Revelations
Samwell
Lo studio per
forgiare la catena
da maestro ormai occupava quasi tutto il suo tempo. In situazioni
normali Sam
avrebbe adorato trascorrere così tanto tempo sui libri apprendendo dei
più
svariati argomenti, ma non era quello il caso. La sua mente era
distratta,
svogliata, tesa alla ricerca di qualche indizio nascosto che potesse
aiutarlo a
capire qualcosa di più riguardo agli Estranei. Si era ridotto a leggere
di
nascosto la notte, senza farsi vedere da Gilly, per evitare di farla
arrabbiare.
“Sam, sei così
pallido” diceva
sempre lei, “ti stanchi troppo: devi riposarti.”
In effetti le notti
in bianco,
unite ai lunghi turni di guardia alle chiavi di Walgrave, rendevano le
giornate
pesanti ed interminabili. Sam ormai era abituato ad andare in giro con
borse
bluastre sotto gli occhi. Per fortuna nessuno faceva molte domande.
Solo
Tristyus sembrava preoccuparsi del suo stato di salute. Il giorno dopo
la prima
veglia alle chiavi gli aveva chiesto come fosse andata. Sam era
sfinito, ma si
era ricordato delle parole di cortesia che aveva preparato.
Da quel giorno
l’aveva aiutato
nelle ricerche dei libri sulle antiche leggende, nonostante le sue
proposte non
soddisfacessero mai appieno le esigenze di Sam. Continuava a proporre
libri
troppo vaghi e generici, la cui lettura portava solo via tempo
prezioso. Ciò
faceva innervosire Sam, che tuttavia non aveva il coraggio di
contraddire
Tristyus.
“Vedrai” diceva
l’aiutante del
bibliotecario quando gli porgeva un nuovo tomo, “questa sarà la volta
giusta
che troverai quello che cerchi.” Ma la volta giusta non arrivava mai.
Col tempo Sam era
entrato in
confidenza con Ebrose, il più amichevole fra gli arcimaestri. Il suo
anello e
la bacchetta che portava sempre legata alla cintura erano di puro
argento e
spesso Sam si ritrovava a fissare il metallo lucente con sguardo
estasiato.
Ebrose era molto disponibile e saggio; possedeva una personalità che
Sam poteva
collegare a maestro Aemon. Il pensiero gli faceva venire gli occhi
lucidi tutte
le volte.
Ebrose lo chiamava
spesso per
aiutarlo nelle operazioni difficili o quando aveva bisogno di una mano
per
accudire l’anziano Walgrave.
“Ma perché allora le
chiavi non
vengono affidate a qualcun altro?” chiese una volta Sam confuso “Perché
non a
qualcuno che abbia ancora la capacità di custodirle?”
Ebrose sospirò.
Sam non aveva potuto
trattenere la curiosità.
“Delle porte” rispose
semplicemente Ebrose senza guardarlo.
Ma Sam voleva sapere
qualcosa di più.
Ebrose si era girato
verso di lui. “Non sono libri” rispose, “più che
altro sono documenti e carte così preziosi da dover essere tenuti
nascosti.”
Sam non era convinto.
Ebrose sorrise.
“Quindi nessun
libro?” insistette
Sam ed Ebrose sospirò.
“Uno solo” rispose,
“un solo
libro è custodito nei sotterranei, ma non ti dirò il titolo quindi non
sprecare
fiato a chiederlo. Ora, ti ho già spiegato come far bollire
correttamente
questo tipo di erbe?”
Sam continuò a
seguire le lezioni
di Ebrose per qualche giorno e riuscì a superare senza grandi
difficoltà
l’esame di medicina, guadagnandosi il suo primo anello, che era proprio
di
argento. Prima di iniziare la preparazione per il secondo esame, che
sarebbe
stato sull’evoluzione delle leggi nei Sette Regni, Sam decise di
ritornare alle
ricerche sugli Estranei e ricominciò a frequentare assiduamente la
biblioteca.
Rathin continuava a
tenerlo
d’occhio e ciò lo innervosiva, soprattutto perché non capiva il motivo
di tale
ossessione nei suoi confronti. Forse
fa così con tutti, si era ritrovato a
pensare Sam non trovando altra spiegazione logica. In effetti sembrava
proprio
avesse ragione.
Gilly era sempre più
nervosa e
sfogava spesso la sua frustazione su Sam. Lui sopportava, sapendo che
lei stava
attraversando un momento difficile, così persa nella città più grande
dei Sette
Regni.
“Sam, io non ce la
faccio più!”
era esplosa una sera con le lacrime agli occhi “Il piccolo ha iniziato
a
camminare ed ho paura che si faccia male ed al mercato tutti mi
guardano in
maniera strana. Cos’ho che non va?” Sam l’aveva abbracciata mentre
Gilly
piangeva disperata. Tutta la tensione accumulata nell’ultimo periodo si
era
finalmente sciolta.
“Ehi” l’aveva
rassicurata lui,
“non devi dirlo neanche per scherzo. Tu non hai niente che non va, è
solo che
la gente non è capace di vedere il lato speciale delle persone: si
fermano al
nostro aspetto, al nostro comportamento.”
Gilly aveva sollevato
lo sguardo, gli
occhi gonfi di lacrime.
Sam sospirò.
“Torneremo” promise, “ma prima
io devo diventare maestro così che possa aiutare Jon e i miei
confratelli.
Quando torneremo ti troverò una casetta, per te e per il piccolo Sam, a
sud
della Barriera e vi verrò a trovare ogni giorno.” Sam era sicuro Jon
l’avrebbe
aiutato a proteggere Gilly.
Lei sorrise, un
timido sorriso triste.
“Non molto” assicurò
Sam, “ma ora
vieni a vedere il libro che ho trovato!” Gli occhi di Gilly si erano
subito
illuminati. Aveva spinto Sam da parte mentre tentava di sistemare sul
tavolo il
manoscritto polveroso.
“Fammi vedere”
esclamò eccitata.
Sam la lasciò fare, felice di vederla nuovamente serena.
“Di albe,
tempeste e neve” lesse Gilly scandendo bene le parole, “di
cosa parla?”
“Secondo te?” chiese
Sam ironico
e Gilly rise. Era così carina quando rideva. Iniziò a sfogliare le
pagine ed
arrivò alla meravigliosa illustrazione di un drago.
“E’ bellissimo”
mormorò
accarezzando la pagina, “vorrei tanto vedere un drago…” Sam aveva letto
abbastanza riguardo ai draghi per capire che quello non era un
esemplare
qualsiasi. Si affrettò a leggere qualche riga della pagina affianco.
“Un Drago di
Ghiaccio” disse
stupito, “qui c’è scritto che è una creatura mitologica che vive tra i
ghiacci
del Mare dei Brividi, un lontano parente dei draghi di Valyria e delle
viverne
di Sothoryos.” Più andava avanti e più la lettura lo coinvolgeva.
“Questi draghi hanno
occhi
azzurri penetranti” recitò mentre Gilly continuava a fissare
l’illustrazione,
“ali trasparenti e dimensioni enormi. Invece di fuoco sputano ghiaccio
e,
secondo alcune leggende, hanno aiutato i Primi Uomini e i Figli della
Foresta a
costruire la Barriera. Qui c’è scritto addirittura che il Vetro di
Drago proverrebbe
dal loro respiro glaciale.”
“Ma in Gli
Estranei: le creature di ghiaccio c’era scritto che il Vetro di
Drago proveniva da Valyria” osservò Gilly.
“E’ normale trovare
pareri
discordanti” la tranquillizzò Sam, “soprattuto su leggende e storie
antiche.”
“Ma chi ha ragione?”
Sam sospirò. “Non
credo i Draghi
di Ghiaccio esistano sul serio” replicò, “probabilmente sono solo
storie.
Ritengo più verosimile la teoria che vuole il Vetro di Drago provenire
da
Valyria.” Un pensiero lo fulminò.
“Un momento” disse,
più a sé
stesso che a Gilly, “all’epoca del Patto fra Figli della Foresta e
Primi Uomini
Valyria non esisteva ancora e credo nemmeno Vecchia Ghis…”
“I draghi esistevano
all’epoca?”
chiese Gilly curiosa.
Sam strinse le
labbra. “Non lo so” ammise, “nessuno sa esattamente
come siano nati i draghi. E se anche fossero esistiti, che collegamento
ci
sarebbe con il Vetro di Drago? Come ci sono arrivati quei pugnali al
Pugno dei
Primi Uomini?”
Come è
arrivato il Vetro di Drago a Westeros?
Sam sentiva di essere
vicino alla
soluzione, che gli mancava solamente un anello per completare quella
catena di
pensieri.
Gilly chiuse il libro
di scatto.
Sam non aveva la
forza di opporsi. Continuerò
a leggere domani, si disse mentre si sistemava sul pavimento
come meglio poteva
non essendoci posto per un secondo letto. Non voleva lasciare Gilly da
sola
quella notte ed era troppo tardi per tornare alla Cittadella.
Gilly sembrò
rilassarsi quando lo vide sdraiarsi per terra e rimboccò con un sorriso
le
coperte al piccolo Sam.
Fu svegliato da Gilly
che lo scuoteva
bruscamente.
“Non ti muovere”
sussurrò
alzandosi, “ci penso io: tu resta con il piccolo Sam.”
Mentre Gilly tornava
alla culla,
Sam estrasse Veleno del Cuore da sotto il letto. Non era capace di
brandirla
correttamente, ma non sarebbe andato là fuori inerme. Lentamente si
accostò
alla porta e la spalancò di colpo sollevando la spada. La sorpresa
gliela fece
quasi sfuggire dalle mani. Sulla soglia c’era l’arcimaestro Ebrose, con
i
capelli grigi scompigliati ed un’aria angosciata.
“Maestro!” esclamò
Sam esterrefatto
“Cosa è successo?!”
Ebrose si guardò
nervosamente intorno.
Sam si fece da parte
per farlo entrare.
“Lei è Gilly” la
presentò Sam,
“una mia amica: mi dà una mano con i libri.” Fortunatamente Ebrose non
sembrava
in vena di indagare oltre. Sam lo fece accomodare sull’unica sedia,
mentre lui
prese posto sul letto accanto a Gilly.
“Sam, alla Cittadella
da giorni
stanno succedendo cose strane” iniziò Ebrose con voce rauca, “sono
scomparsi
dei libri, alcuni di questi addirittura unici, e i maestri non riescono
a
ritrovarli. Trattano tutti lo stesso argomento…” Fece una pausa.
“I draghi.”
Sam lanciò
un’occhiata nervosa al
grosso libro appoggiato sul tavolo. Ebrose dovette indovinare i suoi
pensieri,
perché scosse la testa. “No, Sam, non parlo di libri su stupide
leggende
riguardanti i Draghi di Ghiaccio” lo rassicurò, “quelle non sono altro
che
dicerie… No, i libri che sono stati rubati parlano dei draghi di
Valyria e in
particolare del legame che esisteva fra loro e i Targaryen.”
Ebrose inspirò
profondamente.
“Cose orribili”
sussurrò, “davvero…”
Sam iniziò a sentirsi
in colpa.
Ebrose scosse
nuovamente la
testa. “Devo” replicò, “sembrerà
strano, ma tu sei l’unica persona in tutta la Cittadella di cui io mi
fidi
veramente, Sam. E pensare che ci conosciamo da poco, mentre molti
maestri sono
qui da più di cinquant’anni...” L’ombra di un sorriso passò sul suo
volto,
prima che questo riacquisisse la grave serietà di poco prima.
“I maestri della
Cittadella non
hanno mai amato i Targaryen” iniziò, “vedevano cosa il malgoverno di
molti dei
loro re stava portando ai Sette Regni, cosa le loro guerre intestine
stavano
distruggendo. I sovrani accoglievano i maestri alle loro corti,
ascoltavano i
loro consigli, ma non ne ottenevano mai la completa fedeltà.”
Ebrose strinse le
labbra.
Sam era
rimasto a bocca aperta.
“Sai perché gli
ultimi draghi
erano così piccoli?” chiese Ebrose senza aspettarsi una vera risposta
“Perché i
complici dei maestri della Cittadella da anni ormai li avvelenavano.
Non ti
dirò in che modo, ma questo veleno rendeva i draghi deboli e poco
fertili. I
maestri dissero ai sovrani che era colpa del poco spazio concesso agli
animali,
ma ovviamente non era così. Alla fine quindi i draghi si estinsero.”
Sam non
sapeva cosa dire.
“Ti ho sconvolto?”
chiese Ebrose
con una smorfia “Anch’io reagii come te quando me lo spiegarono.
L’arcimaestro
Marwyn in persona mi disse che era stato un atto necessario, un piccolo
passo
verso il rovesciamento di una dinastia. All’epoca re Aerys II sedeva
ancora sul
Trono di Spade.” Ebrose guardò Sam negli occhi, per quanto fosse
possibile
nella penombra.
“Tutti gli
arcimaestri esultarono
quando giunsero le notizie” continuò con amarezza, “della vittoria di
Robert al
Tridente, della morte del Re Folle, perfino della brutale uccisione dei
figli
di Rhaegar.”
Ebrose rabbrividì.
Ebrose estrasse
qualcosa dalla
tasca. Era un vecchio pezzo di carta ingiallito dal tempo, ma, per la
cura con
cui l’arcimaestro lo maneggiava, doveva trattarsi di uno di quei
documenti
importanti. Sam lo prese in mano e tentò di leggere l’inchiostro
scolorito.
La
seconda moglie di Rhaegar Targaryen è prossima al parto. Il principe
sembra essere sicuro si tratti di una bambina, che prenderà il nome di
Visenya
Targaryen, principessa dei Sette Regni.
Sam stava
boccheggiando. “La
seconda moglie di Rhaegar?” chiese con un filo di voce “Rhaegar ha
avuto
un’altra figlia?”
“I maestri si sono
sforzati di
interpretare il messaggio” spiegò Ebrose, “non è firmato e non fornisce
alcuna
indicazione riguardo all’identità della donna. Visenya Targaryen è
stata
cercata in tutti i Sette Regni, nonostante solo gli arcimaestri siano a
conoscenza della sua esistenza, ma non è mai stata trovata.”
Ebrose chinò il
capo.
Sam era confuso.
Sapeva che per
molto tempo lady Ashara era stata considerata la donna con cui Eddard
Stark
aveva generato il suo bastardo, perfino Jon gli aveva raccontato di
averci
creduto per un periodo. Si diceva che Ashara Dayne si fosse buttata
dalla
scogliera di Stelle al Tramonto per gelosia, dovendo rinunciare a Ned
per
sempre.
“Ashara è morta
precipitando da
una scogliera” disse Sam, “mentre era…”
“Incinta” concluse
per lui Ebrose
in tono grave, “e non è precipitata: è stata spinta.”
Gilly lanciò un
gridolino.
“Mi stai dicendo che
è stata
assassinata?” chiese Sam trovando le parole a fatica.
“Sì” disse Ebrose con
tristezza,
“dai sicari della Cittadella. Tutto perché Marwyn credeva il figlio che
portava
in grembo fosse Visenya Targaryen. Io ero furioso quando mi riferì cosa
aveva
fatto. Sembrava addirittura orgoglioso.
Io gli dissi che Ashara era innocente, che non aveva prove lei fosse
davvero la
seconda moglie di Rhaegar. Lui mi disse ancora una volta che era stato
un atto
necessario.”
Ebrose inspirò
profondamente.
Sam prese con mano
tremante il
secondo pezzo di carta, chiedendosi cosa dovesse aspettarsi questa
volta.
Da oggi
fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e
Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico
cuore.
Che gli Antichi Dei concedano loro molti figli e benedicano questa
unione.
Il documento portava
la data di
circa un anno prima dell’inizio della Ribellione di Robert ed era
firmato da
Arthur, così come dai due sposi. Sam non sapeva cosa doveva pensare.
“A volte” disse
Ebrose rompendo
il silenzio, “la soluzione più semplice si rivela essere quella
corretta.
Ashara Dayne e suo figlio sono morti invano, ma almeno Marwyn si è
messo
l’anima in pace. L’anno successivo ricevemmo la notizia della morte di
parto
della regina Rhaella, della nascita di Daenerys Targaryen e della fuga
della
principessa e del principe Viserys ad Essos. Da allora la situazione è
tornata
tranquilla e nessuno ha più contestato la decisione di Marwyn.”
Sam ancora non
capiva.
“Credo di sì” rispose
Ebrose, “ma
non ne avremo mai la certezza.”
“Ma allora come è
morta lady
Lyanna?” insistette Sam.
“Forse di parto”
suggerì Ebrose,
“dando alla luce sua figlia.” Quel ragionamento aveva un senso seppur
nella sua
follia.
“Credi che Visenya
sia
sopravvissuta?” chiese ancora Sam “Che possa essere ancora là fuori da
qualche
parte?”
“Non lo so” rispose
Ebrose,
“tutti i miei segreti tentativi di localizzarla sono stati vani. Forse
semplicemente
non è mai nata. Ma semmai risultasse ancora viva, questi devono
rimanere
nascosti e la Cittadella non è più un posto sicuro.” Ebrose si alzò e
Sam lo
seguì con lo sguardo.
“Sono al sicuro qui?” chiese l’arcimaestro e Sam
boccheggiò.
“Maestro…”
“Sono al sicuro?”
ripeté Ebrose e
Sam annui suo malgrado. “Bene” disse l’arcimaestro uscendo, “buona
fortuna, Samwell, e tieniti stretta quella chiave: credo tu sappia
quale porta apre…”
All’improvviso Sam
sentì qualcosa
pesargli in grembo. Incredulo prese in mano la grossa chiave marrone.
Quando
sollevò nuovamente lo sguardo Ebrose era scomparso.
Gilly lo stava
fissando con
apprensione.
Sam sospirò e ficcò
la chiave sotto il
cuscino.
Arya
La corsa contro il
tempo verso la
locanda della Fratellanza l’aveva sfinita. Arya entrò ansimando e si
diresse
spedita verso la camera di Beric Dondarrion. Quando fu certa di non
avere
addosso occhi indiscreti, si tolse cauta il volto di Myun. Sansa aveva
finalmente
deciso di entrare in azione. Non che avesse molta scelta, almeno non
dopo
quello che Arya aveva sentito.
Beric aprì la porta
di scatto.
“Ci saresti dovuto
essere anche
tu” gli ricordò Arya, “mia sorella ti aveva invitato, ma non è il
momento di
pensare alle feste. Sansa è nei guai.”
L’espressione di
Beric divenne grave.
Arya si guardò
intorno. “Ditocorto è andato al Moat Cailin” rivelò
nervosa, “a radunare i Cavalieri della Valle: vogliono fare un colpo di
stato.”
Arya l’aveva sentito
proprio
quella mattina. All’alba, nelle cucine deserte, Baelish aveva salutato
Yohn
Royce e gli aveva confidato i propri piani.
“Tu rimarrai qui con
una scorta”
aveva detto Ditocorto, “così da non destare sospetti, e io andrò al
Moat
Cailin. Entro sera sarò di ritorno con l’esercito di lord Robin Arryn e
domani
il Nord sarà nuovamente di lady Sansa, così come è giusto che sia. Non
credo ci
sarà bisogno di una battaglia: i bruti sono tutti a Ultimo Focolare e
gli
altri lord saranno completamente ubriachi per quando tornerò.”
Ditocorto aveva
mormorato qualche
altro avvertimento e poi era partito. Nessuno si era davvero
preoccupato per la
sua strana assensa ed Arya era certa Royce avesse una scusa pronta. Per
tutta
la giornata Myun aveva cercato di avvertire Sansa, che però era stata
troppo
occupata a causa dell’arrivo dei lord e delle loro famiglie. Quando
finalmente
era riuscita ad avvicinarla, Arya aveva creduto fosse troppo tardi.
Il sole era ormai
tramontato
quando il Mastino aveva lasciato in segreto Grande Inverno e Yohn Royce
era
stato sbattuto in cella. Sansa aveva agito con sorprendente rapidità e
sangue
freddo ed Arya ne era rimasta davvero colpita. Non aveva esitato ad
accusare
apertamente Royce, ma non aveva neppure diffuso il panico fra gli
abitanti di
Grande Inverno.
Arya era sicura Sansa
avesse
compreso il punto della situazione. Dovevano fingere di essere deboli,
in modo
da far uscire allo scoperto Baelish e poterlo battere sul suo stesso
terreno.
Era un piano rischioso, ma l’unico che potesse funzionare. Arya sperava
solo il
Mastino avrebbe richiamato i bruti in tempo.
Sandor non si era
nemmeno
lamentato troppo per quell’incarico imprevisto: sembrava quasi ansioso
di
dimostrarsi gentile agli occhi di Sansa. Arya non riusciva a
comprendere ancora
appieno quel comportamento, ma finché fosse rimasto fedele alla loro
causa a
lei andava bene così. Mettere in allerta la Fratellanza senza Vessilli
era
stata un’ottima idea dello stesso Sandor e Arya era stata felice Sansa
le
avesse affidato il compito del reclutamento.
In quel momento Beric
sembrava
stordito. “Sei sicura, Arya?” chiese incerto “Stai accusando di
tradimento una
persona molto importante, forse dovresti aspettare…”
Ma Arya era stufa
della
politica d’attesa della Fratellanza.
“E’ pericoloso”
continuò, “e ti sto
dicendo che sta venendo qui con un esercito che sarà il triplo di
quello che
noi abbiamo a disposizione in questo momento. A mia sorella servono gli
uomini
della Fratellanza.”
Beric aveva cambiato
espressione.
Arya annuì.
“Arya” la richiamò
Beric in tono
affettuoso, “inizi a parlare come una vera lady.”
In tempi remoti
quelle parole
avrebbero procurato un’ondata di disgusto, ma ora Arya ne fu quasi
lusingata.
Era strano come i suoi sentimenti fossero così tanto cambiati. Ma in
fondo era
il mondo ad essere diverso, lei si era solo adattata.
Arya uscì dalla
locanda e si
diresse verso i margini della Foresta del Lupo. L’oscurità era calata e
a Città
dell’Inverno le luci iniziavano a spegnersi. Ditocorto ha scelto bene il
momento dell’attacco, pensò con amarezza, nessuno se ne accorgerà.
Da Grande Inverno
provenivano
ancora le risate dei partecipanti al banchetto e Arya ne fu
rassicurata.
Significava che la situazione non era ancora degenerata, ma aveva
comunque poco
tempo. Presto ebbe davanti solo gli alti alberi innevati della Foresta
e si
fermò, inspirando profondamente. Sapeva che Nymeria sarebbe arrivata,
lo
sentiva nelle ossa e nel cuore. Ora aveva bisogno di lei.
Il meta-lupo emerse
subito dalla
nebbia, gli occhi gialli scintillanti nella foschia. Intorno a Nymeria
si
radunò il branco di lupi ed al suo fianco comparve Spettro. Il
meta-lupo bianco
era silenzioso come al solito ed il suo manto candido era visibile
anche
nell’ombra che l’avvolgeva. Arya si chinò ad accarezzare Nymeria e
l’animale
protese il muso.
“Dovete venire con
me” sussurrò
Arya, “tutti quanti. Ma siate discreti, non si devono accorgere di
voi.” Sembrò
addirittura che Nymeria stesse annuendo. Poi ululò e tutti i lupi le
vennero
dietro con il loro tetro richiamo. Spettro rimase in silenzio. Arya
sorrise e
si diresse verso le mura del castello, evitando il portone principale,
che era
sorvegliato.
Conosceva un’entrata
che portava
dritta al Parco degli Dei. L’aveva scoperta per caso, insieme a Jon e
Robb
quando aveva sette anni. Li aveva seguiti di nascosto mentre si
allenavano con
le spade al limite della Foresta ed era inciampata in una pianta di
rampicanti.
Si era ferita il ginocchio e non aveva trattenuto i singhiozzi. Robb e
Jon
l’avevano trovata subito, ma dietro quelle piante avevano visto anche
una porta
dimenticata.
“Sarà il nostro
segreto” aveva
detto Jon scompigliandole i capelli e Robb aveva riso. Al ricordo gli
occhi di
Arya si inumidirono.
Ritrovò l’entrata
senza troppi
problemi, i rampicanti erano tutti secchi, e riuscì ad entrare nel
Parco degli
Dei. L’atmosfera irreale di quel luogo l’avvolse immediatamente ed Arya
si
sentì a casa. Uno dopo l’altro tutti i lupi entrarono e si disposero in
un
cerchio straordinariamente ordinato. Beric e i membri della Fratellanza
non
erano ancora arrivati.
Arya era sicura
avrebbero
superato senza problemi le sentinelle semplicemente dicendo di essere
invitati
al banchetto, perciò decise di cercare Sansa. L’ultima volta che
l’aveva vista
era nella sala dei banchetti che rassicurava i lord e le lady seduti ai
lunghi
tavoli. Poi Arya si era recata a Città dell’Inverno e Sansa era rimasta
con
Alys Karstark.
Arya strinse le
labbra: non si
fidava di Alys, la sua ingenuità esagerata riguardo a Ditocorto era
sospetta.
Dall’altro lato, però, Sansa si trovava nel posto più sicuro in quel
momento,
circondata da uomini leali agli Stark. Arya decise che sarebbe entrata
per
cercare sua sorella.
“Tu e i tuoi lupi
dovete rimanere
qui” mormorò a Nymeria, “aspettate Beric e Thoros: loro vi conoscono.
Io
tornerò presto.” Nymeria si mise seduta, subito imitata dal suo branco.
Spettro
invece seguì Arya nel castello. In fondo nessuno si sarebbe sorpreso di
vederlo
accanto alla servetta di lady Sansa.
Arya salì le scale
sforzandosi di
assumere un comportamento naturale. Si affacciò alla Sala Grande, ma di
Sansa
non vi era traccia. Forse è tornata
in camera, si disse tornando indietro,
sempre seguita da Spettro.
La stanza di Sansa
tuttavia era
deserta. Spettro pareva inquieto e Arya iniziò a preoccuparsi. Ricordò
Vento
Grigio che si dimenava alle Nozze Rosse, come percepisse il pericolo
che
correva Robb, ed ebbe paura. Ciò siginificava che Sansa o Jon erano in
pericolo? Arya non lo sapeva, ma in quel momento poteva solamente
pensare a sua
sorella.
Spettro rimase ad
annusare il
letto di Sansa ed Arya si precipitò nella sua stanza. Quando raggiunse
il
letto, la porta le si chiuse di scatto alle spalle.
“Lord Baelish ha
detto che la sguattera
di lady Sansa ha tradito” disse un uomo appena emerso dall’ombra. Era
piuttosto
basso e grasso e brandiva un corto coltello. Arya continuò a frugare
sotto le
coperte.
“Dice che sai troppe
cose”
continuò l’uomo avanzando goffamente, “e che sei diventata una
minaccia.”
La mano di Arya si
chiuse intorno
all’impugnatura di Ago. Quando l’uomo scattò in avanti, lei brandì la
spada e
gliela affondò vicino al cuore scoperto.
Infilzali
con la punta.
L’uomo cadde in
ginocchio
grugnendo. Arya gli si avvicinò tranquilla e gli sfilò il coltello. Poi
si
protese in avanti e gli sussurrò in un orecchio.
“Lo sai chi sono?”
chiese e
l’uomo rispose con un gemito. “Sono Arya Stark” mormorò Arya e gli
tagliò la
gola, come aveva fatto molti mesi prima a Meryn Trant. L’assalitore si
accasciò
a terra.
Con fredda calma Arya
rinfoderò
la spada e aprì la porta senza toccare il cadavere. Baelish aveva
mandato
qualcuno ad ucciderla e quella era la prova definitiva dei suoi loschi
scopi.
Arya entrò nuovamente nella camera di Sansa, solo per trovare Spettro
che, con
la lingua a penzoloni, guardava la spada che era apparsa fra le
coperte. Arya
sorrise. Anche in quella situazione non le sfuggiva la sottile ironia
di come
sia lei che Sansa avessero scelto lo stesso posto per nascondere le
proprie armi.
Ambra,
Sansa ha detto di averla chiamata così.
La raccolse e ne
ammirò l’elsa
decorata dalla pietra dorata. Poi la legò alla cintura e lasciò la
stanza. Dov’è Sansa? si
chiese sempre più preoccupata. Fece qualche altro tentativo
in stanze attigue, ma non la trovò.
Spettro continuava a
voltarsi indietro
e a fermarsi a ogni angolo ed Arya capì di aver bisogno d’aiuto o ci
avrebbe
impiegato troppo tempo. Sarebbe potuta tornare nella sala dei banchetti
e
allertare tutti i presenti, oppure avrebbe potuto raggiungere Beric ed
i lupi
nuovamente nel Parco degli Dei.
Mentre valutava le
alternative,
Spettro iniziò a correre. Senza pensarci troppo Arya lo seguì e
raggiunse l’ala
est del castello. L’accesso però era bloccato da una porta sbarrata
dall’interno. Qualcosa non va,
pensò Arya mordendosi il labbro. Non c’erano
altri modi per raggiungere i corridoi e le stanze oltre la porta, ma
poi
Spettro raggiunse una finestra aperta. Arya sentì il sangue gelarle
nelle vene.
Poco sotto il
davanzale correvano
i tetti che giravano tutto intorno alla torre. Avrebbe potuto scalarli
facilmente ed entrare nell’ala est da un’altra finestra. Salì sul
davansale, ma
al momento del salto esitò. Bran
scalava queste mura, pensò d’un tratto
tremando. Era il più bravo, ma poi
un giorno è caduto. Molti dicevano che era
stato spinto giù, ma lei aveva paura lo stesso. Spettro la fissava
intensamente
e Arya annuì. Non era il momento per la paura, non lo era più da anni
ormai.
Non oggi,
non oggi, non oggi. E saltò.
Si aggrappò senza
fatica ai merli
delle mura e proseguì a tentoni, rassicurata dal buio che l’avrebbe
celata alla
vista di potenziali nemici. Avanzava lentamente, assicurandosi sempre
di avere
una presa salda sulle pietre su cui poggiava mani e piedi. Non era
difficile e
presto i suoi muscoli si rilassarono, rendendo i movimenti meno rigidi.
Acquisì
sicurezza e rapidità e si ritrovò dopo pochi minuti dalla parte opposta
della
torre.
Putroppo tutte le
finestre erano
chiuse, ma Arya non demordeva: ne avrebbe trovata una aperta e sarebbe
entrata.
Si aggrappò al ramo secco di un albero che crescava lì vicino e si calò
sul
davanzale della grande finestra senza vetri del piano inferiore. Si
diede una
spinta e saltò dentro sfoderando contemporaneamente Ago. Ciò che vide
nella
piccola stanza della torre orientale la lasciò senza fiato.
Aveva trovato Sansa,
che ora la
guardava con occhi sgranati. Aveva il vestito strappato in più punti ed
era
seduta sul letto. Sembrava disorientata, ma non ferita. La porta era
palesemente chiusa a chiave dall’esterno. Arya sentì il sangue
ribollirle nelle
vene.
“Myun?!” esclamò
Sansa incredula
“Che ci fai qui? Come mi hai trovata?” Il suo sguardo si posò sulla
finestra.
“Sei passata da lì?”
Arya le si avvicinò.
“Chi è
stato?” chiese a sua volta.
Il volto di Sansa si
indurì.
“Ho sbagliato” disse
Sansa con il
labbro che tremava, “è tutta colpa mia…” Le lacrime iniziarono a
sgorgare ed
Arya pensò di ritrovarsi di nuovo davanti alla bambina a cui avevano
appena
ucciso Lady. Non sapeva bene come consolarla.
“Non è vero” disse,
“vedrai che
andrà tutto bene.” Erano parole piuttosto stupide, ma non aveva trovato
di
meglio.
“Ora ti libero” disse
con più
convinzione raggiungendo la porta. Forse l’avrebbe potuta forzare con
Ago.
“Aspetta” la fermò
Sansa e Arya
abbassò Ago.
“Non credo sia una
buona idea”
continuò Sansa ora più lucida, “se ora provi a forzarla impiegheresti
troppo tempo e non posso nemmeno fuggire con te sui tetti… Myun, Alys
sta andando alla
sala dei banchetti, credo voglia chiudere le porte…” Arya rabbrividì
ricordando
le Nozze Rosse.
“Devi avvertire gli
altri lord”
disse Sansa, “parlare in mio nome, dire loro di stare pronti… Ti
prego…” Sansa
sembrava nuovamente disperata.
Arya strinse le
labbra.
“Cosa…?”
Arya sorrise. “Mio
padre una volta
mi disse che voi Stark lo ripetete spesso” spiegò, “è un modo per
ricordarvi di
restare uniti…” Sansa annuì. “Avrai bisogno di questa” disse Arya
estraendo
Ambra e posandola sul pavimento. Sansa era rimasta a bocca aperta.
“La nascondo sotto il
letto”
continuò Arya spingendo la spada con il piede, “in caso di pericolo
potrai
raggiungerla.”
“Ma non so usarla!”
esclamò
esterrefatta Sansa.
“Infilzali con la
punta” disse Arya
con un sorriso e pensò a Jon.
Sansa la guardò per
qualche momento.
Arya non si mosse.
“Quelli sono lupi?” chiese Sansa stupefatta.
Arya saltò sul
davanzale.
Sansa sorrise.
Non avrebbe voluto
abbandonare
sua sorella, ma Sansa aveva ragione. Se volevano sperare di mantenere
un minimo
di effetto sorpresa, dovevano far credere ad Alys e Baelish di essere
stati
sconfitti. Ditocorto non le farà del
male, pensò Arya rassicurandosi, vuole
davvero renderla Regina del Nord, ha bisogno
di Sansa.
Si aggrappò al tetto
delle stalle
e si calò prudentemente a terra. Corse senza voltarsi indietro verso
gli
alberi-diga ed udì le urla concitate delle sentinelle sulle mura.
“Chiudete le porte!”
gridavano
“Anche a Città dell’Inverno, avvisate tutti!”
Arya non era sicura
di voler
sapere cosa stesse succedendo. Arrivata al Parco degli Dei, Nymeria e
Beric le
corsero incontro.
“Dov’eri finita?!”
chiese Beric
con una punta d’angoscia nella voce “Non ti trovavamo da nessuna parte,
pensavamo fosse successo qualcosa…” Nymeria ringhiò e Arya si affrettò
ad
accarezzarla.
“Alys Karstark ha
tradito” disse,
mentre gli altri membri della Fratellanza si avvicinavano, “mia sorella
è
prigioniera nella torre orientale, ma mi ha ordinato di non liberarla,
non ora almeno. Abbiamo
un piano…”
Thoros fece un passo
avanti.
“SONO SOTTO LE MURA!”
Arya si mise
nuovamente a
correre, Nymeria sempre al suo fianco. Salì sulle mura, incurante delle
occhiate incredule, e si affacciò. Lo stomaco le si strinse quando vide
l’esercito. I soldati erano quasi tutti a cavallo e portavano i
vessilli
dell’aquila degli Arryn e delle altre casate della Valle. Davanti a
tutti si
ergeva Petyr Baelish, con il suo solito ghigno sulle labbra.
“Veniamo in pace”
gridò Ditocorto
con voce possente, “in nome di Robin Arryn, lord di Nido dell’Aquila e
protettore della Valle. Il nostro signore desidera vedere il suo fedele
alfiere
Yohn Royce libero il più presto possibile e sua cugina Sansa Stark di
Grande
Inverno sul trono del Nord. Aprite le vostre porte affinchè possiamo
riportare
le cose al loro giusto ordine.”
“MAI!” urlò Arya
nascosta dietro
i merli delle mura e tutte le guardie le vennero dietro con un solo
grido.
“Parlo a nome di lady
Sansa”
disse Arya rivolgendosi ai soldati. Ai suoi
soldati.
“La nostra signora
non vuole il
trono” proseguì, “e Baelish vi sta ingannando. In questo stesso momento
i
signori del Nord sono rinchiusi nella sala dove banchettavano: sono
stati
traditi da Alys Karstark, in combutta con Ditocorto.” Ormai tutte le
precauzioni non avevano più senso, bisognava lottare per sopravvivere.
“Ma tu chi sei?”
chiese un
soldato “Tu che ci vieni a dire queste cose…”
“Myun” rispose Arya,
“e lady
Sansa si fida di me, quindi non vedo perché non debba farlo tu.” L’uomo
abbassò
il capo.
“Combatterete per la
vostra
signora?” gridò Arya “Per il vostro re, per la vostra terra?”
Ci fu un coro di
ruggenti esclamazioni. Gli uomini accorrevano e gridavano il nome di
Jon o di
Sansa. Arya quasi si commosse.
“Ultimo avvertimento”
gridò
Baelish da sotto, “arrendetevi o scorrerà il sangue. Ripeto, siamo qui
per
aiutare lady Sansa a riprendersi il posto che le spetta.”
Per tutta risposta
Arya afferrò
l’arco di Thoros, si sporse un poco e scoccò una freccia che trafisse
uno dei
Cavalieri della Valle in prima fila.
“Il vostro sangue”
mormorò e
corse giù dalle mura.
I colpi d’ariete
continuavano a
far scricchiolare il portone, che fortunatamente era stato riparato di
recente.
Tutti gli uomini stavano accorrendo nel cortile e portavano armi e
anche
cavalli. Nymeria ululò e i lupi uscirono dall’ombra. Gli uomini
indietreggiarono quando gli animali si strinsero intorno ad Arya. Lei
continuò
a correre verso il palazzo.
“Notizie dai bruti
che Sandor è
andato a richiamare?”
Beric scosse la
testa.
“Dentro il castello
ci sono
ancora almeno cinquanta Cavalieri della Valle oltre a Royce ed Alys”
disse
Arya, “dobbiamo liberare i lord prigionieri nella Sala Grande e dare
l’allarme. Poi andremo a prendere mia sorella.”
Il sacrificio di
Sansa era stato
inutile: se l’avesse liberata quando ne aveva l’opportunità, ora
avrebbero
avuto un problema di meno. Arya sperò riuscisse a cavarsela da sola.
“Troveremo Alys”
continuò
spietata, “e la uccideremo… E poi faremo lo stesso con Ditocorto, Royce
e
chiunque altro minacci la mia famiglia, ogni singolo soldato del loro
esercito
se necessario. Stanotte vendicheremo mio padre.”
Nymeria ringhiò e
tutti gli
uomini della Fratellanza urlarono la loro approvazione. Arya sorrise e
passò la
mano sul manto del meta-lupo, mentre nell’altra stringeva Ago.
Beric Dondarrion fece
un passo
avanti. Estrasse la propria spada e si inginocchiò davanti ad Arya.
Tutti
fecero lo stesso e Nymeria guardò in alto verso la sua padrona.
“Che il Signore della
Luce ci
protegga!” esclamò Thoros di Myr e la spada di Beric prese fuoco. Arya
sorrise
e non si mosse.
“Gli uomini della
Fratellanza
senza Vessilli sono tuoi, mia signora” disse il Lord della Folgore
sollevando
appena il capo, “la Lupa di Sangue di Grande Inverno.”
Cersei
Le sue giornate erano
così
monotone. Tra un’esecuzione e l’altra nella capitale non succedeva
niente di
nuovo. Cersei non era sicura questo fosse un buon segno. Il popolo era
stranamente quieto nell’ultimo periodo e la regina temeva stesse
preparando una
nuova rivolta. Per precauzione portò avanti il suo programma di
impiccagioni
quotidiane, giusto per non far dimenticare alla feccia a chi doveva la
propria
lealtà.
Cersei aveva
rinunciato già da un
pezzo a lasciare la Fortezza Rossa, era troppo pericoloso, e teneva
sempre la
Montagna vicino. Trascorreva le giornate bevendo vino e guardando dalla
finestra le rovine del Tempio di Baelor. Era strano pensare che lì
sotto
riposassero le ceneri dei suoi figli e di Tywin Lannister. Era strano
non avere
una tomba su cui piangerli. Cersei non sapeva nemmeno se avrebbe voluto
farlo.
Ormai il suo unico pensiero era il Trono di Spade.
Aveva sognato di
sedervisi fin
dalla più tenera età e il potere riservato alla regina reggente non le
era mai
bastato. Da sempre malediceva gli Dei per averla fatta nascere donna.
Se fosse
stata un uomo avrebbe potuto ottenere tutto ciò che aveva avuto suo
padre nella
metà del tempo. Avrebbe potuto combattere, uccidere, farsi valere, e
invece per
troppo tempo era stata messa da parte, costretta ad aspettare.
Il potere che
guadagnava passo
dopo passo non era mai abbastanza, Cersei voleva di più, sentiva di
poter
arrivare più in alto. Donne come Daenerys Targaryen o Margaery Tyrell
dovevano,
o avevano dovuto, la loro posizione alla propria abilità nell’uso delle
armi
che la natura conferisce ad una fanciulla, ma Cersei le disprezzava per
questo.
Lei era diversa ed
aveva
conquistato il proprio Trono uccidendo i nemici uno dopo l’altro.
Nessuno
l’aveva fatto per lei, né Cersei era mai scesa a compromessi. Aveva
semplicemente preso quello che era suo. Era stato arduo, certo, ma ora
poteva
dirsi più vicina che mai allo scopo che da sempre si era prefissata:
non vedere
più nessuno sopra di sé, più nessuno a darle ordini.
Qyburn si stava
dimostrando un
alleato prezioso e arguto e Cersei continuava a gioire per avergli
permesso di
dimostrare le proprie abilità. Grazie alle giovani spie di Qyburn,
Cersei aveva
la situazione sotto controllo in quasi tutti i Sette Regni. Solo il
Nord, le
Isole di Ferro e la Roccia del Drago sfuggiavano alle sue briglie di
conoscenza.
Sapeva che Daenerys
con i suoi
seguaci era arrivata sull’isola del drago, ma non aveva più ricevuto
notizie da
allora. Probabilmente le sue previsioni si erano rivelate esatte e
Tyrion aveva
consigliato alla reginetta di attendere. Che sciocco, pensava Cersei. Non ha
ancora capito che bisogna cogliere al volo le opportunità?
Gli ultimi rumori
riguardo al
Nord segnalavano una forte tensione interna e Cersei era convinta che i
suoi
nemici si sarebbero presto distrutti da soli. Rideva quando pensava che
Jon
Snow sperava in un’alleanza con Daenerys Targaryen. Era molto più
probabile a
quell’ora fosse già stato bruciato vivo da uno di quei mostri. Cersei
lo
sperava: sarebbe stato tutto più semplice allora.
Nemmeno di Euron
Greyjoy aveva
più notizie e immaginava ciò fosse dovuto alla pausa che aveva imposto
ad
Occhio di Corvo prima dell’attacco a Daenerys.
“E’ fondamentale che
riuniate le
vostre milizie prima dello scontro con Daenerys Targaryen, vostra
grazia”
continuava a ripeterle Qyburn, “avrete molte più possibilità in questo
modo.”
L’idea di dipendere
pericolosamente da Euron infastidiva non poco Cersei, che avrebbe
preferito
disporre di un esercito più grande per conto suo. I mercenari assoldati
da
Occhio di Corvo poi erano costosi e le finanze della Corona si stavano
inesorabilmente prosciugando.
La Banca di Ferro
aveva inviato
ben tre lettere, dicendosi pronta a supportare Daenerys Targaryen se
non avesse
ricevuto i suoi soldi indietro in breve tempo. Cersei aveva risposto
ricordando
che i Lannister pagano sempre i loro debiti e che non si sarebbe
dimenticata di
loro, nel bene e nel male. Da allora non erano arrivate più lettere e
la regina
si sentiva più tranquilla.
Di Alto Giardino non
si sapeva
nulla e Cersei si chiedeva quanto potesse durare quell’azione militare.
Jaime
non è neppure più in grado di prendere un castello deserto? pensava
stizzita.
Aveva ricevuto notizie dello sbarco dell’esercito Tyrell al servizio di
Daenerys avvenuto più di una settimana prima a Vecchia Città, era
possibile
ancora non fosse arrivato ad Alto Giardino? Cersei era scettica ed
attendeva
notizie da Jaime.
Una mattina Qyburn la
svegliò prima
del solito, dicendo di avere importanti novità.
Fece un respiro
profondo.
“Cosa hanno sentito i
tuoi
uccelletti?” tagliò corto la regina.
“Sembra che tuo
fratello Tyrion
si sia recato a Capo Tempesta insieme a ser Davos Seaworth” spiegò, “da
quello
che ho capito vogliono convincere i lord a riconoscere come loro
signore
l’unico figlio bastardo di Robert Baratheon rimasto in vita, così che
possano
appoggiare Daenerys Targaryen.” Cersei abbassò il capo, riflettendo. Si
sforzò
di ricordare il giorno in cui Joffrey aveva ordinato l’uccisione dei
bastardi
di Robert.
“Janos Slynt aveva
detto mancava
un ragazzo all’appello” fu costretta ad ammettere, “un apprendista
fabbro mi
pare, si chiamava…”
“Gendry Waters”
rispose per lei
Qyburn, “secondo le mie fonti è stato riconosciuto dalla regina come
Gendry Baratheon.”
Cersei strinse i
denti. In quel
piano sentiva la puzza di Tyrion. Ormai lo sognava quasi tutte le
notti, che le
scivolava alle spalle stringendole le mani intorno alla gola e
soffocandola.
Tentò di tornare in
sé.
“Se posso
permettermi, vostra
grazia” azzardò Qyburn, “non credo passeranno neppure dalla tua parte:
molti
dei loro parenti sono morti nella Battaglia delle Acque Nere.”
Cersei strinse
le labbra.
Qyburn consultò un
paio di carte.
Cersei si rilassò un
poco.
“Allora non rappresentano una grande minaccia” disse, “che la ragazzina
prenda
pure gli avanzi di Stannis…”
“Con tutto il
rispetto, vostra
grazia, non credo dovremmo ragionare così” la interruppe gentilmente
Qyburn, “i
numeri di Daenerys sono alti, rischiamo di non poter difendere Approdo
del Re
in caso d’attacco.”
Non
voglio difendere la città, voglio difendere il mio Trono.
“Possiamo
arruolare nuovi mercenari” si costrinse a dire Cersei, “e una volta che
Jaime avrà
preso Alto Giardino potremo contare sull’appoggio di un alto numero di
casate
dell’Altopiano.” Cersei si versò da bere e lo offrì a Qyburn, che
rifiutò.
“Alla fine su quali
forze può
contare Daenerys Targaryen?” continuò la regina “L’esercito
dell’Altopiano è diviso e ho
già i Tarly e i Merryweather dalla mia parte. Gli uomini di Dorne non
hanno
navi e il loro esercito è il meno numeroso dei Sette Regni. I Dothraki
sono
micidiali in campo aperto, ma non riuscirebbero a espugnare una
fattoria se questa
fosse protetta da mura decenti. Cos’ha quindi? Qualche soldato
straniero e tre
lucertole.”
“Dimentichi il Nord,
vostra
grazia” osservò cauto Qyburn, “se anche la Valle e le Terre dei Fiumi
uniscono
le forze con Daenerys, potrebbero formare un esercito imponente.”
Cersei ebbe
voglia di ridere.
“Eppure” disse
Qyburn, “Davos
Seaworth è andato con tuo fratello a Capo Tempesta e lui ha giurato
fedeltà a
Jon Snow.”
Questa a Cersei
suonava nuova.
“Non più
evidentemente” rispose
Qyburn, “ma se ha accompagnato Tyrion a Capo Tempesta vuol dire che Jon
Snow ha
trovato un accordo con Daenerys Targaryen.” Cersei dovette dargli
ragione.
“In ogni caso sarà
difficile per
l’esercito del Nord superare l’Incollatura ora che l’inverno è
arrivato”
proseguì Qyburn, “quindi credo che per il momento non dovremmo
preoccuparci.”
Improvvisamente
irruppe nella
stanza un uomo con in mano una lettera. Ser Gregor fece subito per
scaraventarlo contro il muro, ma Cersei lo fermò con un cenno.
“Cosa vuoi?”
“U-una lettera,
vostra grazia, da
t-tuo fratello…”
Cersei scattò in
piedi. Strappò
la missiva dalle mani dell’uomo e gli sbatté la porta in faccia. Tornò
alla sua
sedia e lacerò la carta affannata. Quasi rischiò di rovinare la parte
con il
testo. Iniziò a leggere divorando le parole.
A Cersei
Lannister, regina dei Sette Regni
Ho
fallito. Alto Giardino è nelle mani di Olenna Tyrell e degli
Hightower e molti dei nostri uomini sono morti. Alerie Tyrell si è
suicidata
davanti ai miei occhi e non ho potuto fare nulla. Sei stata tradita,
Cersei, da
Randyll Tarly e Orton Merryweather, ma soprattutto da Euron Greyjoy al
quale i
due avevano giurato fedeltà. Randyll Tarly è morto, ma mi ha detto che
Euron ha
attaccato e preso Porto Bianco, sconfiggendo la guarnigione di
Daenerys, e che
presto sbarcherà alla Roccia del Drago. Euron vuole il Trono di Spade
per sé,
devi assolutamente richiamare i mercenari. Una parte del mio esercito
credo si
sia data alla macchia nelle terre dell’Altopiano e io sono riuscito a
fuggire
con solo 86 uomini. Siamo diretti ad Approdo del Re e spero di
rivederti
presto. Mi dispiace.
Jaime
Lannister.
Cersei si accorse di
star
tremando di rabbia e strappò il foglio in pezzi piccolissimi. Poi li
gettò nel
fuoco. Qyburn le lanciò un’occhiata interrogativa.
“Jaime ha perso”
disse acida Cersei,
“ed Euron, Tarly e Merryweather hanno tradito. Non possiamo fidarci di
nessuno.”
Qyburn si morse il
labbro. “Questo è un bel problema” sussurrò, “ma
forse possiamo ancora cavarcela, in fondo non ci serviva Alto Giardino
e anche
così Jaime ha inferto un duro colpo all’esercito di Daenerys.”
“Avevo affidato a
Jaime quasi
trentamila uomini” pensò Cersei, “e ne riporta indietro solo 86…” Non
l’avrebbe
mai perdonato, come aveva potuto perdere anche quando aveva la vittoria
in
mano?
Forse era
nella mano sbagliata…
Qyburn continuava a
berciare di
piani di guerra strampalati. “Se Euron ha vinto a Porto Bianco” stava
dicendo,
“avrà indebolito Daenerys. Forse dobbiamo aspettare che sia lui a
finirla così
da poterci occupare solo dei superstiti.”
“Tolgo la guarnigione
da Castel
Granito” annunciò Cersei e Qyburn sollevò lo sguardo di scatto. “Ne sei
sicura,
vostra grazia?” chiese incerto.
“Nessuno attaccherà
il castello”
disse Cersei, “non ora almeno, e quegli uomini servono nella capitale.
Chiunque
vinca fra Euron e Daenerys avrà un esercito decimato e per allora
avremo
recuperato le nostre forze.”
Si alzò nuovamente in
piedi.
Qyburn chinò il capo.
Cersei ragionò un
attimo.
Cersei sospirò.
“Credo ci penserà già
Olenna
Tyrell a punire i traditori della sua casata” disse Qyburn e Cersei
annuì.
“E ser Jaime?” chiese
poi Qyburn.
Jaime ha tradito la mia fiducia,
pensò Cersei desiderosa di sfogare la sua
rabbia su qualcuno. Ha lasciato che
la sua inettitudine mettesse a repentaglio
la sicurezza del mio Trono.
“Che torni pure ad
Approdo del
Re” disse in tono glaciale uscendo dalla stanza, “starà
nell’avanguardia semmai
i Dothraki dovessero attaccare la capitale.”
Jon
Spettro si aggirava
inquieto nei
corridoi bui di Grande Inverno. Sembrava stesse cercando qualcosa e Jon
percepiva tutta la tensione del suo corpo. Sentiva le zampe scattare e
le
mascelle contrarsi. Correva nella penombra e Jon udiva le urla
provenire da
fuori il castello; le urla e altri ululati.
Cambiò direzione, saltò giù per le scale e fece fuggire di terrore una
servetta.
Aveva una missione,
Jon lo
sapeva, e Spettro seguiva un istinto primordiale. Improvvisamente capì
che
doveva arrivare nella Sala Grande il più presto possibile. Non aveva
idea del
perché, ma Spettro non si fermò. Le porte erano sbarrate e si sentivano
i pugni
della gente all’interno stridere sul legno. Jon ebbe paura e Spettro
arruffò il
pelo.
Il meta-lupo si alzò
sulle zampe
posteriori e poggiò quelle anteriori sulla porta. Jon sentì che doveva
riuscire
ad aprirla. Spettro fece scivolare le zampe dalle lunghe unghie sulla
sbarra
che bloccava la porta, facendo pressione sull'estremità. Jon lo guidò,
gli diede forza, e la sbarra scivolò via.
Spettro fece un balzo
all’indietro e si accucciò. Quando sulla soglia apparvero gli uomini
con
espressioni esterrefatte sul volto, Jon quasi urlò.
Si svegliò di
soprassalto,
scoprendosi tutto sudato. Le coperte si erano arrotolate intorno alle
gambe e
faticava a muoversi. Con il cuore che batteva all’impazzata, Jon si
prese la
testa fra le mani. Cosa stava
succedendo? si chiese senza fiato In nome
degli dei, che cosa mi sta
succedendo?!
Si impose di calmarsi
e deglutì
un paio di volte. Le membra gli tremavano e aveva la gola secca. Guardò
verso
la finestra e vide solo oscurità. Era ancora notte fonda. Jon si
asciugò il
sudore e rimase a fissare il muro davanti a sé. Ero a Grande Inverno, pensò
ancora sconvolto, ma non ero io… Era
come se fossi Spettro. Era sembrato
tutto così reale, così tangibile e Jon ebbe paura. Era solo un sogno, si disse
per tranquillizarsi, solo uno
stupido sogno.
Eppure era risaputo i
meta-lupi
percepissero il pericolo nell’aria, che nelle loro vene scorresse magia
dimenticata. Jon ricordava l’ululato straziante di Estate il giorno che
avrebbe
visto la caduta di Bran dalla torre. Sam gli aveva raccontato di come
Spettro
fosse comparso al momento opportuno salvando lui e Gilly e Davos gli
aveva
descritto gli ululati che il meta-lupo aveva elevato quando il suo
padrone era
morto. Jon scosse la testa.
Era solo
un sogno, niente di vero.
Tirò le coperte fin
sotto le orecchie
e tentò di tornare a dormire. Le immagini del sogno però continuavano a
perseguitarlo e, dopo qualche minuto, Jon scattò in piedi. Decise che
non aveva
senso sforzarsi di dormire in quelle condizioni e si vestì. Forse una
passeggiata avrebbe calmato i nervi e gli avrebbe permesso di
tranquillizzarsi.
Aprì lentamente la porta e uscì.
Il castello era
silenzioso come
una tomba e Jon ne fu quasi messo in soggezione. Ormai si orientava
sufficientemente bene e non ebbe difficoltà a trovare l’uscita e il
sentiero
per la spiaggia. Il mare era calmo e una brezza leggera gli faceva
ondeggiare
i capelli.
Raggiunse il piccolo
porto e
osservò le imbarcazioni oscillare dolcemente sotto la pallida luce
della luna.
Riconobbe facilmente la Lupa Solitaria e
sentì un groppo in gola. Erano ormai passati sei giorni dall’arrivo di
Theon a
Roccia del Drago e ancora nessuno sapeva dove si trovasse Euron.
Jon era sempre più
preoccupato
per Sansa, che ancora non si faceva sentire, e per la situazione in
sospeso con
Ditocorto. Sperava sua sorella non fosse realmente in pericolo, ma il
sogno
l’aveva gettato nello sconforto. Era davvero strana l’idea di stare su
un’isola
che presto sarebbe stata presa d’assalto e preoccuparsi invece per una
terra
lontana centinaia di miglia. Jon sospirò e chinò il capo.
Non aveva ancora
trovato il
coraggio di scrivere a Sansa riguardo al patto che aveva stipulato con
Daenerys
il giorno prima. In quel giardino nascosto dalla roccia nera del
castello,
davanti a quella statua inquietante e al respiro di Rhaegal, Jon si era
sentito
stranamente in pace. Per quanto la decisione presa fosse stata ardua da
accettare, sapeva che era stata la cosa giusta. Jon si mise a camminare
verso
il molo. Raccolse una pietra e la lanciò in acqua. In quel momento i
suoi
sentimenti nei confronti di Daenerys erano più confusi che mai. La sposerò,
pensò rabbrividendo forse di freddo o forse di timore, sarà mia moglie…
Non era il pensiero
del
matrimonio in sé a preoccuparlo, ma quanto ne sarebbe conseguito. Non
c’era
futuro per lui a Nord, nessuna speranza di vivere il resto dei suoi
giorni a
Grande Inverno, nessuna possibilità di rimanere nella terra a cui
apparteneva.
Ma era davvero così? Era vero che apparteneva al Nord? Suo padre lo
diceva
sempre e Robb ci scherzava spesso, ma Jon non ne era mai stato
convinto. Amava
Grande Inverno più di ogni altro luogo, ma ciò non gli aveva impedito
di
scegliere la Barriera a vita.
Grande Inverno spetta a Sansa,
pensò Jon sollevando lo sguardo verso le stelle. Era per lei in fondo
che aveva
rinunciato a tutto quello che ancora aveva di più caro, perché lei
potesse
governare serena su una terra in pace. I lord l’avrebbero odiato appena
saputo
che aveva ripudiato il titolo di Re del Nord. L’avrebbero visto come un
traditore,
l’avrebbero insultato, ma a Jon non interessava. L’importante è che Sansa sia
al sicuro, si disse, e che
Daenerys porti il suo esercito vero la Barriera il
più presto possibile. Il resto non conta.
Ma davvero non
contava mai nulla
quello che lui desiderava? Aveva detto a Daenerys di non sapere cosa
voleva, ma
era una menzogna. Fin da bambino era cresciuto tentando come meglio
poteva di
annullare la propria identità, i propri sogni, considerandoli un
insulto alla
famiglia che così generosamente lo aveva cresciuto. Era stato abituato
a non
aspettarsi mai nulla e a trarre il meglio dalla propria situazione.
Aveva amato
la sua famiglia, aveva stimato suo padre oltre ogni limite e aveva
tentato di
seguire il suo esempio come meglio poteva. Aveva sempre scelto il
dovere,
sempre scelto il bene degli altri al proprio, ma non era mai stato
abbastanza.
Tutte le mie decisioni, realizzò
mentre osservava la luna nell’acqua, tutte
le miei azioni, le mie convinzioni,
esistevano tutte per qualcun altro. Ma anche così si era fatto
dei nemici,
anche così era stato tradito e ucciso. Jon quasi scoppiò a ridere. Era
strano
pensare che l’unica decisione che avesse mai preso in tutta la sua vita
veramente
per sé stesso fosse quella di abbandonare i Guardiani della Notte.
“Perché devo essere
io a
combattere questa guerra?” chiese ad alta voce “Perché questa
responsabilità
non può essere affidata a qualcun altro? Perché io?”
Si sedette sul molo e
lasciò che
le punte delle scarpe sfiorassero la superficie del mare. Chiuse gli
occhi. Gli
venne in mente suo padre, il suo sguardo, la sua voce, il suo sorriso.
“Ci
saranno volte in cui sarai stanco” gli aveva detto Ned quando Jon era
ancora
molto piccolo, “quando penserai di non poter andare avanti o vorrai
disfarti
delle tue responsabilità. Quando crederai di essere arrivato alla fine
e ti
sembrerà che il mondo ti vada contro. Ma se nessuno può farlo, se
nessuno è in
grado di prendere il peso che tu porti sulle spalle, allora è tuo
dovere
proseguire, finché gli dei vorranno e finché ne avrai la forza.” Quando
Jon
riaprì gli occhi, si accorse che stava piangendo. Mi dispiace, padre, pensò
passandosi il braccio sul viso, non
ci riesco…
Poi qualcosa si
accese in lui: il
ricordo di Sansa che rideva al Castello Nero. Si sentì invaso da un
tepore
strano e si alzò in piedi incerto. Sposerò
Daenerys, decise. Perché sono
l’unico che può porre fine alla rivalità fra le nostre casate e perché
è il mio
compito. Ringraziò suo padre per avergli ancora una volta
indicato la strada
nei momenti di smarrimento. Sarebbe arrivato fino in fondo e niente
l’avrebbe
potuto distogliere dal suo obiettivo. Per la prima volta in vita sua
sentì di
essere importante.
All’improvviso udì
qualcuno
singhiozzare nel buio. Stupito, seguì quel suono e trovò Theon sul molo
accanto
con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Quando vide arrivare Jon, saltò
in
piedi e si ritrasse.
“Neanche tu riesci a
dormire?”
chiese con una certa gentilezza Jon.
Theon abbassò lo
sguardo. “No” rispose in
un sussurro, “ho paura…” Jon gli venne vicino e stavolta Theon non si
tirò
indietro.
“Di cosa?” chiese Jon
“Della
morte?” La morte non doveva fare paura, Jon sapeva quanto il suo
abbraccio
fosse accogliente.
“Non ho paura di
morire” replicò
Theon mentre altre lacrime gli solcavano il volto, “ho paura per Yara.
Chissà
dov’è in questo momento, non voglio le succeda nulla di male…”
“Sono sicuro stia
bene” disse
Jon, “è più utile viva che morta a Euron.” Capì subito di aver detto la
cosa
sbagliata, perché Theon quasi corse via. Jon lo afferrò per un braccio
nel
tentativo di trattenerlo.
“LASCIAMI!” esclamò
Theon
dimenandosi con tanta forza che Jon quasi ne fu sbilanciato. Rimasero a
guardarsi qualche secondo, poi Theon cadde in ginocchio nascondendosi
il viso
nelle mani.
“Mi dispiace”
singhiozzò, “mi
dispiace, non volevo… Io…” Era incapace di andare avanti: sembrava in
preda a
un attacco di panico.
“Theon” lo chiamò Jon
chinandosi
al suo fianco, “devi smetterla di assumerti colpe che non sono tue.” Le tue bastano e avanzano.
“Basta compiangerti”
proseguì,
“devi trovare la forza di guardare la vita in faccia. Hai sbagliato,
hai pagato
e ora ricominci.”
“Ma non so come
fare!” esclamò
Theon tutto d’un fiato “Yara è l’unica che mi è stata vicino, l’unica
che
davvero ha tentato di aiutarmi, e ora non so nemmeno se la rivedrò mai
più…”
“E’ vero” disse Jon
non trovando
convenienti le bugie rassicurative, “potresti non vederla mai più, ma
in questo
momento devi pensare a te. Combatti per ciò in cui credi.”
“Io non credo in
nulla” mormorò
Theon, “non c’è nulla in cui valga la pena credere.”
“Ti sbagli” disse Jon
scuotendo
appena la testa, “credi nei valori, nei legami e soprattutto in te
stesso.”
Theon sollevò lo
sguardo a guardarlo. “Non so se ne sono capace...”
Jon
avrebbe voluto prenderlo a schiaffi.
“Stavo cercando
Theon, devo
dargli una cosa…”
Theon si era alzato e
li guardava
con occhi grandi e confusi. Daenerys gli si avvicinò. Jon si chiese
come mai
fosse sveglia a quell’ora della notte. Aveva anche lei dei demoni che
continuavano a perseguitarla? Intanto Daenerys aveva estratto qualcosa.
Jon
strizzò gli occhi e riconobbe un lungo arco sottile che splendeva di
una luce
perlacea. Era un oggetto meraviglioso, così leggero ed elegante, ma
allo stesso
tempo fatale.
“Questo l’ho trovato
nella sala
del tesoro” spiegò Daenerys porgendo l’arma a Theon, “è un arco di osso
di drago e
Varys mi ha detto che si tratta di un’arma molto rara. La precisione di
questo
arco è impressionante e supera perfino quella degli archi delle Isole
dell’Estate, che vengono esportati in tutto il mondo.”
“Perché lo stai dando
a me?”
chiese Theon visibilemnte incredulo.
Daenerys sorrise.
Theon abbassò
nuovamente il capo.
“Devi” lo interruppe
Daenerys con semplicità,
“è un ordine. Quando Euron arriverà, ormai non ci dovrebbe volere
molto,
dovremo essere pronti e armati. Combatterai per me, Theon Greyjoy?”
Theon
strinse le labbra.
“E’ quasi l’alba”
osservò
Daenerys, “credo ti convenga andarlo a provare ora che hai tempo. Verme
Grigio
ti darà le frecce…” Theon abbozzò un sorriso e corse via. Jon era
sicuro fosse
più sollevato e tranquillo adesso. Si accorse che Daenerys lo stava
scrutando e
si voltò verso di lei.
“Perché l’hai fatto?”
chiese a
bruciapelo.
Daenerys si finse
sorpresa.
“Lo sai cosa intendo”
disse Jon e
Daenerys sospirò. “Non riuscivo a dormire” confessò, “così sono uscita
sulla
terrazza a fare due passi e vi ho visti.” Si interruppe.
“E poi?” la incitò
Jon.
“Ho capito che Theon
stava
attraversando un momento particolarmente difficile” continuò Daenerys,
“e ho
pensato che così avrei potuto aiutarlo.”
Jon era sinceramente
colpito.
Daenerys
sorrise, quasi timidamente.
Jon guardò altrove.
“Ti manca molto?” lo
interruppe
Daenerys “Grande Inverno…”
Jon non sapeva bene
cosa rispondere. Certo, il Nord
gli mancava, ma allo stesso tempo era imbarazzato da quel suo
sentimento.
“Sì” disse infine,
“ma non solo
Grande Inverno, mi manca mia sorella e i miei amici.”
“Capisco” mormorò
Daenerys e poi i
suoi occhi brillarono. “Un giorno mi porterai a vederlo?” Jon fu colto
alla
sprovvista da quella domanda.
“Il Nord” precisò
Daenerys,
“Grande Inverno, Porto Bianco, la Barriera, voglio conoscere tutti quei
luoghi…
Voglio conoscere ogni angolo più remoto del mio regno.” Jon non aveva
mai
desiderato viaggiare, ma sorrise ugualmente e apprezzò il pensiero.
“Il Continente
Orientale era così
diverso” raccontò Daenerys perdendosi nei ricordi. “Ho visitato Pentos,
Qarth,
Astapor, Yunkai e Meeren e ogni volta trovavo persone differenti. Ho
viaggiato
con i Dothraki nel Grande Mare d’Erba e ho faticato per diventare la
loro
Khaleesi. Non voglio commettere l’errore di sottovalutare il mio ruolo
nei
Sette Regni…” Daenerys lo stava guardando e Jon si sentì estremamente a
disagio. Forse l’aveva giudicata troppo in fretta, senza conoscere la
vera
storia dietro certi suoi atteggiamenti.
“Voglio essere una
buona regina”
proseguì Daenerys, “mi aiuterai?”
“Certo” rispose Jon
d’istinto,
prima ancora di pensare ad una risposta.
Daenerys sembrò
rilassarsi.
“Anch’io sono felice”
si
costrinse a dire Jon nonostante i suoi sentimenti fossero ancora
avvolti da una
fitta nebbia, “con il tempo credo impareremo ad andare d’accordo.”
Daenerys quasi
rise.
“Ma miglioreremo” gli
promise lei
come frettolosa di vederlo di nuovo felice, “saremo i sovrani migliori
che i
Sette Regni abbiano mai visto.”
Io mi accontento di sconfiggere
gli Estranei, pensò Jon, ma questa volta non lo disse ad alta
voce. “Me lo
auguro” sentì invece la sua voce dire e Daenerys sorrise. Si sedette su
una
roccia sulla spiaggia ormai illuminata dai primi raggi del sole.
“Dai” lo invitò,
“raccontami del
Nord…” Jon aggrottò le sopracciglia, non sapendo da dove iniziare.
Proprio
quando aveva appena aperto bocca desideroso di descrivere la vita alla
Barriera, Verme Grigio sopraggiunse di corsa.
“Qualche traccia di
Tyrion e
Davos?” chiese lei, ma Verme Grigio scosse il capo. Suonava quasi come
una condanna
a morte.
“Va bene” disse
Daenerys
riacquisendo un certo contegno. “Verme Grigio, raduna gli altri.
Preparate
tutte le torri e mettete in mare le navi. Che le difese siano pronte
entro
mezz’ora.”
L’Immacolato si
inchinò e
scomparve, urlando ordini in una lingua sconosciuta, che Jon intuì
essere alto
valyriano. Daenerys si voltò verso di lui. All’orizzonte già
comparivano i
triangoli delle vele nere di Euron.
“Sei pronto?”
sussurrò Daenerys e Jon
capì che doveva essere terrorizzata. Si girò a guardare il mare e
subito lei fece lo stesso.
“Sì” mormorò Jon con
una
sfumatura d’affetto nella voce.
E le loro mani nella chiara luce dell’alba si intrecciarono.
"A warning to the people, the good and the evil: this is war."
N.D.A.
Oggi sarò svelta perchè il capitolo parla abbastanza da sé ^_^
Per la parte di Sam ho ovviamente dato fondo a una serie di teorie riguardo il complotto dei maestri, riadattando tutto perchè entrasse nella storia. Anche la storia di Ashara è stata quindi cambiata: fan dei libri vi prego non lapidatemi XD XD
Inoltre un Easter Egg: il titolo del libro letto da Sam, "Di albe, tempeste e neve", era inizialmente il titolo di questa storia XD XD prima ovviamente che riuscissi a trovare quello attuale che a mio modesto avviso è mille volte meglio XD XD XD
Per il resto ci tenevo che le battaglie che Jon e il Nord devono affrontare avvenissero nello stesso momento, quindi la notte in cui succedono gli avvenimenti è la stessa. Stanno combattendo due battaglie così diverse però in un certo senso questo li unisce.
Spero abbiate apprezzato i pensieri di Jon in questo capitolo: racchiudono tutto ciò che penso del personaggio e il modo in cui è cambiato durante la serie e questa storia ^_^
Come al solito ringrazio i miei recensori: Red_Heart96, __Starlight__, PillyA, giona e Spettro94. Un ringraziamento speciale anche a leila91 e NightLion che si stanno piano piano rimettendo in paro. Le vostre recensioni sono la vita ^_^
Il prossimo capitolo sarà totalmente incentrato sulla battaglia contro Euron e avrà ben 5 POV invece di 4... E' enorme, davvero enorme, quindi spero siate sufficientemente pronti ed emozionati :-) preparatevi anche a una serie di salti temporali e a una struttura narrativa piuttosto intrecciata in quanto molti POV avverranno contemporaneamente solo in diverse parti di Roccia del Drago. Giusto perchè sappiate cosa vi attende XD
Un grazie infinito a tutti e spero il rientro alla quotidianità non sia stato eccessivamente traumatico XD
Alla prossima!
NB: la citazione di stavolta non ha bisogno di spiegazioni e viene dalla canzone "This is war" di 30 Seconds to Mars. Sorry per il cliffhanger XD