezioso
sangue.
“Lord delle Maree”
stava dicendo
il piccolo Monterys, “e mastro di Driftmark. La mia famiglia è sempre
stata
fedele ai Targaryen, quindi la nostra adesione alla causa della regina
è fuori
discussione, ma ora mi rivolgo a coloro che ancora non hanno ancora
scelto.” Il
bambino, con grande compostezza, si girò verso la sala che lo guardava
in
rispettoso silenzio.
“Quanto tempo credete
passerà
prima che Cersei nomini uno dei suoi scagnozzi per governare le vostre
terre?”
chiese con la sua voce leggermente stridula “Volete davvero vedere la
casa dei
Baratheon estinguersi? Scomparire come non fosse mai esistita? Certo,
Gendry
non ha esperienza, ma che importa? Ha tutta la vita per imparare,
proprio come
me. Quando Daenerys Nata dalla Tempesta siederà sul Trono di Spade,
alle Terre
della Tempesta sarà concessa la pace e la possibilità di ricostruire
ciò che la
guerra ha distrutto. Dovete avere coraggio ed aiutare la legittima
regina a
riprendersi i Sette Regni e così avrete anche la vostra vendetta.”
Tyrion
credette in quel momento di non aver mai sentito discorso più
convincente.
Dovette risultare
efficacie, perché Lester Morrigen sorrise.
Duram Emmon gli offrì
gli uomini
di Punta Acuminata e lady Mertyns quelli di Bosco delle Brume. Anche
coloro che
erano rimasti in silenzio ora parlavano tutti insieme e Tyrion
riconobbe molte
antiche casate. Grandison, Errol, Swann, Fell, Wylde, Connington, tutte
si
dichiararono in favore della causa della regina dei draghi. Davos
sorrideva e
si occupava delle conversazioni, mentre Gendry tentava di rispondere a
tutte le
domande che gli venivano poste.
Nessuno faceva caso a
Tyrion, che
dal canto suo era felicissimo così. Non avrebbe sopportato le solite
insinuazioni riguardo al suo presunto tradimento o gli insulti che
ormai erano
diventati la prassi. Alla fine tutti acclamarono Gendry Baratheon come
lord di
Capo Tempesta e Tyrion poté tirare un sospiro di sollievo.
“Sì, sì molto bene”
disse con
voce che tradiva la fretta, “credo abbiamo festeggiato abbastanza. E’
tempo di
prendere il mare per la Roccia del Drago: la regina ci sta aspettando.”
Gendry
ripeté subito l’ordine, con il tono di chi si sta abituando ad un ruolo
di comando,
e tutti i presenti ruggirono il loro entusiasmo. Strano, pensò Tyrion
sarcastico, è così facile manipolare
gli esseri umani, fino a un’ora fa ci
avrebbero volentieri lasciato ai pesci…
Ma tutto questo non
aveva
importanza ora che avevano raggiunto il loro scopo. La missione aveva
avuto un
successo strepitoso, ma Tyrion era ancora inquieto. Fece scorrere lo
sguardo
sulla sala in festa. Abbiamo
guadagnato abbastanza uomini per poter fare la
differenza, si disse. Adesso
Daenerys ha i numeri per battere Euron.
Un pensiero però continuava a tormentarlo: sarebbero tornati in tempo?
"Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è
ciò che diventi."
Bentornati a tutti! L'estate sta finendo e immagino starete tutti tornando (o siate già tornati) alla vita quotidiana...
Mi scuso subito se questo capitolo è venuto fuori un po' triste... Fin dal titolo si capiva che non sarebbero state rose e fiori XD
Abbiamo la conclusione della battaglia di Alto Giardino con la vittoria dei Tyrell (e quindi di Daenerys) su Lannister e alleati di Euron Greyjoy. L'addio fra Jaime e Brienne è stato straziante da scrivere, sono due personaggi che adoro e che riconosco avrebbero un potenziale enorme insieme. Ma non sempre la vita va come desideri e a volte brutte scelte del passato ti condizionano per sempre. Non è sicuro riuscire a riconominaciare e nel loro caso non era possibile. Jaime non poteva semplicemente cancellare tutto il male che aveva fatto, nonostante davvero volesse una vita nuova, magari con Brienne. Non ha scelto Cersei, non prova più nulla per lei, ha scelto la responsabilità per le sue azioni passate e l'unico modo per rimanere fedele a sé stesso senza fuggire come un codardo. Lo deve almeno ai suoi uomini che l'hanno sempre seguito. So che magari molti di voi volevano un lieto fine per questi due, ma ritengo che così sia più realistico e più IC.
Per quanto riguarda il Nord la situazione è degenerata e presto si rischierà un conflitto armato contro i Cavalieri della Valle. Una precisazione... Nei libri Barbrey dice a Theon che le ossa di Ned sono state bloccate all'Incollatura e che, semmai fossero giunte a Grande Inverno, le avrebbe date ai cani. Nella serie però è specificato più volte che Ned sia stato seppellito, quindi ho cambiato leggermente la cosa facendo che Barbrey avesse tentato di appropriarsi delle ossa, tuttavia fallendo.
Per quanto riguarda il meeting a Capo Tempesta mi sono basata sui libri per tutti i lord che si incontrano, cambiando quando dovevo la loro backstory se andava in conflitto con la serie. In particolare ser Andrew nei libri è assegnato alla protezione di Edric Storm, un altro dei figli di Robert che non esiste nella serie, quindi qui ho scelto di fargli giurare fedeltà a Gendry.
Inoltre è bene specificare che tecnicamente Jon, pur avendo acconsentito a cedere l'indipendenza del Nord e sposare Daenerys, non ha ancora perso il suo titolo in quanto l'accordo verrà stipulato solo al momento del matrimonio, o almeno questi sono i piani finora.
Come al solito ringrazio i miei fedelissimi recensori e le nuove arrivate, in ordine: giona, __Starlight__, GiorgiaXX, pillyA (benvenuta!) e Paola92 (benvenuta!). Un ringraziamento anche a tutti gli altri recensori che continuano a seguire la storia e che tentano disperatamente di rimettersi in paro XD e a tutti coloro che leggono senza recensire... Un abbraccio a tutti quanti!
Spero il capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo tra due settimane!
NB: la citazione di
stavolta è del filosofo Eraclito, atuore della dottrina (seppur mai da
lui enunciata con tali parole) del "panta rei". L'ho pensata
appositamente per Jaime, per far capire quanto le scelte di tutta una
vita possano influenzare pesamentemente una persona, ma si adatta a
qualsiasi personaggio.