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Autore: Josie5    18/09/2018    12 recensioni
Una punizione divina. Per Evelyne Gray, la ragazza del giornalino scolastico o la presidentessa, come ci tiene a dire lei, Max Parker è una punizione divina.
Evelyne è infatti convinta che il karma o Dio, o qualunque cosa sia, stia cercando di punirla con lui.
Punirla perché, a causa di problemi economici, comincia a sfruttare il fatto di essere così ben voluta dai professori per passare le soluzioni dei test ad alcuni suoi compagni di scuola; il tutto in cambio di soldi.
Evelyne non è orgogliosa di se stessa, ma per quasi due anni continua a tradire la fiducia che le è stata concessa.
Quando decide di smettere non tiene conto del fatto che Clark, il suo ultimo "cliente", sia uno dei migliori amici di Parker; non tiene conto del fatto che Parker stia preparando la sua vendetta fredda.
Max ed Evelyne non si sono mai parlati, ma si conoscono molto bene per via del giornalino di lei e di un certo articolo. E Max Parker, il capitano della squadra di basket della scuola, bello e popolare, non può di certo essere umiliato senza conseguenze. Non dopo quello che ha fatto Evelyne.
(Revisione in corso: 3/31)
Genere: Commedia, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Scusate per l'attesa.

L'ultimo capitolo :)

 

 

31.Bene e male

 

 

Tornare a lezione dopo quel che era appena successo non fu chiaramente qualcosa di semplice.

Ero corsa alla prima ora di storia con solo il libro di testo che di solito conservavo nell'armadietto. La mia tracolla era infatti ancora nella macchina di Francy e avrei potuto recuperare il mio materiale scolastico solo al cambio d'ora.

Ma non era per l'assenza di matite o penne con cui prendere appunti che i miei pensieri si ritrovavano a vagare per quell'aula e per l'intera scuola.

La mia testa volava perché mi sentivo libera.

Quel che avevo fatto nel corso degli anni non era stato cancellato dalla realtà dei fatti, ma era come se finalmente mi fossi allontanata dalle foto, dai compiti copiati e da quel che follemente avevo iniziato a fare in passato.

Al termine della lezione, di cui non avevo ascoltato una singola parola, andai verso il banco di Clark: l'unico del gruppo di quella mattina a condividere l'ora con me.

Mi guardò e il suo stesso viso non seppe come comportarsi: in parte le sopracciglia si stropicciarono per il fastidio di dovermi parlare ancora; dall'altro lato i lati della bocca gli si sollevarono in un abbozzo di sorriso.

- Sì, Evelyne?

Già l'utilizzo del mio nome al posto del cognome indicava una certa mansuetudine che apprezzai.

- Tra noi è tutto a posto, ora? - Chiesi, quasi stupidamente.

Sapevo di aver appena chiuso davvero con quella parte del mio passato, ma ne ero troppo sopresa per crederci davvero. Ero incredula e lo ero stata per tutta quell'ora, non potendo realizzare che ce l'avessimo fatta.

La parte superiore del suo viso vinse e mi guardò con sospetto, imbronciato.

- Mi prendi in giro? Sì, è tutto a posto. Mi dispiace, - borbottò, un po' a fatica. Si notò che le cose ormai si fossero davvero risolte dal modo in cui masticò la parola in bocca, con fastidio. - Non parliamone più. Sono contento davvero che le cose siano finite bene per tutti noi, ci sarei finito in mezzo anch'io alla fine. Ho voluto strafare. Ti direi che non so cosa mi sia preso, ma non sarebbe vero. So perché l'ho fatto, ma era sbagliato. Non farmelo ripetere troppe volte...

- Non volevo accusarti di nulla, Clark... - Sospirai, ignorando i suoi toni che avrebbero potuto facilmente farmi salire il sangue alla testa. - Voglio solo confermare che possiamo andare avanti e che davvero quel che è successo è stato cancellato. Non saremo mai amici, ma in queste ore sei stato mio alleato e di questo te ne sono grata.

Si grattò la testa, a disagio; però il sorriso leggero che gli si dipinse sulle labbra tradiva una certa soddisfazione.

- Penso di aver fatto riserva delle tue scuse e dei tuoi ringraziamenti per il resto della mia vita...

Mi uscì un piccolo verso divertito.

Mi osservò bene per un po', poi allungò la mano in mia direzione. Il palmo inclinato, la mano aperta.

Esitai un attimo e gliela strinsi.

- Pace? - Blaterò, quasi gli costasse fatica pronunciare quella parola così breve e all'apparenza così semplice.

Mi limitai a sorridere.

Uscii dall'aula sentendomi alleggerita.

Ora potevo dire di aver definitivamente chiuso quel capitolo della mia vita. Clark avrebbe sicuramente dovuto far pace con un lato di se stesso, ma io non avrei dovuto averci più a che fare per il resto dei miei giorni.

Fui raggiunta poco dopo da Francy; andammo a prendere le nostre borse insieme, nel parcheggio, nella breve pausa tra un'ora e l'altra.

Facemmo fatica a parlare per la prima metà del viaggio, ognuna di noi persa nel proprio mondo.

- Davvero toglieremo la foto del mese? - Chiese, dopo poco, mentre ci dirigevamo di nuovo verso scuola.

Arrossii lievemente e poi la guardai. - Non avrei voluto dirlo così senza prima consultarvi, lo so. Però sì, è quello che voglio fare. Manca poco più di un mese alla fine dell'anno scolastico e mi sento già fortunata a potermelo godere serenamente: a pensare agli esami finali, alla richiesta di borse di studio, alle candidature da inviare alle università in queste settimane. In realtà quell'angolo di giornale è parte del motivo per cui siamo arrivati a stamattina, per questo lo voglio eliminare con oggi.

- Sono Clark e Parker il motivo di stamattina, - ribatté Francy, un po' piccata.

Scossi la testa, cercando di ignorare come mi facesse sentire la sola nomina del secondo ragazzo; avevo deciso di affrontare un problema per volta.

- No. O meglio, è anche colpa loro, ma se avessi seguito un certo tipo di morale fin dal primo momento, nulla di questo sarebbe accaduto. Mi piace chi sono stata fino all'altro ieri e non pretendo di essere diversa oggi, ma sento che Evelyne, ora, trova sbagliato pubblicare foto di altri per incassi e successo. Le vendite mi hanno sicuramente aiutata a piacere alla preside e a prendere la borsa di studio, ma non è stato il metodo giusto da utilizzare, non per la persona che voglio diventare.

Francy mi guardò seria. - Ho capito. E' possibile che ti veda già una donna matura, Eve?

Risi. - Non dirlo così! Già faccio fatica a prendermi sul serio io; in una notte purtroppo non si diventa adulti.

- In una notte no, ma con gli eventi sì. - Mi afferrò di nuovo il braccio e con un sorriso soddisfatto si avvicinò.

Meditai su quel che era successo. Mi rendevo conto anch'io che in effetti quei due giorni mi avessero insegnato tanto su me stessa, forse di più di tutti quei mesi e anni messi insieme.

- Comunque grazie, Francy. Voglio precisare che la foto non è più quello di cui abbiamo bisogno per il giornalino, ma sono grata a quell'idea per avermi permesso di conoscere te.

Si bloccò. - Si vedeva così tanto che stavo pensando a quello? - Cercò di ridacchiare per alleggerire la situazione.

- Stupida! - La sgridai, abbracciandola stretta.

Sbuffò e il suo fiato mi agitò brevemente i capelli.

- Sì, un po' lo sono. Però prova a capirmi.

- Tu devi capire me! Non so come avrei fatto senza di te in questi anni, davvero. Sei stata indispensabile per me sia come presidente del giornalino scolastico, sia come Evelyne... Voglio togliere la foto del mese per il bene mio e di tutti, ma tornassi indietro la rimetterei cento mila volta solo per conoscerti di nuovo, Francy.

- Dai, Evelyne! - Si staccò e me la ritrovai davanti con gli occhi lucidi. Anche quello era una vista rara.

Il giorno prima mi si era definitivamente aperto il rubinetto e, a vederla così, iniziai a sentire gli occhi gonfi anch'io.

- Non so come avrei fatto io senza di te, Eve! Sei stata la mia prima e unica vera amica qua a scuola...

- Sai che è lo stesso anche per me!

- Ma è diverso! Tu avevi il giornalino, lo studio, le tue cose a cui pensare... Lo so che anche senza di me saresti comunque andata avanti e saresti stata felice...

- Francy, ho mille esempi da farti, solo dell'ultimo anno, di situazioni dalle quali non sarei uscita viva o mentalmente sana senza di te... - Risi, col groppo in gola però. - Non ci credo che ti sottovaluti così tanto. Io avevo bisogno di trovarti.

Mi strinse più forte. - Lo stesso vale per me, lo sai.

- Mi mancherai all'università, Francy...

- Smettila, stupida! Siamo ancora al liceo e... e c'è tutta questa estate...

Come delle idiote però iniziammo a piangere, tenendoci abbracciate davanti all'ingresso della scuola.

Forse qualcuno dal cortile, dal parcheggio o dalla palestra ci guardava perplesso, non potendo capire cosa fosse successo. Magari immaginavano una discussione, un fraintendimento...

Noi però eravamo ben consapevoli di quel che stava accadendo: stavamo crescendo e, anche se lontane, anche se con mille difficoltà, anche se avessimo preso strade diverse, speravamo solo di poter restare l'una nella vita dell'altra.

 

 

 

Arrivò la fine della giornata scolastica con una certa serenità.

Era divertente notare come la scuola continuasse a vivere come se nulla fosse successo, mentre invece sei dei suoi studenti avevano cercato di violarla quella mattina stessa.

Nessuno si era accorto di niente, né alunni né professori, e le pareti e le aule dell'edificio fingevano indifferenza.

Quel discorso chiaramente non valeva per Parker.

Ero al mio armadietto a sistemare le cose e pensavo a quel che era accaduto anche a pranzo.

Chiaramente l'unico fatto di quella mattina che fosse noto a tutti era la trasmissione tramite altoparlante del monologo di Parker.

Avevo sorpreso molte ragazze e ragazzi a guardarmi: chi sorridente, chi curioso, chi sorpreso, chi chiaramente irritato.

Capivo che il comportamento di Max potesse non avere senso ai loro occhi e si chiedevano probabilmente come facessi a finirci sempre di mezzo io. Un po' me lo chiedevo anch'io.

Anche per la preside il comportamento di Parker non aveva avuto senso, ma sapevo che aveva richiamato Max durante la pausa pranzo e immaginavo che per lo meno le settimane di detenzione si fossero prolungate.

A dirmelo era stato Billy. Si era avvicinato proprio a mensa e quel suo movimento aveva attirato gli sguardi dell'intero istituto.

Mi aveva spiegato, un po' divertito, dell'ennesimo richiamo e poi come al solito aveva cercato di deviare l'argomento sui miei sentimenti nel modo più ambiguo possibile.

- Billy, lasciami stare.

L'avevo chiusa così, seriamente scocciata; al che lui si era limitato a sorridere in segno di resa.

Avevo evitato anche di toccare l'argomento con Francy ed Emily. Emily mi guardava non capendo, ignara di molti dettagli, ma sperando che io e il ragazzo facessimo pace, conquistata da Radio Parker quella mattina; Francy sbuffava e digrignava i denti, simile a un cane rognoso, completamente infuriata con Max.

Nonostante fosse Francy quella più aggiornata e quella più vicina a me, avevo insistito per evitare di sapere la sua opinione al riguardo.

Per quanto fosse arrabbiata con Parker e per quanto potesse pensare al mio benessere, sapevo che anche nella sua testa i sentimenti si mischiavano in un turbinio colorato, non permettendole di capire cosa fosse meglio per me.
Io stessa non lo sapevo.

Spesso per le questioni di cuore, ridevo un po' a definirle così, il punto di vista esterno è quello più utile: si vede tutto con distacco e freddezza e si riesce a bilanciare meglio, in maniera oggettiva, il “bene” e il “male”.

L'avevo sempre pensata così.

Però Max ed io non potevamo essere studiati col misurino. Ci eravamo fatti tanto male e tanto bene, uscendo da qualsiasi schema standard.

Io comunque ero sempre più convinta delle conclusioni che avevo tratto la notte precedente e proprio quelle mi stringevano lo stomaco in una morsa ferrea.

Da un lato ero entusiasta e certa: mi sarei messa finalmente al primo posto, sul piedistallo. Non ero disposta a soffrire di nuovo, a cercare baci e carezze e contemporaneamente a non parlare, a non ascoltare, a non vedere.

Non volevo essere amica di Parker.

Non mi accontentavo dell'affetto.

Non accettavo altri giochetti.

Niente più bugie. Niente più vie di mezzo.

Volevo essere amata, volevo qualcuno che stesse con me. Insieme a me. E volevo che fosse Max e solo Max ad amarmi in quel modo.

Dall'altro lato, con quelle stesse conclusioni, lo stomaco mi si contorceva nel terrore: perché sapevo di star per perdere Max Parker.

Perché per quanto potesse essere affezionato a me, per quanto potessi piacergli come detto da lui stesso anche all'intera scuola, Max non mi amava. Quello che era successo, il fatto che avesse ceduto così facilmente a quel ricatto, lo dimostrava.

Poi, ancora, si apriva alla mia mente una terza via e la testa mi girava per la sua ridicolezza e improbabilità; ne ridevo al solo pensiero.

Però il dubbio si insinuava ugualmente in me.

Ma se Max fosse stato disposto a prendermi per mano?

Ad amarmi?

A parlarmi? A dirmelo?

Alla sola idea sentivo dentro di me le ceneri di quella speranza, ora sgretolata, che mi aveva riempita giorni prima. Erano ceneri, ma con il soffio di quei pensieri, dalle ceneri si alzava di nuovo una piccola fiamma. Quel calore mi riscaldava poi lo stomaco, mi scioglieva il nodo in gola e arrivava fino alle dita dei piedi e alle punte dei capelli.

Poi tutto da capo. Infatti soffocavo quella fiammella con un semplice pensiero: avrei mai potuto crederci genuinamente?

No, non riuscivo a credere a un mondo in cui Max mi amasse, non dopo quello che era successo.

Per quello poi tornavo al solito finale: avrei detto addio, quel giorno stesso, a Max Parker.

Quello che avevo voluto fin da ottobre.

Avevo deciso di chiuderla con la foto del mese e l'ironia della sorte voleva che quel giorno stesso chiudessi definitivamente anche con Max.

Girando due pagine, quella parte della mia vita si sarebbe conclusa, come un lungo capitolo del libro della mia esistenza.

Con quei pensieri in testa, chiusi l'armadietto davanti a me e mi sistemai meglio la tracolla sulla spalla.

Guardai l'orario: le lezioni erano finite da pochi minuti, la detenzione di Parker lo avrebbe fatto tardare un'ora e lo avrei aspettato, come promesso.

- Eve!

Mi girai trovando Francy, anche lei con giacca e zaino pronta a tornare a casa. Al suo fianco c'era, ormai immancabilmente, Kutcher. Mi ricordai solo in quel momento, iniziando a crogiolarmi nella ritrovata normalità, che il giorno prima erano usciti e probabilmente avevano anche ufficializzato il loro status. Il fatto che Francy ed io non avessimo avuto ancora il tempo di aggiornarci al riguardo, palesava quanto la situazione fosse stata fuori dalla norma.

Sorrisi. - Ehi.

- Lo aspetterai davvero? - Mi chiese e il suo sorriso si trasformò subito in una smorfia.

Alex la guardò sorpresa e poi si rivolse a me. - Max? Aspetti Max? Parlerete? - Domandò il tutto con un sorriso e un entusiasmo che mi misero in difficoltà. Boccheggiai.

Francy diede una gomitata al suo ragazzo.

- Ahi! Cosa c'è? Sono contento se risolvono! Mi dispiacerebbe da morire altrimenti: Max alla fine ha fatto tutto per Evelyne e sarebbe stupido se si perdessero per colpa del casino che ha combinato Clark.

Io continuai a restare senza parole per la semplicità con cui stava dicendo tutto quello.

Mi guardò e continuò rivolto a me: - okay che Clark ha chiesto scusa, ma sarebbe come darla vinta a lui, no?

- Non è questione di darla vinta a qualcuno, - ribattei prima che intervenisse Francy. - Comunque ci parlerò, prometto solo questo.

Il sorriso del ragazzo si spense e, trasparente come al solito, sembrò seriamente rattristito dalla mia risposta.

- Alex, sei sempre il solito comunque... - Francy sospirò, dandogli una spintarella. In quello stesso momento il suo sguardo fu catturato da qualcosa alle spalle di lui.

- Parlando del diavolo... - Si lamentò.

Gli sguardi di tutti e tre si spostarono su chi si stava avvicinando in quel momento: Max e Billy. Un'altra inseparabile coppia.

Sembrava che le bugie che il primo aveva raccontato anche al suo migliore amico, il giorno precedente, non avessero intaccato il loro rapporto. Ero convinta che ne avessero discusso, data l'incapacità di Hans di lasciar correre qualsiasi cosa, ma il round aveva chiaramente dato per vincitori entrambi, come nella migliore delle amicizie.

Al pensiero fui contenta per loro, ma confermai per l'ennesima volta come da situazioni difficili potessero emergere come vincitrici solo relazioni solide come quelle; tutto il resto si sarebbe inevitabilmente distrutto.

Pensai a Clark che non sarebbe mai tornato a essere amico di Max e pensai a me e a lui, diretti al medesimo esito.

Salutarono con un cenno e tutti ricambiarono; io esitai guardandomi le punte dei piedi.

Alex e Billy iniziarono a parlare di qualcosa che non sentii e che non mi impegnai ad ascoltare.

- Ehi...

Alzai gli occhi e trovai Max lì vicino, appoggiato all'armadietto. Avevo già visto i suoi piedi avvicinarsi, ma fui comunque sorpresa. Forse anche perché non ero abituata a vederlo così remissivo e i suoi occhi erano pacati. Mi scrutavano e studiavano. Gli occhi erano come sempre da predatore, ma in quel momento facevano le fusa.

Max era stato, fin dalla notte precedente, così delicato, attento, premuroso da sembrare quasi irreale.

Arrossii senza volere. - Ciao, - risposi con una timidezza che mi fece sembrare una deficiente.

Accennò un sorriso.

- La preside? - Chiesi.

Mi sentii stupida per aver iniziato così tranquillamente una conversazione; a lui invece morì il sorriso.

- Ho detenzione fino all'ultimo giorno di scuola. Appena tu finisci le tue due settimane, devo iniziare ad andarci tutti i giorni. Unica eccezione è concessa per gli allenamenti di basket. Anche se gli scrutinatori mi hanno già fatto le loro proposte per le rispettive università, abbiamo ancora l'ultimo paio di partite del torneo distrettuale che le interessano, - rispose, con la mano dietro la nuca a sfiorarsi i capelli. Sembrò all'improvviso pensieroso e per qualche secondo i suoi occhi guardarono un punto imprecisato degli armadietti al nostro lato. - Anche il quarto anno sta per finire, - ricordò. Forse a entrambi, forse solo a se stesso.

Annuii.

- Allora mi aspetti, no? - Chiese e le labbra gli si piegarono in una piega incerta. - Adesso devo correre a detenzione. Un'ora esatta e ci sono.

Stavo per fare un nuovo cenno di assenso quando Francy intervenne, scuotendosi dalla posa plastica che aveva assunto per guardare da un altro lato e darci una sembianza di privacy. Il suo scatto attirò anche l'attenzione degli altri due che avevano chiacchierato fino a quel momento.

- Eve, ma quindi per tornare a casa? - Guardò Max. - Torni davvero con lui dopo?

All'inizio non capii.

- Non mi sembra il caso, ma perché?

- Non hai lasciato la macchina nel supermercato? - Rispose Alex al posto della mia amica, ricordando quel dettaglio di cui erano tutti a conoscenza e che anch'io avevo avuto ben presente, ma di cui mi erano sfuggite le conseguenze fino a quel momento.

- Ah, cavolo... - Mi lamentai. Effettivamente non sarei potuta tornare a casa da sola.

Proprio mentre Max apriva bocca per rispondere, mi ricordai solo in quel momento di un altro dettaglio inevitabilmente legato alla “questione macchina”.

Sobbalzai.

- Cazzo! Lizzy!

Con tutto quel che era successo solo quel giorno, forse complice anche la mancanza di sonno, mi ero completamente dimenticata di mia zia e della sua rabbia e in particolare del suo ordine di tornare immediatamente a casa subito dopo lezione. Ormai erano passati una ventina di minuti e presto sarei stata bombardata dai messaggi di mia zia, ben consapevole che non avrei dovuto tardare così tanto per tornare a casa se avessi rispettato davvero il suo rimprovero.

Mi girai verso Max e trovai i suoi occhi verdi e confusi.

- Max!

Esattamente in quel momento, a complicare ulteriormente le cose, arrivò dal corridoio ancora affollato l'ultima persona che mi sarei aspettata.

Seguita dalle sue amiche, la testa bionda di Dawn si fece spazio tra Billy e Alex. Li scansò drammaticamente ai suoi lati e marciò dritta fino a Parker. Quasi lo serrò contro gli armadietti e vidi lui irrigidirsi dalla sua posizione rilassata.

La sua presenza in qualche modo mi fece arretrare di un passo e la spiegazione che stavo per dare mi morì in bocca. La mia reazione non era dovuta alla solita antipatia, ma anche ai fatti, in realtà ancora freschi, del compleanno di Max. Mi ricordavo bene cosa fosse successo e quanto ne avessi sofferto.

Quanto dolore mi aveva provocato Max in quei pochi giorni?

Il pensiero e la vista di Dawn mi agitarono e innervosirono.

- Finalmente ti trovo! E' dal tuo compleanno che sembri nasconderti! Poi scusa, ma che teatrino hai tirato fuori stamattina con l'altoparlante? - Sputò tutto fuori.

Dal contenuto pareva una fidanzata gelosa, ma i toni erano comunque tranquilli e quasi dolci: non era capace di arrabbiarsi con lui.

Io non riuscii a reagire, come nemmeno Max e nessuno intorno a noi.

Erano successe così tante cose e così importanti, che le paranoie fuori luogo di Dawn sembravano provenire da un altro pianeta, anche se in realtà si trattava di qualcosa di normalmente all'ordine del giorno.

Si voltò nell'esitazione generale e mi fulminò. - Oh, Gray... io non so cosa tu abbia fatto, ma ci sei sempre di mezzo tu!

Alzai le mani in aria e scuotendo la testa mi allontanai da quel ridicolo cerchio che si era formato e mi diressi verso l'uscita. Non ne potevo più di quella giornata e sicuramente non sarei stata ad ascoltare lei e i suoi deliri.

- Gray! - Mi urlò dietro.

Sentii anche Max e gli altri chiamarmi e seguirmi.

Prima che potessero raggiungermi o prima che potessi io girarmi dall'esasperazione, vidi stagliarsi dall'ingresso ormai vicino una figura familiare.

Era ancora sulle scale, in realtà ferma lì in attesa, a braccia incrociate; la sagoma controluce era disegnata con linee rigide. Ai suoi fianchi gli studenti uscivano, scivolandole ai lati come acqua di un ruscello davanti a una roccia solitaria.

Mi bloccai a pochi metri di distanza e impallidii.

- Dawn, ma te ne vai?!

- Max! Cosa ti ha fatto?! Ieri ti ho visto rimetterla al suo posto e ho pensato che fossi finalmente tornato in te, avevi anche detto che non ci avresti più avuto a che fare...

- Dawn, per favore, vuoi capire che se Max ed Evelyne passano del tempo insieme è perché lo vogliono?

- Billy, è inutile che cerchi di farla ragionare...

- Eve, ti riporto a casa?

- Reeds, deve parlare con me, non può andare a casa! La porterò io dopo detenzione.

- Parker, ti giuro che ti tiro un pugno se non la smetti!

- Max?! Cosa significa che ci vuoi parlare?!

- Dawn, vattene e dammi tregua, per carità! Evy, cosa stai facendo?

Fui travolta da quel mare di voci e mi arrivarono tutti alle spalle.

Io purtroppo vedevo solo zia Elizabeth e il suo sguardo infuriato davanti a me.

Fece qualche passo in avanti.

- Evelyne. Ora. A casa. Sono passata a prendere la macchina io per venirti a dare il passaggio ed evitare appunto che tutti i tuoi amici ti intrattenessero qualche altra ora come al solito. Andiamo! Immediatamente!

Solo in quel momento il resto del gruppo notò Lizzy e tutti, tranne Dawn che continuava a strepitare mettendo alla dura prova il mio già delicato equilibrio mentale, si zittirono.

Feci qualche passo in sua direzione, lanciando alle mie spalle un breve sguardo.

Non potei andare però molto oltre perché fui bloccata da Max che mi si parò davanti.

Persi un battito a quel nuovo segno di insistenza.

- Elizabeth, scusa ma io dovrei davvero parlare con Evelyne! - Spiegò a suo indirizzo. Non era però a conoscenza davvero della situazione tra me e lei.

- Max, non mi importa un bel niente. Parlerete poi Lunedì. - Lizzy, ferma come non mai sulla sua decisione e diventando severa nel momento più sbagliato della mia vita, fece ulteriori passi in mia direzione.

Un po' nel panico restai ferma lì, indecisa sul da farsi.

- Max, andiamo via! - Insistette Dawn, piazzandosi al suo fianco e afferrandogli il braccio.

Lui con un gesto cercò di scacciarla, ma, non volendo farle del male, non fu abbastanza deciso e le mani di lei restarono piantate sulla sua giacca leggera.

Irrazionalmente mi irritai alla scena e feci la mia scelta incamminandomi verso mia zia.

Max mi fermò rapidamente bloccandomi per il braccio e si creò tra me, lui e Dawn un simpatico trenino.

- Evelyne, non possiamo aspettare Lunedì!

Per il nervoso, per l'agitazione, per i brutti pensieri che avevo in testa fin dal giorno prima, vidi anche in modo deformato la smorfia sul suo viso e sputai semplicemente fuori la verità: quello che pensavo su noi due in poche, semplici e fin troppo riduttive parole.

- Tanto è inutile, Max!

Sbatté gli occhi un paio di volte e il verde era così familiare. Sapevo però che avrei presto dimenticato anche solo il ricordo del suo colore e della sua intensità. Forse era meglio chiuderla il prima possibile.

- Non ho capito...

- Max, è inutile. Non cambierà nulla anche se parliamo.

- Perché fai così? - L'espressione sul suo volto si agitò come avevo visto accadere poche volte. Un po' con suo padre e un po' proprio in quei due giorni con me. - Perché devi complicare ulteriormente le cose?

- Le hai complicate tu, Max!

- Ti ho detto che devo parlarti proprio perché voglio districare ogni nodo! Ma cosa complicarle? Sei tu che mi eviti come la peste da ieri, Evelyne! Vuoi mettere da parte il tuo orgoglio per una volta e parlarmi?! - La voce che conoscevo bene, calda e rassicurante, che avevo imparato ad amare così tanto, mi fece sobbalzare. Era infuriato.

Max era sempre stato bravo a nascondere le sue vere emozioni, scambiandole per altre o dissimulandole. In quel momento c'erano però solo e soltanto lui e la sua rabbia.

Dawn intanto aveva lasciato la presa e si era allontanata di un passo; gli altri non parlarono e dato che Lizzy non mi aveva ancora raggiunta, evidentemente anche lei si era un attimo bloccata. Nel corridoio calò il silenzio anche tra i pochi alunni rimasti.

- Non è orgoglio. Non cambierebbe niente. Da quel che è successo ieri dobbiamo semplicemente trarre le nostre conclusioni. In tutto c'è sempre un fondo di verità, Max, anche in quello che ci siamo detti ieri.

Non so con che sentimenti, con che pensieri quelle parole mi uscirono di bocca.

Ero spaventata dalla reazione di Max. Ero terrorizzata dalla nostra discussione imminente. Ero innervosita dalla minima questione, come Dawn, fino ad arrivare a mia zia che non avevo mai visto guardarmi così. Ero poi incazzata con me stessa per non riuscire a fare pace con le mie stesse idee e da un lato avrei voluto tornare a baciare e ad amare Parker come prima, ma dall'altro lato sentivo di doverlo scacciare e allontanare per potermi salvare prima che fosse troppo tardi.

Avevo voluto parlare con Max per chiudere quel capitolo fino a pochi minuti prima, ma in quel momento il casino che avevo in testa mi faceva solo pensare che alla fine fosse tutto inutile.

Era inutile perché la verità era che non mi avrebbe mai presa per mano e che alla prima difficoltà, come il giorno prima, mi avrebbe lasciata scivolare via dalla sua presa.

L'espressione di Max cambiò ancora e mi spaventò ancora di più.

- Cosa vuoi dire?

Ammutolita alla vista dei suoi occhi, non riuscii a rispondere.

- Te l'ho già detto e ridetto che non intendevo nessuna delle parole che mi sono uscite ieri.

- Non è quello...

- Evelyne, andiamo, - intervenne Elizabeth che, dopo evidentemente un attimo di esitazione, mi aveva raggiunto.

Scossi la testa e in piena agitazione tornai a guardare Max.

Sembravo pazza: gli avevo appena detto di non voler parlargli, ma un vero e proprio terrore aveva preso il sopravvento alla vista della sua reazione.

- Se non è quello, allora il fondo di verità sarebbe quello che hai detto tu a me? Spiegamelo, Gray.

L'utilizzo del cognome mi ferì quasi più dei suoi occhi e del suo tono e rimasi immobile, completamente zittita.

- Anzi, no. Non c'è nulla da spiegare, - tagliò corto.

Si girò e si diresse verso l'interno della scuola.

Non seppi ancora descrivere quello che avevo visto nel suo sguardo.

Boccheggiai.

In quel momento di tensione mi ero buttata come sempre sulla difensiva e non mi ero resa conto di come lui avesse cercato per tutto il tempo di evitare di incolparmi per qualsiasi mia parola del giorno prima. Mi ero sempre lamentata dei modi di fare di Parker e invece quella volta era stato lui a cercare il dialogo. Io però non riuscivo ancora a perdonarlo e lottavo e ringhiavo per ritorcergli il mio dolore contro come avevo appena fatto in quel momento.

- Max! - Urlai, facendo a mia volta dei passi nella sua direzione, ma venendo bloccata da Elizabeth.

- Ho detto in macchina, Evelyne!

- Lizzy, aspetta!

Dawn scambiò qualche significativo sguardo con le sue amiche e si allontanarono tutte in silenzio, forse arrendendosi per quel giorno.

Billy scosse la testa,mi lanciò un breve sguardo e si avviò verso l'uscita, dopo aver sistemato lo zaino sulla spalla.

Alex, dopo aver dato un breve bacio sulla testa di Francy, seguì il biondo.

- No! Andiamo! - Rimbeccò Elizabeth, totalmente e ingenuamente ignara della gravità di quanto fosse appena successo.

Francy abbozzò un sorriso e restò ferma sul posto mentre mi giravo al seguito di mia zia.

- Risolverete la vostra scaramuccia un'altra volta.

Se ne fossi stata in grado, avrei riso. Ma Max se n'era andato davanti ai miei occhi e Lizzy continuava, nonostante tutto, a guardarmi con rimprovero.

- Andiamo... - Blaterai infine, spostandomi i capelli dietro le orecchie e abbassando lo sguardo.

Arrivammo alla macchina in silenzio e soltanto una volta salite lei tornò a parlare.

- Non avrei voluto arrivare a fare la mamma che va a prendere la bimba a scuola, ma oggi c'è stata definitivamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ti sembra normale che la preside mi abbia chiamata anche oggi?

Quella domanda mi fece addirittura uscire dallo stato di catalessi in cui ero caduta.

- Cosa ti ha detto? - Chiesi, ormai evidentemente sempre più pallida.

Lizzy notò qualcosa perché mise in moto la macchina guardandomi con attenzione.

- Mi ha chiamata per dirmi che anche oggi sono successe cose strane a scuola. Che sembrava volessi introdurti nel suo ufficio di nascosto e mi ha addirittura spiegato che sono state mandate delle e-mail che ti accusavano di far copiare dei test ai tuoi compagni per dei soldi! Perché non me l'hai detto che erano arrivate queste e-mail? Ed è successo ieri, non avevi nemmeno la scusa di dire che mi trovavo a New York e non volevi preoccuparmi.

Come il giorno prima, dopo la litigata con Max, iniziai a sentire un po' di nausea e, mentre la macchina si inseriva in strada, abbassai di un paio di dita il finestrino del passeggero. Quella brezza leggera in qualche modo mi fece tornare a respirare.

- Non ti ho detto nulla perché erano bugie, Lizzy. - Riuscii a rispondere alla fine, continuando a mentire e consapevole, anche dopo quei secondi che parvero anni, che non avrei mai potuto dire la verità a mia zia. - Infatti oggi si è scoperto che era tutto uno scherzo.

Non era solo questione di preservare l'opinione che lei aveva di me o la sua fiducia o stima. Sapevo che il suo affetto sarebbe rimasto sempre invariato nonostante qualsiasi mia azione. Ma semplicemente ed egoisticamente non volevo peggiorare la mia situazione.

Non volevo trovarmi a piangere quella notte per il modo in cui Lizzy mi avrebbe considerata da quel momento in poi.

Non volevo che si assumesse la responsabilità, come sapevo avrebbe inevitabilmente fatto, per i soldi che mi aveva dato in quegli anni mensilmente.

Non volevo nemmeno preoccuparla ulteriormente per il mio modo di vivere.

- Non so cosa tu stia combinando o se stai combinando qualcosa, ma se devo mettermi a usare il pugno di ferro per salvare la tua borsa di studio, allora sii pronta a vederlo nel mese che resta. Tu andrai a Yale. Non so se ti stai auto sabotando per quella stupidità che hai in testa di voler venire a New York negli anni dell'università, ma hai un futuro splendido davanti a te e non sopporto di vedere mentre provi a distruggerlo a così pochi metri dalla meta.

Non riuscii a rispondere subito, chiedendomi se cacciare Max come avevo appena fatto facesse parte del mio tentativo di rovinarmi il futuro o di preservarlo.

Se avessimo accettato il fatto che Lizzy cercava di salvarmi, allora avrei dovuto scegliere la seconda risposta.

A me però veniva solo da piangere.

- Mi dispiace...

Lizzy mi lanciò qualche breve occhiata, continuando a guidare a bassa velocità nel suo solito modo.

La sua presa sul volante si ammorbidì.

- Dispiace anche a me di comportarmi in questo modo, lo sai.

Con la mano destra mi fece una piccola carezza sulla guancia.

- Lo so... - Risposi, ed era vero.

- Però sono davvero preoccupata. Quindi per favore, fammi vedere che sei la mia Evelyne almeno per questo weekend. Domenica purtroppo sai che devo tornare a New York e già tremo all'idea di lasciarti di nuovo da sola. Non hai mai fatto nulla per farmi preoccupare; adesso invece ho il terrore di ricevere qualche chiamata mentre sono in ufficio. - Sospirò.

- Non accadrà più, Lizzy. Te lo posso assicurare.

Abbozzò un sorriso e, accendendo la radio, fece capire che la conversazione per quel momento era finita.

Io lasciai cadere la testa di lato, appoggiando la fronte al finestrino.

Guardai le persone, i pali, le case e i quartieri sfilarmi davanti agli occhi.

Tutti quei colori, quei materiali, quelle persone: eppure mi sentivo vuota, dai miei occhi fin dentro.

Avevo anticipato la fine inevitabile con Parker.

Sapevo che sarebbe andata così.

Eppure faceva così tanto male, più di quanto credevo me ne avrebbe fatto sentire un “non ti amerò mai” da parte sua.

 

Realizai in quel momento cosa avessero voluto trasmettere i suoi occhi: era dolore.

 

 

 

 

- Dammi il cellulare.

Ebbi un déja-vu e zia Lizzy mi ricordò per qualche momento la prof Gardiner che ritirava i cellulari per l'ora di detenzione.

Glielo consegnai con una mezza risata. Io e Max stavamo probabilmente vivendo la stessa situazione, peccato che la sua detenzione sarebbe finita in meno di un'ora e la mia sarebbe durata l'intero weekend.

Mi odiai per aver pensato di nuovo a lui.

- Mi dispiace, Eve, ma ho letto nei miei libri sull'adolescenza che questi cellulari iniziano fin troppo ad alienarvi dal mondo reale e spesso vi portano ad arrabbiarvi o a isolarvi come normalmente non fareste, - spiegò mentre lo spegneva.

Con quell'accenno ai libri di psicologia spicciola che si comprava da anni, cercando di accompagnare le mie fasi della crescita e tra l'altro informandomene, capii che la sua ira si era già di molto sopita.

Appena varcata la porta si era chiaramente rilassata, sentendosi nella propria tana e consapevole dei giorni di calma che ci avrebbero accompagnate. Calma per lei quantomeno.

- Zia, quel discorso varrebbe se avessi per lo meno uno smartphone, ma ti faccio notare che non è il mio caso.

Si accigliò osservando il mio cellulare e ne trasse le sue conclusioni: - ti informo che è sequestrato anche il tuo pc.

Fece dietro front, probabilmente per andare a ritirarlo da camera mia e mi lasciò da sola in cucina.

Io cercai di confortarmi con i gesti della mia routine: aprii il frigo, presi una bottiglia, versai in un bicchiere l'acqua e ne bevvi un sorso.

Continuavo a sentirmi male e mi aspettava un intero weekend, un intero mese di scuola e un'intera vita così.

La consapevolezza di quel che avevo fatto continuava ad essere lì e mi sentivo avvelenata dallo stomaco alla gola.

Quando sarebbe passata quella sensazione di angoscia?

Probabilmente era troppo pretendere una risposta quando erano passati ancora così pochi minuti dalle ultime frasi che avevo scambiato con Max.

Mi spaventava però quel malessere che provavo, ben diverso da quello che mi aveva accompagnata il giorno prima, dopo la finta confessione di Parker.

Il giorno prima mi ero sentita tradita, ferita e uccisa.

In quel momento la tristezza che mi pervadeva era calma, fredda e mi perforava da dentro.

Avevo creduto che una mia scelta mi avrebbe rasserenata e invece paradossalmente mi sentivo solo peggio.

Ricordare gli occhi di Max mi faceva sentire dalla parte del torto, come se fossi io la carnefice.

Eppure non poteva essere così. Ero consapevole che fosse affezionato a me, ma, data la diversità dei nostri sentimenti, il dispiacere che provava lui non era minimamente paragonabile al profondo dolore che sentivo io.

Lizzy tornò presto giù, con davvero il mio portatile sotto braccio e seguita da Maxyne che si era svegliata solo col suo arrivo al piano di sopra.

Non commentammo niente per un po' e semplicemente imitò i miei gesti in cucina.

- So poi che ce l'avrai con me per non averti fatto parlare col tuo ragazzo, ma...

Per fortuna avevo smesso di bere, altrimenti avrei rischiato di soffocare.

- Zia... Max non è e non è mai stato il mio ragazzo. Poi non ce l'ho con te, è stato meglio così, - la corressi innervosita.

Mi guardò un po' scettica, non credendomi davvero.

- Non guardarmi così, sono seria.

Mi chinai sul posto per accarezzare la gatta che mi salutava strusciandosi contro le mie gambe.

- Come ti pare. Comunque risolverete poi un'altra volta, quindi non avercela con me!

Il tono con cui lo disse era sempre più lontano dalla rabbia con la quale mi era venuta a prendere a scuola.

Cercai di sorriderle e per l'ennesima volta decisi di non darle preoccupazioni.

- Sì, dai... hai ragione.

Passammo in quel modo, in una sorta di tregua, il venerdì pomeriggio e la sera.

Feci la lavatrice, pulii la cucina e studiai fino a orario di cena con Maxyne che mi gironzolava attorno.

Cucinai per zia Lizzy, evitando come al solito che le sue doti culinarie degenerasse in un'esplosione e arrivammo addirittura a scherzare e a ridere.

Dai suoi occhi chiari vedevo che una volta passata la rabbia iniziale si fosse pentita dell'irruenza dei suoi gesti.

In ogni caso non riuscivo a fargliene una colpa. Era normale che si fosse preoccupata e con tutte le libertà che mi erano state concesse in quegli anni di liceo, probabilmente fin troppe, non potevo accusarla di nulla. Da un lato mi ero sempre aspettata da parte sua quella severità che vedevo nelle altre madri e che difficilmente trovavo in una “mamma” così giovane, cresciuta di pari passo con me.

Quindi andava tutto bene. Era quello che cercavo di ripetermi.

Anche dopo cena studiai fino a notte fonda. Solo al momento di andare a letto, con Maxyne che attaccava i miei piedi che si muovevano sotto le coperte, mi chiesi cosa effettivamente stesse succedendo fuori da quelle quattro mura.

Sapevo che Francy sicuramente mi aveva scritto e chiamata e aveva immaginato infine l'esito, rassegnandosi almeno fino al giorno dopo.

Avrei voluto parlarci, ma sentivo che quel weekend di isolamento avrebbe avuto effetti positivi su di me per prima.

Prima forse dovevo sfogare il malessere iniziale da sola e solo successivamente sarebbe arrivato il balsamo della mia migliore amica.

Inevitabilmente i miei pensieri finirono anche su Max.

Dubitavo che avesse provato a contattarmi. Sapevo benissimo che un telefono irraggiungibile non l'avrebbe mai fermato dal parlarmi se l'avesse voluto, quindi si era semplicemente adeguato a quello che gli avevo sputato addosso io.

Ricordai quante altre volte ci fossimo comportati così, in un continuo tira e molla, in una continua battaglia al gatto e al topo.

Mi addormentai fissando la finestra da cui lui era entrato più di una volta ignorando le mie lamentele, le mie offese e i miei tentativi di cacciarlo.

Rimase chiusa e nessuno entrò da lì.

La corda si era rotta.

 

 

Il giorno dopo mi svegliai presto, nonostante non avessi quasi chiuso occhio.

Andai in bagno, mi feci la doccia, mi vestii, scesi a fare colazione e lasciai anche qualche crocchetta a Maxyne che si era svegliata attirata dai rumori in cucina. Lizzy dormiva ancora, me la immaginavo esausta per la sfuriata innaturale del giorno precedente.

Andai a lavarmi i denti, presi la giacca, tracolla e mi avviai verso il mall per lavorare come ogni weekend.

Arrivai in anticipo dei soliti venti minuti. Mi cambiai negli spogliatoi con la maglietta del negozio e mi sistemai allo specchio la coda di cavallo per l'ennesima volta. Mi misi quel velo di trucco in viso che mi imponevo per i turni di lavoro in negozio. Non prestai particolare attenzione ai miei lineamenti o ai sentimenti che il mio viso probabilmente faceva trapelare.

Misi in ordine la merce, servii le clienti, mi sistemai alla cassa, feci chiamate e andai a cercare articoli in magazzino.

Arrivò la pausa pranzo con naturalezza. Sorrisi alle mie colleghe e usai il coupon da dipendente nel bar più vicino. Mangiai un tramezzino guardando i ragazzi, le coppie e le famiglie che passeggiavano, ridevano, parlavano per ammazzare il tempo nel centro commerciale, come un qualsiasi altro sabato pomeriggio.

Tornai prima che la pausa potesse finire.

Impilai scatoloni e ne aprii altrettanti. Ordinai gli scaffali, pulii i camerini, chiusi delle vendite, cambiai la merce e feci notare a una cliente che aveva sporcato una canottiera da notte di rossetto.

A metà pomeriggio venne a trovarmi Francy e riuscì leggermente a distogliermi dalla trance in cui mi ero immersa.

Si parlò del più e del meno; parlò più che altro lei. Io sorrisi e le spiegai del telefono sequestrato: aveva immaginato. Risposi alle sue domande dicendo di star bene e lei alzò i lati della bocca fingendo di crederci.

Chiesi di Alex mentre sistemavo l'ennesima pila di biancheria, lei banalizzò spiegando che avevano ufficializzato il giorno precedente e che mi avrebbe raccontato meglio quando non fossi stata impegnata col lavoro. Sapevo che mentiva e che cercava solo di stare attenta a come potessi sentirmi.

Ripetei che stavo bene e che ci saremmo viste direttamente lunedì per bene: Lizzy sarebbe andata via domenica, ma dovevo lavorare e studiare.

Francy annuì e mi salutò dopo essere stata lì un bel po' di tempo.

Tornai a ordinare, sorridere, rispondere, pulire e arrivò l'orario di chiusura.

Rientrai a casa e Lizzy aveva già ordinato le pizze.

Mangiammo, chiacchierammo con leggerezza e in qualche modo mi rilassai davvero.

Giocai con Maxyne e quando mia zia si addormentò come al solito sul divano, salii su in camera. Accesi la luce, presi fuori i libri di trigonometria e tornai a studiare. Gli esami finali si avvicinavano.

Studiai di nuovo fino a tardi. Smisi solo quando gli occhi chiesero pietà, già provati da tutte le notti precedenti.

Andai a svegliare mia zia e la convinsi ad andare a letto.

Maxyne seguì i vari movimenti in casa e decise di optare di nuovo per il mio letto come cuccia.

Chiusi gli occhi infine per sfinimento.

La sveglia suonò di nuovo presto.

Andai in bagno, mi feci la doccia, mi vestii, scesi a fare colazione e lasciai altre crocchette a Maxyne che però non si era ancora alzata dopo aver cambiato postazione nel corso della notte. Lizzy uscì da camera sua e la vidi sbuffare mentre radunava i vestiti per finire di fare la valigia per New York.

Andai a lavarmi i denti, presi la giacca, tracolla e mi avviai verso il mall; salutai ad alta voce mia zia e in risposta mi schioccò un bacio.

Arrivai in anticipo dei soliti venti minuti. Mi cambiai negli spogliatoi con la maglietta del negozio e mi sistemai allo specchio la coda. Mi misi il solito velo di trucco in viso, ma ignorai con forza di capire come apparisse la mia immagine allo specchio.

Misi in ordine la merce, servii le clienti, mi sistemai alla cassa, feci chiamate e andai a cercare articoli in magazzino.

Quando arrivò la pausa pranzo volai via. Passai a prendere il mio solito tramezzino col coupon, ma lo mangiai camminando verso la macchina.

Mi diressi a casa, passai a prendere Lizzy e l'accompagnai in stazione.

Parlammo allegramente e fui contenta di vederla partire serena. La salutai finché il treno non fu completamente sparito dalla vista.

Tornai in macchina e corsi di nuovo verso il mall. Arrivai questa volta al limite della fine della pausa pranzo.

Cercai di recuperare il controllo della situazione e impilai scatoloni e ne aprii altrettanti. Ordinai gli scaffali, pulii i camerini, vendetti, cambiai la merce e sorrisi cordiale a clienti palesemente nel torto.

Francy passò di nuovo nel pomeriggio a salutarmi, quella volta accompagnata da Alex. Parlammo e scherzammo brevemente e lei di tanto in tanto si fermava qualche secondo di troppo a guardare il mio sorriso.

Sembrai convincerla più del giorno precedente e presto mi salutarono.

Ordinai, sorrisi, risposi, pulii e arrivò l'orario di chiusura.

Quando tornai a casa, trovai ovviamente solo la gatta ad accogliermi e le sue fusa.

Un po' sentii una leggera angoscia prendere piede.

Cercai però di ignorarla e diedi da mangiare a Maxyne e cucinai qualcosa per me.

Mentre aspettavo che la carne si cuocesse, accesi il cellulare che Lizzy aveva lasciato per restituirmelo e mi scoprii a trattenere il respiro.

Trovai molti messaggi di Francy, addirittura chiamate perse; alcuni messaggi di Luke e uno di Emily.

Nient'altro.

Tornai a respirare e l'ombra dell'inquietudine aleggiava sempre più pesantemente su di me.

Mi immersi nella solita routine un'altra volta, per cercare di allontanarla.

Mangiai, pulii i piatti e salii al piano di sopra.

Controllai l'orario e, senza rispondere a nessuno dei messaggi ricevuti, mi sedetti alla scrivania.

Di nuovo il silenzio mi avvolse.

Chiusi gli occhi e raccolsi le gambe al petto, appoggiando i piedi sopra la sedia. Premetti la fronte sulle ginocchia, abbracciandomi le gambe.

C'era così tanto silenzio in quella stanza, in quella casa, che sentivo il battito del mio cuore.

Non avevo mai sofferto la solitudine o il silenzio, ma una volta staccato il pilota automatico, che mi aveva mossa senza pensieri per quei due giorni, restavo poi solo io.

Non andava bene. Non andava bene nulla.

Avevo provato a soffocare ogni pensiero nei gesti quotidiani e in qualche modo aveva funzionato, mi ero sentita completamente alienata da me stessa e mani e gambe avevano continuato a muoversi da sole. Avevo vissuto senza però sentire davvero nessuno dei miei gesti.

In quel momento, senza Lizzy, senza Francy, senza le colleghe, le clienti, senza il rumore di fondo della vita che scorreva comunque nonostante le mie vicissitudini, in quel momento c'ero solo io. C'ero solo io e quel che mi era successo. C'ero solo io e il battito del mio cuore.

Io e Max.

- Cazzo... - Borbottai, sollevando il viso e spostandomi i capelli. Tirai un po' sul col naso, ma avevo recuperato abbastanza il controllo di me stessa da evitare di piangere. Sentii solo un leggero fastidio agli occhi, ma era tutto controllabile.

Controllabilissimo.

Sospirai e cercai di aprire uno dei mille libri che mi si paravano davanti.

Mancava davvero poco alla fine dell'anno scolastico, gli esami finali si avvicinavano e dovevo anche iniziare a valutare le università.

C'era effettivamente stata l'offerta di Yale e sarebbe stato da vera idiota rifiutarla, lo sapevo ed era l'opinione anche di mia zia. Però mi ero ripromessa di non starle lontana dopo l'incidente.

Sfogliai le pagine del libro davanti a me.

Avevo la nauseante sensazione di aver pensato troppo a me stessa in quegli anni. Non che fosse sbagliato, era la mia vita, ma anche Lizzy era parte della mia vita ed era così errato volermi avvicinare a lei per vivere finalmente insieme come una famiglia?
Elizabeth però mi amava da morire, come io amavo lei, ne ero consapevole, e non avrebbe mai permesso che il mio futuro non prendesse la strada migliore possibile.

Provai a distrarmi immaginandomi effettivamente a Yale.

Avvicinai il pc, di cui avevo ripreso il controllo dopo la partenza di mia zia, e iniziai a vagare per la pagina dell'università. Su google maps controllai la distanza da New York, ed effettivamente non era poi di molto superiore a quella che ci separava ora. Con una smorfia continuai ad esplorare i corsi di lettere e giornalismo, l'università era particolarmente nota per le materie umanistiche e lo notai con evidenza.

L'idea iniziò a stuzzicarmi più del dovuto.

Riuscii però a godermi poco quei pensieri che mi distraevano e che allontanavano l'angoscia.

Presto infatti, ricontrollai la mappa e zoommai all'indietro, vedendo il Connecticut, New York, i vari stati confinanti e infine gli Stati Uniti nel suo insieme.

Dove sarebbe andato a finire Max Parker?

Mi odiai per il modo in cui la mia testa finisse sempre lì. Max era ormai un centro di gravità verso il quale rotolavano tutti i miei gesti e pensieri.

Quella mania però mi sarebbe presto passata: avevamo finalmente chiuso ogni rapporto e presto il liceo sarebbe finito. Poi probabilmente non ci saremmo visti mai più.

Risi amaramente pensando e volando con la fantasia. Forse un giorno sarei diventata una giornalista e lui un giocatore famoso e mi sarei ritrovata a parlare di lui, a doverlo nominare o a dover sapere qualcosa sulla sua vita.

Mi chiesi se le cose tra noi sarebbero andate a finire diversamente se ci fossimo conosciuti all'università o a trent'anni.

Mi immaginai più grande e disinibita, lui magari più maturo e responsabile. Forse avremmo litigato meno, forse ci saremmo capiti prima.

Scossi la testa per l'assurdità dei pensieri. L'esito sarebbe stato sempre negativo invece, perché se lui non mi amava ora, con la serenità dei diciott'anni, quando mai avrebbe potuto farlo?

Mi crebbe un nodo in gola.

Io evidentemente non ero la persona giusta per lui, ma un giorno si sarebbe innamorato di qualcuno e sarebbe stato ricambiato.

Era impossibile per me riuscire a immaginarlo felice con una donna, ma era quello che sarebbe successo prima o poi.

Mi consolò solo il pensiero che prima dell'arrivo di quel giorno, tutto il dolore che ora provavo sarebbe finalmente svanito.

Sospirai chiudendo il pc.

Non sapevo come né quando, ma un giorno mi sarei svegliata e non sarei stata più innamorata di Max Parker e non mi avrebbe fatto star male il solo pensiero di lui.

Con quella convinzione in testa, provai a prendere in mano la matita e a immergermi di nuovo nei libri che avevo davanti, come i giorni precedenti.

Riuscii a leggere due frasi e poi di nuovo la concentrazione svanì.

Sbuffai esasperata, stropicciandomi gli occhi. Sapevo che andare a letto non sarebbe nemmeno servito. Era ancora presto e i pensieri mi avrebbero travolta: potevo vincere l'insonnia solo esaurendomi dalla stanchezza.

Ma lo sfinimento era lontano. Purtroppo sentivo dentro di me una smania crescente, un'agitazione sempre maggiore.

Mi mossi inquieta sulla sedia e dalla stizza chiusi di getto il libro di fronte a me.

Forse era il silenzio assordante, forse i pensieri sul mio futuro, forse invece il modo in cui ero arrivata fin là, ma qualcosa non si incastrava bene.

Il pezzo sbagliato del puzzle erano gli occhi di Max nel momento del nostro ultimo saluto.

Mi alzai in piedi.

Feci avanti e indietro per la stanza un paio di volte. Mi bloccai. Piantai le mani sui fianchi.

L'angoscia stava diventando foga.

Capii in quel momento che la brutta sensazione che mi aveva pervaso in quei giorni non fosse solitudine o tristezza: era pentimento.

Io volevo parlare con Max.

Un giorno non sarei più stata innamorata di lui, l'avrei visto felice con un'altra donna senza provare nulla al riguardo e forse avrei anche scritto serenamente un articolo su di lui in quanto ex compagna di liceo.

Però per arrivare a tutto quello io dovevo prima parlare con Max.

Era inutile, tutto inutile, ma ci dovevo parlare, dovevo dirgli di averlo amato con tutta me stessa. Solo in quel modo un giorno mi sarei riuscita a svegliare felice, senza rimpianti e finalmente serena.

Solo in quel modo sarei riuscita ad andare avanti e innamorarmi di nuovo.

Senza nemmeno permettere alla mia testa di pensare ad altro, mi precipitai fuori dalla camera e giù per le scale.

Oltrepassai Maxyne, presi di corsa la tracolla e uscii di casa.

Aprii subito la macchina e misi in moto.

Soltanto poco dopo, raffreddandomi un attimo, mi resi conto dell'impulsività con cui stavo facendo tutto quello.

Accostai più di una volta sul ciglio della strada, ogni volta fermandomi a riflettere.

Era davvero quello che volevo fare? Parlarci?

Sì, mi rispondevo sempre e ripartivo.

Poi quasi mi tremavano le mani sul volante e accostavo una volta in più.

Ti rendi conto che è inutile, Eve?

Sì.

Vuoi farlo uguale?

Sì.

E se ti ride in faccia?

E' uguale.

Sicura?

Okay, non così tanto...

E la pausa al lato della strada durava qualche minuto in più.

Ormai mancava poco a casa di Max e feci l'ennesima fermata.

Innervosita da me stessa e dalla situazione cercai il cellulare, rendendomi conto solo in quel momento di averlo dimenticato.

Sbuffai, abbandonando la testa all'indietro e fissando lo specchietto del guidatore.

Non ero poi così convinta di volergli davvero spiattellare i miei sentimenti. Dopo tutto li avevo conservati per mesi con cura maniacale. Però ero consapevole del fatto che in quel modo non potessi continuare. Forse rivelargli tutto non era la cosa giusta, ma sicuramente mi avrebbe permesso di chiudere anche quel capitolo.

Capivo perché avessi provato a scappare, soprattutto nella situazione di Venerdì, circondata da tutti, con la mano di Dawn sul braccio di Parker e gli occhi furenti di Lizzy addosso, però non era quello che mi serviva.

Mi chiesi in quel momento poi per la prima volta se Max sarebbe stato disposto ad ascoltarmi.

Ricordai la rabbia nel suo tono e temetti di sapere già la risposta. Dopotutto non mi aveva nemmeno più cercata.

Esitai ancora qualche minuto, poi ripartii.

Arrivai davanti a casa di Max poco dopo e...

Notai l'assenza della sua macchina.

- Cazzo... - Imprecai nuovamente.

C'era il suv appartenente ai genitori, ma Max chiaramente non era in casa. Ero poi sufficientemente a conoscenza delle sue abitudini da sapere che non avrebbe mai parcheggiato in garage.

Per un attimo mi ritrovai spaesata, non sapendo bene come comportarmi.

Misi in moto poco dopo e, a memoria, mi diressi verso casa di Billy.

Arrivai lì davanti sentendomi una maniaca o quantomeno una stalker, però nemmeno lì c'era traccia della macchina rossa di Max.

Mi maledissi per non aver preso il cellulare: non ero sicura che avrebbe risposto a una mia chiamata, ma insistendo l'avrei acciuffato per sfinimento.

Esitai prima di decidere nuovamente sul da farsi, in realtà un po' indecisa se prendere o meno tutto quello come un segno di una volontà divina che cercava di impedirmi di portare a termine quel folle pensiero che mi aveva travolta. Risi rendendomi conto che se avessi creduto in Dio, Lui non voleva nulla tra me e Max. Max era la mia punizione divina, non dovevo avere alcun lieto fine con lui.

Cercavo di ridere della situazione, però quei fallimenti mi avevano in realtà demoralizzata.

Ero consapevole di avere ancora il giorno dopo a disposizione e quello dopo ancora e ancora, però avevo una paura, quasi viscerale, che fosse solo quello il momento giusto. Forse perché ero consapevole di poter perdere presto il coraggio, la risoluzione, o che Max potesse facilmente rifiutarsi di parlarmi, in quei suoi continui cambi di umore. Poi era arrabbiato, si era arrabbiato come non mai con me.

Tornai in quel modo a casa. Parcheggiai come al solito nel vialetto ed entrai.

Lasciai cadere la tracolla e Maxyne venne come al solito a darmi il benvenuto.

Bevvi qualcosa in cucina, più per mandare giù l'amaro in bocca che per sete, e lasciai passare dei minuti interminabili, con lo sguardo perso, prima di decidermi a tornare al piano di sopra.

Provai a convincermi che ci sarebbe sempre stato il giorno successivo.

Entrai in camera, stropicciandomi di nuovo gli occhi e sentendo un velo umido sotto i polpastrelli, poi afferrai il cellulare e sbloccandolo trovai quel che non mi sarei mai aspettata.

Chiamate perse di Max.

Quasi lasciai la presa dalla sorpresa.

Erano recenti ed erano tre.

Rimasi imbambolata, incredula per come ci fossimo pensati nello stesso momento. Mi resi conto che lui doveva credere che lo stessi ignorando per rabbia e, senza pensare a molto altro, di getto, feci partire la telefonata.

Non sapevo nemmeno più cosa dirgli, ma bastarono pochi squilli per permettermi di sentire la sua voce di nuovo e realizzai di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.

- Evelyne?

Pronunciò due volte il mio nome prima che mi ricordassi di dover rispondere. Iniziai a camminare nervosamente per la stanza.

- Ehi... Ero uscita, non avevo il cellulare.

- Capito... - Borbottò e dal tono sommesso capii che anche lui non sapesse bene come comportarsi, cosa dirmi.

Qualcosa dentro di me però si rischiarò, almeno potevamo parlare.

- Ero uscita a cercare te, - azzardai.

Per un po' non rispose. - Me?

Annuii; poi mi resi stupidamente conto che non potesse vedermi. - Sì. Ma non eri in casa...

- E perché mi sei venuta a cercare?

Come al solito riusciva a rigirarmi sempre tutto contro: era stato lui a chiamarmi, ma io dovevo stare a spiegare qualcosa per prima. Il suo tono però era all'improvviso più caldo e mi accarezzò l'udito, travolgendo tutti i miei sensi e sentii Max fino alle punta delle dita che reggevano il cellulare.

- Volevo parlare.

- Non era inutile? - Ribatté subito.

Un po', nonostante tutto, lo odiai di nuovo.

- Lo è ancora, - mi impuntai.

Stette un po' in silenzio, ma non ebbi paura nemmeno per un secondo di aver esagerato con la risposta.

- Lo è, ma volevo parlarti ugualmente, - specificai.

Altri silenzi furono riempiti solo dal leggerissimo ronzio della telefonata.

- Anch'io. Sono sotto casa tua, Evy.

Di nuovo sentii perdere leggermente la presa del cellulare, ma fu una sensazione causata dall'improvviso sudore freddo che mi travolse.

- Ora?! - Pigolai

- Sì, stupida, ora. Aprimi.

Immaginai la sua espressione e gli riattaccai la telefonata in faccia senza dir nulla, avendo bisogno di quegli attimi che mi separavano dalla porta di ingresso per recuperare un po' di controllo.

Non mi sarei mai aspettata di trovarlo lì.

Ricordai la finestra di camera mia che giorni prima avevo guardato con insistenza, senza vederlo però comparire: all'improvviso mi sembrò di vederla spalancarsi davanti ai miei occhi.

Scesi con circospezione le scale e per la mente mi volarono mille pensieri su cosa dire e su cosa stessi per sentire.

Sapevo cosa mi avrebbe detto, l'avevo immaginato per bene ed ero arrivata alle mie conclusioni Venerdì in base a quello. Però non ero di nuovo sicura di essere pronta alle sue scuse e soprattutto a dei “torniamo come prima”, perché sapevo di non poterli accettare; eppure avevo deciso di affrontare Max e chiudere davvero in modo pulito i conti con lui, nonostante non mi sentissi pronta.

Arrivai dopo interminabili secondi ad aprire la porta di casa.

Davanti a me trovai, inevitabilmente, Max Parker. La vista mi lasciò di nuovo col fiato sospeso.

Era lì, con una t-shirt e i pantaloni da basket che usava per stare per casa in quei giorni caldi di primavera.

I capelli erano stropicciati e gli occhi stanchi ma luminosi come sempre.

- Ciao, - blaterai.

Lui mi squadrò un attimo e il suo sguardo addosso bruciò come mai; ressi però il contatto quando gli occhi verdi tornarono nei miei.

- Hai un aspetto orrendo.

Un po' mi punse sul vivo

- Anche tu. Hai delle borse enormi sotto gli occhi. Sono firmate?

- Sembra che ti abbiano presa a pugni.

Sbuffai esasperata, avendo perso l'ansia di qualche secondo prima. Con le mani gli feci un gesto per scacciarlo ed entrai in casa, lasciando però la porta aperta.

Max mi seguì subito e quando mi girai stava chiudendo la porta alle sue spalle.

Lo guardai di nuovo circospetta, appoggiandomi con la schiena a uno dei mobili dell'entrata.

I suoi occhi vagarono distratti per l'atrio illuminato, su Maxyne che lo notava e si avvicinava ruffiana, poi finirono di nuovo su di me.

- Perché non eri a casa? - Chiesi, di punto in bianco.

- Volevo pensare, - rispose semplicemente. Non sorrideva o ridacchiava come al solito, ma i suoi lineamenti sembravano rilassati, un po' ammorbiditi dopo lo scambio di battute appena avvenuto. Lo stesso valeva per me che, seppur a braccia incrociate, lo analizzavo da lontano.

- Pensi?

Un po' rise. - Ti ha fatto bene questo weekend, noto. Come mai volevi parlarmi ora? - Aggiunse a bruciapelo.

Esitai, abbassando lo sguardo. - Perché finché si hanno cose da dire, forse bisognerebbe parlare.

Con gli occhi puntati a terra, vidi i suoi piedi fare qualche passo in mia direzione. Mi innervosii e senza guardarlo mi spiaccicai contro il mobile alle mie spalle facendolo traballare rumorosamente.

Lui chiaramente lo notò, perché si bloccò.

- Tu perché sei qua? - Aggiunsi, cogliendo quel suo momento di esitazione.

- Perché sono stufo dei nostri tira e molla, - disse seccamente.

I miei occhi trovarono i suoi. Persi un attimo il respiro, per l'ennesima volta, trovandolo vicino e bello come sempre.

- Ma è così che funziona tra noi. Non siamo fatti per andare d'accordo, - ribattei alla fine.

La sua bocca si piegò in una smorfia che non capii. - Noi andiamo d'accordo, Evy.

- E in che modo? - Risi sommessamente, scostando di nuovo lo sguardo di lato e ricordando delle sue parole così simili, pronunciate però mesi prima la sera stessa in cui mi ero resa conto di essere innamorata di lui.

Come liberato dal macigno dei miei occhi, lo sentii fare qualche passo in avanti e quando tornai su di lui era vicinissimo, di fronte a me.

- Max, - lo ammonii e provai a liberarmi da quella posizione scomoda, bloccata tra lui e il mobile che mi pungeva la schiena.

Le sue mani però mi fermarono e il suo tocco bruciò.

Prima che potessi ribellarmi ulteriormente, continuò a parlare: - Non avremmo mai parlato, scherzato o passato il tempo insieme come abbiamo fatto, se non andassimo d'accordo.

Cercai di evitare di guardarlo, arrendendomi però fisicamente al suo calore.

Odiavo Max e il modo in cui riusciva a influenzarmi, nonostante tutto il male, nonostante la consapevolezza di quel che stavamo per dirci.

- Se fosse vero, non avremmo vissuto anche di continue litigate, arrivando a tutto questo male, - aggiunsi.

Si avvicinò ulteriormente e il mio viso si piegò contro il suo petto, sentii il suo respiro sui capelli e la voce mi accarezzò l'orecchio. Se avessi aperto la bocca avrei sospirato.

- Se non fosse vero, non ci saremmo sempre cercati di nuovo...

- Tu mi cercavi solo per la storia della foto... - Blaterai.

Sollevai leggermente il viso, sentendo il suo profumo familiare; lui si piegò di conseguenza e i nostri occhi si incrociarono in quel rifugio buio e riparato che i nostri corpi creavano.

- La storia della foto sono mesi che non vale. La tiravo solo fuori al momento giusto per farmi valere sul tuo caratteraccio, lo sai. - Prima che potessi reagire alle sue parole, continuò: - Tu invece perché tornavi da me?

Il cuore ormai batteva all'impazzata, un po' per la vicinanza, un po' per come sentissi Parker ovunque intorno a me. Una delle sue mani mi arrivò alla guancia, spingendomi a non allontanare lo sguardo.

Sarebbe stato perfetto in quel momento rispondere con due semplici parole. Ma non riuscivo a pronunciarle. Non ancora.

- Non valeva più la storia della foto? A me non sembrava così palese.

A quelle parole ci fu un movimento da parte di entrambi e ci separammo da quella posizione così intima.

Sospirò. - Quando è partita la storia della foto, volevo solo farti abbassare la cresta... Fin dall'inizio doveva essere solo uno... scherzo per poco più di un paio di settimane. Non l'avevo presa sul serio fin da subito. E anche per questo non avresti mai dovuto credermi Giovedì... Non poi dopo tutto quel che è successo tra noi.

Mi allontanai definitivamente da lui e le sue mani mi lasciarono scivolare via.

- E' ovvio che ti abbia creduto, Max! Doveva essere uno scherzo? Beh, è durato da ottobre fino adesso! - Feci qualche passo lontano da lui, dandogli le spalle e non si oppose ai miei movimenti. - Poi cosa dovrei pensare ora? Che ti sei divertito più del previsto a prendermi in giro ed è per questo che l'hai tirata avanti così per le lunghe? - Mi girai e lo guardai seria, un po' ferita e un po' arrabbiata.

Max sospirò, passandosi le mani tra i capelli. - Perché devi portare all'estremo ogni singola cosa che dico?

- Perché non ti capisco!

- Mi capisci! Mi capisci davvero, renditene conto; sono la persona che tu credi. - Un altro sospiro si aggiunse alla serie e Max si mosse nervosamente davanti a me.

Gli occhi continuavano a sondarmi. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, indeciso su come continuare. - Ho rischiato di rovinare tutto, lo so. Ho tanti dubbi sul mio passato e su quel che ho fatto nella mia vita, ma per una volta sono convinto di una cosa: ora e per sempre da questo momento in poi ne sarò convinto.

Restò di nuovo in silenzio, gli occhi fissi nei miei.

- Di cosa, Max? - Chiesi, avendo ormai dimenticato qualsiasi altra questione portata in campo fino a quel momento. Ipnotizzata dai suoi occhi chiari, dalle espressioni e dalle sue parole.

Abbozzò un sorriso. - Non ti farò mai più del male.

Sentii la linea della mia bocca piegarsi in una smorfia e fuggii al suo sguardo.

- Davvero, Evy, - insistette, avendo notato la mia reazione.

Scossi la testa e la sua mano raggiunse la mia. Non la strinse, come sempre rendendosi ben conto di ogni suo gesto, ma bastò a farmi ritrovare il verde dei suoi occhi.

- Non puoi promettermi una cosa del genere. Non dopo quello che ho successo...

- E invece posso!

Feci di nuovo cenno di no con la testa e il mare di pensieri di quei giorni stava iniziando a infrangere la barriera che avevo costruito.

- Le parole non mi bastano. Me ne farai ancora di male, e anche tanto.

Esitò di nuovo e le due dita si aggrapparono al palmo della mia mano in una strana presa, ambigua come lui ed ogni suo gesto.

- Perché dovrei fartene?

- Perché non dovresti? Non sono io a dover dirti perché dovrebbe cambiare tutto da questo momento in poi, Max.

- Evy, io volevo solo assicurarti un futuro! - Si agitò, capendo su cosa volessi andare a parare, e strinse di più la mia mano.

- Eri tu il... - Mi bloccai, capendo come fossi stata sul punto di rilevare tutto in preda all'agitazione, nel modo sbagliato.

Lui sgranò un po' gli occhi e io portai la mano libera davanti alla bocca.

Ero arrivata a quel punto con l'intenzione di dirgli tutto, ma continuavo a non farcela e in quel momento, andandoci così vicina, anche fisicamente cercavo di bloccarmi dall'andare oltre.

Abbassai lo sguardo e premetti le dita sulle labbra, per essere sicura che nient'altro potesse uscire da lì.

- Io cosa? - Chiese, avendo ovviamente intuito qualcosa.

L'agitazione di pochi secondi prima sembrava già essersi sopita.

- Continua la frase, per favore, - insistette anche fisicamente.

Feci un ulteriore cenno negativo, continuando a non allontanare la mano dal volto. Lui ormai vicinissimo a me si chinò un po' cercando di arrivare all'altezza del mio viso. Sollevò la mano che stringeva la mia, portandole entrambe tra noi.

Mi persi un attimo a osservare quell'incastro, ancora non perfetto, delle nostre mani, poi ingenuamente trovai i suoi occhi.

Prima di potermene rendere conto delicatamente allontanò le mie dita dalla mia bocca.

- Io? - Chiese di nuovo.

Qualche ulteriore secondo di silenzio accompagnò il nostro scambio di sguardi.

- Eri tu... Tu facevi parte del mio futuro, - riuscii a rispondere, quasi non credendo a me stessa. Persi il coraggio di guardarlo in faccia e non mi sentii né arrossire, né in imbarazzo, né felice: niente, ero solo in attesa. - Non era lasciarmi andare la cosa giusta da fare.

Il silenzio che seguì durò così tanto che trovai di nuovo la forza di guardarlo. Max, bello come sempre, aveva un'espressione addosso che faticavo a riconoscere. Le labbra erano sul punto di schiudersi e gli occhi bruciavano.

- Invece era la scelta giusta, - formulò alla fine.

Ma io nel suo sguardo non avevo letto una risposta simile.

Tentai di allontanarmi, scottata come sempre da lui, dalla sua occhiata e dalle sue parole, ma mi bloccò facendo traballare il mobile alle mie spalle che avevo nuovamente raggiunto.

- Come, Max?! - Chiesi, incredula di avergli aperto in quel modo il mio cuore senza ricevere, come sempre, nulla in cambio.

- Perché, stupida testarda idiota, ti sto dicendo che la tua felicità era la mia priorità!

- Vuoi capire che io ti sto dicendo che ho bisogno di te per essere felice! - Mi alterai, lasciando andare senza volere un'altra bomba.

A questa nemmeno esitò. - E io di te, cogliona! Vuoi capire quindi che stavo rinunciando alla mia di felicità per permetterti quello che avevi sempre voluto!

Mi ingarbugliai in quel discordo che sembrava senza fine, praticamente perdendo il significato delle sue parole. - Qual è il punto, Max?!

Mi guardò decisamente incredulo. - Evelyne, per piacere! Davvero?!

- Davvero?! - Provai a dargli un colpo col pugno chiuso. - Sei un idiota, cosa pensi che possa risponderti ormai!

La sua espressione restò la stessa per qualche altro infinito secondo, mentre io continuavo a infierire contro di lui sia fisicamente che verbalmente.

Infine sospirò, bloccandomi di nuovo. - Possiamo ricominciare da capo?

A quella frase, che mi ero così tanto sentita dire in tutte le mie simulazioni mentali, cercai di allontanarlo nuovamente. - No! Non si può tornare come prima, Max! Non lo voglio nemmeno, non mi basta e non lo accet...

Mi fermò facilmente, in realtà con una certa esasperazione. - Da capo, Evy, non da dove eravamo. - Sollevò gli occhi al cielo, ma il gesto non era ironico né scherzoso.

Provai ad assestargli un calcio in risposta e sorprendentemente lui rise, tornò con gli occhi su di me e parò anche il mio secondo tentativo di menarlo.

In tutto quel trambusto, mi allungò la mano destra. La guardai come se si fosse trattato di vero e proprio materiale alieno.

Lui rise di nuovo e io ero incredula per la deviazione che all'improvviso stava prendendo l'intera situazione.

- Piacere, Max Parker. - E la sua mano strinse la mia in un vero e proprio segno di saluto.

Mi ripresi dalla perplessità iniziale e letteralmente gli ringhiai contro, incazzata nera per la presa per il culo e l'incapacità che costantemente dimostrava di prendermi seriamente. - Max, sono seria! Noi siamo qua e non ripartiamo da un bel niente e a me non basta quello che...

Mi interruppi però sentendolo proseguire.

- Sono il capitano della squadra di basket. Tu sei Evelyne Gray, la ragazza del giornalino. Ti conosco bene per la storia di quest'estate, ti odio parecchio, sai?

- A che gioco stai giocando?! - Cercai di ribellarmi alla sua presa, ma fisicamente serrata tra le sue braccia non riuscivo a svincolarmi. - Li odio i tuoi giochetti! Non...

- So che stai per pubblicare un'altra foto di Billy e so anche del tuo segretuccio coi compiti, quindi prenderò due piccioni con una fava!

Quel forte senso di spaesamento che stavo provando non impedì comunque alla mia rabbia di continuare a scoppiettare. - Possiamo parlare seriamente?! Tu, io, ora!

Ma lui continuò imperterrito.

- Ti farò credere di voler pubblicare la foto per prenderti un po' in giro, poi ci prenderò gusto, prima a tormentarti e poi ad averti intorno... Passerà un bel po' di tempo; saprò che dovrei smetterla di ricattarti, ma sarò anche ben consapevole del fatto che non mi parleresti più se non fosse per queste foto.

L'ennesimo tentativo di svincolarmi dalle sue braccia si interruppe a metà, perdendo all'improvviso forza. Stretta a lui in quel modo goffo, mi ritrovai a guardare i suoi occhi da così vicino e sorrideva come divertito, ma c'era qualcosa di tremendamente serio nel suo sguardo e finalmente iniziavo a percepirlo anche dalle sue parole.

- Cosa ti stai inventando? - Blaterai.

Mi ignorò e proseguì: - mi inizierai a piacere, anche un bel po'... Mentre ti vedrò pulirmi camera o seguirmi o lamentarti in giro, desidererò sempre più di poterti avere nel mio letto.

Avvampai e persi del tutto la forza di ribellarmi, le sue braccia che mi stringevano ancora mi avvolsero, non costringendomi più con durezza a stare ferma.

- Quel pensiero mi stuzzicherà sempre di più e, come avrei fatto con chiunque altra, proverò a portartici in quel letto. Ti vedrò un po' tentennare e farmi assaggiare quello che per mesi ho desiderato, ma poi come poche altre hanno fatto mi sfuggirai... Infine farai una cosa che nessun'altra ha fatto: resterai al mio fianco, senza volere nulla in cambio. Solo per me. Davvero me. Max.

Ammutolii cogliendo il riferimento a quella sera a casa sua, in cui ero rimasta a dormire dopo la litigata con i suoi genitori, per convincerlo a restare.

- Proverò ad allontanarmi da questa strana situazione, perdendo subito la voglia di giocare con te. Sentirò che sta diventando tutto strano, se non addirittura pericoloso. Ma poi succederà qualcosa che mi farà rendere conto che preferisco comunque averti al mio fianco. E mi farò delle maledettissime ore di macchina, anche nel traffico Newyorkese, pur di vederti. Non mi importerà più di rischiare che il gioco non valga la candela. Sarai mia amica e vederti sorridere quella sera alla fine compenserà ogni dubbio.

- Max...

- Seguirà un certo impasse, quell'equilibrio mi piacerà... Ma vedrò sempre più come mi guardi... arriverai persino a darmi un bacio di tua spontanea volontà, eppure quell'equilibrio fasullo sarà molto più rassicurante di provare a infrangere un'altra volta la muraglia che ci separa da... da altro. Mi piacerai quanto prima. Anzi, mi piacerai addirittura di più, però non vorrò più portarti con quell'angoscia di prima nel mio letto. Non solo quello almeno, ma lo capirò dopo ancora.

- Max, non prendermi in giro... - Sussurrai.

Scosse il viso e continuò con un abbozzo di sorriso. All'improvviso non rideva più.

- Poi grazie a te potrò continuare a giocare a basket e mio padre smetterà un po' di parlarmi di medicina. Solo un po', ma sarà un grande traguardo. Sarò felice, ma sarà sempre tutto più strano. Mi piacerai tanto. Da impazzire. Diventerai il mio pensiero fisso. Per questo prenderò una decisione che sarebbe stata normale fino a pochi mesi prima. Una decisione che sarebbe perfettamente normale per il Max di ottobre, dell'inizio, che stai conoscendo di nuovo ora. Però il giorno dopo, vedendoti, capirò quanto fosse sbagliata quella scelta così normale. La normalità non esisterà più e non desidererò altro che le tue labbra per poter cancellare tutto. E me le prenderò. Mi piacerà da morire e me ne vergognerò come un ladro.

Non seppi più nemmeno come comportarmi: se rispondere, se reagire, se fare qualsiasi cosa. Riuscii solo a continuare a guardarlo e iniziai a sentire gli occhi lucidi per l'ennesima volta in quei giorni, ma il motivo sembrava completamente diverso.

Durante quell'esitazione di entrambi, una delle sue mani iniziò a giocare con la mia.

- Mio compleanno: la verità verrà a galla. Mi farai del male come penso non me ne abbiano mai fatto e la triste verità è che probabilmente sarà solo la metà del dolore che io avrò fatto passare a te. Ma nonostante tutto, il pugno se lo prenderà Clark e non io. Io mi prenderò due schiaffi e poi riuscirò ad avere te. Non avrò però il coraggio di sgualcirti di più, mi sembrerà di averti già sporcata abbastanza. Ma mi andrà bene così, non vorrò che cambi nulla e mi prenderò solo i tuoi baci. Tutto questo almeno finché il conto non mi sarà presentato da Clark stesso, da cui tutto è iniziato, e capirò che l'unico modo per scontare la mia pena sarà perderti e permettere a te di stare bene senza di me. Finalmente, perché probabilmente di male te ne avrò fatto abbastanza.

- Così me ne stai facendo ancora, Max... - dissi, davvero sull'orlo delle lacrime.

Max scosse la testa e mi sorrise. - Non te ne voglio fare. Se tutto il casino che c'è stato da ottobre finora ti ha fatto solo del male e non riesci ad andare avanti, ti propongo di cancellarlo e iniziare da capo. Non mi importa.

- Che stupidate stai dicendo, Max? - Cercai di nuovo di allontanarmi. - Adesso io sono seria, non mi va bene tornare indietro, non mi va bene far finta di nulla, non mi va bene cancellare, tornare quello che eravamo... Io...

- Evy, io potrei anche cancellare tutto quello che c'è stato, perché so che tanto la conclusione sarebbe esattamente la stessa.

- Che conclusione, Max? Ma cosa stai dicendo?

Si morse le labbra e continuò.

- Probabilmente quello che abbiamo vissuto è stato il peggior percorso immaginabile. Ci siamo feriti, allontanati, fraintesi... Ma qualsiasi percorso sia, ci porterebbe a questo momento. Per questo possiamo ricominciare da capo. In qualsiasi modo io, al momento di stringerti la mano per la prima volta, lo capirei che questo è l'esito inevitabile. Ti ricordi il giorno in cui abbiamo siglato l'accordo, perché tu ti eri intestardita e volevi le tue regole? Quel giorno probabilmente, pur non sapendolo, pur non potendolo minimanente immaginare, già lo sapevo che sarebbe stato così. Nel momento stesso in cui le mie dita hanno toccato per la prima volta le tue, loro lo sapevano che era quello il posto in cui stare.

Questa volta ammutolita, col sangue alla testa, le orecchie che fischiavano e le labbra tremanti, mi ritrovai a sentire la mano di Max intrecciarsi davvero alla mia. Dita tra dita, dolcemente.

Sorrise, all'improvviso imbarazzato, appoggiandosi a me e chinandosi un po'.

- Non so dirlo...

- Dillo, - ordinai, ma in realtà la parola mi tremò così tanto in gola da uscire quasi incomprensibile. Non capivo nemmeno quale potesse essere il modo in cui avrebbe proseguito, ma sentivo di volerlo sapere.

Sentivo di volerlo sapere, perché la sua mano aveva appena stretto davvero la mia.

Sollevò la mano, intrecciata alla mia, tra noi, quasi a riprova di quello che avevo appena pensato. Il dorso si appoggiò alla mia guancia bollente e la mia mano accarezzò il suo viso. Era così vicino che sentivo il suo respiro addosso e i suoi occhi erano un mare di verde. Mi morsi le labbra provando a frenare ogni mio sentimento. Il mio cuore malandato non avrebbe potuto reggere altri colpi e se ne stava lì, col battito sospeso.

- Ricominciamo anche da capo, Evy, so perfettamente cosa proverei e cosa ti direi... Sono Max Parker, piacere, il ragazzo che già ora sa che si innamorerà perdutamente di te. Per la prima volta nella sua vita. E' inevitabile e anche se non lo fosse è l'unico futuro che vorrei. Non c'è altro futuro al mondo che vorrei se non quello in cui io mi innamoro di te e, come uno stupido, blaterando roba senza senso, spero solo di sentirti rispondere “anch'io”.

Mi scappò un singhiozzo dalle labbra. La testa mi girava così tanto da non capire se avessi la febbre, se stessi sognando, se fosse un'allucinazione.

E probabilmente era tutto quanto insieme, perché non riuscivo a credere che fosse vero. Che fino a poche ore prima fossi lì a crogiolarmi nel dolore; fino a pochi giorni prima a piangere; fino a poche settimane prima a fantasticare.

Però sembrava tutto vero. Max mi guardava come non l'avevo mai visto fare, gli occhi luminosi, in attesa; la bocca piegata in una smorfia, come a trattenere altre parole; la mano, beh, la mano stretta nella mia, davvero.

- Dimmelo da persona normale... - Blaterai. - Dimmelo da persona normale perché io possa davvero crederti!

Nonostante fino a poco prima fossi stata certa dell'impossibilità di un mondo in cui Parker potesse provare qualcosa per me, non riuscii a fermare il mio cuore. Perché non riuscivo a non vedere i suoi occhi, la sua espressione e la sua mano che era una promessa. E sapevo fermamente che tutto quello stava davvero accadendo e che non si trattava di un sogno. Che era vero.

Max sorrise e si avvicinò, accorciando le distanze e baciandomi. Prima indeciso, poi assaggiandomi nel modo che avevo imparato a conoscere così bene.

Mi aggrappai a lui, con naturalezza e bisogno, ricambiando il bacio caldo e salato che seguì. Mi sentì ubriaca come non mai e sorrisi anch'io.

- Queste non sono le modalià da persone normali... Non mi basta sta dichiarazione improvvisata... - Borbottai, tra un bacio e l'altro che non riuscivo e non volevo evitare, spiaccicandomi sempre più contro il mobile alle mie spalle e stringendo disperatamente le sue spalle. - Non dovrei nemmeno crederti, davvero!

Sbuffò, incredulo e divertito allo stesso tempo. - Ma se tu non mi hai nemmeno risposto!

- Non sarò io la prima a parlare!

- Ah, allora è un “anch'io”... - Mi prese in giro, strappandomi altri baci.

Sbuffai, ebbria di lui e di quelle parole, ma con un sorriso enorme stampato in faccia. - Lo sapevi già...

Rise, scuotendo la testa, e restò fermò per un po' a guardarmi, così vicino fisicamente da sentirlo parte di me. Probabilmente lo era.

- Ti amo, Evy.

Di nuovo sentii le labbra tremare e la voglia di piangere mi travolse. Ogni tristezza, ogni pensiero negativo, tutto in quel momento svanì per non tornare mai più.

Il ragazzo davanti a me, senza spavalderia, esposto come non mai, mi guardava con occhi grandi e indagatori. Quelle parole gli erano uscite di bocca a fatica, incerte. Nessuno l'avrebbe riconosciuto in quel momento come Parker, nessuno tranne me che in quel verde sereno vedevo finalmente e senza ombra di dubbi il Max di cui ero innamorata da mesi e mesi. Seppi di non aver mai preso un abbaglio.

- Ti amo anch'io, Max. Da morire. Davvero.

Il borbottio, probabilmente incomprensibile, gli arrivò comunque perché fui investita da altri suoi mille baci e dalle nostre risate fuse insieme.

E le mie famose paroline erano uscite in quel momento leggere e naturali come l'aria. Capii che mi si erano sempre bloccate in gola perché non era mai stato davvero il momento giusto e non perché la persona a cui dovevo dirle fosse sbagliata. Nessuno potevo essere più giusto di Max. Non potevo essere nessun altro a parte Max.

Quanto eravamo stati idioti? Quanto per arrivare fino a quel punto e per quasi rischiare di perderci?

Afferrandomi per la vita, dopo aver finalmente lasciato andare la mia mano, mi sollevò alla sua altezza.

- Quindi...

- Cosa? - Blaterai, cercando di mandare giù le lacrime.

- Sbaglio o mi era stata fatta una esplicita richiesta sessuale poco tempo fa? Posso adempierla?

Gli feci volare uno schiaffone addosso e, mentre ridevo, lui iniziò davvero a trascinarmi di peso su per le scale.

- Posso pretendere un po' di serietà da parte tua almeno ora?!

- Intendi ora che sei la mia... bleah... fidanzata? - Chiese facendomi ricadere davvero a letto con lui.

Cercai di dargli un'altra botta, ma mi pesava di proposito troppo addosso. - Bleah?! - Mi finsi stizzita, beccandomi nel mezzo un altro suo bacio a fior di labbra.

- Sì, dammi un po' di tempo e forse mi abituo, - scherzò, ammiccandomi con lo sguardo e cercando di rubarmi altri baci. - Comunque la serietà mai, avrai lo stesso e identico Max che hai conosciuto finora, mi dispiace!

Protestai un po', ridendo, poi cercai di nuovo di parlare. - Quindi sono la tua fidanzata? Non mi sembra che tu me l'abbia chiesto e non mi sembra di aver acconsentito. Posso fidarmi?

Lo stavo prendendo in giro, ma un fondo di verità c'era anche in quelle parole. Lui sembrò colpito in pieno e un po' tentennò.

- Puoi fidarti. - I suoi occhi mi inchiodarono al letto e sapevo davvero di potergli credere. - Per quanto riguarda il resto... Ma devo stare a dirti tutto così esplicitamente? - La sua espressione comicamente sofferente mi fece ridere. - Sai quanto mi è costato quello di poco fa? Sai che non pensavo di essere in grado di dirlo mai in tutta la mia vita? O anche solo di pensarlo? Pretendi troppo, cara mia...

- Lo so, ma me lo merito tutto... - Finsi di mettere su il broncio. - Anche perché mi sembra di stare un po' sognando, - aggiunsi, questa volta sincera e lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

Scosse la testa, nascondendo il viso contro il mio collo e facendomi venire i brividi. - Io sono già solo tuo, Evy... tu vuoi essere mia?

Risi, ma seriamente un po' commossa annuii leggera per fargli sentire la mia risposta.

Sollevò di nuovo il volto e sorrise, un po' sghembo.

A quell'espressione non seppi resistere. - Sono tua, Max, lo sono sempre stata e lo sarò sempre.

- Mi dispiace aver dovuto rischiare di perderti per realizzare tutto questo... Ma ora non ti farò mai più del male, giuro, - disse, tornando serio e giocando coi miei capelli, innervosito.

Gli diedi un bacio e vicinissima, tanto da non distinguere bene i suoi occhi, continuai: - anche nella migliore delle ipotesi ce ne faremo un po', Max... Ma non mi importerà mai, perché se continuerai ad amarmi, qualsiasi ostacolo lo potremo affrontare e il male diventerà sempre bene...

Ricambiò il bacio e infilai la mano tra i suoi capelli. Non riuscii nemmeno a vergognarmi di quelle parole, ora naturali e serene come forse non era mai stato nulla in vita mia.

- Te lo prometto.

Gli sorrisi, sentendomi però sempre più accaldata dalle sue labbra e dal suo tocco.

- Sai che sembrava quasi una promessa di matrimonio la tua, comunque? - Aggiunse, rovinando del tutto l'atmosfera.

Cercai di fargli arrivare un ceffone avvampando, ma lui scansò il colpo e rubò di nuovo le mie labbra.

- Ti piacerebbe avere la fortuna di sposarmi un giorno! - Azzardai, tra una lotta e l'altra.

Rise, incredulo. - Io?! Ma hai visto il manzo che puoi avere la fortuna di chiamare il tuo ragazzo?!

- Sì, il manzo che ha mille cose di cui farsi perdonare, prima che possa davvero definirmi fortunata...

Si finse offeso all'ennesima insinuazione, ma cercò di strapparmi altri baci e io continuai a ridere.

Felice.

Felice di essere lì.

Felice di essere con Max.

Felice di aver vissuto quella punizione divina.

 

Anch'io probabilmente l'avevo sempre saputo, dalla prima volta che vidi i suoi occhi verdi, che inevitabilmente sarebbe stata questa la fine.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

- Max! Stammi lontano!

- Non sto facendo nulla!

- Lascia... Lascia stare la mia maglietta, deficiente!

- Ma scusa, me l'hai chiesto tu qualche giorno fa!

- Ma come puoi essere così cretino?! Non ridere, sono seria! Ho detto che... Max!

- Adesso che sei la mia ragazza, non ho mica la coscienza che mi frena, eh... Anzi, io direi che per fare pace è proprio perfetto...

- Non te lo meriti!

- Ma mica è un regalo che me lo devo meritare, scema! Poi oh, se proprio non vuoi... Basta che mi fermi... Quando vuoi...

- … Max...!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

…......

 

(altro posto e altro momento)

 

Entrambe si zittirono, continuando però a fissare lo schermo. Regnò per quache minuto il silenzio nella stanza piccola e deserta, accompagnato in realtà solo dal ronzio dell'unico computer acceso.

- Cosa ne pensi? - Azzardò la rossa, alla fine.

- A parte il finale esageratamente melenso? - Precisò la bionda, seduta nella sedia a fianco.

- L'hai pensato anche tu? Bleah. Diabete a parte, cosa ne pensi?

- A parte l'intera settimana in cui abbiamo sprecato ogni pomeriggio per finire di leggere questa roba? - Chiese ancora, appoggiandosi stancamente allo schienale. - Okay che volevo anche vedere come andava a finire, ma starsene ogni pomeriggio a scuola, davanti al computer... Un computer così vecchio poi, si legge malissimo...

- A parte questo? - Insistette.

- A parte che questi due idioti avrebbero potuto chiuderla molti capitoli prima, ammettendo semplicemente tutto e baciandosi e scopando?! - Aggiunse con particolare foga la bionda. - Che tra l'altro io stavo continuando a leggere soprattutto per la fatidica scena di sesso e invece nulla! Ma ti sembra normale che non l'abbia nemmeno descritta?!

- Sarah, a parte quello! - Esclamò, esasperata, la rossa. - C'è sinceramente qualcosa che salta all'occhio dai primi capitoli. Non ti ho detto niente perché prima volevo finire di leggerla tutta!

Sarah alzò gli occhi al cielo poi li rivolse all'amica. - Ma cosa? Che è un amore vero? Sei così romantica, Jess?

Jess, irritata, sbatté le mani sul tavolo. - Sarah, i nomi!

- I nomi?

- Sì, idiota! Evelyne Gray, ma soprattutto Max Parker!

Sarah guardò Jess abbastanza perplessa. - E...? Sono i nomi dei protagonisti della storia che abbiamo appena letto.

Jess sospirò. - Conosci qualche Parker, Sarah? Pensa un attimo, per favore.

L'altra sbuffò, appoggiandosi alla scrivania che ospitava l'ormai datatissimo computer portatile. - Spiderman?

L'occhiata glaciale di Jess le fece capire di dover cambiare risposta.

- Ma è un cognome comunissimo, Jess! C'è la prof di biologia, una ragazza che fa Soccer con me, il ragazzo di Stephanie, e almeno un'altra decina di persone in tutta la nostra scuola. - Si interruppe. - E i fratelli Parker, ovviamente, - aggiunse, ricordandosi subito dopo di loro e ritenendo necessario nominarli esplicitamente.

Jess si illuminò. - Oh, finalmente! E hai capito cosa c'è di incredibile in tutto questo? Questa storia non è un racconto di fantasia. E' vera!

Sarah sembrò continuare a non capire. - E perché mai?

- I fratelli Parker, idiota. Cecilia e Derek.

- Sì, li so i loro nomi...

Jess si portò le mani tra i capelli, lasciandosi scivolare anche lei sulla scrivania. Un sospiro esasperato le sfuggì dalle labbra.

Sarah sembrò spazientirsi anche lei. - Oh, insomma, parla chiaro!

- Non ti sembra un po' troppo strano che una si chiami Cecilia, il nome della madre di questa Gray, secondo la storia che abbiamo appena finito di leggere? Che il padre dei fratelli che conosciamo noi sia stato un giocatore di basket professionista? Ma soprattutto che la madre dei fratelli sia una giornalista! Lavora al New York Times e si chiama Evelyne Gray. Non li leggi i giornali, scusa?

L'occhiata dell'altra sembrò una risposta sufficiente.

- Scusa, dimentico sempre quanto tu sia ignorante. Ma insomma è una storia vera, Sarah! Questi due, Max Parker ed Evelyne Gray, si sono sposati e i loro figli sono probabilmente i fratelli della nostra scuola! Questa che abbiamo trovato e letto è la loro storia! Presumibilmente questa una volta era la vecchia aula del giornale scolastico e questo file è stato lasciato da Evelyne. Chiaramente lei per qualche motivo si è sfogata e ha scritto tutto qua sopra. Dopotutto era ed è una giornalista, deve sempre aver avuto il pallino per la scrittura.

Sarah spalancò la bocca, per poi tornare a guardare il computer. - Hai ragione! Ommiodio!

Jess le augurò finalmente il buongiorno, tanto le era sembrato tutto così ovvio dai primi capitoli, leggendo il nome della protagonista e il cognome di lui.

- Dovremmo dirglielo, - fece notare Sarah, ridendo. - A Cecilia sarà un po' difficile, perché è andata all'università, ma con Derek possiamo parlare domani a mensa. Sai che cosa strana sarà per lui leggere la storia d'amore dei suoi? Soprattutto dati certi particolari… - E rise ancora.

Jess la interruppe, alzando una mano e ghignando. - Dirglielo? Faremo molto più di questo...

Sarah, che conosceva bene quello sguardo, si bloccò fissandola. - A cosa stai pensando, Jess?

L'altra rise, amaramente. - Io odio Derek.

- Lo so, ma è comunque la storia dei suoi... E nemmeno avremmo dovuto leggerla. Questo pc l'abbiamo trovato per caso tra gli scatoloni da buttare; non avremmo nemmeno trovato il modo per accenderlo se non ti fossi intestardita tu a cercare il caricabatterie e soprattutto se non fossi una dannata pettegola e non ti fossi messa a spulciare in ogni angolo del sistema prima di resettarlo...

Jess ignorò come sempre ogni insinuazione e iniziò a mordersi le unghie pensiorosa. - Mi hai proprio fraintesa... Derek avrà indietro la storia dei suoi genitori...

Sarah la lasciò fare, sapendo che non sarebbe riuscita ad averci una conversazione normale finché non avesse finito con le sue meditazioni.

- Cecilia comunque è bella, alta, occhi verdi: una figa. In effetti ci sta che sia la figlia di questi due, assomiglia alla descrizione di Parker e i capelli sono quelli di Evelyne.

- Derek è uscito male, invece. - Sbuffò Jess, interrompendo la divorazione delle sue unghie per quel breve commento. - Castano, occhi marroni, alto solo come la sorella pur essendo un uomo.

Sarah rise. - Sì, non è un gigante, ma ha ancora la faccina da ragazzino, secondo me deve finire di crescere... Poi non è vero per nulla che è brutto, scusa.

L'altra espresse con un verso il proprio disgusto. - Mezza calzetta. Schiappa.

- Lo dici solo perché ti ha fregato il posto da Presidente del Consiglio Studentesco... Tutta la scuola lo adora, Jess, arrenditi, - fece notare Sarah guardandola con fare scettico.

La chioma sembrò bruciare ulteriormente di rabbia mentre Jess avvampava. - Io non lo adoro! E io sono la più adatta per quel ruolo! Sono intelligente, intraprendente, meticolosa e la migliore studentessa della scuola.

- Jess... Derek ti batte ogni volta, lo sai. Poi hai un caratteraccio e la gente...

- Ma da che parte stai tu, scusa?! - Ribattè, stridula. - E anche se la gente non mi ha votata come Presidente, sono la migliore di sicuro per svolgere il ruolo da vice e voglio esserlo! Ma lui mi ha detto, sorridendo in quel suo modo odioso, che mi farà sapere, ma pensa che sia meglio scegliere qualcuno di più "propenso alle relazioni interpersonali" rispetto a me. Lo ammazzerò un giorno.

Sarah soffocò una risata. Derek aveva fatto bene anche a prenderla lievemente in giro. Lei e la rossa erano amiche fin dai tempi della culla, Sarah le voleva un mondo di bene e anche per questo poteva permettersi di parlarle in modo così schietto, ma Jess per il resto, alquanto viziata e prepotente, era sopportata da ben poche persone: probabilmente solo da lei e Robert.

Sarah infatti, per quanto le litigate fossero all'ordine del giorno, era ben a conoscenza del tipo di persona che si nascondeva sotto quella dura scorza ed entrambe non avrebbero potuto vivere senza l'altra.

Robert beh... Robert si portava semplicemente a letto Jess: erano fidanzati e, come insinuato apertamente più volte da Sarah, la rossa doveva essere sicuramente brava per permettere a quel povero cristo di sopportarla e di esserne anche innamorato.

- Quindi... quindi adesso sarà costretto a mettermi come vice! - Esclamò Jess vittoriosa. Senza rendersene conto era però in preda a un vero e proprio delirio.

- E perché mai? - Chiese l'altra, non capendo e riprendendosi dai suoi pensieri.

Jess piantò il dito contro il computer, sorridendo. - Questo. Questo computer è nelle mie mani. Quando lui lo saprà, sarà costretto a fare quello che voglio, perché altrimenti...

- Altrimenti rivelerai la storia d'amore dei suoi al mondo intero? Wow, di sicuro tremerà appena glielo dirai... - Commentò Sarah ironica.

L'altra rise, quasi avendo previsto quell'obiezione. - Ma sai se si venisse a sapere cosa faceva sua madre? Una giornalista così rispettabile, quand'era al liceo?

Sarah spalancò la bocca, incredula. - Ma lascia stare Evelyne! Poveraccia! Per quella storia l'hanno tormentata già abbastanza!

- Non voglio rivelarlo sul serio, idiota! Poi sinceramente dubito che potrebbe essere davvero utilizzata contro lei, sono passati secoli ed è pur sempre una storia che sembra di fantasia. Ma mi basta solo che Derek lo creda possibile e che, sapendo la storia, pensi che io sia in possesso delle foto. Dopo è fatta: non dirà niente ai suoi e sarà completamente in mio potere. Sarò la Vicepresidente solo in apparenza, ma in realtà dirigerò io tutta la baracca e lui dovrà fare solo quel che voglio. - Si alzò in piedi di scatto per cercare la sua borsa e l'USB.

- Non funzionerà, Jess... - Cercò di farle notare Sarah. - Lo racconterà a sua madre e...

- Non lo farà. Ho detto che il ricatto funzionerà alla perfezione e Derek sarà in mio potere.

Anche Sarah si rese conto che Jess stesse delirando.

La rossa però infilò imperterrita la chiavetta nel computer e cominciò a copiare i file.

- Ma stai provando ad imitare Parker? - Chiese, dopo un attimo, Sarah.

Jess esitò con la risposta, continuando però nel suo operato. - Mi ha ispirato okay? Lo ricatterò, sarò la vera Presidentessa del Consiglio Studentesco e... non sorridere in quel modo, Sarah, ti avverto. Mi sono ispirata a Parker, ma non finirà male come a questi due e non sono nemmeno interessata a simili esiti raccapriccianti con Derek.

Finì con la chiavetta e cancellò anche l'intero documento: sul pc non rimaneva più traccia di quella storia che era stata salvata anni prima, d'estate, da Evelyne Gray. Lei e il computer erano stati entrambi ignari di quello che sarebbe seguito e di come sarebbe arrivato tutto fin lì.

Ignara era anche Jess, ma di ben altri fatti, seppur sempre futuri.

- Sai, credo che anche Max Parker pensasse una roba del genere, prima di iniziare a ricattare Evelyne, - disse Sarah, di nuovo divertita.

- Parker se la voleva già fare dall'inizio, ne sono convinta. Io non corro alcun rischio e Derek mi fa ribrezzo e mi sta sul cazzo e... Non osare sorridere in quel modo! Ho il mio Robert: molto più alto, bello e intelligente. Non osare, Sarah, - minacciò, sempre col dito puntato; poi prese in spalla lo zaino e si avviò verso la porta. - Domani sarà la prima cosa che comunicherò a quel montato; ti terrò informata. E non ridere in quel modo ho detto! Non andrà a finire come questa storia, nel più assoluto dei casi! - Il tono da soddisfatto qual era inizialmente, era finito sulle solite tonalità alterate che caratterizzavano così tanto Jessica.

Sarah alzò le mani in segno di resa; Jess uscì.

La bionda si trovò da sola davanti al computer che era stato svuotato dell'unica cosa interessante.

Dopo un attimo di esitazione, sorrise tra sé e sé e aprì un nuovo documento di testo su quello stesso pc.

Sarah era probabilmente solo influenzata da quanto letto per tutta la settimana, ma era sempre più convinta che anche Max Parker l'avesse pensata esattamente come Jess.

Ed era sempre più convinta che l'esito fosse già scritto.

Non sapeva se davvero Jess sarebbe riuscita a fregare Derek, lo dubitava, ma era davvero sicura che, in qualunque modo, Jess sarebbe stata una Punizione Divina, ma questa volta di Parker.

 

Divertita, iniziò a scrivere quanto appena successo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

Fineeee!

Avrei tanto da dire, prima di tutto che c'ho messo tanto a pubblicare perché non sono mai stata soddisfatta dell'esito, in realtà non lo sono ancora, ma eccomi qua perché la storia doveva avere una fine, non sarà perfetta, magari non come la immaginavate, ma è la fine che Josie5 è riuscita a scrivere. Spero vi basti :)

 

Ci sono questioni non risolte, lo so, e non vorrei nemmeno risolverle. Per quanto questa sorta dell'epilogo finale sia più che altro scherzosa (non temiate un continuo della storia, non ci sarà), è vero che ho sempre immaginato la storia come scritta direttamente da Evelyne che sceglieva in qualche modo di sfogarsi. Per questo trovo logico che non tutto venga chiarito (Alex e Francy; questione università; genitori di Max), perché una volta arrivata al lieto fine a Evelyne non serviva aggiungere altro!

Quindi per questo metto che la storia è conclusa, maaa... non escludo che in futuro possiate vedere un aggiornamento, per chiarire quanto rimasto sospeso o per farvi vedere quanto successo subito dopo questo capitolo tra Max ed Evy.

Non ve lo assicuro però, e dovesse arrivare sarebbe in tempi probabilmente lunghi (come purtroppo è accaduto con questo capitolo, ne sono davvero desolata!).

L'epiloghetto su Jess e Sarah potrà sembrare fuori luogo, ma era scritto dal 2014. Mi divertiva particolarmente l'idea e anche se so quanto sia banale lo stereotipo della storia che si ripete per i figli, era qualcosa che avevo pianificato da così tanto che non potevo ora evitare di inserirla. Spero abbiate apprezzato.

Lo stile da parte centrale del capitolo è diversa dal solito: tutto è monotono e veloce per quel che Evy sta provando e volevo renderlo così. Spero pero non vi sia sembrata solo una lista della spesa.

Fatemi sapere pure se vi è piaciuto, cosa ne pensate e anche se vorreste sapere altro su Maxi ed Evy!

 

 

Detto questo...

Spero di avervi divertite, magari commosse e fatte innamorare dell'amore e di voi stesse. Soprattutto di voi stesse.

L'amore non sarà mai nella vita reale quello delle favole, ma esiste. Potrà non essere quello del principe azzurro, potrà non essere addirittura quello di un vostro ipotetico futuro partner, ma del bene ci sarà sempre ed è quello che spero arrivi per tutte voi.

Grazie per avermi letta.

   
 
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