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Autore: Lost In Donbass    02/09/2018    0 recensioni
Denis è arrogante, spaccone e attaccabrighe, ma in realtà cerca solo qualcuno da amare. E che lo ami a sua volta.
Valentina è depressa e devastata, ma riesce sempre a dipingersi un sorriso sulle labbra. Per ora.
Ylja ha una famiglia distrutta, un fidanzato disturbato e gli occhi più belli di tutta la Russia. Però è tremendamente stanco.
Valerya ha tanti demoni, lo sanno tutti. Nessuno però ha mai tentato di esorcizzarla.
Aleksandra sembra essere la ragazza perfetta, anche se nasconde un segreto che non la farebbe più sembrare tale.
Kuzma tira le fila e li tiene tutti uniti, è quello che li salva. Eppure sa che non farà una bella fine.
Sono arrabbiati e distrutti. Sono orgogliosi e violenti. Amano, odiano, bevono e si sballano.
Sono i ragazzi del Blocco di Ekaterimburg e questa è la loro storia.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO DUE: I SEGRETI DI VALYA

Got a secret
Can you keep it?
Swear this one you’ll save
Better lock it in your pocket
Taking this one to the grave
(The Pierces – Secret)
 
Valerya Tugusheva, nota a tutti come Lera, aveva i capelli più rossi che la città avesse mai visto. Sanguigni, scarlatti, morbidamente mossi, erano l’invidia di tutte le ragazze di Ekaterimburg. Tutti avevano desiderato almeno una volta passare le mani in quella massa di rosso brillante che incorniciava un visetto rotondo divorato dalle efelidi, o perdersi nei grandi e malinconici occhi d’inchiostro che facevano a pugni con i capelli. Non era normale, Lera Tugusheva, non lo era mai stata. Perché come era piuttosto singolare il suo aspetto, altrettanto singolare era la sua mente. Dotata di un’intelligenza fuori dal comune, la banda del Blocco tentava da anni di proteggerla dal mondo esterno. Non avevano mai capito se la loro amica fosse autistica, affetta da sindrome di Asperger o da chissà cos’altro, ma non importava: a loro bastava difenderla come fosse la loro zarina. Volevano preservare la dolcezza muta che sgorgava dagli occhi d’ossidiana, assicurare sicurezza a quella bambolina vestita con ridicoli abiti a palloncino e nastri colorati. C’erano volte in cui si chiedevano come mai Lera avesse scelto loro, cosa l’avesse spinta ad aggregarsi alla banda di teppisti più sgangherata del Blocco, ma erano tutte domande oziose. Erano fieri di poter avere con loro la ragazza più stupefacente di tutta la Russia, di essere stati prescelti come cavalieri della principessa con i capelli di sangue.
Anche in quel momento, stravaccati nel covo, la guardavano con affetto mentre sistemava pacifica la grande casa delle bambole che faceva la sua lustra figura in un angolo. Era così carina, con le sue lunghe trecce e il vestito a sbuffo di un tenue azzurro pastello, le manine lentigginose che si muovevano sicure tra i capelli delle sue bambole.
In realtà, anche la casa tutta rosa che Lera aveva sistemato faceva piuttosto a pugni con il covo in sé per sé. Si trattava di una grande stanza con le pareti di cemento nudo, incastrata nei fondi del palazzo di Valya, arredata come fosse un rifugio antiatomico. Amache, poster, una scrivania, libri e dischi di ogni tipo, mensole, quaderni, cibo, un impianto stereo scassato e addirittura un’altalena appesa al soffitto facevano la loro bella figura nel Covo. Sulla pesante porta di ferro campeggiava invece un grosso graffito con intrecciate le loro sei iniziali. Quel rifugio avrebbe potuto raccontare più storie che un grande scrittore: tra le sue mura, vi erano incastrati i sentimenti conturbanti dei suoi sei abitanti, le loro vicende, le loro liti, i loro drammi. Grondavano avventure, quei muri di cemento, almeno tanto quanto i ritratti che Kuzma faceva compulsivamente. Anche quel giorno era impegnato a fare un carboncino di Lera e Sasha, una impegnata a giocare e l’altra a scorrere le notifiche del cellulare, una pacifica e l’altra imbronciata. Kuzma amava disegnare, ed era capace di tirare fuori veri e propri capolavori da quei blocchi di fogli che si trascinava costantemente dietro. Ritratti. Sempre ritratti dei suoi amici, con ogni espressione, in ogni posa. A volte riusciva a cogliere attimi irripetibili, era capace di andare  più a fondo di quanto possa farlo uno psichiatra – rimaneva tutto incastonato nelle sue matite, nei suoi schizzi, nei suoi acquerelli. Non sapeva come facesse davvero, gli bastava un’occhiata ed ecco che tutto si riproduceva su carta, usciva fuori tutto, segreti, dolori, risate: i disegni assorbivano qualunque cosa. La depressione che Valya nascondeva dietro agli occhi. La dolcezza che Denis dissimulava nella rabbia. La follia che animava il sorriso di Lera. I segreti che divoravano la bellezza di Sasha. Le famiglia distrutta che Ylja tentava di allontare. Ma c’era una cosa che spaventava Kuzma, e quella erano gli autoritratti. Lui sapeva, in qualche accesso di autocompiacimento, di avere le capacità di catturare l’anima delle persone nei suoi disegni ed era proprio per questo che era terrorizzato dal disegnare sé stesso. Non voleva vedere la sua vita riflessa negli occhi ciechi di uno schizzo, non voleva venire a patti con qualcosa che tentava di nascondere. A volte si guardava allo specchio, passandosi una mano tra i corti capelli biondo grano e si chiedeva chi fosse quel ragazzo di belle speranze che lo fissava con un sorriso sicuro e vagamente altezzoso. Dov’era finito il bambino sensibile e solitario che si ricordava? Era cresciuto così in fretta da non sapere nemmeno più chi fosse il vero Kuzma e chi invece fosse il Kuzma tirato su per la vita da strada. Si guardava e scuoteva la testa, ripensando alle poesie di Lermontov che sua madre gli leggeva la sera, prima di dormire, ripensando ai mazzi di fiori in tavola, al sorriso triste di sua nonna. Dov’era tutto quello? Dov’erano finiti i suoi ricordi di anni felici? E cosa sarebbe apparso se avesse osato dipingersi? Dolore, solitudine, amore. Oppure rabbia, inadeguatezza e nervosismo abilmente dissimulato. Non lo sapeva, e non voleva scoprirlo. C’era già così tanto da affrontare ogni giorno che non glielo diceva il cuore di andarsi anche a sobbarcare sedute psicologiche a tu per tu con sé stesso.
Calcò un po’ la matita, cercando di cogliere meglio la luce che si rifletteva nei capelli di Lera, e silenziosamente si beava di quel silenzio. Appena Valya e Sasha erano entrate, come era presumibile, Denis era subito partito all’attacco e la bionda non era stata da meno. Tra lui e Valya, invece, era bastata una rapida occhiata, e prontamente la ragazza si era frapposta tra i due litiganti, trascinando fuori Denis prima che venissero alle mani. Erano rimasti dunque lui, Aleksandra e Valerya a godersi la tranquillità del covo, ognuno impegnato nella propria attività preferita, una vecchia canzone dei Potap & Nastya a fare da colonna sonora al loro disimpegno. Certo, non era entusiasta del fatto che i suoi due amici fossero in guerra aperta ma già che Valya si era presa la briga di portare via uno dei due, tanto valeva approfittarne e fare finta di niente. Tanto più che quel ritratto di Lera stava venendo letteralmente divino. Girò soddisfatto il foglio alla luce della lampadina e stava per cominciare a fare gli ultimi ritocchi che la voce di Sasha non risuonò
-Dimmi la verità, Kuzja, cosa ti ha detto Denis?
La ragazza si tolse le cuffiette e spense il telefono, fissando l’amico con i suoi grandi occhi di un bel verde brillante.
Ci risiamo, pensò Kuzma, preparandosi alle solite sedute da psicanalista in erba. Posò il disegno e accavallò le gambe
-Niente, tesoro, assolutamente niente. Dai, è inutile che ti fai del sangue marcio, lo sai meglio di me che tornerete insieme a tempo di record.
-Questa volta no!- strillò lei, sbattendo il piede per terra.
-Lo dici ogni volta, Sasha, smettila.- Valerya alzò lo sguardo e alzò un sopracciglio.
Poi, come ad essersi resa conto di essere suonata un po’ dura, si alzò e roteò nel suo vestitino da bambola fino ad abbracciarla
-Tu e Den siete una coppia tenerissima. Anche questa volta si risolverà tutto.
Sasha si morse il labbro, ma ricambiò l’abbraccio, stampando un bacio sulla guancia lentigginosa dell’amica storica
-Grazie, Leroch’ka. Sei così dolce, come al solito.
A volte capire veramente cosa pensasse la rossa non era molto semplice; infatti, Kuzma non stava capendo se considerasse davvero Aleksandra e Denis una coppia tenerissima o se lo stesse dicendo solamente per tranquillizzare la bionda. Era di dominio pubblico il fatto che la coppia più esplosiva del Blocco fosse di fatto l’assortimento dei due ragazzi più belli e sfacciati del quartiere. Potevano anche funzionare perfettamente come amici, ma come fidanzati … “semplici scopamici, diciamocelo”, concludeva sempre Ylja, ultimo membro della banda e ficcanaso di professione “è inutile che fingano anche di essere innamorati uno dell’altra”. A volte Ylja ci andava giù pesante con le critiche, ma Kuzma non gli dava torto. Sapeva per esperienza che Denis era ancora troppo bambino per potersi davvero innamorare di qualcuno e che per Sasha ci voleva qualcuno di molto più maturo di un qualche teppista da due soldi. Sfogliò distrattamente i suoi disegni: erano carini loro sei, tutti insieme, con le loro differenze, e le loro brutte storie. Potevano sembrare l’assortimento più sbagliato, ma lui era convinto che invece, insieme, funzionavano perfettamente, come un ingranaggio alieno. Sorrise tra sé e sé, quando gli capitò tra le mani il ritratto sorridente di Valentina – era venuto così bene. Anche troppo, pensò, mordendosi l’interno della guancia. Si chiese come stesse la ragazza dopo quello che era successo. Non ne avevano più parlato, un po’ per vergogna e un po’ per paura, anche se erano stati molti i momenti in cui Kuzma avrebbe voluto intavolare la conversazione. Per quanto riguardava lui, non era ancora riuscito a superarlo del tutto e qualcosa gli diceva che anche la ragazza ne era rimasta più ustionata di quanto non volesse ammettere. Ripensò a quando erano bambini e a quel gioco che facevano, il gioco dei segreti e di chi riusciva a mantenerlo più a lungo. Non avrebbe mai pensato che a diciotto anni si sarebbe ritrovato a rigiocarlo, con una posta in gioco molto più alta. Rivide quella notte, nel ritratto dell’amica e sprofondò ancora in quel mare di sensazioni che tentava di dimenticare
 
Pioveva, come in un qualsiasi dramma romantico adolescenziale che si rispetti, e loro due se ne stavano impalati di fronte a quell’ospedale, bagnati fradici sin nelle ossa. Lei gli teneva le mani, e lui ogni tanto le scostava una ciocca bagnata dalla fronte pallida. Non parlavano da ore, e il rumore del traffico che faceva da sottofondo non aiutava quel momento così disturbante. Erano lì, gli amici di una vita, i ragazzacci del Blocco, abbandonati come mai lo erano stati ma assurdamente legati una all’altro più che in ogni altro giorno delle loro vite. Lei piangeva in silenzio, ma non riusciva nemmeno più a capire quali erano lacrime e quali erano gocce di pioggia, il trucco che le imbrattava la faccia, e lui non sapeva cosa dire, indeciso se abbracciarla oppure no. Era tutto così strano, così alieno, sembrava loro di essere gli spettatori di una di quelle serie tv da ragazzi più che gli sventurati protagonisti. Ma era stato in un momento come quello che lei aveva alzato lo sguardo e gli aveva posato un dito sulle labbra, sussurrando
-It’s a secret.
Lui era rimasto un attimo ammutolito, prima di copiare il suo gesto e completare la frase, la storica frase che accompagnava i loro giochi da bambini
-Can you keep it?
Si erano abbracciati, in silenzio, e i singhiozzi di lei erano andati perduti nella tempesta che infuriava su Ekaterimburg.
 
-Kuzja, ti piace? L’ho pettinata bene?
La voce dolce di Lera lo distolse dai suoi torbidi ricordi e lo costrinse a concentrarsi sulla bella bambola accuratamente pettinata. Sorrise e scompigliò i capelli dell’amica
-E’ stupenda, Leroch’ka. Proprio come te.
Le baciò la fronte e lei rise, battendo le manine lentigginose. A volte sembrava una bambina nel corpo di ragazza, e bisognava trattarla di conseguenza, sopportando i suoi musi lunghi, ridendo delle piccole cose e assicurandola del primato delle sue bambole da collezione.
-Fai vedere anche a me!- strillò Sasha, planandole al fianco, improvvisamente dimentica della lite in corso col suo ragazzo.
Kuzma le guardò ridere tra loro, giocando con la splendida casa giocattolo rosa confetto e sorrise, rimettendo mano a matite e colori. Sì, non era il momento di pensare al passato ma di concentrarsi sui rari momenti felici del loro scombinato presente.
 
Qualche metro sopra il Covo, in strada, Valentina e Denis stavano discutendo già da tempo, attirando le occhiate di non pochi curiosi. Ma come si faceva a non notare un ragazzo di una bellezza eccessiva e uno scricciolo con i capelli mezzi rosa e il viso troppo truccato che litigavano davanti al portone di un palazzo?
-Cazzo, Valentina, la pianti di prendere sempre le sue fottute difese?!- stava urlando Denis, sbattendo l’anfibio per terra. – Possibile che in sto cazzo di gruppo tutti debbano stare dalla sua parte e mai dalla mia?!
-Non è assolutamente vero, Denis, ma questa volta ha ragione lei! Si è stufata di venire trattata come una sgualdrina qualunque!- ribatté Valya, piantandosi a braccia incrociate di fronte all’amico.
-Io non la tratto come una sgualdrina! Che cazzo si aspetta? Fiori, cioccolatini e una gita al fiume che non c’è? Dio, voi ragazze siete tutte uguali, tutte cerebrolese che aspettano un principe azzurro che non esiste.
Uno spintone ben assestato gli fece perdere l’equilibrio, e non cadde per terra solo grazie ai suoi ottimi riflessi.
-Ah no, bello, adesso non cominciare con i tuoi discorsi sessisti e maschilisti. Sasha non si aspetta niente del genere, le basterebbe anche solo che non ti scopassi mezzo quartiere e che non la sventolassi in giro come una banderuola.
Valya sapeva di essere partita lancia in resta, ma non le importava, non quando c’entrava il benessere della sua migliore amica.
-Io non la sventolo, cosa vai dicendo! E se proprio si è rotta di stare con me, che rompa. Non mi sconvolgo mica se mi molla, evidentemente non riesce a sopportare il fatto che io piaccia più di lei, boriosa com’è. Anzi, vogliamo dirla tutta? Dovrebbe mettere su qualche chilo, mi sono rotto il cazzo di scopare un bacco di legno che sembra doversi rompere da un momento all’altro!
-Ma sei bevuto o cosa, Shostakovich?! Non provare più a parlare di lei in questo modo, brutto stronzo!
I toni tra i due erano decisamente saliti, esattamente come gli spintoni che si stavano scambiando. Perché Denis e Valya erano così: violenti come la periferia che li aveva partoriti, arrabbiati con loro stessi più di quanto avrebbero dovuto, devastati come i cieli di perla che li vegliavano da sempre. Litigavano e si amavano con la stessa potenza travolgente di un inverno russo, non lasciavano nulla di intentato. E che fossero insulti, baci, pugni o nomignoli affettuosi, non cambiava. Erano troppo, in tutto quello che facevano. Erano figli della steppa, e lo davano a vedere in ogni modo possibile. Erano siberiani, la violenza cieca ce l’avevano nel sangue, esattamente come l’amore sconfinato. Bruciavano e si versavano benzina addosso quotidianamente, non c’era verso di calmarli ma a loro andava bene così. Gli piaceva ardere e autodistruggersi, gli piaceva farsi male da soli.
Il sordo schiaffo che lei gli tirò risuonò nella strada semi deserta. Doveva essere stato forte, siccome la guancia cominciò a diventare paonazza ma lui non mosse un muscolo, limitandosi a boccheggiare un attimo, prima di darle una spinta alla quale lei reagì con un ulteriore calcio negli stinchi. Denis rimase per un attimo immobile, il braccio già pronto a sferrare uno dei suoi leggendari pugni, ma qualcosa dovette ricordargli che se l’avesse fatto avrebbe non solo sparecchiato il viso di Valya, ma lo avrebbe anche reso un perfetto bastardo (“non si picchiano le donne, di qualunque età” era il motto del Blocco) pronto al disconoscimento di tutto il quartiere, perché si bloccò. Rilassò il braccio e sbuffò rumorosamente
-Okay, scricciolo, hai vinto.- si arrese, scostandosi il ciuffo scuro dagli occhi.
-Volevi davvero tirarmi un pugno?- Valya alzò un sopracciglio, rilassando anche lei i muscoli pronti a scattare. Denis aveva usato il soprannome “scricciolo”, e quello era chiaro segno di bandiera bianca. Decise di accettare la resa, era troppo stanca per continuare a battibeccare.
-Certo che no, stupida.- il ragazzo scosse la testa, e le porse la mano inanellata e rovinata dalle risse di strada – Dai, pace?
Valentina lo guardò per un attimo, da sotto il ciuffone che le copriva un occhio ma poi annuì, stringendogli con forza inaudita la mano
-Pace, coglione.
Rimasero per un attimo in silenzio, guardandosi dappertutto meno che in faccia quando Denis sfilò due sigarette dalla tasca degli skinny e ne porse una all’amica, facendo un rapido gesto col capo verso l’incrocio con un’altra via. Valya sospirò, prese la sigaretta e lo seguì. Erano belli, a vederli così, due storici amici litigiosi e orgogliosi, avvolti da una nuvoletta di fumo, che fingevano di essere ancora arrabbiati l’uno con l’altra ma che in realtà non vedevano l’ora di tornare a scambiarsi battutacce e pacche sulla schiena. Camminarono per un po’ in silenzio, i loro passi a scandire la loro litigata precedente finché lui non prese parola
-Va bene, Valyoch’ka, ho capito. Le chiederò scusa, ok?
-E’ il minimo, bello.- lei gli diede una leggera spallata affettuosa. Poi ci rimuginò un attimo, si fermò, e affondò le mani in tasca – Ma … tu ami davvero Sasha?
-Certo che la amo, che razza di domanda è?
Denis si fermò a sua volta, e guardò stranito Valya. Quest’ultima si mordicchiò il labbro inferiore, lasciando correre lo sguardo lungo la via infinita e triste, guardando i grossi palazzi tutti uguali e qualche macchina passare col rosso al semaforo.
-Non so. Se pensi al tuo futuro, ti vedi con lei? Magari sposati, magari con dei figli? In una casa vostra, con una vita da condividere. Che so, tu con un negozio di dischi e lei a fare la cameriera in qualche Hard Rock Cafè, anche se sappiamo entrambi che è una ragazza-rap.
Valentina si stava rendendo conto di poter suonare come una psicopatica, ma non poteva fare a meno di parlare, di dire a qualcuno quello che sognava da anni. Non si stava immaginando Denis e Sasha, ma piuttosto lei e Sasha, a vivere la tranquilla vita che si meritavano. Voleva tutto quello che sapeva che non avrebbe mai potuto ottenere e si stava uccidendo con quei sogni così realistici. Così vicini eppure così lontani.
-Boh, non lo so.- Denis si strinse nelle spalle, preso in contropiede – Valya, non riesco a immaginarmi tra un anno, figurati se mi spingo a immaginare come sarà la mia vita finita la scuola. Ma non penso che riusciremmo a resistere così tanto. Che ne so, non farmi ste domande.
Sbuffò, quasi infastidito, e Valentina si fece ancora più piccolina nella sua felpa oversize dei Bring Me The Horizon.
-Scusa, Denisoch’ka, ero solo curiosa.- tentò di giustificarsi, arrossendo sotto al trucco pesante – Volevo solamente controllare che continuassi ad amarla, cafonaggine a parte.
Si aspettava qualche risposta salace di Denis, qualche battuta poco fine, anche uno dei loro abbracci da lottatori di sumo, ma quando lo guardò, trovò un sorrisetto amaro e una strana luce nei bei occhi ambrati
-Sì, come no. Non me la stare a raccontare, Valya.- anche la voce aveva assunto un tono pungente e sarcastico – Lo so benissimo che sei innamorata di Sasha.
Se le avessero tirato un pugno nello stomaco, probabilmente ci avrebbe sofferto meno. Per la ragazza mora quello fu un vero e proprio colpo basso, tanto che si ritrovò a trattenere il respiro, spalancando i grandi occhi blu oceano, completamente allibita. Non sapeva nemmeno più che sentimento provare, cosa dire, come comportarsi. Era come se Denis le avesse appena distrutto il muro di sogni e speranze davanti agli occhi, facendole crollare il castello di carte che la teneva in vita giorno dopo giorno.
-Che cosa dici, non è vero.- balbettò, quasi a corto d’aria. Non voleva che qualcuno entrasse nel suo mondo privato, e soprattutto non voleva che quella persona fosse Denis, la causa principale di tutti i suoi mali. Perché quando devi scegliere tra un ragazzo bellissimo e arrogante e una ragazza emo squilibrata e ingestibile, a chi ti vuoi dare? Non c’era nemmeno da starci a pensare sopra.
-Valyoch’ka, amore, stammi a sentire.- Denis la prese per le spalle magre, costringendola a guardarlo negli occhi – Io ti voglio bene, sei una delle mie migliori amiche. Puoi dirmelo: sei innamorata di Sasha? Se fosse così, ti capirei perfettamente, anche se non mi credi io amo quella dannata ragazza. Per favore, sii sincera. Come faccio ad aggiustare le cose se non lo sei? È per questo che ti sei così incazzata prima? Su, Valya, non …
-Ti ho detto di no! Sei sordo, forse?! Non mi piace Sasha, è solamente la mia migliore amica, posso anche preoccuparmi di qualcuno senza essermene innamorata!
Valya gli diede uno spintone, ringhiando innervosita. Aveva sempre risposto così: con la violenza. Aveva paura, era sola e disperata, non conosceva altro mezzo per difendersi se non quello di mostrarsi forte quando in realtà non era altro che un pupazzo bistrattato dalla vita infame che le era toccata. Non era facile trattare con Valentina Tolokonnikova, lo sapevano tutti.
-Cazzo, Valya, datti una calmata!- le abbaiò in risposta Denis – Non è il caso di imbestialirti così, e non è nemmeno il caso di mentire, a me per di più!
-Non sto mentendo, okay?!- sbatté il piede per terra, schiacciando nervosamente la sigaretta sotto al tacco delle Vans. – Voglio tornare al Covo. Adesso.
Denis rimase un attimo in silenzio, ma poi annuì, facendo dietro front
-Come vuoi, ma non pensare che il discorso sia finito così.
-Prova a trattarla ancora male e ti spacco la faccia.- sibilò in risposta lei, affondando le mani in tasca, i capelli a velarle opportunamente il viso.
-E tu prova a metterti in testa che qui dentro il cattivo non sono sempre e solo io. Anche se sembra che sia sempre facile gettarmi tutto il fango addosso.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata di fuoco, mentre si trascinavano di nuovo al covo, lanciandosi ogni tanto sguardi arrabbiati. Avevano percorso sì e no qualche metro che Valentina si fermò di nuovo, costringendo Denis a imitarla. Era rossa in faccia, e si mordeva nervosamente il labbro
-E se fosse vero? Se amassi davvero Sasha, tu come la prenderesti?
Lui rimase zitto a lungo, le mani che tormentavano la sigaretta oramai ridotta a un mozzicone che ancora gli pendeva dalle labbra
-Non lo so.- distolse lo sguardo, ma poi lo focalizzò nuovamente sull’amica, questa volta caricò di crudele e arrogante sarcasmo – Ma tanto non è vero, o sbaglio? Tu non sei innamorata di lei, e lei è pazza di me. Tutto perfettamente nella norma, vero, Valentina?
Valya trattenne per un attimo il fiato, ma fu rapida ad ustionare Denis con una delle sue proverbiali occhiate più gelide del rigido inverno siberiano
-Vaffanculo, Denis. Vaffanculo.- sputò, prima di dirigersi a passo di corsa verso il suo portone, il cappuccio della felpa tirato su e una singola lacrima a scorrerle solitaria sul viso già abbastanza stravolto dalla rabbia e dal trucco sciolto. Questa volta, Denis aveva decisamente passato il limite.

***
Spero vi sia piaciuto, mi raccomando lasciate un commento xd e grazie a chi sta seguendo la storia :D
Baci :*
Charlie

 
  
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