Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: QueenInTheNorth    01/09/2018    5 recensioni
Vi chiedete mai cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente? Se dopo l'incoronazione di Jon Snow a Re del Nord nuove forze fossero scese in campo? Se vecchie profezie fossero tornate alla luce e la Canzone si fosse rivelata? Quanto può una decisione diversa cambiare le sorti dei Sette Regni?
La ruota continua a girare, nuovi re si faranno avanti e la terra tremerà ancora per il ruggito dei draghi.
Ma la Lunga Notte è vicina, gli Estranei attendono pazienti, e nell'ora più buia tutte le vostre certezze vacilleranno. Stavolta gli uomini sono soli e l'amore forse non basterà più a salvarli.
Siete pronti a perdere ogni speranza?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Sansa Stark, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 14


Farewell                                                                                                                     

 


Sansa

 

I lord e le loro famiglie erano arrivati tutti insieme verso l’ora di pranzo. Sansa si era dovuta alzare di buon’ora per lavarsi i capelli e rendersi presentabile. Le temperature calavano giorno dopo giorno, così aveva scelto un vestito di lana pesante con ricami scarlatti. Myun le aveva chiuso i lacci del mantello intorno al collo e Sansa aveva accarezzato soddisfatta i piccoli lupi d’argento, l’unico gioiello che si concedeva.

Quella mattina erano attese molte nobili famiglie in seguito alla decisione di Sansa di invitare tutti i lord del Nord a trasferirsi a Grande Inverno. La paura per le dilaganti scorrerie dei Greyjoy aveva attanagliato i cuori di tutti, specialmente di coloro che avevano un castello sul mare.

Era stata Alys a proporre questa soluzione. “Non mi sentirei mai tranquilla se fossi a Karhold” aveva detto, “pensa a quante persone in questo stesso momento temono per la loro vita…”

Si era deciso di aprire le porte di tutti i castelli più interni e sicuri, ma Grande Inverno avrebbe ospitato la maggior parte dei pellegrini. Alcuni avevano suggerito di trasferire alcune famiglie a Forte Terrore, ma Sansa si era rifiutata categoricamente. “Quel castello verrà raso al suolo” aveva detto, “non appena ci saranno le condizioni per portare a termine una simile azione.” Nessuno fortunatamente si era azzardato a contraddirla.

Così quella mattina erano attesi ospiti da tutti gli angoli del Nord e Sansa era psicologicamente pronta a trascorrere l’intera giornata ad ascoltare i finti complimenti delle lady e i giuramenti dei lord.

Come al solito prese posto nella sala dei banchetti dopo aver dato ordine alle cucine di preparare dei pasti abbondanti. Le cuoche le avevano fatto notare che le provviste scarseggiavano, ma Sansa era decisa a lasciare quei problemi a un altro momento. Sedeva rigida sul trono di legno e per la prima volta si accorse di quanto fosse scomodo. Spettro quella mattina non si presentò, ma Sansa aveva ormai rinunciato a qualunque tentativo di comprendere le strane abitudini del meta-lupo.

Tormund era in viaggio con i bruti verso Ultimo Focolare, mentre Alys sarebbe arrivata in ritardo. Così aveva permesso a Myun di sederle accanto, insieme alla piccola lady Mormont, puntuale come al solito.

Quando due giorni prima c’era stata tutta la questione riguardo alla lettera di Jon, Sansa aveva capito benissimo che Myun non l’aveva trovata per terra in un corridoio. Evidentemente l’aveva rubata a qualcuno, ma non si sentiva abbastanza sicura da dirle a chi. Sansa una mezza idea ce l’aveva, ma una parte di lei si rifiutava di credere che Baelish si fosse lasciato cadere così in basso. Rubare delle lettere è un gesto così vile, pensò, non è il suo stile. Eppure il dubbio insistente rimaneva.

I primi ad arrivare furono i membri della famiglia Glover da Deepwood Motte. Il castello non era particolarmente in pericolo data la sua posizione nei boschi, ma era caduto nelle mani dei Greyjoy già una volta e per questo, quando aveva udito dell’attacco a Porto Bianco, lady Sybelle aveva preteso che il marito le concedesse di venire a Grande Inverno. Robett Glover aveva accettato e ora Sybelle si inchinava a Sansa, tenendo per mano il figlio Gawen ed in braccio la piccola Erena.

“Spero ci siano delle allattatrici” disse la lady con un sorriso. Non era particolarmente bella ed era anche abbastanza formosa, ma aveva un sorriso molto dolce. Sansa ovviamente si affrettò a far scortare lady Sybelle ed i figli nelle loro stanze, facendo promesse che non era sicura di poter mantenere.

Dopo fu il turno delle donne di Piazza di Thorren. Il castello era stato conquistato dagli Uomini di Ferro e il lord e il suo erede diretto erano stati uccisi. Piazza di Thorren era passata a lady Eddara Tallhart che ora si presentava insieme alla moglie del suo defunto zio, Berena Hornwood, e i cugini, Brandon e Beren.

Anch’essi furono tutti accolti calorosamente da Sansa, felice di poter vedere presto Grande Inverno risuonare di urla di fanciulli. Quest’accoglienza avrebbe ridato vita al castello e speranza ai suoi abitanti che magari avevano visto un padre o un fratello partire per la Barriera.

A mezzogiorno Cley Cerwyn presentò sua sorella, Jonelle, che doveva avere poco più di vent’anni. Era una ragazza molto graziosa e delicata, con grandi occhi neri e capelli castani. “Mia signora” la salutò con calore, “è un onore fare la tua conoscenza, sei molto più bella di come ti descrivono.” Jonelle Cerwyn si offrì come sua dama da compagnia e Sansa non poté rifiutare.

In seguito giunsero a Grande Inverno anche Lyessa Flint, lady di Capo della Vedova, uno dei luoghi colpiti dalle razzie di Euron, e l’anziano Ondrew Locke, lord di Antico Castello, che insistette per avere il permesso di baciare la mano di Sansa. Nonostante non si reggesse bene sulle gambe, lasciò il proprio posto a lady Lyessa e rimase in piedi finchè il giovane Beren Tallhart non si alzò per permettergli di sedersi.

Per ultima, accompagnata da una numerosa scorta, arrivò Barbrey Dustin, lady vedova di Barrowton. Sansa sapeva di non potersi fidare di lei: lady Dustin era conosciuta per l’odio che provava nei confronti di Eddard Stark, al seguito del quale aveva perso la vita il marito William.

Lord William Dustin era morto al tempo della Ribellione di Robert, durante la battaglia alla Torre della Gioia dove Ned aveva sconfitto ser Arthur Dayne. Per questo motivo lady Barbrey vestiva sempre di nero e portava i capelli perennemente raccolti. Giravano molte storie su di lei. Si diceva che in gioventù fosse stata una fanciulla bellissima e che addirittura fosse riuscita a sedurre Brandon Stark, lo zio di Sansa. In quel momento Barbrey la stava fissando intensamente, con un sopracciglio alzato.

“Chiedo perdono a nome di mio padre” disse lady Dustin in tono piatto. “Lord Ryswell non ha potuto lasciare i Rills perché colto da una febbre improvvisa. E’ molto anziano, ma ringrazia per la generosa offerta d’ospitalità.”

Sansa si sforzò di sorridere, nonostante quella donna la mettesse in soggezione. “La tua presenza è ben accolta a Grande Inverno” replicò con voce forzatamente calorosa, “spero troverai le tue stanze idonee. Stasera ci sarà un banchetto in onore dei nuovi arrivati e in seguito si discuterà di politica. Spero vorrai unirti a noi…”

Barbrey fece una smorfia che forse poteva passare per un sorriso. “Sono molto stanca per il viaggio mia signora” disse, “non sono più giovane come una volta. Vedrò se riuscirò a venire.” Detto questo, lady Dustin chinò appena il capo, raccolse le gonne ed uscì.

Alys, che nel frattempo era arrivata sedendosi al posto di Myun, si protese per parlare all’orecchio di Sansa. “Non ti puoi fidare di quella donna” la mise in guardia. “Mio zio Arnolf diceva che Barbrey Dustin fosse una delle più importanti sostenitrici di Roose Bolton. Non sopportava Ramsay, ma l’odio che prova per la tua famiglia è più forte.”

Sansa era inorridita. “Perché ci odia così tanto?”

“Incolpa tuo padre della morte di suo marito” rispose Alys Karstark, “e tua madre di avergli sottratto Brandon.”

“Ma mia madre non l’ha mai sposato!” esclamò Sansa incredula “Mio zio è morto prima che fosse celebrato il matrimonio.”

“Certo” replicò Alys, “ma le persone come Barbrey non capiscono questa differenza. Si dice addirittura che abbia tentato di fermare a Barrowton le ossa del lord tuo padre, ma fortunatamente ha fallito.”

Sansa stava scuotendo la testa. “Ma perché si è presentata?” chiese allora ed Alys sospirò. “Magari vuole ottenere qualcosa” rispose, “in ogni caso devi guardarti le spalle anche da lei.”

I nemici stavano diventando troppi e Sansa per un momento credette di essere tornata ad Approdo del Re. Poi si ricordò che aveva accanto anche delle persone di cui poteva fidarsi e si tranquillizzò. Accolse anche gli ultimi ritardatari e riuscì perfino a rilassarsi. Alla fine le guardie annunciarono che il flusso dei viaggiatori era terminato. Era pomeriggio inoltrato. Sansa fece per alzarsi.

“Un momento, mia signora” la fermò lord Cerwyn, “lord Howland Reed non è arrivato...” Sansa ricordò l’amico di suo padre di cui Ned aveva spesso parlato.

“Non credo verrà” intervenne Robett Glover, “è da anni ormai che evita ogni incontro e riunione. Lui e sua moglie si sentiranno al sicuro a Torre delle Acque Grigie e non posso certo dar loro torto. In quelle paludi non correranno alcun pericolo.”

Secondo le dicerie la Torre delle Acque Grigie, che si trovava nelle paludi impenetrabili dell’Incollatura, nella nebbia cambiava posizione lungo l’affluente della Forca Verde su cui sorgeva. Era un luogo di mistero, in cui gli stranieri raramente si avventuravano per paura dei Crannogmen, i piccoli uomini delle paludi che, secondo le leggende, erano nati dall’incrocio fra uomini e Figli della Foresta.

Le storie della Vecchia Nan erano piene di quei mostriciattoli e Sansa ricordava come si rannicchiava spaventata nelle coperte, terrorizzata dall’idea che uno di quei cacciatori di rane potesse uscire dall’armadio. Robb rideva sempre quando la vedeva così in ansia e Sansa sorrise con amarezza al ricordo.

“Scriverò una lettera a lord Reed” decise alzandosi, “e chiederò spiegazioni circa la sua assenza. Ricordo a tutti il banchetto di stasera e la riunione a cui tutti i lord e le lady sono invitati a partecipare subito dopo.”

La sala iniziò a svuotarsi. Stranamente Petyr Baelish non si era fatto vivo, nonostante Yohn Royce fosse al suo solito posto. Una parte di Sansa sperava che Myun avesse seguito i movimenti di Ditocorto. Scambiò qualche parola cortese con le persone che la fermavano e tentò di liberarsi della loro presenza il più in fretta possibile. Voleva il silenzio. Finalmente riuscì a chiudersi in camera sua, dove trovò Myun. Appena la vide, la ragazzina sorrise radiosa.

“Perché te ne sei andata?” chiese Sansa sedendosi al tavolo da toeletta “Mi avrebbe fatto piacere se fossi rimasta…”

Myun alzò le spalle. “Lady Karstark ha detto che il posto alla tua destra spettava a lei” disse con semplicità, “così ho pensato fosse meglio andarmene.”

Sansa strinse le labbra. Alys si era comportata male con Myun e la sua fretta di allontanarla dalla sala era ingiustificata. C’è qualcuno di cui possa fidarmi? si chiese Sansa esasperata da tutte quelle incertezze. Sapeva che la risposta più intelligente sarebbe stata no.

Myun aveva preso in mano la spazzola, ma Sansa le fece cenno di riporla. “Dimmi, Myun” iniziò in tono tranquillo, “dove hai trovato veramente la lettera che Jon mi aveva spedito?”

Myun non batté ciglio, probabilmente si aspettava una domanda del genere. “Vuoi sapere la verità, mia signora?”

“Sansa” la corresse subito la lady di Grande Inverno.

“L’ho rubata da un cassetto” replicò Myun senza accennare a voler continuare.

“Di chi era il cassetto?”

“Di lord Baelish” rispose Myun abbassando la testa, “mi dispiace, so che non avrei dovuto leggerla, ma avevo sentito lord Baelish dire cose strane e allora…”

“Va tutto bene” la rassicurò Sansa, “ma ora mi devi dire esattamente cosa hai sentito.”

Myun parve riordinare le idee per qualche momento. “Stava parlando con il capo degli altri cavalieri” raccontò e Sansa capì si stesse riferendo a lord Royce, “e stava dicendo che il re non ti scriveva più e che ti sentivi abbandonata. Ha detto che voleva vederti diventare regina, ma che tu non avessi il coraggio di tradire tuo fratello. Ha detto che ti voleva aiutare e che avrebbe portato qui i Cavalieri della Valle perché tuo cugino vuole che diventi Regina del Nord.”

Anche dopo che Myun ebbe finito di parlare, Sansa rimase a fissarla a bocca aperta. “Ha detto proprio i Cavalieri della Valle?” chiese preoccupata e Myun annuì. Secondo le voci i Cavalieri della Valle erano accampati al Moat Cailin.

Troppo vicini.

Sansa si alzò di scatto e si diresse alla porta. Il Nord era sull’orlo di una guerra e neanche lo sapeva. “Myun” la chiamò, “ti prego, sii gentile e vammi a chiamare Alys Karstark. Poi trovami un giovanotto riservato che possa portare un messaggio importante… Fai in fretta.” Myun scattò e Sansa attese paziente.

Aveva voglia di piangere. Perché Baelish si comportava così? Se voleva il Trono di Spade poteva benissimo portare il suo esercito a Sud, perché non la lasciava in pace? In pochi minuti Alys si precipitò dentro sconvolta.

“Sansa! Cos’è successo?”

Ma Sansa era troppo presa dal giovanotto che Myun aveva trovato.

“Buonasera, uccelletto” la salutò il Mastino. Sansa lanciò un’occhiata a Myun, che scrollò le spalle.

“Non credo tu sia la persona adatta...”

Sandor Clegane scoppiò a ridere. “Portare un messaggio” disse, “non è difficile. Magari se dovessi anche uccidere delle persone sarebbe pure più divertente…”

Sansa sospirò, ma in effetti il Mastino era la loro migliore opzione. “Baelish trama qualcosa” disse concitata, “devi raggiungere Tormund e i bruti ad Ultimo Focolare, li avevo mandati là a sistemare gli ultimi Umber che si erano ribellati. Avevo detto che avrebbero potuto prendere quelle terre, che sono le più a nord. Ora però ho bisogno di loro qui. Sandor, ti prego, posso fidarmi di te?”

Il Mastino la guardò negli occhi. “Sempre, piccola” rispose e Sansa sapeva che Sandor non era abbastanza raffinato da permettersi il doppiogioco.

Sorrise. “Raggiungi Tormund” disse. “Lo riconoscerai facilmente: è il capo dei bruti con la barba rossa, e digli che ho bisogno di lui qui. Grande Inverno rischia di essere attaccata.”

Alys si portò le mani alla bocca. Sandor guardò ancora Sansa. “Farò più in fretta che posso” promise per una volta serio, “e ricorda che qui hai la Fratellanza senza Vessilli al tuo fianco, uccelletto. Parlerò con Beric prima di andare…”

“No” lo interruppe Sansa, “Myun parlerà con Beric, tu devi andare subito, Sandor. Contiamo su di te.” Il Mastino annuì e lasciò la stanza.

Alys sembrava in preda all’agitazione. “Ma cosa succede?”

“Ditocorto minaccia il Nord con i Cavalieri della Valle” rispose Sansa. “Sai dov’è oggi?” Alys scosse la testa.

“Andiamo a scoprirlo” disse Sansa risoluta.

Si precipitarono nella Sala Grande dove tutti i lord si erano già accomodati per il banchetto. “Miei signori” disse Sansa ad alta voce, “vi chiedo dove si trovi in questo momento lord Petyr Baelish: desidero parlargli.” Ci furono mormorii confusi.

Poi lord Royce si alzò in piedi. “E’andato a caccia, mia signora” rispose impettito, “tornerà domani mattina al massimo.” Sansa sapeva bene che Baelish non andava mai a caccia. Decise di prendere una decisione drastica.

“Cavalieri” disse, “in nome di mio fratello Jon Snow da voi acclamato Re del Nord, io accuso Yohn Royce di tradimento e vi invito a portarlo nelle segrete perché possa essere interrogato più tardi.”

Le esclamazioni stupite riempirono la sala e perfino Alys afferrò Sansa per un braccio. “Sansa, aspetta” la supplicò, “come fai a sapere che mente? Forse dovresti aspettare tuo fratello…”

“Se aspettassi Jon farei prima a consegnare direttamente Grande Inverno a Baelish” ribatté, “devo cavarmela da sola.” Lyanna Mormont era stata la prima a ubbidire agli ordini di Sansa e le sue guardie avevano afferrato Royce, che si dibatteva urlando.

“Cosa significa tutto ciò?” stava chiedendo Wyman Manderly, ma Sansa lo ignorò. Come a conferma dei suoi sospetti, a Grande Inverno erano rimasti pochissimi Cavalieri della Vallle, giusto quelli necessari per quella sceneggiata.

Petyr, non mi puoi ingannare, ho imparato troppo bene da te.

Aveva sperato che richiamare tutti i lord del Nord a Grande Inverno avrebbe scoraggiato le eventuali azioni belliche di Baelish, ma ora si rendeva conto che era proprio l’occasione che Ditocorto stava aspettando. Royce fu portato via. Tutti chiamavano Sansa, chiedevano spiegazioni, urlavano.

“Era solo una precauzione” li rassicurò Sansa, “tornate pure a mangiare, miei signori, noi vi raggiungeremo fra poco.” Lentamente la calma tornò nella sala mentre Sansa usciva seguita da Alys e Myun.

“Ora tocca a noi” disse Sansa, “dipende tutto da quello che faremo. Myun, tu andrai alla locanda della Fratellanza senza Vessilli e dirai loro di restare pronti. Sai chi sono, vero?” Myun annuì e schizzò via.

“Perché non hai avvertito i lord del pericolo imminente?” chiese Alys.

“Perché l’unico modo per sconfiggere Ditocorto è prenderlo con le mani nel sacco” spiegò Sansa, “e ciò può accadere solo se attacca questo castello. E io voglio che lo attacchi così che possa condannarlo a morte. Ditocorto è stato sempre un passo avanti a noi perché aveva Royce che lo aiutava. Sapeva quando attaccare e quando non farlo perché si erano creati dei sospetti. Ora che Royce è in catene non potrà riferirgli che abbiamo capito il suo gioco e attaccherà, pensando di avere questo vantaggio. Ma non ci coglierà di sorpresa e lo sconfiggeremo facilmente.”

Sansa era convinta di potercela fare. Quando i Cavalieri della Valle si fossero trovati davanti un Nord unito, protetto dalle antiche mura di Grande Inverno, con un esercito di bruti in marcia verso di loro, si sarebbero certamente rifiutati di portare a termine l’attacco.

E io potrò parlare in nome di Robin Arryn, si disse Sansa mentre si allontanavano dalla sala del banchetto, e dire che sono stati manipolati da Baelish. Potrò rivelare anche che è stato lui ad uccidere Jon e Lysa Arryn. Stavolta aveva tutte le carte in regola per vincere: Ditocorto si era fidato troppo della sua ingenuità.

Alys si era fermata poco più indietro e si stava risistemando le gonne.

“Che succede?” le chiese Sansa fermandosi a sua volta e tornando indietro.

Alys fece una smorfia. “Questo stupido vestito…” borbottò. “I lacci si sono aggrovigliati…” Sansa si chiese perché mai dovesse scioglierli proprio in mezzo al corridoio, ma si avvicinò per aiutarla. In effetti il nodo era piuttosto stretto.

All’improvviso ci fu un lampo d’argento e Sansa cacciò un urlo di dolore e sorpresa. Guardò incredula il suo braccio sanguinare lì dove l’abito si era strappato e gli occhi le caddero sul pugnale dalla pesante impugnatura che Alys stringeva in mano. Stava stava sorridendo, ma senza calore o affetto, era un sorriso carico di scherno ed odio.

“Sei stata molto intelligente” si complimentò con lei mentre Sansa boccheggiava. “Davvero, hai compreso il suo piano alla perfezione, ma non hai ancora capito la lezione più importante…” Sansa sentì un dolore lancinante alla nuca e, prima che il buio la inghiottisse, udì le ultime parole di Alys.

“Non puoi fidarti di nessuno!”

 

Daenerys

 

Jon Snow non le parlò più per due giorni. Daenerys vide che la stava evitando, ma era troppo occupata nell’organizzazione della difesa dell’isola per preoccuparsene. Verme Grigio faceva lavorare gli immacolati senza sosta e al quarto giorno erano state erette ben cinque fortificazioni nei punti più esposti dell’isola.

Solo una sulla sponda ovest…

Fu Varys a spiegarle la situazione. “Quella riva è quasi a picco sul mare” disse, “le rocce e gli scogli non permetteranno a Euron di attraccare. La Torre delle Conchiglie sarà sufficiente.”

“In ogni caso voglio degli arcieri lì durante l’attacco” ordinò Daenerys e Varys chinò il capo in segno di reverenza.

Anche la costruzione delle navi procedeva molto bene. Tutte quelle che potevano essere sistemate erano state rimesse in acqua, compresa la Lupa Solitaria, la nave di Jon, che era la più malridotta. Alla Balerion, l’imbarcazione che Dany aveva acquistato per recarsi nelle Baia degli Schiavisti la prima volta, si erano aggiunte Vhagar e Meraxes e insieme erano le tre navi migliori a loro disposizione in quel momento. Ciò tuttavia non cambiava certo la cruda verità: se Tyrion e gli altri non fossero tornati presto con i rinforzi, niente avrebbe potuto arrestare l’avanzata di Euron.

Nessuna notizia era arrivata da Capo Tempesta e nemmeno da Alto Giardino. Daenerys non sapeva come la missione di Olenna stesse procedendo e sperava i Tyrell si sarebbero fatti sentire presto. Con una notizia di vittoria, pensò. Dopo la clamorosa sconfitta a Porto Bianco avevano disperato bisogno di buone notizie.

Theon e Missandei collaboravano sorprendentemente bene e perfino Obara aveva smesso di chiedere ogni due minuti della sua lancia. Tutti si davano da fare. Dal terzo giorno anche Jon era sceso in spiaggia a dare una mano, sempre evitando lo sguardo di Daenerys. Lei lo osservava dal balcone, guardava come trasportava la legna e spostava le pietre che sarebbero state lanciate agli invasori.

La scarsa popolazione di Roccia del Drago aveva trovato rifugio nel castello e a tutti color che potevano combattere erano state promesse armi ed armatura.

Dany aveva anche un problema con i draghi. Drogon era diventato gigantesco, e ciò era un bene, ma quasi non trovava più posto sull’isola. Cacciava tutta la notte per mare e tornava solo di giorno. Daenerys temeva potesse imbattersi nelle navi di ferro prima del necessario. Rhaegal era diventato molto più schivo e, nonostante non si allontanasse mai dalla Roccia del Drago, Dany non era completamente sicura di poter far affidamento su di lui. Rhaegal però sembrava seguire Drogon e Daenerys sperava questo bastasse.

Viserion invece, il più piccolo dei suoi draghi, era scomparso. Ormai non si faceva vedere da giorni e Dany era sempre più preoccupata. Non era da lui un comportamento del genere: era sempre stato il più pauroso fra i fratelli. Ma non aveva tempo nemmeno per andarlo a cercare, magari nei dintorni dell’isola o su qualche scoglio solitario, perché la sua presenza era richiesta da tutte le parti.

I pochi armaioli rimasti alla Roccia del Drago avevano intagliato quante più frecce possibili, ma non c’erano abbastanza archi oltre a quelli dei Dothraki. Il pomeriggio Dany si prendeva una pausa ed andava a visitare Jorah.

Il quarto giorno maestro Pylos annunciò che ser Jorah Mormont si era rimesso completamente in forze. Daenerys corse al suo capezzale e come al solito si sedette sul suo letto. Gli accarezzò i capelli finché Jorah non aprì gli occhi. Ora era visibilmente guarito e la sua pelle aveva riacquisito il colorito ambrato di sempre. I suoi occhi erano lucidi ed attenti.

“Khaleesi” la salutò con affetto, “non pensavo saresti passata…”

Dany sorrise. “Certo che sono passata” replicò, “volevo vedere come stavi…”

“Come procedono i tuoi piani?” chiese Jorah sistemandosi le maniche che gli arrivavano fino ai polsi.

“Stiamo in una fase di stallo” replicò Daenerys, “dobbiamo aspettare la risposta di Tyrion…”

Jorah rise. “Non è strano?” chiese ironico “Che la tua vita dipenda da un Lannister?” Dany abbassò il capo. “Scusa non volevo” disse Jorah, “era solo una battuta.”

“Avevi ragione” disse Daenerys, “ma io mi fido di Tyrion e ti ringrazio per averlo portato da me…”

“Ti fidi anche di Varys?” chiese Jorah e Dany non rispose. “Era lui a mettere al corrente Robert dei tuoi spostamenti” continuò Jorah.

“Lo so” replicò Daenerys, “ma Tyrion dice che probabilmente è stato Varys a impedire che fossi uccisa subito dopo la mia nascita.”

Jorah fece una smorfia. “Non credo abbia importanza ora” osservò, “in questo momento ci troviamo tutti sulla stessa barca…”

Fece per alzarsi, ma Daenerys lo trattenne. “Dove vai?” chiese in tono inquisitorio.

“Devo allenarmi” rispose Jorah, “devo essere pronto per la battaglia.”

Dany quasi scoppiò a ridere. “Tu non combatterai” replicò, “hai già rischiato la vita troppe volte per me e se ti dovesse succedere qualcosa io non potrei mai perdonarmelo.”

Jorah la stava guardando con occhi adoranti. “Sono io che ho giurato di proteggerti” le ricordò, “non posso restare a letto come un codardo.”

“Certo che puoi” tagliò corto Dany, “e lo farai, a costo di obbligarti a bere il latte di papavero fino a farti addormentare.” Gli si avvicinò.

“Non puoi combattere in queste condizioni” disse, “non ci faccio niente con il tuo cadavere.” Si alzò in piedi.

“Ti prego Khaleesi” la scongiurò Jorah, “fammi combattere per te, non chiedo altro…”

“Lo farai” promise Daenerys, “ma solo se vinceremo questa battaglia. Ti avevo detto che saresti stato al mio fianco quando avrei conquistato il Trono di Spade e intendo mantenere questa promessa, ma sei troppo debole per questa battaglia.” Senza veramente salutarlo Dany uscì dalla camera. Jorah, nonostante i suoi passati tradimenti, era forse la persona a cui teneva di più al mondo. Non gli avrebbe permesso di morire nella mischia caotica che sarebbe stata la battaglia contro Euron.

Dalle mura vide Missandei e Verme Grigio rincorrersi sulla sabbia durante una delle rare pause dal lavoro. Missandei rideva forte e Verme Grigio la schizzava con l’acqua marina che Daenerys sapeva essere gelida. Missandei si era messa a correre, ma Verme Grigio era più veloce e l’aveva acchiappata. Lei aveva cacciato un urletto, quando entrambi erano caduti nella sabbia. Dany sorrise: era bello vedere che qualcuno non dimenticava per cosa loro tutti stessero lottando.

La felicità, la spensieratezza, la pura serenità, erano tutti sentimenti che Daenerys Nata dalla Tempesta agognava da quando aveva memoria e che non aveva mai appieno compreso. Sperava che il Trono di Spade potesse colmare in qualche modo questo vuoto, ma ogni giorno i dubbi affondavano le loro radici sempre più in profondità in lei. Dany inspirò profondamente.

Perché Jon l’aveva attaccata quel pomeriggio sulle mura? L’aveva accusata di averlo ingannato e di avergli mentito, ma Daenerys non aveva capito nemmeno bene a cosa si riferisse. Pensava davvero che lei l’avesse baciato solo per spingerlo tra le su braccia e attrarlo in una trappola? Ha una così bassa opinione di me?

Sapeva di essersi comportata male con Jon durante i loro primi incontri, ma quel bacio non nascondeva secondi fini. In quel momento seplicemente Daenerys si era sentita in pace. Strinse le mani a pugno. Forse ha ragione, pensò allontanandosi dai bastioni, forse non sono in grado di controllare il Nord, forse dovrei smettere di provarci.

Ma ormai non era più un conto di sterile politica e alleanze: Daenerys sentiva di provare davvero qualcosa per Jon. Era un sentimento diverso dalla passione che l’aveva unita a Khal Drogo e a Daario Naharis e dall’affetto che provava per Jorah, era più una sorta di profondo rispetto che non era ancora pronta ad ammettere.

Dany ammirava Jon, le piaceva come parlava, come si infiammava nei discorsi che gli stavano più a cuore e come i suoi uomini lo seguivano. Jon Snow la metteva spesso in soggezione, la faceva sentire piccola e ingenua. Una ragazzina che doveva tutto quello che aveva più ai suoi draghi che alle sue reali capacità. Ma la cosa peggiore era che lei un po’ ci credeva a questi pensieri.

Sospirando, Daenerys riaggiustò il mantello sulle spalle e fece per scendere dalle mura. Quasi si scontrò con Jon che stava salendo di corsa. Rimasero a guardarsi: erano praticamente nello stesso punto di due giorni prima.

Jon sembrava tentare di evitare il suo sguardo ed era visibilemente nervoso. “Ho trovato qualcosa” disse veloce, “nel palazzo… C’è un giardino interno…” Sembrava senza fiato.

Quando la finirà di andare in giro per il mio castello senza permesso? si chiese Dany, ma in realtà era felice che Jon le rivolgesse di nuovo la parola. Forse si era pentito di quello che le aveva detto.

“Un giardino?” chiese sinceramente stupita “Non pensavo ci fossero giardini all’interno della Roccia del Drago…” La struttura del castello in teoria non ne avrebbe neanche permesso l’esistenza.

Jon sgranò gli occhi. “Pensavo l’avresti saputo tu” disse, “io stavo solo cercando il Vetro di Drago.”

“Il tuo Vetro è nei sotterranei” osservò Dany, “mi sembra di avertelo già detto…”

“E infatti pensavo di aver trovato l’entrata ai sotterranei” puntualizzò Jon, “e invece…” Le voltò le spalle e inziò a scendere.

“Dove vai?”

Jon girò appena la testa. “Te lo faccio vedere” rispose semplicemente e Dany dovette trattenere un sorriso. Lo seguì senza parlare e in silenzio percorsero corridoi che Daenerys non aveva mai visto.

“L’entrata ai sotterranei è completamente da un’altra parte” disse mentre tirava su la gonna per non inciampare. Jon non rispose e si limitò a fermarsi davanti a una porta arrugginita. Una debole luce filtrava attraverso la feritoia che si apriva nel ferro.

“Fa’ attenzione” l’avvvertì Jon, “è molto affilata…” Indicò il varco che evidentemente portava al giardino e Dany vide che era molto stretto e minacciato da barre di ferro acuminate. Jon le tese la mano e Daenerys l’accolse senza pensarci due volte. Insieme riuscirono a passare dall’altra parte.

Oltre una piccola e bassa galleria sbucarono all’aria aperta. Dany rimase a bocca aperta. Non avrebbe mai pensato che un simile posto potesse esistere alla Roccia del Drago. L’erba cresceva rigogliosa ed il prato soffice era punteggiato da fiori e piante aromatiche. C’era un piccolo laghetto d’acqua trasparente e tre alberi dalle fronde che quasi toccavano terra.

Daenerys sollevò il viso e vide che tutto intorno il giardino era protetto dalla viva roccia delle pareti del castello, nella quale non si aprivano finestre. Era facile capire il motivo per cui quel posto non era mai stato idividuato: l’unico modo per accedervi era attraverso quella porticina malmessa. Il giardino non era molto grande e la sua forma si adattava a quella delle mura. La luce che raggiungeva terra non era abbondante e Dany si chiese come potessero crescere tutte quelle piante, senza cure poi!

Iniziò a camminare e Jon le venne dietro. Al centro del giardino torreggiava una statua di bronzo più alta di un uomo. Raffigurava un drago con le ali spiegate e le fauci spalancate. I suoi occhi erano rubini rossi come il sangue. D’un tratto Daenerys si ricordò di un’antica storia che le aveva raccontato tante volte Viserys.

“Deve essere il leggendario Giardino di Aegon” mormorò e Jon si voltò a guardarla curioso. Dany capì che gli avrebbe dovuto spiegare tutta la storia.

“Si dice che Aegon il Conquistatore fece costruire un giardino alla Roccia del Drago” spiegò, “ma pochissimi conoscevano la sua vera posizione. Mio fratello diceva che solo un Targaryen può trovare il giardino, ma è ovvio che sia solo una leggenda questa.” Dany fece scorrere la mano sulla superficie della statua.

“Deve essere Balerion il Terrore Nero” disse, “il drago di Aegon.”

Jon si stava guardando intorno. “E’ un posto delizioso” osservò, “come mai è rimasto abbandonato così tanto a lungo?”

Daenerys scrollò le spalle. “Probabilmente il segreto è morto insieme a un mio antenato chissà quanti anni fa” disse, “fino a questo momento…”

Improvvisamente la quiete spettrale del giardino fu rotta da un ringhio sommesso. Daenerys si voltò verso l’angolo più lontano del giardino e quasi scoppiò a ridere per la sorpresa. Le scaglie di Rhaegal erano così verdi che gli avevano permesso di confondersi con il manto d’erba e nessuno dei due si era accorto della sua presenza. Il drago era rannicchiato in quella che doveva essere la sua tana e sembrava abbastanza assonnato. Dany e Jon si avvicinarono.

“Non pensavo fosse ancora sull’isola” sussurrò Jon sorpreso. Daenerys strinse le labbra: una parte di lei avrebbe voluto trovare Viserion al suo posto. Jon era arrivato molto vicino al drago sonnacchioso e Dany non lo fermò. Stavolta voleva vedere cosa era in grado di fare. Nessuno aveva mai domato i suoi draghi eccetto lei, nonostante Tyrion li avesse tenuti buoni il tempo necessario per liberarli dalle catene, o almeno così aveva raccontato.

Rhaegal aveva sollevato la testa e stava annusando la mano tesa di Jon. Sfoderò i denti ringhiando e Jon tirò indietro la mano. Si voltò verso Daenerys. “Sulla nave mi ha salvato la vita” raccontò, “è arrivato dal nulla e ha dato alle fiamme l’imbarcazione nemica. Io e Gendry saremmo morti se non fosse stato per lui.”

Jon sospirò. “Ma non devi pensare che io voglia prendere il tuo drago” continuò, “non saprei nemmeno come fare, hai visto che da me non si fa accarezzare. Tu sei la loro madre e loro appartengono a te.”

Dany non disse nulla. Si sentiva in imbarazzo, perché effettivamente aveva provato una fitta di gelosia quella volta sul balcone quando Rhaegal si era rifiutato di obbedirle. Aveva davvero temuto Jon potesse portarglielo via. Ora si accorgeva di quanto fossero vane e sciocche le sue preoccupazioni.

“Ero così accecata dai miei desideri” disse abbassando lo sguardo, “da non curarmi delle persone che mi stavano intorno. Rhaegal voleva solamente dirmi che stavo sbagliando tutto e ci è riuscito.” Il drago emise un verso basso e profondo.

Daenerys si voltò a guardare Jon negli occhi. “Avevi ragione” ammise, “non conosco il mio regno, men che meno il Nord, non posso sperare di governarlo.” Dany sospirò. Al diavolo quello che penseranno i miei consiglieri. “Non credo più il nostro matrimonio sia una buona idea” continuò, “non potrebbe in ogni caso unire il Reame…”

Jon stava scuotendo la testa. “No Daenerys, avevi ragione tu” disse e Dany alzò la testa incredula. “Ho parlato d’istinto, l’altro giorno, su quelle mura, e ho dimenticato il primo dovere di un buon sovrano: pensare al bene della sua gente. Mi dicevo che l’indipendenza del Nord era la scelta giusta, ma non è vero. Finchè esisterà rancore fra il Nord ed il Trono di Spade non ci sarà vittoria contro gli Estranei, così come non c’era quando il mio popolo era diviso a causa dei Bolton o quando i Guardiani della Notte rifiutavano un’alleanza con i bruti.”

Jon fece una pausa. “Non avrei mai pensato di sposarmi” confessò, “né che il mio matrimonio potesse rivestire una tale importanza, ma se ora le cose stanno così è mio dovere andare avanti. Io non ho un cognome da offrirti, nè ricchezze particolari, ma se questa è la strada da percorrere allora ti seguirò.”

Daenerys sapeva quanto gli era costato pronunciare quelle parole e non replicò. A cosa era disposta a rinunciare lei? Erano sempre gli altri a dover sacrificare i loro desideri? No, adesso anche lei doveva dimostrarsi comprensiva o non avrebbe mai potuto governare i Sette Regni.

“E’ questo quello che vuoi?” chiese a bassa voce.

Jon si morse il labbro. “Quello che voglio non conta” disse, “l’unica cosa che mi preme è che il Nord possa ricevere l’aiuto necessario quando la Lunga Notte arriverà.” Dany non capiva con quale forza un uomo potesse a tal punto rinunciare a sé stesso. Forse era stata la vita alla Barriera a temprare a quel modo il carattere di Jon Snow.

“Ma tu cosa vuoi?” insistette avvicinandosi appena.

“Non lo so.”

Daenerys annuì. Ci furono momenti di silenzio riempiti solo dal respiro pesante di Rhaegal che doveva essersi addormentato. “Neanch’io” ammise alla fine Daenerys, “credevo desiderassi il Trono di Spade, e non sono cambiata, ma poi cosa farò? Come riuscirò a gestire un territorio così vasto, genti così diverse? Ho paura.” Jon sembrava sorpreso dalle sue parole.

“Il nostro matrimonio è importante per i Sette Regni” proseguì poi Daenerys, “magari non è quello che avevamo immaginato, ma è nostro compito mantenere la pace. Io so quello che ti sto chiedendo, davvero, lasciare la tua casa e seguirmi al Sud, ma non lo farei se non fosse indispensabile.”

Jon annuì. “Se è così” disse sicuro, “allora non mi opporrò, ma a delle condizioni… Mia sorella Sansa resterà lady di Grande Inverno e sarà lasciata libera di decidere se e quando risposarsi. Le concederai ampi poteri sul Nord e una certa indipendenza dalla Corona. Il Nord si avvarrà del diritto di non inviare soldati nell’esercito del sovrano in casi eccezionali e sarà esonerato da tutti i doveri economici e militari nei confronti della Corona durante gli inverni. Inoltre, dopo che avrai preso il Trono di Spade, porterai il tuo esercito e i tuoi draghi nel Nord e combatterai al nostro fianco la Battaglia per l’Alba. Questi sono i miei termini.”

Daenerys non dovette neanche pensarci troppo, era più di quello che aveva sperato. “Accetto” disse. “Quando ci sposeremo rinuncierai al tuo titolo di Re del Nord, ma diventerai sovrano dei Sette Regni e…”

“Non voglio essere re dei Sette Regni” la interruppe subito Jon, “e puoi tenerti il tuo trono, non è questo che conta.”

Non è questo che conta. Quelle parole furono come un pugno nello stomaco per Dany, che quasi indietreggiò.

“A me interessa solo dell’alleanza” continuò Jon fissandola negli occhi, “ho la tua parola che quando verrà il momento combatterai con i tuoi draghi contro il nostro nemico?”

“Hai la mia parola” assentì solennemente Dany.

Jon annuì. “Bene” mormorò, “credo dovrò scriverlo a mia sorella…”

C’era dolore nella sua voce e Daenerys si sentì in colpa. Perché si sentiva così? Era la cosa giusta, anche Jon lo sapeva…

“Aspetta” lo richiamò mentre Jon stava già camminando verso l’uscita. Lui si fermò e si voltò a guardarla.

“Jon, i-io spero” balbettò Dany d’un tratto impacciata, “che possiamo essere felici insieme. Lo spero davvero, e sappi che non avrei mai voluto costringerti a fare nulla, è solo che…” Daenerys fece una pausa.

“Non abbiamo scelta.”

Jon era rimasto immobile. “Lo so” mormorò, prima di girarsi ancora una volta e scomparire fra i rampicanti. Daenerys rimase da sola, il vento che le fischiava nelle orecchie, ed una strana tristezza che le opprimeva lo stomaco.

E accanto a lei Rhaegal emise un tetro lamento.

 

Brienne

 

Bronn non sembrava intenzionato a lasciarla passare facilmente. Intorno a loro ancora infuriava la battaglia e i Dothraki stavano guadagnando terreno. Brienne aveva perso di vista Randyll Tarly, che si era allontanato verso lo schieramento Lannister interno, ma era decisa a seguirlo. In quel momento Nymeria e Garth dovevano essere già entrati nel labirinto e forse erano riusciti ad attirare i nemici nella trappola. A giudicare dall’esiguo numero di soldati che Brienne scorgeva dentro le mura, la situazione doveva stare proprio così.

Bronn stava roteando la spada. “Non pensavo di rivederti qui, mia signora” disse con un cenno di saluto. “Non eri forse al servizio di lady Sansa?”

“Lo sono” rispose fiera Brienne.

“Allora credo tu ti sia ritrovata nella battaglia sbagliata” replicò Bronn, “lady Sansa è nel Nord.” Brienne era stufa di sentirsi ripetere sempre le stesse frasi: neanche lei avrebbe voluto trovarsi là. “Combatti per i Tyrell?” chiese ancora Bronn “Per la Madre dei Draghi?”

Brienne roetò gli occhi. “Non credo sia tenuta a dirlo a te” rispose impugnando la spada a due mani.

Bronn sospirò. “Non avrei voluto finisse così.” 

Neanch’io, pensò Brienne mettendosi in posizione.

Bronn colpì per primo mirando alla gamba e Brienne fece appena in tempo ad intercettare il fendente. Lui fece una smorfia d’apprezzamento. Brienne spinse la lama verso l’alto, costringendo il mercenario a perdere il suo vantaggio. Bronn tentò un affondo a destra e subito dopo uno a sinistra. Era rapido e aveva i riflessi pronti. Non possedeva certo la forza bruta del Mastino, ma compensava questa mancanza con una più che discreta abilità con la spada. La sua tecnica di combattimento era molto particolare e sembrava un miscuglio di stili diversi. Brienne per fortuna era abituata ad adattarsi a situazioni estreme.

“Perché combatti per Cersei Lannister?” chiese per prendere tempo. Bronn tuttavia non interruppe certo la lotta e il combattimento li portò dentro le mura. I pochi soldati di guardia non accennavano a volersi intromettere.

“Combatto per oro” rispose Bronn menando un fendente alla gola, “è questo che significa mercenario.” Brienne scartò di lato per evitare che la spada di Bronn le tagliasse un braccio.

“Cersei è folle” esclamò Brienne, “sai quello che ha fatto, come fai a seguirla ancora?”

“I Lannister hanno l’oro” osservò Bronn, “piuttosto chiedilo a tutti questi bei soldati che credono nella sua causa.” Brienne strinse le labbra. Anche Jaime era rimasto al fianco di Cersei. Se la storia sul Re Folle è vera, si chiese, come può ancora appoggiare sua sorella? Forse perchè era sua sorella.

Ormai erano nel cortile. Alle loro spalle le urla di nemici e alleati diminuivano d’intensità. Le spade continuavano a cozzare e Brienne cominciava ad accusare la stanchezza. A giudicare dal sudore che imperlava la fronte di Bronn lo stesso si poteva dire di lui.

In quel momento da oltre le mura interne iniziarono a provenire delle grida strozzate e dei rumori di lotta. Bronn fermò il colpo e si girò verso la provenienza del frastuono. Brienne capì che gli scontri nel labirinto erano iniziati.

“Cosa sta succedendo?” chiese Bronn incredulo “Jaime aveva dato ordine di non entrare nel palazzo!”

Brienne sollevò lo sguardo. Davanti a loro si ergeva la porta est, che, come anticipato da Olenna Tyrell, era stata chiusa. Brienne vide un gruppo di soldati Lannister dirigersi verso i cortili di sinistra, quindi l’unico modo per allontanarsi dalla battaglia era andare a destra. Così, sfruttando il momento di distrazione di Bronn, Brienne si mise a correre in quella direzione, sparendo subito nel giardino adiacente.

Sentiva dei passi dietro di lei, ma non se ne curava più di tanto: nessuno di quei soldati aveva delle frecce. Superò una decina di graziosi cortiletti alberati e pieni di fontane prima di ritrovarsi davanti alla porta nord che Olenna aveva loro descritto.

Sotto l’arco della porta trovò Nymeria Sand, intenta a farsi scorrere la frusta fra le mani. Quando la vide arrivare scattò in piedi. Era accompagnata da sette uomini con stemmi delle casate dell’Altopiano.

“Che ci fai qui?” chiese Nym avvicinandosi “Era Baelor che doveva arrivare con i rinforzi…” Brienne era assolutamene certa di aver visto l’erede di Vecchia Città tentare di sfondare lo schieramento Lannister sotto le mura.

“Arriverà” disse convinta, “Piuttosto, perché siete voi qui? Lady Olenna ha detto di…”

“Lo so cosa ha detto” la interruppe brusca Nymeria, “ma restare nascosti era noioso. E comunque tutti i soldati sono entrati dalla porta sud: se ne stanno occupando Garth e i suoi.”

Brienne si guardò nervosamente dietro le spalle. “Senti, Nym” disse, “sta arrivando un gruppo di soldati, forse è meglio se…” Proprio in quel momento furono raggiunti. Fortunatamente Bronn si era portato dietro solo quattro soldati.

Nymeria sorrise. “Ora sì che mi diverto” disse. “Ben ritrovato, cavaliere, mia sorella Tyene ti saluta.”

Bronn sollevò le sopracciglia. “Dille che mi sono ricordato di un paio di donne più belle di lei” replicò. Poi indicò le siepi oltre la porta. “E’ un cazzo di labirinto quello?” 

Nymeria ghignò. “Non credo farai in tempo a scoprirlo” replicò. “Ho incontrato il tuo amichetto con la mano d’oro, non è riuscito nemmeno ad uccidermi.” Brienne sussultò, chiedendosi dove fosse in quel momento Jaime. Ma non aveva importanza.

Nymeria e Bronn avevano preso a scrutarsi avvicinandosi e Brienne raggiunse l’entrata del labirinto. Nym fece schiocchiare la frusta un paio di volte e fece per attaccare. All’improvviso frecce scagliate dal nulla colpirono due uomini di Nymeria, che caddero a terra ansimando. Nym si voltò verso l’entrata del cortile, dove erano apparsi gli uomini di Collina del Corno guidati da Randyll Tarly.

Bronn era stupito. “Che ci fate voi qui?” chiese in tono sospettoso.

“Ordini di ser Jaime” rispose Randyll facendo cenno ai suoi uomini di attaccare. Altre frecce partirono dai lunghi archi dei Tarly e il gruppo di Nymeria arretrò nel labirinto. Brienne capì che l’unica via di scampo consisteva nel tentare di far perdere le proprie tracce e, lentamente, avanzò verso il punto in cui il sentiero si ramificava, nascondendosi dietro una siepe. Non sarebbe morta in una guerra che non era la sua.

Nymeria invece non accennava a voler scappare ulteriormente e di fatto stava condannando i suoi uomini a morte. Uno dopo l’altro furono colpiti da frecce degli avversari o trapassati dalle loro spade. Nym combattè contro Randyll Tarly in persona e riuscì a tenergli testa per qualche tempo, finchè un soldato di Lunga Tavola non le affondò la lancia fra le scapole.

La ragazza cadde in ginocchio, abbandonandosi contro la pietra delle mura. Presto smise di respirare. Tutti i soldati dei Tyrell erano morti, ma Randyll continuò ad avanzare verso il cuore del labirinto. Bronn gli venne dietro.

“Il tuo lavoro qui è finito” disse, “i tuoi uomini servono fuori dalle mura: i Dothraki sono quasi arrivati al cancel…” Bronn non riuscì mai a finire la frase perché Randyll Tarly si era voltato di scatto colpendolo con la spada al torace. Brienne dovette reprimere un urlo di sorpresa.

Il volto di Bronn esprimeva incredulità mentre cadeva a terra contro la siepe. Il sangue sgorgava dalla ferita e tingeva di rosso le sue vesti. Randyll pulì la spada sui pantaloni e proseguì, mentre i suoi uomini si occupavano dei soldati Lannister che avevano seguito Bronn, prima di sparire anch’essi nel labirinto. Quando fu certa che se ne fossero andati, Brienne uscì dal suo nascondiglio.

Il sentiero che portava alla porta nord era sporco di sangue e coperto di cadaveri, Lannister e Tyrell in ugual misura. Bronn era ancora vivo e stava tossendo. Brienne gli si inginocchiò affianco.

“T-trova Jaime” balbettò lui, “trovalo e digli che è stato tradito.”

Brienne annuì. “Lo farò.”

“Credo sia in questo dannato labirinto” disse alzando gli occhi per vedere la siepe davanti a lui.

Brienne annuì nuovamente. “Vuoi che…?” chiese senza riuscire a finire la domanda. Bronn scosse la testa. “Voglio morire da solo” rispose, “mi sono sempre chiesto cosa si prova.” Poi chiuse gli occhi. Brienne si alzò in piedi e con un profondo respiro si addentrò nel labirinto.

Olenna aveva spiegato come orientarsi, quali fiori seguire per raggiungere le porte desiderate, ma Brienne non ricordava nulla. Allontanandosi dalla porta nord, Brienne si ritrovò a vagare senza meta. Sperava di poter trovare il gruppo di Garth prima che venisse attaccato dagli uomini di Tarly. Nymeria ha detto alla porta sud, ricordò, nonostante ciò non le desse alcun indizio circa la strada da seguire.

Brienne si chiedeva come stesse procedendo la battaglia oltre le mura esterne. Senza i soldati di Collina del Corno e Lunga Tavola a fermarli, i Dothraki dovevano essere ormai stati in grado di sfondare il portone. “Che poi era anche aperto” osservò Brienne continuando a camminare.

Qual era il piano di Randyll Tarly? Una volta che l’esercito di Daenerys avesse ripreso il castello, sarebbe rimasto intrappolato con i suoi uomini all’interno del labirinto. E che senso aveva tradire i Lannister se poi non si alleava comunque con i loro nemici?

Improvvisamente udì una voce provenire oltre la siepe alla sua destra. Raggiunse il varco fra le piante più vicino e si sporse leggermente, con estrema cautela. Davanti le si apriva una piazzola dal terreno di terra battuta delimitata dalle siepi. Vide non meno di venti cadaveri, ma dovette interrompere il conto perché la sua attenzione fu attratta da qualcos’altro.

Randyll Tarly era in piedi al centro della piazzola e le dava le spalle. Puntava la spada contro un uomo disteso ai suoi piedi la cui arma era volata qualche metro più in là. Brienne rabbrividì quando si rese conto si trattava di Jaime.

“Avrei preferito ucciderti in piedi con una spada in mano” stava dicendo Randyll con disprezzo, “ma non credo faccia alcuna differenza.”

Brienne lo vide sollevare la spada e agì d’impulso, senza pensare minimamente alle conseguenze. In quel momento non le interessava l’onore o il buon senso che le suggeriva di rimanere nascosta: in quel momento le interessava solamente che quella spada non colpisse Jaime Lannister. Non si accorse nemmeno di aver affondato la propria lama nella schiena di Randyll Tarly finchè non lo vide stramazzare ai suoi piedi. Rigidamente pulì la spada come faceva tutte le volte, tentando di evitare lo sguardo esterrefatto di Jaime.

“Brienne” mormorò lui visibilmente sconvolto senza nemmeno provare ad alzarsi.

“Ti conviene rimetterti in piedi” lo avvertì Brienne rinfoderando la spada, “potrebbero arrivarne altri.” Jaime apriva e chiudeva la bocca senza dire una parola. Brienne alzò gli occhi al cielo e gli porse la mano, aiutandolo ad alzarsi.

“Che ci fai qui?” chiese Jaime ancora incredulo.

“E’ una storia complicata” ammise Brienne guardandosi nervosamente intorno, “ci conviene allontanarci da qui…” Fece per dirigersi verso un nuovo sentiero, ma Jaime la trattenne per il braccio.

“Combatti per Daenerys Targaryen?” le chiese e nonostante tutto Brienne ebbe voglia di dargli un pugno in faccia. Jaime dovette intuire le sue intenzioni, perché lasciò la presa.

“Mi hai salvato la vita” osservò, “grazie.”

“Ti ho restituito il favore” precisò Brienne. Poi abbassò lo sguardo. “Il tuo amico Bronn è morto” disse a bassa voce, “mi dispiace.”

Jaime non sembrava sorpreso. “Lo so” disse infatti, “l’ho trovato agonizzante mentre entravo nel labirinto.” Brienne sgranò gli occhi. Bronn le aveva detto di cercare Jaime nel labirinto, ma adesso scopriva che in realtà ci era entrato dopo di lei. Dov’era stato fino a quel momento?

“Allora” chiese con amara ironia Jaime, “come ci si sente dopo aver colpito un uomo alle spalle?” Jaime scoppiò a ridere, una risata senza gioia. “Tutti mi hanno sempre rimproverato di aver pugnalato il Re Folle alla schiena” disse, “ma qual è la differenza?”

Brienne non era in vena di ragionamenti filosofici. “Ascoltami” disse, “i soldati di Randyll Tarly hanno lasciato le loro postazioni. Presto gli uomini di Daenerys prenderanno il castello: potrebbero essere già entrati in questo momento…”

“Aye” disse Jaime annuendo, “ho lasciato dei soldati a proteggere le mura, ma non potranno resistere a lungo. Speravo almeno di portare in salvo gli uomini che sono entrati qui.”

Brienne decise di rivelare i piani di Olenna. “Garth Hightower ha un pugno di uomini alla porta sud” disse, “secondo Nymeria anche i tuoi soldati si troverebbero lì, ma se verranno raggiunti da Randyll Tarly, saranno uccisi tutti senza distinzioni. Ha non meno di cinquanta uomini con sé.”

Jaime si morse un labbro. “E tu perché mi stai dicendo questo?” chiese “Perché riveli i piani del tuo esercito?”

“Io non combatto per Daenerys Targaryen” rispose tagliente Brienne, “io sono al servizio di lady Sansa.”

“Sì, questo me l’avevi già detto” la interruppe Jaime. “Ma allora perché ti trovi qui?”

“Ti ho detto che è una lunga storia” ripeté Brienne, “non credo sia una priorità adesso.”

Jaime la fissò. “No, non lo è” ammise. Poi sospirò. “Allora” disse, “cosa mi consigli di fare?”

Brienne ci pensò qualche momento. “Esiste una porta a ovest…”

Jaime subito la interruppe. “Lo so” disse, “ci sono passato.”

“Se la smettessi di interrompermi” disse Brienne irritata, “forse potrei concludere qualcosa.” Jaime alzò le mani in segno di resa.

“Se raggiungi le mura esterne da lì” continuò Brienne, “potrai calarti a terra e fuggire. Se segui il fiume potrai tornare ad Approdo del Re.”

Jaime annuì. “Potrebbe funzionare” disse soppesando l’idea, “così come loro le hanno scalate io potrei discenderle. Anche se ho una mano d’oro…”

“Ti calerò con una corda” propose Brienne.

Jaime annuì di nuovo. “Perché lo stai facendo? Non sei tenuta…”

Non lo so perché lo faccio, pensò Brienne e non rispose. “Dobbiamo andare” disse solamente, “a cercare i tuoi uomini.” Si misero in cammino senza scambiarsi più una parola. Seguirono le voci e qua e là trovarono nuovi cadaveri. A un certo punto furono quasi attaccati da un gruppo di una decina di soldati Lannister.

“Fermi, sono io” disse Jaime, “dove sono gli altri?” Gli uomini si guardarono.

“Alcuni sono morti, ser” disse un ragazzo che poteva avere al massimo vent’anni, “gli altri si nascondono. Non sappiamo come uscire…”

Un ricordo improvviso fulminò Brienne. “I fiori viola!” esclamò e tutti la guardarono confusi “Se seguite i fiori viola troverete la porta ovest. Salite sulle mura e calatevi come meglio potete a terra. Poi aspettate ser Jaime.” I soldati la guardavano sospettosi.

“Fate come vi dice” ordinò Jaime, “io vi raggiungerò.”

Gli uomini si allontanarono e Jaime e Brienne si rimisero in cammino. Incontrarono altri gruppi più o meno numerosi di soldati Lannister che si erano nascosti per evitare di cadere nelle imboscate degli uomini di Garth. A tutti Brienne spiegò la stessa cosa e tutti ebbero bisogno della conferma di Jaime. Alla fine arrivarono alla porta sud. Lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era surreale.

Una trentina di soldati Lannister aveva unito le forze con il gruppo di Garth per affrontare i traditori, che tuttavia risultavano in vantaggio. I cadaveri si stavano accumulando. Jaime fece per gettarsi nella mischia, ma Brienne lo trattenne.

“Dove vai?”

“A combattere” rispose Jaime fissandola stupito, “sono il loro comandante…”

“Non puoi fare nulla” disse Brienne, “dobbiamo andare…”

Jaime la guardò come se fosse impazzita. “Non posso lasciarli qui a morire” disse aggrottando la fronte.

“Devi” replicò Brienne sicura, “così come hai lasciato a morire i soldati sulle mura ad est. Se Garth è fortunato verrà a salvarli l’avanguardia di suo fratello, ma in ogni caso per i tuoi uomini sarà la fine. Se ora vai rimarrai ucciso per niente.”

“Non voglio fuggire da codardo” disse Jaime irato.

“I tuoi uomini hanno bisogno di te” continuò Brienne decisa a essere forte, “gli uomini che ora ti aspettano su quelle mura, gli unici per cui la tua presenza può fare davvero la differenza.” Gli prese la mano sinistra e gliela strinse.

“So che è difficile” disse, “ma è la cosa giusta da fare.”

Jaime rimase a guardare qualche secondo la battaglia che ancora infuriava, poi si voltò e tornò sui suoi passi. Brienne gli venne subito dietro. Seguendo la pista dei fiori viola trovarono la porta ovest in pochi minuti e risalirono sulle mura esterne. A terra erano già scesi più di cinquanta uomini.

“Guarda quanti sei riuscito a salvarne” disse Brienne con un sorriso.

“Sei stata tu a salvarli” replicò Jaime guardandola negli occhi. “Quando i Tyrell avranno vinto, ti prego, fa’ avere sepolture dignitose a Bronn. Troverete il suo cadavere nella siepe vicino alla porta dove è morto.”

Brienne annuì. “Farò tutto il possibile” promise. Poi prese in mano una corda che trovò per terra e la porse a Jaime. “Legala intorno alla vita” suggerì, “io ti calerò a terra.”

“Non sei abbastanza forte” scherzò lui, ma fece come gli era stato detto. Brienne sentì qualcosa sciogliersi in lei mentre lo vedeva posizionarsi sul bordo. Sembrava combattuto.

“Brienne” disse Jaime in tono indecifrabile, “Bronn mi ha detto una cosa prima di morire… Ha detto che secondo lui tu… Tu, ecco, provavi qualcosa per me…” Brienne ci rimase di sasso e probabilmente arrossì anche, come una stupida ragazzina. Come poteva essersene accorto? Deglutì un paio di volte e scelse le parole da utilizzare.

“Io provo qualcosa per te” ammise, “da quando quella volta sei sceso nella fossa dell’orso. Ti ammiravo e mi chiedevo come era possibile che una persona così sensibile come te potesse fingere di essere egoista e prepotente. Quello non eri tu…”

Jaime abbassò lo sguardo. “Lo so” replicò con voce rauca, “non ero io, ma se sono tornato almeno in parte quello che sono veramente è solo grazie a te Brienne. Te ne sono grato.” Fece una pausa e si morse il labbro.

“Anch’io provo qualcosa per te.”

Brienne sentì tutto il suo corpo tremare. Lei che era così brava a dissimulare le proprie emozioni, stava lasciando che queste avessero il sopravvento.

Jaime aveva gli occhi lucidi, ma ora la stava guardando in faccia. “Vorrei che le cose fossero andate in modo diverso” mormorò commosso, “vorrei aver fatto scelte diverse. Non c’è futuro per noi, Brienne, ho scelto Cersei molti anni fa e, nonostante tutto quello che ha fatto, non posso voltarle le spalle. Non sono abbastanza forte.” Ora stava piangendo per davvero.

“Vorrei potermi strappare il simbolo del leone dal petto” continuò, “e vivere una vita semplice, magari con te, ma non posso. Non ho niente da offrirti, Brienne, non ti merito.” Brienne sentì le lacrime scorrerle lungo le guance prima che potesse ricacciarle indietro.

“Un giorno troverai un uomo che ti ami” stava dicendo Jaime, “e che tu amerai, e allora sarai felice. Te lo auguro, Brienne, ma non posso dividere con nessuno il peso delle mie scelte, men che meno con le persone a cui voglio bene.” Jaime si lasciò cadere oltre le mura e Brienne dovette trattenere la corda fino a spellarsi le mani.

“Jaime” lo chiamò quando ormai aveva toccato terra. Jaime sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi arrossati.

“Io devo tornare nel Nord” disse, “lady Sansa ha bisogno di me.”

Jaime dal basso annuì. “Questo quindi è un addio.”

I suoi uomini avevano già raggiunto il fiume. Brienne non sapeva cosa dire, il dolore le faceva impigliare le parole in gola. Cosa avrebbe voluto, che Jaime Lannister rinunciasse a tutto per lei?

“Lo è” disse, i suoi occhi allacciati a quelli di lui.

“Mi mancherai, Brienne” disse Jaime in tono dolce, “sei la donna più speciale che abbia mai incontrato e ti devo tanto.” Brienne temette di poter scoppiare a piangere di nuovo. Fece cadere la fune, che si arrotolò a terra molti piedi più in basso. Ora c’erano le mura a dividerli e nessun modo di colmare quella distanza.

“Ti auguro buona fortuna” disse Brienne combattendo contro la malinconia.

Jaime strinse le labbra, il viso ancora rivolto in alto. “Buona fortuna” ripeté e poi si voltò, camminando verso i suoi uomini.

Alle sue spalle Brienne udì il corno della vittoria suonare e seppe che avevano vinto. Tutto ciò però non aveva importanza quando la guerra che si combatteva non aveva senso. Nel pallido sole del tramonto Jaime si voltò a guardarla un’ultima volta. I loro ruoli sembravano essersi invertiti dal loro incontro a Delta delle Acque. Brienne ora era sulle mura e Jaime in fuga, ma la tristezza era rimasta.

Nessuno dei due salutò, nessuno parlò o fece alcun cenno. Jaime si girò ancora una volta e proseguì a passo più svelto e Brienne rimase immobile, senza più tentare di trattenere le lacrime. Per il momento potevano scorrere, ci avrebbe pensato in seguito ad asciugarle. Presto la sagoma di Jaime si confuse con le altre, troppo lontane per essere riconosciute, e Brienne sentì qualcosa dentro spezzarsi.

Entrambi sapevano che non si sarebbero mai più rivisti.

 

Tyrion

 

La salita a Capo Tempesta fu più faticosa del previsto. I gradini di pietra non erano scivolosi, ma erano troppo alti per le gambe tozze e storte di Tyrion. Il nano fu costretto a far fermare il piccolo corteo non meno di tre volte perché era rimasto indietro. Il capo delle guardie, che Davos aveva detto chiamarsi Gilbert Farring, gli lanciava occhiate sospettose e Tyrion non riuscì a trattenersi.

“Sono uno spettacolo così raccapricciante?” chiese sarcastico cercando di tenere il passo. Ser Gilbert non lo degnò di una risposta. Tyrion iniziava a capire perché Stannis avesse scelto un uomo del genere come castellano di Capo Tempesta. Sbuffando, riprese a salire. Gendry almeno sembrava più rilassato e forse aveva perfino fatto breccia nella corazza spietata di Farring.

“Cosa succederà ora?” chiese Tyrion a Davos in un sussurro.

“Ascolteranno quello che abbiamo da dire” assicurò il Cavaliere delle Cipolle, “ma poi probabilmente metteranno Gendry alla prova, per vedere se veramente è il figlio di Robert.” Tyrion decise di non chiedere che tipo di prova dovevano aspettarsi.

Finalmente arrivarono in cima alla scogliera battuta dal vento e Tyrion si prese un attimo per ammirare il panorama. Il golfo sembrava così quieto e il mare era liscio. Non appariva come il luogo dove potesse scatenarsi una tempesta. Davos dovette indovinare i suoi pensieri, perché si avvicinò.

“Non farti illudere” gli suggerì. “Stannis mi ha raccontato che al tempo del regno di Aerys lui e Robert erano su questa scogliera a guardare la nave dei loro genitori rientrare nella baia. Il mare era calmo, ma all’improvviso si è alzato un forte vento e ha iniziato a piovere e la nave è affondata. Lord Steffon e lady Cassana sono morti in quel naufragio e Stannis e suo fratello non hanno potuto fare nulla.”

Tyrion rabbrividì. “Forse è meglio entrare” disse voltando le spalle alle placide acque del mare.

Seguirono Gilbert dentro le spesse mura di Capo Tempesta e attesero qualche minuto nel cortile brullo. Tyrion sapeva che i Baratheon erano rinomati per il disprezzo che provavano nei confronti dello sfarzo e del futile, in questo erano simili agli Stark anche non potevano vantarsi della stessa storia gloriosa.

Quella dei Baratheon era la casata maggiore più recente dei Sette Regni e, fino all’incoronazione di Robert, non erano stati molto potenti. Le loro tradizioni avevano da sempre combaciato perfettamente con le regole che Aegon il Conquistatore e i suoi discendenti avevano imposto e di conseguenza le Terre della Tempesta potevano sembrare il regno meno attaccato ai propri costumi, soprattutto se confrontato con il Nord o Dorne. Tuttavia Tyrion era certo che la gente della Tempesta conservasse gelosamente le proprie tradizioni, ma non era sicuro di volerle scoprire.

Alla fine anche l’enorme portone di bronzo, l’unico ornamento permesso in quel castello, venne aperto e Davos li guidò attraverso i corridoi. All’interno Capo Tempesta assomigliava sorprendentemente a Roccia del Drago, ma i soffitti erano più alti e la pietra più levigata. Tyrion notò che Gendry si guardava intorno nervoso, ma non aveva parole per confortarlo.

Arrivarono nella sala dei banchetti e Tyrion si stupì di trovarla così illuminata. Erano state accese sicuramente più di cento candele, che non erano solo posizionate sui lampadari, ma anche lungo le pareti. Tyrion dovette trattenere un sospiro di sollievo vedendo la sala gremita di gente. Le panche avevano una forma strana ed erano disposte a semicerchio intorno a quello che un tempo doveva essere stato il trono dei Re della Tempesta, che di fatto era una sedia normalissima con lo schienale leggermente più alto.

Ser Gilbert venne avanti. “Miei signori” disse in tono ossequioso, “vi presento Gendry Baratheon, figlio naturale di re Robert, accompagnato da ser Davos Seaworth e Tyrion Lannister.” Tyrion era certo di aver visto la faccia di Gilbert contrarsi in una smorfia mentre pronunciava il suo nome. Dovrai abituarti.

“Allora è vero” disse un uomo anziano seduto in prima fila, “uno dei bastardi di re Robert era riuscito a salvarsi. Se sei chi dici di essere allora sei mio pronipote.” Gendry lo guardò esterrefatto. L’uomo si alzò e gli porse la mano. Davos invitò con lo sguardo Gendry ad accettarla.

“Lui è lord Eldon Estermont” spiegò Davos mentre i due si stringevano la mano, “lord di Pietraverde e zio di re Robert.” Tyrion sapeva che gli Estermont avevano mantenuto una posizione molto cauta durante la guerra, rifiutandosi di schierarsi apertamente per la fazione di Stannis piuttosto che per quella di Joffrey. Lord Eldon era stato molto abile a mantenere la pace con entrambi i re e aveva inviato il suo erede e il di lui figlio ad Approdo del Re. Tyrion si chiedeva che fine avessero fatto.

“Perché siete qui?” chiese un ragazzino di massimo diciasette anni seduto all’estrema destra del semicerchio. Aveva la fronte sporgente e lo sopracciglia unite sopra il naso che gli conferivano un’aria da uomo. Gendry si voltò verso di lui.

“Chiedo perdono, mio signore” disse in tono educato, “con chi ho l’onore di parlare?”

Il ragazzo ghignò. “Sono Lucos Chyttering” rispose in tono di sfida, “e vorrei sapere chi tu sia.”

“Sono Gendry Barathe…”

“Certo, certo” lo interruppe Lucos, “ma cosa sai della casata di cui porti il simbolo? Della sua storia, della sua gente…” Gendry abbassò lo sguardo e Lucos sorrise. Tyrion iniziava a considerarlo irritante.

“Come pensavo” disse il ragazzino, “solo un bastardo…”

Lord Eldon mise una mano sulla spalla di Gendry. “Non essere precipitoso, Lucos” disse con voce calma, “se Daenerys Targaryen ha voluto legittimizzare il figlio di re Robert allora vuol dire che…”

“Vuol dire che ha bisogno dei nostri uomini, fratello” lo interruppe un uomo stravaccato sulla panca accanto al posto vuoto di Eldon, “questa è la semplice verità.”

Eldon scosse la testa. “Credo ci sia di più, Lomas” disse voltandosi verso la sala, “forse qualcuno ci riconosce finalmente la nostra importanza.”

“Ah, ma per favore!” esclamò un uomo in seconda fila alzandosi in piedi. Indicò Tyrion. “Che razza di codardo si alleerebbe con un Lannister?” chiese a voce alta “Credevo l’ultima Targaryen dovrebbe odiare il fratello dell’uomo che le ha ucciso il padre.”

Tyrion corrugò la fronte. “Non ti conosco” disse pensieroso, “lord…?”

“Lester Morrigen” rispose l’uomo, “da Nido dei Corvi.”

“Bene, lord Morrigen” replicò Tyrion facendo un passo avanti, “mettiamo subito in chiaro un paio di cose. Io non sono mio fratello. E’ facile da ricordare, non ci assomigliamo nemmeno.” Ci furono delle risatine.

“Daenerys mi ha scelto come suo Primo Cavaliere” continuò Tyrion, “ma solo per la mia abilità nel dare consigli. Quindi ora ve ne voglio dare uno anche a voi. Daenerys vuole prendere il Trono di Spade e per farlo dovrà sconfiggere la mia dolce sorella. Vi ricordate di Cersei, vero? E’ accusata di aver fatto uccidere suo marito, il vostro lord e re.”

“Mio figlio Aemon e mio nipote Alyn sono morti nell’esplosione del Tempio di Baelor” disse in tono grave lord Eldon. Ecco che fine hanno fatto…

“Il punto è” proseguì Tyrion, “che ora avete l’occasione di vendicare il vostro re e di aiutare la legittima regina dei Sette Regni a sedersi su quel dannato Trono. Fateci un pensierino almeno.” Si alzò in piedi un uomo dalla folta barba scura. Gendry lo invitò a presentarsi.

“Sono Arstan Selmy” disse lui, “lord di Sala del Raccolto.” Tyrion sussultò: quell’uomo doveva essere imparentato con ser Barristan il Valoroso. Daenerys aveva raccontato più di una volta come Barristan avesse coraggiosamente difeso la sua città dai Figli dell’Arpia, perendo nel tentativo.

“Non ho rifiutato la chiamata di Renly Baratheon” stava continuando lord Arstan, “e in seguito i miei uomini hanno combattuto per re Stannis nella Battaglia delle Acque Nere. Molti l’hanno seguito alla Barriera e sono morti con il loro re. Ora un’altra regina chiede il nostro aiuto per sconfiggere i suoi nemici dal mare.”

Arstan sospirò. “La mia gente ha sofferto abbastanza” disse con amarezza, “abbiamo perso due guerre e i nostri campi sono abbandonati ai venti dell’inverno. Non possiamo costringere i nostri uomini ad un’altra battaglia.” Ci furono esclamazioni d’assenso.

“Sono d’accordo” intervenne un ragazzo seduto vicino a Lester Morrigen, “la mia casata ha supportato Stannis fin dal principio, io ho perso mio padre e i miei zii in guerra, ma non ci siamo mai tirati indietro al nostro dovere. Io sono disposto ad accettare un nuovo lord di Capo Tempesta, ma non chiedetemi di mandare i miei uomini in guerra ancora una volta.”

“Tu sei Duram Bar Emmon, vero?” chiese Davos e il ragazzo annuì. “Conoscevo tuo padre” continuò Davos, “un brav’uomo, devoto alla causa di Stannis. Il nostro re si fidava di lui, gli aveva affidato una nave nell’avanguardia alle Acque Nere.” Tyrion strinse le labbra: in fondo era stato lui ad ordinare il ricorso all’Altofuoco contro quelle navi.

“Stannis è morto” stava dicendo Davos, “e le vostre terre sono lacerate dall’anarchia e dal caos. Gendry non sarà cresciuto per diventare lord, questo è vero, ma neanche Robert era nato per diventare re. Questa è la vostra occasione non solo per prendervi la vostra vendetta, ma anche per portare la pace in queste terre, unendovi sotto un unico vessillo.” Duram taceva.

“Ma lui non è adatto a governare le Terre della Tempesta” intervenne nuovamente Lucos Chyttering, “non è il nostro signore.”

“Ci sarà tempo per imparare” ribatté Eldon Estermont, “io direi di dare a questo ragazzo la possibilità di dimostrare quanto vale.” Nessuno osò contraddirlo, in fin dei conti era pur sempre lo zio del loro defunto re. Lucos borbottò qualcosa e incrociò le braccia.

Gendry si fece avanti: sembrava più sicuro di sé di quanto Tyrion non l’avesse mai visto prima. “Avete ragione” disse ad alta voce, “io non sono il signore di cui avete bisogno, non conosco la storia della mia casata né i confini delle mie terre. Vi posso assicurare però che conosco la guerra. Non l’ho combattuta in armatura e a cavallo, ma l’ho vissuta. La fame, la paura, la perdita delle persone che si amano.” Gendry si era rattristato tutto d’un colpo.

“So quello che vi stiamo chiedendo” continuò dopo essersi ripreso, “i pericoli ai quali andrete incontro se appoggerete la nostra causa. Non conoscevo mio padre, non l’avevo mai visto e neanche sapevo di essere suo figlio fino a un paio d’anni fa. Non ho mai nutrito alcun sentimento benevolo nei confronti di Stannis: ha tentato di farmi bruciare sul rogo.” Molti nella sala trasalirono.

“Ser Davos mi ha salvato la vita” proseguì Gendry, “e mi ha detto di fuggire. Così sono fuggito. Poi la Madre dei Draghi e il Re del Nord mi hanno detto che sarei diventato lord di Capo Tempesta ed ho detto di sì. Che alternativa avevo? Quale alternativa avete voi? Daenerys è l’unica con un esercito abbastanza grande da poter sconfiggere Cersei, ma se ora voi non l’aiutate, Euron Greyjoy distruggerà ogni cosa alla Roccia del Drago.”

“Allora le voci sono vere?” chiese Duram Emmon “Le Isole di Ferro si sono alleate con Cersei Lannister?” Gendry annuì e Duram appoggiò la schiena allo schienale.

“Se la regina ha così tanti uomini” intervenne Lomas Estermont, “perché avrebbe bisogno dei nostri?”

“Perché ha inviato il suo esercito a combattere altre battaglie” spiegò Tyrion. Ser Lomas fece una smorfia. “Non molto saggio da parte sua” osservò sarcastico.

“Padre!” lo riprese il giovane seduto alla sua sinistra “Non sta a noi giudicare le azioni strategiche di un sovrano.” Si alzò in piedi. Era un giovanotto piuttosto attraente, con folti capelli castano chiaro e occhi color nocciola. Avanzò finché non fu davanti a Gendry. “Le tue parole mi hanno convinto” disse con un sorriso sincero, “credo tu abbia la stoffa di un comandante, anche se ci sono molte cose che dovrai imparare.” Estrasse la propria spada e Tyrion temette avesse cattive intenzioni. Si tranquillizzò solo vedendo il sorriso di Davos. Il giovane posò la spada ai piedi di Gendry e si inginocchiò.

“Il mio nome è Andrew Estermont” disse a capo chino, “sembra che io sia tuo zio… Spero di poterti servire con onore.” Gendry era rimasto senza parole, forse troppo incredulo per poter rispondere.

“Accettiamo con gioia la tua fedeltà, ser Andrew” intervenne Davos in tono di cortesia, “alzati per favore.” Andrew si rimise in piedi.

“La casata Estermont sosterrà Gendry Baratheon come legittimo lord di Capo Tempesta” disse lord Eldon guardando fieramente il nipote, “e non verrà meno al suo dovere nei confronti della vera regina dei Sette Regni.”

“Eldon, è una follia!” esclamò Lomas esterrefatto.

“Taci, fratello” lo rimproverò duramente Eldon, “ho preso la mia decisione. Perfino tuo figlio ha capito meglio di te: non è follia servire il proprio signore.” Ser Lomas serrò i pugni con rabbia, ma non disse niente. Tyrion capì che stavano procedendo bene. Gli Estermont erano la più importante famiglia delle Terre della Tempesta dopo i Baratheon, ed averli dalla loro parte era un grande risultato. Come previsto, gli altri lord iniziarono a parlare a bassa voce fra di loro. Ser Andrew si risedette, mentre Eldon rimase in piedi.

“Non dirò che il ragazzo si sia comportato male” prese la parola lord Morrigen, “ma ciò non vuol dire che noi dobbiamo seguire una regina straniera che, a quanto ho sentito, ha portato nel Continente Occidentale dei Dothraki selvaggi.” Lucos Chyttering alzò il proprio calice in segno di assenso. A Tyrion quel ragazzino sembrava sempre più antipatico.

“Non è una regina straniera!” esclamò una vocetta acuta dal fondo della sala. Tyrion strinse gli occhi e vide un bambino che ad occhio e croce doveva avere sette anni venire verso di loro.

Nonostante la giovanissima età, aveva dei tratti così raffinati ed eleganti da renderlo immediatamente riconoscibile nella folla che si era accalcata nella sala. I suoi capelli erano di un biondo chiaro e gli arrivavano alle spalle e la sua pelle era bianca come il latte. Aveva occhi azzurri e lentiggini sul naso e indossava vestiti troppo imponenti per la sua corporatura minuta.

“Sono Monterys Velaryon” disse il bambino e Tyrion sgranò gli occhi. I Velaryon discendevano dall’antica Valyria e condividevano lo stesso sangue dei Targaryen. Spesso i re del drago si erano sposati con esponenti di quella casata per mantenere puro il loro prezioso sangue.

“Lord delle Maree” stava dicendo il piccolo Monterys, “e mastro di Driftmark. La mia famiglia è sempre stata fedele ai Targaryen, quindi la nostra adesione alla causa della regina è fuori discussione, ma ora mi rivolgo a coloro che ancora non hanno ancora scelto.” Il bambino, con grande compostezza, si girò verso la sala che lo guardava in rispettoso silenzio.

“Quanto tempo credete passerà prima che Cersei nomini uno dei suoi scagnozzi per governare le vostre terre?” chiese con la sua voce leggermente stridula “Volete davvero vedere la casa dei Baratheon estinguersi? Scomparire come non fosse mai esistita? Certo, Gendry non ha esperienza, ma che importa? Ha tutta la vita per imparare, proprio come me. Quando Daenerys Nata dalla Tempesta siederà sul Trono di Spade, alle Terre della Tempesta sarà concessa la pace e la possibilità di ricostruire ciò che la guerra ha distrutto. Dovete avere coraggio ed aiutare la legittima regina a riprendersi i Sette Regni e così avrete anche la vostra vendetta.” Tyrion credette in quel momento di non aver mai sentito discorso più convincente.

Dovette risultare efficacie, perché Lester Morrigen sorrise. “Mio fratello era nella Guardia Reale di Renly Baratheon” disse, “è rimasto ucciso nella Battaglia delle Acque Nere. Non avrei mai pensato di poterlo vendicare, ma sembra sia arrivato il momento. Gli uomini di Nido dei Corvi seguiranno il signore di Capo Tempesta ovunque egli riterrà giusto.” Tyrion quasi tirò un sospiro di sollievo quando uno dopo l’altro tutti i lord giurarono fedeltà a Gendry.

Duram Emmon gli offrì gli uomini di Punta Acuminata e lady Mertyns quelli di Bosco delle Brume. Anche coloro che erano rimasti in silenzio ora parlavano tutti insieme e Tyrion riconobbe molte antiche casate. Grandison, Errol, Swann, Fell, Wylde, Connington, tutte si dichiararono in favore della causa della regina dei draghi. Davos sorrideva e si occupava delle conversazioni, mentre Gendry tentava di rispondere a tutte le domande che gli venivano poste.

Nessuno faceva caso a Tyrion, che dal canto suo era felicissimo così. Non avrebbe sopportato le solite insinuazioni riguardo al suo presunto tradimento o gli insulti che ormai erano diventati la prassi. Alla fine tutti acclamarono Gendry Baratheon come lord di Capo Tempesta e Tyrion poté tirare un sospiro di sollievo.

“Sì, sì molto bene” disse con voce che tradiva la fretta, “credo abbiamo festeggiato abbastanza. E’ tempo di prendere il mare per la Roccia del Drago: la regina ci sta aspettando.” Gendry ripeté subito l’ordine, con il tono di chi si sta abituando ad un ruolo di comando, e tutti i presenti ruggirono il loro entusiasmo. Strano, pensò Tyrion sarcastico, è così facile manipolare gli esseri umani, fino a un’ora fa ci avrebbero volentieri lasciato ai pesci…

Ma tutto questo non aveva importanza ora che avevano raggiunto il loro scopo. La missione aveva avuto un successo strepitoso, ma Tyrion era ancora inquieto. Fece scorrere lo sguardo sulla sala in festa. Abbiamo guadagnato abbastanza uomini per poter fare la differenza, si disse. Adesso Daenerys ha i numeri per battere Euron.

Un pensiero però continuava a tormentarlo: sarebbero tornati in tempo?



                                                  "Ogni giorno, quello che scegli, quello che pensi e quello che fai è ciò che diventi."



N.D.A.

Bentornati a tutti! L'estate sta finendo e immagino starete tutti tornando (o siate già tornati) alla vita quotidiana...
Mi scuso subito se questo capitolo è venuto fuori un po' triste... Fin dal titolo si capiva che non sarebbero state rose e fiori XD

Abbiamo la conclusione della battaglia di Alto Giardino con la vittoria dei Tyrell (e quindi di Daenerys) su Lannister e alleati di Euron Greyjoy. L'addio fra Jaime e Brienne è stato straziante da scrivere, sono due personaggi che adoro e che riconosco avrebbero un potenziale enorme insieme. Ma non sempre la vita va come desideri e a volte brutte scelte del passato ti condizionano per sempre. Non è sicuro riuscire a riconominaciare e nel loro caso non era possibile. Jaime non poteva semplicemente cancellare tutto il male che aveva fatto, nonostante davvero volesse una vita nuova, magari con Brienne. Non ha scelto Cersei, non prova più nulla per lei, ha scelto la responsabilità per le sue azioni passate e l'unico modo per rimanere fedele a sé stesso senza fuggire come un codardo. Lo deve almeno ai suoi uomini che l'hanno sempre seguito. So che magari molti di voi volevano un lieto fine per questi due, ma ritengo che così sia più realistico e più IC.

Per quanto riguarda il Nord la situazione è degenerata e presto si rischierà un conflitto armato contro i Cavalieri della Valle. Una precisazione... Nei libri Barbrey dice a Theon che le ossa di Ned sono state bloccate all'Incollatura e che, semmai fossero giunte a Grande Inverno, le avrebbe date ai cani. Nella serie però è specificato più volte che Ned sia stato seppellito, quindi ho cambiato leggermente la cosa facendo che Barbrey avesse tentato di appropriarsi delle ossa, tuttavia fallendo.

Per quanto riguarda il meeting a Capo Tempesta mi sono basata sui libri per tutti i lord che si incontrano, cambiando quando dovevo la loro backstory se andava in conflitto con la serie. In particolare ser Andrew nei libri è assegnato alla protezione di Edric Storm, un altro dei figli di Robert che non esiste nella serie, quindi qui ho scelto di fargli giurare fedeltà a Gendry.

Inoltre è bene specificare che tecnicamente Jon, pur avendo acconsentito a cedere l'indipendenza del Nord e sposare Daenerys, non ha ancora perso il suo titolo in quanto l'accordo verrà stipulato solo al momento del matrimonio, o almeno questi sono i piani finora.

Come al solito ringrazio i miei fedelissimi recensori e le nuove arrivate, in ordine: giona, __Starlight__, GiorgiaXX, pillyA (benvenuta!) e Paola92 (benvenuta!). Un ringraziamento anche a tutti gli altri recensori che continuano a seguire la storia e che tentano disperatamente di rimettersi in paro XD e a tutti coloro che leggono senza recensire... Un abbraccio a tutti quanti!
Spero il capitolo vi sia piaciuto e ci vediamo tra due settimane!


NB: la citazione di stavolta è del filosofo Eraclito, atuore della dottrina (seppur mai da lui enunciata con tali parole) del "panta rei". L'ho pensata appositamente per Jaime, per far capire quanto le scelte di tutta una vita possano influenzare pesamentemente una persona, ma si adatta a qualsiasi personaggio.


 

   
 
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