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Autore: QueenInTheNorth    15/09/2018    5 recensioni
Vi chiedete mai cosa sarebbe successo se le cose fossero andate diversamente? Se dopo l'incoronazione di Jon Snow a Re del Nord nuove forze fossero scese in campo? Se vecchie profezie fossero tornate alla luce e la Canzone si fosse rivelata? Quanto può una decisione diversa cambiare le sorti dei Sette Regni?
La ruota continua a girare, nuovi re si faranno avanti e la terra tremerà ancora per il ruggito dei draghi.
Ma la Lunga Notte è vicina, gli Estranei attendono pazienti, e nell'ora più buia tutte le vostre certezze vacilleranno. Stavolta gli uomini sono soli e l'amore forse non basterà più a salvarli.
Siete pronti a perdere ogni speranza?
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daenerys Targaryen, Jon Snow, Sansa Stark, Tyrion Lannister, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 15


Revelations                                                                                                            

 


Samwell

 

Lo studio per forgiare la catena da maestro ormai occupava quasi tutto il suo tempo. In situazioni normali Sam avrebbe adorato trascorrere così tanto tempo sui libri apprendendo dei più svariati argomenti, ma non era quello il caso. La sua mente era distratta, svogliata, tesa alla ricerca di qualche indizio nascosto che potesse aiutarlo a capire qualcosa di più riguardo agli Estranei. Si era ridotto a leggere di nascosto la notte, senza farsi vedere da Gilly, per evitare di farla arrabbiare.

“Sam, sei così pallido” diceva sempre lei, “ti stanchi troppo: devi riposarti.”

In effetti le notti in bianco, unite ai lunghi turni di guardia alle chiavi di Walgrave, rendevano le giornate pesanti ed interminabili. Sam ormai era abituato ad andare in giro con borse bluastre sotto gli occhi. Per fortuna nessuno faceva molte domande. Solo Tristyus sembrava preoccuparsi del suo stato di salute. Il giorno dopo la prima veglia alle chiavi gli aveva chiesto come fosse andata. Sam era sfinito, ma si era ricordato delle parole di cortesia che aveva preparato. “Ho assaggiato il tuo vino” aveva detto con un sorriso tirato, “era davvero ottimo, il più buono che abbia mai bevuto. Grazie…” Tristyus non aveva detto niente e si era limitato ad abbassare il capo imbarazzato.

Da quel giorno l’aveva aiutato nelle ricerche dei libri sulle antiche leggende, nonostante le sue proposte non soddisfacessero mai appieno le esigenze di Sam. Continuava a proporre libri troppo vaghi e generici, la cui lettura portava solo via tempo prezioso. Ciò faceva innervosire Sam, che tuttavia non aveva il coraggio di contraddire Tristyus.

“Vedrai” diceva l’aiutante del bibliotecario quando gli porgeva un nuovo tomo, “questa sarà la volta giusta che troverai quello che cerchi.” Ma la volta giusta non arrivava mai.

Col tempo Sam era entrato in confidenza con Ebrose, il più amichevole fra gli arcimaestri. Il suo anello e la bacchetta che portava sempre legata alla cintura erano di puro argento e spesso Sam si ritrovava a fissare il metallo lucente con sguardo estasiato. Ebrose era molto disponibile e saggio; possedeva una personalità che Sam poteva collegare a maestro Aemon. Il pensiero gli faceva venire gli occhi lucidi tutte le volte.

Ebrose lo chiamava spesso per aiutarlo nelle operazioni difficili o quando aveva bisogno di una mano per accudire l’anziano Walgrave. “Un tempo era l’uomo più saggio che io avessi mai conosciuto” diceva a Sam accennando al vecchio arcimaestro, “con una memoria prodigiosa. Ora la sua mente è incerta e fa fatica perfino a riconoscere i suoi amici.”

“Ma perché allora le chiavi non vengono affidate a qualcun altro?” chiese una volta Sam confuso “Perché non a qualcuno che abbia ancora la capacità di custodirle?”

Ebrose sospirò. “Per tradizione le chiavi sono affidate all’arcimaestro dall’anello di ferro” spiegò, “e le tradizioni qui sono dure a morire.”

Sam non aveva potuto trattenere la curiosità. “Cosa aprono quelle chiavi?” chiese abbassando la voce come consapevole di star infrangendo qualche regola.

“Delle porte” rispose semplicemente Ebrose senza guardarlo.

Ma Sam voleva sapere qualcosa di più. “Certo” replicò, “ma cosa c’è dietro quelle porte di così importante? Tu hai mai visto i libri che tengono lì?”

Ebrose si era girato verso di lui. “Non sono libri” rispose, “più che altro sono documenti e carte così preziosi da dover essere tenuti nascosti.”

Sam non era convinto. “L’arcimaestro Marwyn quando sono arrivato mi ha detto che non tutta la conoscenza può essere accessibile all’intera Cittadella” osservò, “quindi qualunque cosa vi sia nascosta è ben più di semplici documenti.”

Ebrose sorrise. “Oh, ti stupiresti delle cose che un semplice documento può rivelare” disse in tono enigmatico, “delle convinzioni che può far vacillare. Non tutti sono pronti a leggere tali fonti, credimi.”

“Quindi nessun libro?” insistette Sam ed Ebrose sospirò.

“Uno solo” rispose, “un solo libro è custodito nei sotterranei, ma non ti dirò il titolo quindi non sprecare fiato a chiederlo. Ora, ti ho già spiegato come far bollire correttamente questo tipo di erbe?”

Sam continuò a seguire le lezioni di Ebrose per qualche giorno e riuscì a superare senza grandi difficoltà l’esame di medicina, guadagnandosi il suo primo anello, che era proprio di argento. Prima di iniziare la preparazione per il secondo esame, che sarebbe stato sull’evoluzione delle leggi nei Sette Regni, Sam decise di ritornare alle ricerche sugli Estranei e ricominciò a frequentare assiduamente la biblioteca.

Rathin continuava a tenerlo d’occhio e ciò lo innervosiva, soprattutto perché non capiva il motivo di tale ossessione nei suoi confronti. Forse fa così con tutti, si era ritrovato a pensare Sam non trovando altra spiegazione logica. In effetti sembrava proprio avesse ragione.

Gilly era sempre più nervosa e sfogava spesso la sua frustazione su Sam. Lui sopportava, sapendo che lei stava attraversando un momento difficile, così persa nella città più grande dei Sette Regni.

“Sam, io non ce la faccio più!” era esplosa una sera con le lacrime agli occhi “Il piccolo ha iniziato a camminare ed ho paura che si faccia male ed al mercato tutti mi guardano in maniera strana. Cos’ho che non va?” Sam l’aveva abbracciata mentre Gilly piangeva disperata. Tutta la tensione accumulata nell’ultimo periodo si era finalmente sciolta.

“Ehi” l’aveva rassicurata lui, “non devi dirlo neanche per scherzo. Tu non hai niente che non va, è solo che la gente non è capace di vedere il lato speciale delle persone: si fermano al nostro aspetto, al nostro comportamento.”

Gilly aveva sollevato lo sguardo, gli occhi gonfi di lacrime. “E’ un posto orribile” sussurrò, “ti prego, torniamo alla Barriera.”

Sam sospirò. “Torneremo” promise, “ma prima io devo diventare maestro così che possa aiutare Jon e i miei confratelli. Quando torneremo ti troverò una casetta, per te e per il piccolo Sam, a sud della Barriera e vi verrò a trovare ogni giorno.” Sam era sicuro Jon l’avrebbe aiutato a proteggere Gilly.

Lei sorrise, un timido sorriso triste. “Quanto ci vorrà?” chiese a bassa voce.

“Non molto” assicurò Sam, “ma ora vieni a vedere il libro che ho trovato!” Gli occhi di Gilly si erano subito illuminati. Aveva spinto Sam da parte mentre tentava di sistemare sul tavolo il manoscritto polveroso.

“Fammi vedere” esclamò eccitata. Sam la lasciò fare, felice di vederla nuovamente serena.

Di albe, tempeste e neve” lesse Gilly scandendo bene le parole, “di cosa parla?”

“Secondo te?” chiese Sam ironico e Gilly rise. Era così carina quando rideva. Iniziò a sfogliare le pagine ed arrivò alla meravigliosa illustrazione di un drago.

“E’ bellissimo” mormorò accarezzando la pagina, “vorrei tanto vedere un drago…” Sam aveva letto abbastanza riguardo ai draghi per capire che quello non era un esemplare qualsiasi. Si affrettò a leggere qualche riga della pagina affianco.

“Un Drago di Ghiaccio” disse stupito, “qui c’è scritto che è una creatura mitologica che vive tra i ghiacci del Mare dei Brividi, un lontano parente dei draghi di Valyria e delle viverne di Sothoryos.” Più andava avanti e più la lettura lo coinvolgeva.

“Questi draghi hanno occhi azzurri penetranti” recitò mentre Gilly continuava a fissare l’illustrazione, “ali trasparenti e dimensioni enormi. Invece di fuoco sputano ghiaccio e, secondo alcune leggende, hanno aiutato i Primi Uomini e i Figli della Foresta a costruire la Barriera. Qui c’è scritto addirittura che il Vetro di Drago proverrebbe dal loro respiro glaciale.”

“Ma in Gli Estranei: le creature di ghiaccio c’era scritto che il Vetro di Drago proveniva da Valyria” osservò Gilly.

“E’ normale trovare pareri discordanti” la tranquillizzò Sam, “soprattuto su leggende e storie antiche.”

“Ma chi ha ragione?”

Sam sospirò. “Non credo i Draghi di Ghiaccio esistano sul serio” replicò, “probabilmente sono solo storie. Ritengo più verosimile la teoria che vuole il Vetro di Drago provenire da Valyria.” Un pensiero lo fulminò.

“Un momento” disse, più a sé stesso che a Gilly, “all’epoca del Patto fra Figli della Foresta e Primi Uomini Valyria non esisteva ancora e credo nemmeno Vecchia Ghis…”

“I draghi esistevano all’epoca?” chiese Gilly curiosa.

Sam strinse le labbra. “Non lo so” ammise, “nessuno sa esattamente come siano nati i draghi. E se anche fossero esistiti, che collegamento ci sarebbe con il Vetro di Drago? Come ci sono arrivati quei pugnali al Pugno dei Primi Uomini?”

Come è arrivato il Vetro di Drago a Westeros?

Sam sentiva di essere vicino alla soluzione, che gli mancava solamente un anello per completare quella catena di pensieri.

Gilly chiuse il libro di scatto. “Si è fatto tardi” disse alzandosi, “devi andare a dormire.”

Sam non aveva la forza di opporsi. Continuerò a leggere domani, si disse mentre si sistemava sul pavimento come meglio poteva non essendoci posto per un secondo letto. Non voleva lasciare Gilly da sola quella notte ed era troppo tardi per tornare alla Cittadella.

Gilly sembrò rilassarsi quando lo vide sdraiarsi per terra e rimboccò con un sorriso le coperte al piccolo Sam. “Buona notte” sussurrò soffiando sulla candela. Sam si rigirò ancora un paio di volte non trovando una posizione comoda, per poi cadere addormentato.

Fu svegliato da Gilly che lo scuoteva bruscamente. “Sam!” lo chiamava con voce strozzata “C’è qualcuno alla porta…” Sembrava terrorizzata. Sam si tirò a sedere, stropicciandosi gli occhi assonnati. A giudicare dall’oscurità che avvolgeva l’unica stanza della casa doveva essere ancora notte fonda.

“Non ti muovere” sussurrò alzandosi, “ci penso io: tu resta con il piccolo Sam.”

Mentre Gilly tornava alla culla, Sam estrasse Veleno del Cuore da sotto il letto. Non era capace di brandirla correttamente, ma non sarebbe andato là fuori inerme. Lentamente si accostò alla porta e la spalancò di colpo sollevando la spada. La sorpresa gliela fece quasi sfuggire dalle mani. Sulla soglia c’era l’arcimaestro Ebrose, con i capelli grigi scompigliati ed un’aria angosciata.

“Maestro!” esclamò Sam esterrefatto “Cosa è successo?!”

Ebrose si guardò nervosamente intorno. “E’ un posto sicuro per parlare?” chiese guardando Sam negli occhi “E’ davvero urgente, Sam: ho bisogno del tuo aiuto…”

Sam si fece da parte per farlo entrare. “Qualsiasi cosa” disse convinto, “sono a tua disposizione.” Ebrose entrò e non fece domande riguardo a Gilly che lo fissava sospettosa con un bambino in braccio.

“Lei è Gilly” la presentò Sam, “una mia amica: mi dà una mano con i libri.” Fortunatamente Ebrose non sembrava in vena di indagare oltre. Sam lo fece accomodare sull’unica sedia, mentre lui prese posto sul letto accanto a Gilly.

“Sam, alla Cittadella da giorni stanno succedendo cose strane” iniziò Ebrose con voce rauca, “sono scomparsi dei libri, alcuni di questi addirittura unici, e i maestri non riescono a ritrovarli. Trattano tutti lo stesso argomento…” Fece una pausa.

“I draghi.”

Sam lanciò un’occhiata nervosa al grosso libro appoggiato sul tavolo. Ebrose dovette indovinare i suoi pensieri, perché scosse la testa. “No, Sam, non parlo di libri su stupide leggende riguardanti i Draghi di Ghiaccio” lo rassicurò, “quelle non sono altro che dicerie… No, i libri che sono stati rubati parlano dei draghi di Valyria e in particolare del legame che esisteva fra loro e i Targaryen.”

Ebrose inspirò profondamente. “Ci sono molte cose che non sai, Samwell” disse in un tono che a Sam ricordò molto maestro Aemon, “riguardo a quello che i maestri hanno fatto.” Ora l’arcimaestro stava tremando.

“Cose orribili” sussurrò, “davvero…”

Sam iniziò a sentirsi in colpa. “Non devi raccontarmele per forza…”

Ebrose scosse nuovamente la testa. “Devo” replicò, “sembrerà strano, ma tu sei l’unica persona in tutta la Cittadella di cui io mi fidi veramente, Sam. E pensare che ci conosciamo da poco, mentre molti maestri sono qui da più di cinquant’anni...” L’ombra di un sorriso passò sul suo volto, prima che questo riacquisisse la grave serietà di poco prima.

“I maestri della Cittadella non hanno mai amato i Targaryen” iniziò, “vedevano cosa il malgoverno di molti dei loro re stava portando ai Sette Regni, cosa le loro guerre intestine stavano distruggendo. I sovrani accoglievano i maestri alle loro corti, ascoltavano i loro consigli, ma non ne ottenevano mai la completa fedeltà.”

Ebrose strinse le labbra. “Per generazioni i maestri si sono susseguiti alla Fortezza Rossa” proseguì con voce carica di disprezzo, “ed hanno complottato per privare i Targaryen della loro arma più potente.”

Sam era rimasto a bocca aperta. “I draghi?” chiese incredulo “Ma come può essere possibile?”

“Sai perché gli ultimi draghi erano così piccoli?” chiese Ebrose senza aspettarsi una vera risposta “Perché i complici dei maestri della Cittadella da anni ormai li avvelenavano. Non ti dirò in che modo, ma questo veleno rendeva i draghi deboli e poco fertili. I maestri dissero ai sovrani che era colpa del poco spazio concesso agli animali, ma ovviamente non era così. Alla fine quindi i draghi si estinsero.” Sam non sapeva cosa dire.

“Ti ho sconvolto?” chiese Ebrose con una smorfia “Anch’io reagii come te quando me lo spiegarono. L’arcimaestro Marwyn in persona mi disse che era stato un atto necessario, un piccolo passo verso il rovesciamento di una dinastia. All’epoca re Aerys II sedeva ancora sul Trono di Spade.” Ebrose guardò Sam negli occhi, per quanto fosse possibile nella penombra.

“Tutti gli arcimaestri esultarono quando giunsero le notizie” continuò con amarezza, “della vittoria di Robert al Tridente, della morte del Re Folle, perfino della brutale uccisione dei figli di Rhaegar.”

Ebrose rabbrividì. “Erano solo dei bambini” mormorò, “eppure tutti gioirono ugualmente. Siamo stati liberati, diceva Marwyn. Puoi intuire il loro sgomento quando pochi giorni dopo arrivò questo messaggio…”

Ebrose estrasse qualcosa dalla tasca. Era un vecchio pezzo di carta ingiallito dal tempo, ma, per la cura con cui l’arcimaestro lo maneggiava, doveva trattarsi di uno di quei documenti importanti. Sam lo prese in mano e tentò di leggere l’inchiostro scolorito.

La seconda moglie di Rhaegar Targaryen è prossima al parto. Il principe sembra essere sicuro si tratti di una bambina, che prenderà il nome di Visenya Targaryen, principessa dei Sette Regni.

Sam stava boccheggiando. “La seconda moglie di Rhaegar?” chiese con un filo di voce “Rhaegar ha avuto un’altra figlia?”

“I maestri si sono sforzati di interpretare il messaggio” spiegò Ebrose, “non è firmato e non fornisce alcuna indicazione riguardo all’identità della donna. Visenya Targaryen è stata cercata in tutti i Sette Regni, nonostante solo gli arcimaestri siano a conoscenza della sua esistenza, ma non è mai stata trovata.”

Ebrose chinò il capo. “Ma Marwyn non voleva lasciare pedere” continuò con voce spezzata, “era convinto di poter trovare la bambina ed eliminarla insieme alla minaccia che rappresentavano i Targaryen. Era sicuro che re Robert avrebbe ucciso anche Viserys e il figlio non ancora nato della regina Rhaella una volta presa la Roccia del Drago. E alla fine trovò una donna che si convinse essere la seconda moglie di Rhaegar: Ashara Dayne, la bellissima sorella di Arthur Dayne.”

Sam era confuso. Sapeva che per molto tempo lady Ashara era stata considerata la donna con cui Eddard Stark aveva generato il suo bastardo, perfino Jon gli aveva raccontato di averci creduto per un periodo. Si diceva che Ashara Dayne si fosse buttata dalla scogliera di Stelle al Tramonto per gelosia, dovendo rinunciare a Ned per sempre.

“Ashara è morta precipitando da una scogliera” disse Sam, “mentre era…”

“Incinta” concluse per lui Ebrose in tono grave, “e non è precipitata: è stata spinta.”

Gilly lanciò un gridolino.

“Mi stai dicendo che è stata assassinata?” chiese Sam trovando le parole a fatica.

“Sì” disse Ebrose con tristezza, “dai sicari della Cittadella. Tutto perché Marwyn credeva il figlio che portava in grembo fosse Visenya Targaryen. Io ero furioso quando mi riferì cosa aveva fatto. Sembrava addirittura orgoglioso. Io gli dissi che Ashara era innocente, che non aveva prove lei fosse davvero la seconda moglie di Rhaegar. Lui mi disse ancora una volta che era stato un atto necessario.”

Ebrose inspirò profondamente. “Ma io non avevo detto la verità” proseguì infervorandosi, “non avevo detto tutto quello che sapevo. Qualche settimana prima il mio amico Arthur Dayne mi aveva fatto recapitare questo, implorandomi di tenerlo segreto. E così ho fatto per tutto questo tempo: tu sei il primo che lo vede in più di vent’anni…”

Sam prese con mano tremante il secondo pezzo di carta, chiedendosi cosa dovesse aspettarsi questa volta.

Da oggi fino alla fine dei tempi affermo che Lyanna di casa Stark e Rhaegar di casa Targaryen sono un’unica mente, un unico corpo, un unico cuore. Che gli Antichi Dei concedano loro molti figli e benedicano questa unione.

Il documento portava la data di circa un anno prima dell’inizio della Ribellione di Robert ed era firmato da Arthur, così come dai due sposi. Sam non sapeva cosa doveva pensare.

“A volte” disse Ebrose rompendo il silenzio, “la soluzione più semplice si rivela essere quella corretta. Ashara Dayne e suo figlio sono morti invano, ma almeno Marwyn si è messo l’anima in pace. L’anno successivo ricevemmo la notizia della morte di parto della regina Rhaella, della nascita di Daenerys Targaryen e della fuga della principessa e del principe Viserys ad Essos. Da allora la situazione è tornata tranquilla e nessuno ha più contestato la decisione di Marwyn.”

Sam ancora non capiva. “Ma se Rhaegar e Lyanna si sono sposati” disse ricordando quello che Jon gli aveva raccontato riguardo al rapimento di sua zia, “vuol dire che si amavano? Sono dunque fuggiti insieme?”

“Credo di sì” rispose Ebrose, “ma non ne avremo mai la certezza.”

“Ma allora come è morta lady Lyanna?” insistette Sam.

“Forse di parto” suggerì Ebrose, “dando alla luce sua figlia.” Quel ragionamento aveva un senso seppur nella sua follia.

“Credi che Visenya sia sopravvissuta?” chiese ancora Sam “Che possa essere ancora là fuori da qualche parte?”

“Non lo so” rispose Ebrose, “tutti i miei segreti tentativi di localizzarla sono stati vani. Forse semplicemente non è mai nata. Ma semmai risultasse ancora viva, questi devono rimanere nascosti e la Cittadella non è più un posto sicuro.” Ebrose si alzò e Sam lo seguì con lo sguardo.

“Sono al sicuro qui?” chiese l’arcimaestro e Sam boccheggiò.

“Maestro…”

“Sono al sicuro?” ripeté Ebrose e Sam annui suo malgrado. “Bene” disse l’arcimaestro uscendo, “buona fortuna, Samwell, e tieniti stretta quella chiave: credo tu sappia quale porta apre…”

All’improvviso Sam sentì qualcosa pesargli in grembo. Incredulo prese in mano la grossa chiave marrone. Quando sollevò nuovamente lo sguardo Ebrose era scomparso.

Gilly lo stava fissando con apprensione. “Che cosa facciamo?” chiese, l’angoscia palpabile nella voce.

Sam sospirò e ficcò la chiave sotto il cuscino. “Andiamo a dormire” rispose tranquillo stendendosi nuovamente a terra. Fuori stava appena albeggiando.

 

Arya

 

La corsa contro il tempo verso la locanda della Fratellanza l’aveva sfinita. Arya entrò ansimando e si diresse spedita verso la camera di Beric Dondarrion. Quando fu certa di non avere addosso occhi indiscreti, si tolse cauta il volto di Myun. Sansa aveva finalmente deciso di entrare in azione. Non che avesse molta scelta, almeno non dopo quello che Arya aveva sentito.

Beric aprì la porta di scatto. “Arya?” chiese a bassa voce guardandosi intorno “Che ci fai qui a quest’ora? E’ tardi, pensavo fossi al banchetto…”

“Ci saresti dovuto essere anche tu” gli ricordò Arya, “mia sorella ti aveva invitato, ma non è il momento di pensare alle feste. Sansa è nei guai.”

L’espressione di Beric divenne grave. “Cos’è successo?”

Arya si guardò intorno. “Ditocorto è andato al Moat Cailin” rivelò nervosa, “a radunare i Cavalieri della Valle: vogliono fare un colpo di stato.”

Arya l’aveva sentito proprio quella mattina. All’alba, nelle cucine deserte, Baelish aveva salutato Yohn Royce e gli aveva confidato i propri piani.

“Tu rimarrai qui con una scorta” aveva detto Ditocorto, “così da non destare sospetti, e io andrò al Moat Cailin. Entro sera sarò di ritorno con l’esercito di lord Robin Arryn e domani il Nord sarà nuovamente di lady Sansa, così come è giusto che sia. Non credo ci sarà bisogno di una battaglia: i bruti sono tutti a Ultimo Focolare e gli altri lord saranno completamente ubriachi per quando tornerò.”

Ditocorto aveva mormorato qualche altro avvertimento e poi era partito. Nessuno si era davvero preoccupato per la sua strana assensa ed Arya era certa Royce avesse una scusa pronta. Per tutta la giornata Myun aveva cercato di avvertire Sansa, che però era stata troppo occupata a causa dell’arrivo dei lord e delle loro famiglie. Quando finalmente era riuscita ad avvicinarla, Arya aveva creduto fosse troppo tardi.

Il sole era ormai tramontato quando il Mastino aveva lasciato in segreto Grande Inverno e Yohn Royce era stato sbattuto in cella. Sansa aveva agito con sorprendente rapidità e sangue freddo ed Arya ne era rimasta davvero colpita. Non aveva esitato ad accusare apertamente Royce, ma non aveva neppure diffuso il panico fra gli abitanti di Grande Inverno.

Arya era sicura Sansa avesse compreso il punto della situazione. Dovevano fingere di essere deboli, in modo da far uscire allo scoperto Baelish e poterlo battere sul suo stesso terreno. Era un piano rischioso, ma l’unico che potesse funzionare. Arya sperava solo il Mastino avrebbe richiamato i bruti in tempo.

Sandor non si era nemmeno lamentato troppo per quell’incarico imprevisto: sembrava quasi ansioso di dimostrarsi gentile agli occhi di Sansa. Arya non riusciva a comprendere ancora appieno quel comportamento, ma finché fosse rimasto fedele alla loro causa a lei andava bene così. Mettere in allerta la Fratellanza senza Vessilli era stata un’ottima idea dello stesso Sandor e Arya era stata felice Sansa le avesse affidato il compito del reclutamento.

In quel momento Beric sembrava stordito. “Sei sicura, Arya?” chiese incerto “Stai accusando di tradimento una persona molto importante, forse dovresti aspettare…”

Ma Arya era stufa della politica d’attesa della Fratellanza. “Baelish ha tradito mio padre e gli ha puntato un coltello alla gola” sibilò irata, “e poi ha complottato con Tywin Lannister per ingannare mia madre e mio fratello.” Arya questo lo sapeva: aveva udito la conversazione fra Ditocorto e Tywin ad Harrenhal.

“E’ pericoloso” continuò, “e ti sto dicendo che sta venendo qui con un esercito che sarà il triplo di quello che noi abbiamo a disposizione in questo momento. A mia sorella servono gli uomini della Fratellanza.”

Beric aveva cambiato espressione. “Ned Stark era mio amico” disse in tono serio, “lo stimavo molto. E’ su suo ordine che ho radunato la Fratellanza e combattuto nelle Terre dei Fiumi. Abbiamo giurato fedeltà alla lady di Grande Inverno e manterremo la nostra parola: se ha bisogno di noi, ci saremo.”

Arya annuì. “Chiama Thoros” ordinò, “e raduna gli altri. Fatevi trovare nel Parco degli Dei fra massimo un quarto d’ora, ma non date nell’occhio. Anche se Royce è in prigione, potrebbero esserci altre spie nel castello. Dobbiamo evitare che il rapporto delle nostre azioni giunga all’orecchio di Baelish. Aspettate me e Sansa là: io devo ancora fare una cosa. Ricordate di chiamarmi Myun.” Arya applicò nuovamente il volto della ragazzina e si girò.

“Arya” la richiamò Beric in tono affettuoso, “inizi a parlare come una vera lady.”

In tempi remoti quelle parole avrebbero procurato un’ondata di disgusto, ma ora Arya ne fu quasi lusingata. Era strano come i suoi sentimenti fossero così tanto cambiati. Ma in fondo era il mondo ad essere diverso, lei si era solo adattata.

Arya uscì dalla locanda e si diresse verso i margini della Foresta del Lupo. L’oscurità era calata e a Città dell’Inverno le luci iniziavano a spegnersi. Ditocorto ha scelto bene il momento dell’attacco, pensò con amarezza, nessuno se ne accorgerà.

Da Grande Inverno provenivano ancora le risate dei partecipanti al banchetto e Arya ne fu rassicurata. Significava che la situazione non era ancora degenerata, ma aveva comunque poco tempo. Presto ebbe davanti solo gli alti alberi innevati della Foresta e si fermò, inspirando profondamente. Sapeva che Nymeria sarebbe arrivata, lo sentiva nelle ossa e nel cuore. Ora aveva bisogno di lei.

Il meta-lupo emerse subito dalla nebbia, gli occhi gialli scintillanti nella foschia. Intorno a Nymeria si radunò il branco di lupi ed al suo fianco comparve Spettro. Il meta-lupo bianco era silenzioso come al solito ed il suo manto candido era visibile anche nell’ombra che l’avvolgeva. Arya si chinò ad accarezzare Nymeria e l’animale protese il muso.

“Dovete venire con me” sussurrò Arya, “tutti quanti. Ma siate discreti, non si devono accorgere di voi.” Sembrò addirittura che Nymeria stesse annuendo. Poi ululò e tutti i lupi le vennero dietro con il loro tetro richiamo. Spettro rimase in silenzio. Arya sorrise e si diresse verso le mura del castello, evitando il portone principale, che era sorvegliato.

Conosceva un’entrata che portava dritta al Parco degli Dei. L’aveva scoperta per caso, insieme a Jon e Robb quando aveva sette anni. Li aveva seguiti di nascosto mentre si allenavano con le spade al limite della Foresta ed era inciampata in una pianta di rampicanti. Si era ferita il ginocchio e non aveva trattenuto i singhiozzi. Robb e Jon l’avevano trovata subito, ma dietro quelle piante avevano visto anche una porta dimenticata.

“Sarà il nostro segreto” aveva detto Jon scompigliandole i capelli e Robb aveva riso. Al ricordo gli occhi di Arya si inumidirono.

Ritrovò l’entrata senza troppi problemi, i rampicanti erano tutti secchi, e riuscì ad entrare nel Parco degli Dei. L’atmosfera irreale di quel luogo l’avvolse immediatamente ed Arya si sentì a casa. Uno dopo l’altro tutti i lupi entrarono e si disposero in un cerchio straordinariamente ordinato. Beric e i membri della Fratellanza non erano ancora arrivati.

Arya era sicura avrebbero superato senza problemi le sentinelle semplicemente dicendo di essere invitati al banchetto, perciò decise di cercare Sansa. L’ultima volta che l’aveva vista era nella sala dei banchetti che rassicurava i lord e le lady seduti ai lunghi tavoli. Poi Arya si era recata a Città dell’Inverno e Sansa era rimasta con Alys Karstark.

Arya strinse le labbra: non si fidava di Alys, la sua ingenuità esagerata riguardo a Ditocorto era sospetta. Dall’altro lato, però, Sansa si trovava nel posto più sicuro in quel momento, circondata da uomini leali agli Stark. Arya decise che sarebbe entrata per cercare sua sorella.

“Tu e i tuoi lupi dovete rimanere qui” mormorò a Nymeria, “aspettate Beric e Thoros: loro vi conoscono. Io tornerò presto.” Nymeria si mise seduta, subito imitata dal suo branco. Spettro invece seguì Arya nel castello. In fondo nessuno si sarebbe sorpreso di vederlo accanto alla servetta di lady Sansa.

Arya salì le scale sforzandosi di assumere un comportamento naturale. Si affacciò alla Sala Grande, ma di Sansa non vi era traccia. Forse è tornata in camera, si disse tornando indietro, sempre seguita da Spettro.

La stanza di Sansa tuttavia era deserta. Spettro pareva inquieto e Arya iniziò a preoccuparsi. Ricordò Vento Grigio che si dimenava alle Nozze Rosse, come percepisse il pericolo che correva Robb, ed ebbe paura. Ciò siginificava che Sansa o Jon erano in pericolo? Arya non lo sapeva, ma in quel momento poteva solamente pensare a sua sorella.

Spettro rimase ad annusare il letto di Sansa ed Arya si precipitò nella sua stanza. Quando raggiunse il letto, la porta le si chiuse di scatto alle spalle.

“Lord Baelish ha detto che la sguattera di lady Sansa ha tradito” disse un uomo appena emerso dall’ombra. Era piuttosto basso e grasso e brandiva un corto coltello. Arya continuò a frugare sotto le coperte.

“Dice che sai troppe cose” continuò l’uomo avanzando goffamente, “e che sei diventata una minaccia.”

La mano di Arya si chiuse intorno all’impugnatura di Ago. Quando l’uomo scattò in avanti, lei brandì la spada e gliela affondò vicino al cuore scoperto.

Infilzali con la punta.

L’uomo cadde in ginocchio grugnendo. Arya gli si avvicinò tranquilla e gli sfilò il coltello. Poi si protese in avanti e gli sussurrò in un orecchio.

“Lo sai chi sono?” chiese e l’uomo rispose con un gemito. “Sono Arya Stark” mormorò Arya e gli tagliò la gola, come aveva fatto molti mesi prima a Meryn Trant. L’assalitore si accasciò a terra.

Con fredda calma Arya rinfoderò la spada e aprì la porta senza toccare il cadavere. Baelish aveva mandato qualcuno ad ucciderla e quella era la prova definitiva dei suoi loschi scopi. Arya entrò nuovamente nella camera di Sansa, solo per trovare Spettro che, con la lingua a penzoloni, guardava la spada che era apparsa fra le coperte. Arya sorrise. Anche in quella situazione non le sfuggiva la sottile ironia di come sia lei che Sansa avessero scelto lo stesso posto per nascondere le proprie armi.

Ambra, Sansa ha detto di averla chiamata così.

La raccolse e ne ammirò l’elsa decorata dalla pietra dorata. Poi la legò alla cintura e lasciò la stanza. Dov’è Sansa? si chiese sempre più preoccupata. Fece qualche altro tentativo in stanze attigue, ma non la trovò.

Spettro continuava a voltarsi indietro e a fermarsi a ogni angolo ed Arya capì di aver bisogno d’aiuto o ci avrebbe impiegato troppo tempo. Sarebbe potuta tornare nella sala dei banchetti e allertare tutti i presenti, oppure avrebbe potuto raggiungere Beric ed i lupi nuovamente nel Parco degli Dei.

Mentre valutava le alternative, Spettro iniziò a correre. Senza pensarci troppo Arya lo seguì e raggiunse l’ala est del castello. L’accesso però era bloccato da una porta sbarrata dall’interno. Qualcosa non va, pensò Arya mordendosi il labbro. Non c’erano altri modi per raggiungere i corridoi e le stanze oltre la porta, ma poi Spettro raggiunse una finestra aperta. Arya sentì il sangue gelarle nelle vene.

Poco sotto il davanzale correvano i tetti che giravano tutto intorno alla torre. Avrebbe potuto scalarli facilmente ed entrare nell’ala est da un’altra finestra. Salì sul davansale, ma al momento del salto esitò. Bran scalava queste mura, pensò d’un tratto tremando. Era il più bravo, ma poi un giorno è caduto. Molti dicevano che era stato spinto giù, ma lei aveva paura lo stesso. Spettro la fissava intensamente e Arya annuì. Non era il momento per la paura, non lo era più da anni ormai.

Non oggi, non oggi, non oggi. E saltò.

Si aggrappò senza fatica ai merli delle mura e proseguì a tentoni, rassicurata dal buio che l’avrebbe celata alla vista di potenziali nemici. Avanzava lentamente, assicurandosi sempre di avere una presa salda sulle pietre su cui poggiava mani e piedi. Non era difficile e presto i suoi muscoli si rilassarono, rendendo i movimenti meno rigidi. Acquisì sicurezza e rapidità e si ritrovò dopo pochi minuti dalla parte opposta della torre.

Putroppo tutte le finestre erano chiuse, ma Arya non demordeva: ne avrebbe trovata una aperta e sarebbe entrata. Si aggrappò al ramo secco di un albero che crescava lì vicino e si calò sul davanzale della grande finestra senza vetri del piano inferiore. Si diede una spinta e saltò dentro sfoderando contemporaneamente Ago. Ciò che vide nella piccola stanza della torre orientale la lasciò senza fiato.

Aveva trovato Sansa, che ora la guardava con occhi sgranati. Aveva il vestito strappato in più punti ed era seduta sul letto. Sembrava disorientata, ma non ferita. La porta era palesemente chiusa a chiave dall’esterno. Arya sentì il sangue ribollirle nelle vene.

“Myun?!” esclamò Sansa incredula “Che ci fai qui? Come mi hai trovata?” Il suo sguardo si posò sulla finestra.

“Sei passata da ?”

Arya le si avvicinò. “Chi è stato?” chiese a sua volta.

Il volto di Sansa si indurì. “Alys Karstark ha tradito” mormorò, “si è alleata con Ditocorto da quello che ho capito… E’ sempre stata lei la spia.” Arya avrebbe voluto mettersi ad urlare. Tutti i loro piani, tutte le loro precauzioni, non erano servite a nulla.

“Ho sbagliato” disse Sansa con il labbro che tremava, “è tutta colpa mia…” Le lacrime iniziarono a sgorgare ed Arya pensò di ritrovarsi di nuovo davanti alla bambina a cui avevano appena ucciso Lady. Non sapeva bene come consolarla.

“Non è vero” disse, “vedrai che andrà tutto bene.” Erano parole piuttosto stupide, ma non aveva trovato di meglio.

“Ora ti libero” disse con più convinzione raggiungendo la porta. Forse l’avrebbe potuta forzare con Ago.

“Aspetta” la fermò Sansa e Arya abbassò Ago.

“Non credo sia una buona idea” continuò Sansa ora più lucida, “se ora provi a forzarla impiegheresti troppo tempo e non posso nemmeno fuggire con te sui tetti… Myun, Alys sta andando alla sala dei banchetti, credo voglia chiudere le porte…” Arya rabbrividì ricordando le Nozze Rosse.

“Devi avvertire gli altri lord” disse Sansa, “parlare in mio nome, dire loro di stare pronti… Ti prego…” Sansa sembrava nuovamente disperata.

Arya strinse le labbra. “Quando soffiano i venti dell’inverno” mormorò ricordando le parole di loro padre, “il lupo solitario muore, ma il branco sopravvive.” Vide la confusione e la sopresa sul volto di sua sorella.

“Cosa…?”

Arya sorrise. “Mio padre una volta mi disse che voi Stark lo ripetete spesso” spiegò, “è un modo per ricordarvi di restare uniti…” Sansa annuì. “Avrai bisogno di questa” disse Arya estraendo Ambra e posandola sul pavimento. Sansa era rimasta a bocca aperta.

“La nascondo sotto il letto” continuò Arya spingendo la spada con il piede, “in caso di pericolo potrai raggiungerla.”

“Ma non so usarla!” esclamò esterrefatta Sansa.

“Infilzali con la punta” disse Arya con un sorriso e pensò a Jon.

Sansa la guardò per qualche momento. “Myun” sussurrò, “perché fai tutto questo per me? Posso fidarmi?”

Arya non si mosse. “Sempre.” In quel momento dal Parco degli Dei arrivarono gli ululati dei lupi ed Arya si voltò di scatto.

“Quelli sono lupi?” chiese Sansa stupefatta.

Arya saltò sul davanzale. “Devo andare” disse voltandosi un’ultima volta, “ma tornerò a liberarti.”

Sansa sorrise. “Buona fortuna” mormorò, prima che Arya scomparisse oltre la finestra.

Non avrebbe voluto abbandonare sua sorella, ma Sansa aveva ragione. Se volevano sperare di mantenere un minimo di effetto sorpresa, dovevano far credere ad Alys e Baelish di essere stati sconfitti. Ditocorto non le farà del male, pensò Arya rassicurandosi, vuole davvero renderla Regina del Nord, ha bisogno di Sansa.

Si aggrappò al tetto delle stalle e si calò prudentemente a terra. Corse senza voltarsi indietro verso gli alberi-diga ed udì le urla concitate delle sentinelle sulle mura.

“Chiudete le porte!” gridavano “Anche a Città dell’Inverno, avvisate tutti!”

Arya non era sicura di voler sapere cosa stesse succedendo. Arrivata al Parco degli Dei, Nymeria e Beric le corsero incontro.

“Dov’eri finita?!” chiese Beric con una punta d’angoscia nella voce “Non ti trovavamo da nessuna parte, pensavamo fosse successo qualcosa…” Nymeria ringhiò e Arya si affrettò ad accarezzarla.

“Alys Karstark ha tradito” disse, mentre gli altri membri della Fratellanza si avvicinavano, “mia sorella è prigioniera nella torre orientale, ma mi ha ordinato di non liberarla, non ora almeno. Abbiamo un piano…”

Thoros fece un passo avanti. “Non credo abbia più importanza” disse con voce grave, “ormai è tardi per qualunque piano premeditato: possiamo solamente combattere.” All’improvviso si sentirono dei colpi possenti al portone di Grande Inverno.

“SONO SOTTO LE MURA!”

Arya si mise nuovamente a correre, Nymeria sempre al suo fianco. Salì sulle mura, incurante delle occhiate incredule, e si affacciò. Lo stomaco le si strinse quando vide l’esercito. I soldati erano quasi tutti a cavallo e portavano i vessilli dell’aquila degli Arryn e delle altre casate della Valle. Davanti a tutti si ergeva Petyr Baelish, con il suo solito ghigno sulle labbra.

“Veniamo in pace” gridò Ditocorto con voce possente, “in nome di Robin Arryn, lord di Nido dell’Aquila e protettore della Valle. Il nostro signore desidera vedere il suo fedele alfiere Yohn Royce libero il più presto possibile e sua cugina Sansa Stark di Grande Inverno sul trono del Nord. Aprite le vostre porte affinchè possiamo riportare le cose al loro giusto ordine.”

“MAI!” urlò Arya nascosta dietro i merli delle mura e tutte le guardie le vennero dietro con un solo grido.

“Parlo a nome di lady Sansa” disse Arya rivolgendosi ai soldati. Ai suoi soldati.

“La nostra signora non vuole il trono” proseguì, “e Baelish vi sta ingannando. In questo stesso momento i signori del Nord sono rinchiusi nella sala dove banchettavano: sono stati traditi da Alys Karstark, in combutta con Ditocorto.” Ormai tutte le precauzioni non avevano più senso, bisognava lottare per sopravvivere.

“Ma tu chi sei?” chiese un soldato “Tu che ci vieni a dire queste cose…”

“Myun” rispose Arya, “e lady Sansa si fida di me, quindi non vedo perché non debba farlo tu.” L’uomo abbassò il capo.

“Combatterete per la vostra signora?” gridò Arya “Per il vostro re, per la vostra terra?”

Ci fu un coro di ruggenti esclamazioni. Gli uomini accorrevano e gridavano il nome di Jon o di Sansa. Arya quasi si commosse.

“Ultimo avvertimento” gridò Baelish da sotto, “arrendetevi o scorrerà il sangue. Ripeto, siamo qui per aiutare lady Sansa a riprendersi il posto che le spetta.”

Per tutta risposta Arya afferrò l’arco di Thoros, si sporse un poco e scoccò una freccia che trafisse uno dei Cavalieri della Valle in prima fila.

“Il vostro sangue” mormorò e corse giù dalle mura.

I colpi d’ariete continuavano a far scricchiolare il portone, che fortunatamente era stato riparato di recente. Tutti gli uomini stavano accorrendo nel cortile e portavano armi e anche cavalli. Nymeria ululò e i lupi uscirono dall’ombra. Gli uomini indietreggiarono quando gli animali si strinsero intorno ad Arya. Lei continuò a correre verso il palazzo.

“Notizie dai bruti che Sandor è andato a richiamare?”

Beric scosse la testa. “Non ancora” rispose, “ma arriveranno.”

“Dentro il castello ci sono ancora almeno cinquanta Cavalieri della Valle oltre a Royce ed Alys” disse Arya, “dobbiamo liberare i lord prigionieri nella Sala Grande e dare l’allarme. Poi andremo a prendere mia sorella.”

Il sacrificio di Sansa era stato inutile: se l’avesse liberata quando ne aveva l’opportunità, ora avrebbero avuto un problema di meno. Arya sperò riuscisse a cavarsela da sola.

“Troveremo Alys” continuò spietata, “e la uccideremo… E poi faremo lo stesso con Ditocorto, Royce e chiunque altro minacci la mia famiglia, ogni singolo soldato del loro esercito se necessario. Stanotte vendicheremo mio padre.”

Nymeria ringhiò e tutti gli uomini della Fratellanza urlarono la loro approvazione. Arya sorrise e passò la mano sul manto del meta-lupo, mentre nell’altra stringeva Ago.

Beric Dondarrion fece un passo avanti. Estrasse la propria spada e si inginocchiò davanti ad Arya. Tutti fecero lo stesso e Nymeria guardò in alto verso la sua padrona.

“Che il Signore della Luce ci protegga!” esclamò Thoros di Myr e la spada di Beric prese fuoco. Arya sorrise e non si mosse.

“Gli uomini della Fratellanza senza Vessilli sono tuoi, mia signora” disse il Lord della Folgore sollevando appena il capo, “la Lupa di Sangue di Grande Inverno.”

 

Cersei

 

Le sue giornate erano così monotone. Tra un’esecuzione e l’altra nella capitale non succedeva niente di nuovo. Cersei non era sicura questo fosse un buon segno. Il popolo era stranamente quieto nell’ultimo periodo e la regina temeva stesse preparando una nuova rivolta. Per precauzione portò avanti il suo programma di impiccagioni quotidiane, giusto per non far dimenticare alla feccia a chi doveva la propria lealtà.

Cersei aveva rinunciato già da un pezzo a lasciare la Fortezza Rossa, era troppo pericoloso, e teneva sempre la Montagna vicino. Trascorreva le giornate bevendo vino e guardando dalla finestra le rovine del Tempio di Baelor. Era strano pensare che lì sotto riposassero le ceneri dei suoi figli e di Tywin Lannister. Era strano non avere una tomba su cui piangerli. Cersei non sapeva nemmeno se avrebbe voluto farlo. Ormai il suo unico pensiero era il Trono di Spade.

Aveva sognato di sedervisi fin dalla più tenera età e il potere riservato alla regina reggente non le era mai bastato. Da sempre malediceva gli Dei per averla fatta nascere donna. Se fosse stata un uomo avrebbe potuto ottenere tutto ciò che aveva avuto suo padre nella metà del tempo. Avrebbe potuto combattere, uccidere, farsi valere, e invece per troppo tempo era stata messa da parte, costretta ad aspettare.

Il potere che guadagnava passo dopo passo non era mai abbastanza, Cersei voleva di più, sentiva di poter arrivare più in alto. Donne come Daenerys Targaryen o Margaery Tyrell dovevano, o avevano dovuto, la loro posizione alla propria abilità nell’uso delle armi che la natura conferisce ad una fanciulla, ma Cersei le disprezzava per questo.

Lei era diversa ed aveva conquistato il proprio Trono uccidendo i nemici uno dopo l’altro. Nessuno l’aveva fatto per lei, né Cersei era mai scesa a compromessi. Aveva semplicemente preso quello che era suo. Era stato arduo, certo, ma ora poteva dirsi più vicina che mai allo scopo che da sempre si era prefissata: non vedere più nessuno sopra di sé, più nessuno a darle ordini.

Qyburn si stava dimostrando un alleato prezioso e arguto e Cersei continuava a gioire per avergli permesso di dimostrare le proprie abilità. Grazie alle giovani spie di Qyburn, Cersei aveva la situazione sotto controllo in quasi tutti i Sette Regni. Solo il Nord, le Isole di Ferro e la Roccia del Drago sfuggiavano alle sue briglie di conoscenza.

Sapeva che Daenerys con i suoi seguaci era arrivata sull’isola del drago, ma non aveva più ricevuto notizie da allora. Probabilmente le sue previsioni si erano rivelate esatte e Tyrion aveva consigliato alla reginetta di attendere. Che sciocco, pensava Cersei. Non ha ancora capito che bisogna cogliere al volo le opportunità?

Gli ultimi rumori riguardo al Nord segnalavano una forte tensione interna e Cersei era convinta che i suoi nemici si sarebbero presto distrutti da soli. Rideva quando pensava che Jon Snow sperava in un’alleanza con Daenerys Targaryen. Era molto più probabile a quell’ora fosse già stato bruciato vivo da uno di quei mostri. Cersei lo sperava: sarebbe stato tutto più semplice allora.

Nemmeno di Euron Greyjoy aveva più notizie e immaginava ciò fosse dovuto alla pausa che aveva imposto ad Occhio di Corvo prima dell’attacco a Daenerys.

“E’ fondamentale che riuniate le vostre milizie prima dello scontro con Daenerys Targaryen, vostra grazia” continuava a ripeterle Qyburn, “avrete molte più possibilità in questo modo.”

L’idea di dipendere pericolosamente da Euron infastidiva non poco Cersei, che avrebbe preferito disporre di un esercito più grande per conto suo. I mercenari assoldati da Occhio di Corvo poi erano costosi e le finanze della Corona si stavano inesorabilmente prosciugando.

La Banca di Ferro aveva inviato ben tre lettere, dicendosi pronta a supportare Daenerys Targaryen se non avesse ricevuto i suoi soldi indietro in breve tempo. Cersei aveva risposto ricordando che i Lannister pagano sempre i loro debiti e che non si sarebbe dimenticata di loro, nel bene e nel male. Da allora non erano arrivate più lettere e la regina si sentiva più tranquilla.

Di Alto Giardino non si sapeva nulla e Cersei si chiedeva quanto potesse durare quell’azione militare. Jaime non è neppure più in grado di prendere un castello deserto? pensava stizzita. Aveva ricevuto notizie dello sbarco dell’esercito Tyrell al servizio di Daenerys avvenuto più di una settimana prima a Vecchia Città, era possibile ancora non fosse arrivato ad Alto Giardino? Cersei era scettica ed attendeva notizie da Jaime.

Una mattina Qyburn la svegliò prima del solito, dicendo di avere importanti novità. “Mi scuso per l’ora, vostra grazia” disse quando si accomodarono nella camera del Primo Cavaliere, “ma credo tu debba saperlo il prima possibile.”

Fece un respiro profondo. “Mi sono giunte voci dalle Terre della Tempesta” disse guardando Cersei negli occhi, “certo potrebbero essere menzogne o storie…”

“Cosa hanno sentito i tuoi uccelletti?” tagliò corto la regina.

“Sembra che tuo fratello Tyrion si sia recato a Capo Tempesta insieme a ser Davos Seaworth” spiegò, “da quello che ho capito vogliono convincere i lord a riconoscere come loro signore l’unico figlio bastardo di Robert Baratheon rimasto in vita, così che possano appoggiare Daenerys Targaryen.” Cersei abbassò il capo, riflettendo. Si sforzò di ricordare il giorno in cui Joffrey aveva ordinato l’uccisione dei bastardi di Robert.

“Janos Slynt aveva detto mancava un ragazzo all’appello” fu costretta ad ammettere, “un apprendista fabbro mi pare, si chiamava…”

“Gendry Waters” rispose per lei Qyburn, “secondo le mie fonti è stato riconosciuto dalla regina come Gendry Baratheon.”

Cersei strinse i denti. In quel piano sentiva la puzza di Tyrion. Ormai lo sognava quasi tutte le notti, che le scivolava alle spalle stringendole le mani intorno alla gola e soffocandola.

Tentò di tornare in sé. “Questa è una complicazione che non avevamo previsto” ammise, “ma non è detto questi lord vorranno seguire Daenerys.”

“Se posso permettermi, vostra grazia” azzardò Qyburn, “non credo passeranno neppure dalla tua parte: molti dei loro parenti sono morti nella Battaglia delle Acque Nere.”

Cersei strinse le labbra. “Quanti uomini avranno ora le Terre della Tempesta?” chiese poggiando le mani sul tavolo.

Qyburn consultò un paio di carte. “Non più di diecimila” rispose, “la maggior parte è morta al seguito di Stannis.”

Cersei si rilassò un poco. “Allora non rappresentano una grande minaccia” disse, “che la ragazzina prenda pure gli avanzi di Stannis…”

“Con tutto il rispetto, vostra grazia, non credo dovremmo ragionare così” la interruppe gentilmente Qyburn, “i numeri di Daenerys sono alti, rischiamo di non poter difendere Approdo del Re in caso d’attacco.”

Non voglio difendere la città, voglio difendere il mio Trono.

“Possiamo arruolare nuovi mercenari” si costrinse a dire Cersei, “e una volta che Jaime avrà preso Alto Giardino potremo contare sull’appoggio di un alto numero di casate dell’Altopiano.” Cersei si versò da bere e lo offrì a Qyburn, che rifiutò.

“Alla fine su quali forze può contare Daenerys Targaryen?” continuò la regina “L’esercito dell’Altopiano è diviso e ho già i Tarly e i Merryweather dalla mia parte. Gli uomini di Dorne non hanno navi e il loro esercito è il meno numeroso dei Sette Regni. I Dothraki sono micidiali in campo aperto, ma non riuscirebbero a espugnare una fattoria se questa fosse protetta da mura decenti. Cos’ha quindi? Qualche soldato straniero e tre lucertole.”

“Dimentichi il Nord, vostra grazia” osservò cauto Qyburn, “se anche la Valle e le Terre dei Fiumi uniscono le forze con Daenerys, potrebbero formare un esercito imponente.”

Cersei ebbe voglia di ridere. “Le Terre dei Fiumi sono devastate” gli ricordò, “non possono fare nulla in questo momento. La Valle non ha partecipato nemmeno alla Guerra dei Cinque Re e di certo Baelish non entrerà in campo ora che la situazione è così precaria. L’esercito del Nord ormai non esiste quasi più ed è impensabile una sua alleanza con i Targaryen.”

“Eppure” disse Qyburn, “Davos Seaworth è andato con tuo fratello a Capo Tempesta e lui ha giurato fedeltà a Jon Snow.”

Questa a Cersei suonava nuova. “Non era fedele a Stannis?” chiese cercando di ricordare le storie riguardo al Cavaliere delle Cipolle.

“Non più evidentemente” rispose Qyburn, “ma se ha accompagnato Tyrion a Capo Tempesta vuol dire che Jon Snow ha trovato un accordo con Daenerys Targaryen.” Cersei dovette dargli ragione.

“In ogni caso sarà difficile per l’esercito del Nord superare l’Incollatura ora che l’inverno è arrivato” proseguì Qyburn, “quindi credo che per il momento non dovremmo preoccuparci.”

Improvvisamente irruppe nella stanza un uomo con in mano una lettera. Ser Gregor fece subito per scaraventarlo contro il muro, ma Cersei lo fermò con un cenno.

“Cosa vuoi?”

“U-una lettera, vostra grazia, da t-tuo fratello…”

Cersei scattò in piedi. Strappò la missiva dalle mani dell’uomo e gli sbatté la porta in faccia. Tornò alla sua sedia e lacerò la carta affannata. Quasi rischiò di rovinare la parte con il testo. Iniziò a leggere divorando le parole.

A Cersei Lannister, regina dei Sette Regni

Ho fallito. Alto Giardino è nelle mani di Olenna Tyrell e degli Hightower e molti dei nostri uomini sono morti. Alerie Tyrell si è suicidata davanti ai miei occhi e non ho potuto fare nulla. Sei stata tradita, Cersei, da Randyll Tarly e Orton Merryweather, ma soprattutto da Euron Greyjoy al quale i due avevano giurato fedeltà. Randyll Tarly è morto, ma mi ha detto che Euron ha attaccato e preso Porto Bianco, sconfiggendo la guarnigione di Daenerys, e che presto sbarcherà alla Roccia del Drago. Euron vuole il Trono di Spade per sé, devi assolutamente richiamare i mercenari. Una parte del mio esercito credo si sia data alla macchia nelle terre dell’Altopiano e io sono riuscito a fuggire con solo 86 uomini. Siamo diretti ad Approdo del Re e spero di rivederti presto. Mi dispiace.

Jaime Lannister.

Cersei si accorse di star tremando di rabbia e strappò il foglio in pezzi piccolissimi. Poi li gettò nel fuoco. Qyburn le lanciò un’occhiata interrogativa.

“Jaime ha perso” disse acida Cersei, “ed Euron, Tarly e Merryweather hanno tradito. Non possiamo fidarci di nessuno.”

Qyburn si morse il labbro. “Questo è un bel problema” sussurrò, “ma forse possiamo ancora cavarcela, in fondo non ci serviva Alto Giardino e anche così Jaime ha inferto un duro colpo all’esercito di Daenerys.”

“Avevo affidato a Jaime quasi trentamila uomini” pensò Cersei, “e ne riporta indietro solo 86…” Non l’avrebbe mai perdonato, come aveva potuto perdere anche quando aveva la vittoria in mano?

Forse era nella mano sbagliata…

Qyburn continuava a berciare di piani di guerra strampalati. “Se Euron ha vinto a Porto Bianco” stava dicendo, “avrà indebolito Daenerys. Forse dobbiamo aspettare che sia lui a finirla così da poterci occupare solo dei superstiti.”

“Tolgo la guarnigione da Castel Granito” annunciò Cersei e Qyburn sollevò lo sguardo di scatto. “Ne sei sicura, vostra grazia?” chiese incerto.

“Nessuno attaccherà il castello” disse Cersei, “non ora almeno, e quegli uomini servono nella capitale. Chiunque vinca fra Euron e Daenerys avrà un esercito decimato e per allora avremo recuperato le nostre forze.”

Si alzò nuovamente in piedi. “Scrivi delle lettere e fanne fare tante copie” ordinò, “e inviale a Castel Granito, Lannisport e ogni castello dell’Ovest. Voglio che tutti gli uomini e i ragazzi a partire dai dodici anni siano arruolati e partano il prima possibile per Approdo del Re. A Castel Granito restino solamente 200 guardie.”

Qyburn chinò il capo. “Certamente” disse in tono reverenziale, “e per i mercenari?”

Cersei ragionò un attimo. “Scrivi ai comandanti di Euron” decise poi, “e ricordagli chi ha pagato la loro grande flotta e le loro armature. Vedremo da che parte vorranno stare: Euron Greyjoy non può offrire loro nulla.”

Cersei sospirò. “Randyll Tarly è già morto” continuò, “ma voglio la testa di Orton Merryweather insieme a quella di sua moglie e di loro figlio. Voglio che Lunga Tavola bruci, così come Collina del Corno e tutti i loro abitanti.”

“Credo ci penserà già Olenna Tyrell a punire i traditori della sua casata” disse Qyburn e Cersei annuì.

“E ser Jaime?” chiese poi Qyburn.

Jaime ha tradito la mia fiducia, pensò Cersei desiderosa di sfogare la sua rabbia su qualcuno. Ha lasciato che la sua inettitudine mettesse a repentaglio la sicurezza del mio Trono.

“Che torni pure ad Approdo del Re” disse in tono glaciale uscendo dalla stanza, “starà nell’avanguardia semmai i Dothraki dovessero attaccare la capitale.”

 

Jon

 

Spettro si aggirava inquieto nei corridoi bui di Grande Inverno. Sembrava stesse cercando qualcosa e Jon percepiva tutta la tensione del suo corpo. Sentiva le zampe scattare e le mascelle contrarsi. Correva nella penombra e Jon udiva le urla provenire da fuori il castello; le urla e altri ululati. Cambiò direzione, saltò giù per le scale e fece fuggire di terrore una servetta.

Aveva una missione, Jon lo sapeva, e Spettro seguiva un istinto primordiale. Improvvisamente capì che doveva arrivare nella Sala Grande il più presto possibile. Non aveva idea del perché, ma Spettro non si fermò. Le porte erano sbarrate e si sentivano i pugni della gente all’interno stridere sul legno. Jon ebbe paura e Spettro arruffò il pelo.

Il meta-lupo si alzò sulle zampe posteriori e poggiò quelle anteriori sulla porta. Jon sentì che doveva riuscire ad aprirla. Spettro fece scivolare le zampe dalle lunghe unghie sulla sbarra che bloccava la porta, facendo pressione sull'estremità. Jon lo guidò, gli diede forza, e la sbarra scivolò via.

Spettro fece un balzo all’indietro e si accucciò. Quando sulla soglia apparvero gli uomini con espressioni esterrefatte sul volto, Jon quasi urlò.

 

Si svegliò di soprassalto, scoprendosi tutto sudato. Le coperte si erano arrotolate intorno alle gambe e faticava a muoversi. Con il cuore che batteva all’impazzata, Jon si prese la testa fra le mani. Cosa stava succedendo? si chiese senza fiato In nome degli dei, che cosa mi sta succedendo?!

Si impose di calmarsi e deglutì un paio di volte. Le membra gli tremavano e aveva la gola secca. Guardò verso la finestra e vide solo oscurità. Era ancora notte fonda. Jon si asciugò il sudore e rimase a fissare il muro davanti a sé. Ero a Grande Inverno, pensò ancora sconvolto, ma non ero io… Era come se fossi Spettro. Era sembrato tutto così reale, così tangibile e Jon ebbe paura. Era solo un sogno, si disse per tranquillizarsi, solo uno stupido sogno.

Eppure era risaputo i meta-lupi percepissero il pericolo nell’aria, che nelle loro vene scorresse magia dimenticata. Jon ricordava l’ululato straziante di Estate il giorno che avrebbe visto la caduta di Bran dalla torre. Sam gli aveva raccontato di come Spettro fosse comparso al momento opportuno salvando lui e Gilly e Davos gli aveva descritto gli ululati che il meta-lupo aveva elevato quando il suo padrone era morto. Jon scosse la testa.

Era solo un sogno, niente di vero.

Tirò le coperte fin sotto le orecchie e tentò di tornare a dormire. Le immagini del sogno però continuavano a perseguitarlo e, dopo qualche minuto, Jon scattò in piedi. Decise che non aveva senso sforzarsi di dormire in quelle condizioni e si vestì. Forse una passeggiata avrebbe calmato i nervi e gli avrebbe permesso di tranquillizzarsi. Aprì lentamente la porta e uscì.

Il castello era silenzioso come una tomba e Jon ne fu quasi messo in soggezione. Ormai si orientava sufficientemente bene e non ebbe difficoltà a trovare l’uscita e il sentiero per la spiaggia. Il mare era calmo e una brezza leggera gli faceva ondeggiare i capelli.

Raggiunse il piccolo porto e osservò le imbarcazioni oscillare dolcemente sotto la pallida luce della luna. Riconobbe facilmente la Lupa Solitaria e sentì un groppo in gola. Erano ormai passati sei giorni dall’arrivo di Theon a Roccia del Drago e ancora nessuno sapeva dove si trovasse Euron.

Jon era sempre più preoccupato per Sansa, che ancora non si faceva sentire, e per la situazione in sospeso con Ditocorto. Sperava sua sorella non fosse realmente in pericolo, ma il sogno l’aveva gettato nello sconforto. Era davvero strana l’idea di stare su un’isola che presto sarebbe stata presa d’assalto e preoccuparsi invece per una terra lontana centinaia di miglia. Jon sospirò e chinò il capo.

Non aveva ancora trovato il coraggio di scrivere a Sansa riguardo al patto che aveva stipulato con Daenerys il giorno prima. In quel giardino nascosto dalla roccia nera del castello, davanti a quella statua inquietante e al respiro di Rhaegal, Jon si era sentito stranamente in pace. Per quanto la decisione presa fosse stata ardua da accettare, sapeva che era stata la cosa giusta. Jon si mise a camminare verso il molo. Raccolse una pietra e la lanciò in acqua. In quel momento i suoi sentimenti nei confronti di Daenerys erano più confusi che mai. La sposerò, pensò rabbrividendo forse di freddo o forse di timore, sarà mia moglie…

Non era il pensiero del matrimonio in sé a preoccuparlo, ma quanto ne sarebbe conseguito. Non c’era futuro per lui a Nord, nessuna speranza di vivere il resto dei suoi giorni a Grande Inverno, nessuna possibilità di rimanere nella terra a cui apparteneva. Ma era davvero così? Era vero che apparteneva al Nord? Suo padre lo diceva sempre e Robb ci scherzava spesso, ma Jon non ne era mai stato convinto. Amava Grande Inverno più di ogni altro luogo, ma ciò non gli aveva impedito di scegliere la Barriera a vita.

Grande Inverno spetta a Sansa, pensò Jon sollevando lo sguardo verso le stelle. Era per lei in fondo che aveva rinunciato a tutto quello che ancora aveva di più caro, perché lei potesse governare serena su una terra in pace. I lord l’avrebbero odiato appena saputo che aveva ripudiato il titolo di Re del Nord. L’avrebbero visto come un traditore, l’avrebbero insultato, ma a Jon non interessava. L’importante è che Sansa sia al sicuro, si disse, e che Daenerys porti il suo esercito vero la Barriera il più presto possibile. Il resto non conta.

Ma davvero non contava mai nulla quello che lui desiderava? Aveva detto a Daenerys di non sapere cosa voleva, ma era una menzogna. Fin da bambino era cresciuto tentando come meglio poteva di annullare la propria identità, i propri sogni, considerandoli un insulto alla famiglia che così generosamente lo aveva cresciuto. Era stato abituato a non aspettarsi mai nulla e a trarre il meglio dalla propria situazione. Aveva amato la sua famiglia, aveva stimato suo padre oltre ogni limite e aveva tentato di seguire il suo esempio come meglio poteva. Aveva sempre scelto il dovere, sempre scelto il bene degli altri al proprio, ma non era mai stato abbastanza.

Tutte le mie decisioni, realizzò mentre osservava la luna nell’acqua, tutte le miei azioni, le mie convinzioni, esistevano tutte per qualcun altro. Ma anche così si era fatto dei nemici, anche così era stato tradito e ucciso. Jon quasi scoppiò a ridere. Era strano pensare che l’unica decisione che avesse mai preso in tutta la sua vita veramente per sé stesso fosse quella di abbandonare i Guardiani della Notte.

“Perché devo essere io a combattere questa guerra?” chiese ad alta voce “Perché questa responsabilità non può essere affidata a qualcun altro? Perché io?”

Si sedette sul molo e lasciò che le punte delle scarpe sfiorassero la superficie del mare. Chiuse gli occhi. Gli venne in mente suo padre, il suo sguardo, la sua voce, il suo sorriso. “Ci saranno volte in cui sarai stanco” gli aveva detto Ned quando Jon era ancora molto piccolo, “quando penserai di non poter andare avanti o vorrai disfarti delle tue responsabilità. Quando crederai di essere arrivato alla fine e ti sembrerà che il mondo ti vada contro. Ma se nessuno può farlo, se nessuno è in grado di prendere il peso che tu porti sulle spalle, allora è tuo dovere proseguire, finché gli dei vorranno e finché ne avrai la forza.” Quando Jon riaprì gli occhi, si accorse che stava piangendo. Mi dispiace, padre, pensò passandosi il braccio sul viso, non ci riesco…

Poi qualcosa si accese in lui: il ricordo di Sansa che rideva al Castello Nero. Si sentì invaso da un tepore strano e si alzò in piedi incerto. Sposerò Daenerys, decise. Perché sono l’unico che può porre fine alla rivalità fra le nostre casate e perché è il mio compito. Ringraziò suo padre per avergli ancora una volta indicato la strada nei momenti di smarrimento. Sarebbe arrivato fino in fondo e niente l’avrebbe potuto distogliere dal suo obiettivo. Per la prima volta in vita sua sentì di essere importante.

All’improvviso udì qualcuno singhiozzare nel buio. Stupito, seguì quel suono e trovò Theon sul molo accanto con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Quando vide arrivare Jon, saltò in piedi e si ritrasse.

“Neanche tu riesci a dormire?” chiese con una certa gentilezza Jon.

Theon abbassò lo sguardo. “No” rispose in un sussurro, “ho paura…” Jon gli venne vicino e stavolta Theon non si tirò indietro.

“Di cosa?” chiese Jon “Della morte?” La morte non doveva fare paura, Jon sapeva quanto il suo abbraccio fosse accogliente.

“Non ho paura di morire” replicò Theon mentre altre lacrime gli solcavano il volto, “ho paura per Yara. Chissà dov’è in questo momento, non voglio le succeda nulla di male…”

“Sono sicuro stia bene” disse Jon, “è più utile viva che morta a Euron.” Capì subito di aver detto la cosa sbagliata, perché Theon quasi corse via. Jon lo afferrò per un braccio nel tentativo di trattenerlo.

“LASCIAMI!” esclamò Theon dimenandosi con tanta forza che Jon quasi ne fu sbilanciato. Rimasero a guardarsi qualche secondo, poi Theon cadde in ginocchio nascondendosi il viso nelle mani.

“Mi dispiace” singhiozzò, “mi dispiace, non volevo… Io…” Era incapace di andare avanti: sembrava in preda a un attacco di panico.

“Theon” lo chiamò Jon chinandosi al suo fianco, “devi smetterla di assumerti colpe che non sono tue.” Le tue bastano e avanzano.

“Basta compiangerti” proseguì, “devi trovare la forza di guardare la vita in faccia. Hai sbagliato, hai pagato e ora ricominci.”

“Ma non so come fare!” esclamò Theon tutto d’un fiato “Yara è l’unica che mi è stata vicino, l’unica che davvero ha tentato di aiutarmi, e ora non so nemmeno se la rivedrò mai più…”

“E’ vero” disse Jon non trovando convenienti le bugie rassicurative, “potresti non vederla mai più, ma in questo momento devi pensare a te. Combatti per ciò in cui credi.”

“Io non credo in nulla” mormorò Theon, “non c’è nulla in cui valga la pena credere.”

“Ti sbagli” disse Jon scuotendo appena la testa, “credi nei valori, nei legami e soprattutto in te stesso.”

Theon sollevò lo sguardo a guardarlo. “Non so se ne sono capace...”

Jon avrebbe voluto prenderlo a schiaffi. “In questo nemmeno tua sorella avrebbe potuto aiutarti” osservò e si tirò in piedi. Fece per andarsene e si scontrò con Daenerys che veniva nella sua direzione. Jon si fece da parte e Daenerys si guardò la punta dei piedi.

“Stavo cercando Theon, devo dargli una cosa…”

Theon si era alzato e li guardava con occhi grandi e confusi. Daenerys gli si avvicinò. Jon si chiese come mai fosse sveglia a quell’ora della notte. Aveva anche lei dei demoni che continuavano a perseguitarla? Intanto Daenerys aveva estratto qualcosa. Jon strizzò gli occhi e riconobbe un lungo arco sottile che splendeva di una luce perlacea. Era un oggetto meraviglioso, così leggero ed elegante, ma allo stesso tempo fatale.

“Questo l’ho trovato nella sala del tesoro” spiegò Daenerys porgendo l’arma a Theon, “è un arco di osso di drago e Varys mi ha detto che si tratta di un’arma molto rara. La precisione di questo arco è impressionante e supera perfino quella degli archi delle Isole dell’Estate, che vengono esportati in tutto il mondo.”

“Perché lo stai dando a me?” chiese Theon visibilemnte incredulo.

Daenerys sorrise. “Perché so che sei molto bravo con il tiro con l’arco” replicò, “e ti servirà un’arma per la prossima battaglia.”

Theon abbassò nuovamente il capo. “Non posso accettare…”

“Devi” lo interruppe Daenerys con semplicità, “è un ordine. Quando Euron arriverà, ormai non ci dovrebbe volere molto, dovremo essere pronti e armati. Combatterai per me, Theon Greyjoy?”

Theon strinse le labbra. “Lo farò” promise e strinse in mano il dono. Per un po’ nessuno dei tre parlò.

“E’ quasi l’alba” osservò Daenerys, “credo ti convenga andarlo a provare ora che hai tempo. Verme Grigio ti darà le frecce…” Theon abbozzò un sorriso e corse via. Jon era sicuro fosse più sollevato e tranquillo adesso. Si accorse che Daenerys lo stava scrutando e si voltò verso di lei.

“Perché l’hai fatto?” chiese a bruciapelo.

Daenerys si finse sorpresa. “Fatto cosa?” chiese ridendo.

“Lo sai cosa intendo” disse Jon e Daenerys sospirò. “Non riuscivo a dormire” confessò, “così sono uscita sulla terrazza a fare due passi e vi ho visti.” Si interruppe.

“E poi?” la incitò Jon.

“Ho capito che Theon stava attraversando un momento particolarmente difficile” continuò Daenerys, “e ho pensato che così avrei potuto aiutarlo.”

Jon era sinceramente colpito. “E’ stato un gesto gentile da parte tua” ammise, “credo tu gli abbia restituito un po’ di dignità…”

Daenerys sorrise, quasi timidamente. “Perché sei qui fuori?” chiese poi in tono stanco.

Jon guardò altrove. “Mi sono svegliato per un sogno” raccontò, “ho sognato di essere a Grande Inverno e…”

“Ti manca molto?” lo interruppe Daenerys “Grande Inverno…”

Jon non sapeva bene cosa rispondere. Certo, il Nord gli mancava, ma allo stesso tempo era imbarazzato da quel suo sentimento.

“Sì” disse infine, “ma non solo Grande Inverno, mi manca mia sorella e i miei amici.”

“Capisco” mormorò Daenerys e poi i suoi occhi brillarono. “Un giorno mi porterai a vederlo?” Jon fu colto alla sprovvista da quella domanda.

“Il Nord” precisò Daenerys, “Grande Inverno, Porto Bianco, la Barriera, voglio conoscere tutti quei luoghi… Voglio conoscere ogni angolo più remoto del mio regno.” Jon non aveva mai desiderato viaggiare, ma sorrise ugualmente e apprezzò il pensiero.

“Il Continente Orientale era così diverso” raccontò Daenerys perdendosi nei ricordi. “Ho visitato Pentos, Qarth, Astapor, Yunkai e Meeren e ogni volta trovavo persone differenti. Ho viaggiato con i Dothraki nel Grande Mare d’Erba e ho faticato per diventare la loro Khaleesi. Non voglio commettere l’errore di sottovalutare il mio ruolo nei Sette Regni…” Daenerys lo stava guardando e Jon si sentì estremamente a disagio. Forse l’aveva giudicata troppo in fretta, senza conoscere la vera storia dietro certi suoi atteggiamenti.

“Voglio essere una buona regina” proseguì Daenerys, “mi aiuterai?”

“Certo” rispose Jon d’istinto, prima ancora di pensare ad una risposta.

Daenerys sembrò rilassarsi. “Bene” sussurrò impacciata, “io volevo solo dirti, ecco, che sono felice che tu sarai al mio fianco. Credo potrò imparare molto da te…” Perfino nella penombra Jon poté giurare di averla vista arrossire. Era una strana sensazione ricevere un complimento del genere.

“Anch’io sono felice” si costrinse a dire Jon nonostante i suoi sentimenti fossero ancora avvolti da una fitta nebbia, “con il tempo credo impareremo ad andare d’accordo.”

Daenerys quasi rise. “Non ce la stiamo cavando bene su questo fronte” scherzò e Jon sentì l’amaro in bocca. “Già” ammise e vide il dolore negli occhi di Daenerys.

“Ma miglioreremo” gli promise lei come frettolosa di vederlo di nuovo felice, “saremo i sovrani migliori che i Sette Regni abbiano mai visto.”

Io mi accontento di sconfiggere gli Estranei, pensò Jon, ma questa volta non lo disse ad alta voce. “Me lo auguro” sentì invece la sua voce dire e Daenerys sorrise. Si sedette su una roccia sulla spiaggia ormai illuminata dai primi raggi del sole.

“Dai” lo invitò, “raccontami del Nord…” Jon aggrottò le sopracciglia, non sapendo da dove iniziare.

Proprio quando aveva appena aperto bocca desideroso di descrivere la vita alla Barriera, Verme Grigio sopraggiunse di corsa. “Mia regina” esclamò scoccando un’occhiata non proprio pacifica a Jon, “è tempo di prepararsi. Euron è qui, a meno di un’ora di navigazione.” Daenerys scattò in piedi all’istante. Jon percepì il suo nervosismo.

“Qualche traccia di Tyrion e Davos?” chiese lei, ma Verme Grigio scosse il capo. Suonava quasi come una condanna a morte.

“Va bene” disse Daenerys riacquisendo un certo contegno. “Verme Grigio, raduna gli altri. Preparate tutte le torri e mettete in mare le navi. Che le difese siano pronte entro mezz’ora.”

L’Immacolato si inchinò e scomparve, urlando ordini in una lingua sconosciuta, che Jon intuì essere alto valyriano. Daenerys si voltò verso di lui. All’orizzonte già comparivano i triangoli delle vele nere di Euron.

“Sei pronto?” sussurrò Daenerys e Jon capì che doveva essere terrorizzata. Si girò a guardare il mare e subito lei fece lo stesso.

“Sì” mormorò Jon con una sfumatura d’affetto nella voce.

E le loro mani nella chiara luce dell’alba si intrecciarono.


                                                            "A warning to the people, the good and the evil: this is war."



N.D.A.


Oggi sarò svelta perchè il capitolo parla abbastanza da sé ^_^
Per la parte di Sam ho ovviamente dato fondo a una serie di teorie riguardo il complotto dei maestri, riadattando tutto perchè entrasse nella storia. Anche la storia di Ashara è stata quindi cambiata: fan dei libri vi prego non lapidatemi XD XD
Inoltre un Easter Egg: il titolo del libro letto da Sam, "Di albe, tempeste e neve", era inizialmente il titolo di questa storia XD XD prima ovviamente che riuscissi a trovare quello attuale che a mio modesto avviso è mille volte meglio XD XD XD
Per il resto ci tenevo che le battaglie che Jon e il Nord devono affrontare avvenissero nello stesso momento, quindi la notte in cui succedono gli avvenimenti è la stessa. Stanno combattendo due battaglie così diverse però in un certo senso questo li unisce.
Spero abbiate apprezzato i pensieri di Jon in questo capitolo: racchiudono tutto ciò che penso del personaggio e il modo in cui è cambiato durante la serie e questa storia ^_^

Come al solito ringrazio i miei recensori: Red_Heart96, __Starlight__, PillyA, giona e Spettro94. Un ringraziamento speciale anche a leila91 e NightLion che si stanno piano piano rimettendo in paro. Le vostre recensioni sono la vita ^_^

Il prossimo capitolo sarà totalmente incentrato sulla battaglia contro Euron e avrà ben 5 POV invece di 4... E' enorme, davvero enorme, quindi spero siate sufficientemente pronti ed emozionati :-) preparatevi anche a una serie di salti temporali e a una struttura narrativa piuttosto intrecciata in quanto molti POV avverranno contemporaneamente solo in diverse parti di Roccia del Drago. Giusto perchè sappiate cosa vi attende XD

Un grazie infinito a tutti e spero il rientro alla quotidianità non sia stato eccessivamente traumatico XD
Alla prossima!

NB: la citazione di stavolta non ha bisogno di spiegazioni e viene dalla canzone "This is war" di 30 Seconds to Mars. Sorry per il cliffhanger XD










 

 

 

   
 
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