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Autore: XShade_Shinra    18/09/2018    0 recensioni
Delle volte, è come se la gente sentisse fin dentro le viscere di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.
A Jean Kirschtein capitò in un freddo pomeriggio di gennaio, mentre si trovava nel quartiere di Kabukichou.

[ Shounen-ai - Jearmin ]
[ Capitolo 1 partecipante alla Jearmin week 2018 indetta da The Jearmin Collective ]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Armin Arlart, Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Enjo Kosai
Capitolo 2
 

Dopo circa un’oretta, la cena fu spazzolata e le stoviglie già sgocciolavano dallo scolapiatti. Jean aveva insistito per poter essere d’aiuto, ma Armin glielo aveva fermamente impedito.

Durante il pasto avevano parlato del più e del meno, e tutt’ora stavano commentando con così tanto ardore il quiz a premi che trasmettevano in tv da sembrare essere loro tre i concorrenti che puntavano al montepremi; da quella serata Jean aveva compreso una cosa che aveva sempre sospettato: Armin Arlert era un genio, e, a quanto pareva, doveva essere un dono ereditario. Nonostante ciò, però, Jean non aveva affatto sfigurato, anzi, delle volte era stato proprio lui a indovinare la risposta corretta, soprattutto nelle domande a tempo, dando prova di una grande capacità di ragionamento quando la memoria non bastava a rispondere.

Appena il programma fu terminato, l’anziano si alzò con un sorriso compiaciuto in volto.

«Jean va via subito?», domandò, mentre camminava lento verso la soglia della stanza.

«Mh, sì… io devo studiare», rispose Armin. Jean non mise in dubbio la sua parola, sapendo dove aveva passato tutto il pomeriggio.

«D’accordo, ma non fare tardi come sempre. Io ho già fatto la doccia, vorrei andare subito a letto, dovresti prendere il fu—».

«Sì, nonno, lo prendo appena Jean se ne va», lo interruppe il  ragazzo, con un po’ di veemenza.

«Perché non lo prendi ora?».

«Nonno!», sibilò Armin a denti stretti.

Jean seguì la conversazione dubbioso, chiedendosi quale strano codice stessero utilizzando i due. Armin sembrava un po’ in difficoltà, ma il nonno lo guardava con occhi gentili e furbi, di chi sta cercando in ogni modo di portare un amico sulla cattiva strada, divertendosi un mondo.

«Ok, non insisto. A domani, allora», salutò il nipote, rivolgendosi poi all’ospite. «Torna presto a trovarci, ci ha fatto piacere la tua compagnia. È bello vedere qualcuno che riesce a non essere stracciato ai quiz televisivi dalla famiglia Arlert!», rise divertito. Jean rispose con un “grazie” poco convinto, prima che l’uomo li lasciasse soli, chiudendosi in camera.

Armin esalò profondamente, imbronciandosi.

Jean avrebbe voluto chiedere se andasse tutto bene, ma già una volta si era invischiato nella vita privata di Armin e stava ancora cercando di sgusciare fuori da quelle sabbie mobili. Si alzò dal cuscino, sgranchendosi le gambe e stiracchiandosi la schiena. «Io allora vado», disse, non volendo disturbare oltre.

Armin annuì e si alzò a sua volta, pronto ad accompagnarlo all’ingresso – non che la casa fosse grande, Jean sarebbe benissimo riuscito a trovarlo da solo, ma doveva fare il buon padrone di casa e, soprattutto, ci teneva a vederlo finché gli fosse stato possibile.

Poche falcate e i due raggiunsero il portone principale. Jean prese le proprie scarpe da ginnastica e le calzò, sotto lo sguardo attento di Armin. «Grazie per la cena», disse il ragazzo più alto. «E per la compagnia», aggiunse, sollevando lo sguardo. Scelse appositamente le parole, volendo far capire all’altro che la sua compagnia era preziosa e non l’avrebbe dovuta sprecare con persone che lo gradivano in modo diverso dall’amicizia – almeno sperò che potessero aver avuto quell’effetto.

«Grazie a te, Jean. Per tutto», rispose lui abbozzando un sorriso. La presenza di Jean quella sera era stata per lui benefica, più di qualsiasi medicina. Le sue parole, i suoi gesti, ogni cosa gli aveva offerto un appiglio per non affogare. Aprì il portone, dando modo così a Jean di uscire, insieme, purtroppo, al piacevole tepore della casa, affrontando il freddo della sera.

«Ci penserai a quello che ti ho detto?», chiese Jean, non volendo essere troppo specifico, non sapendo quanto fossero spesse le pareti dell’appartamento, anche se ormai era fuori sullo zerbino.

Armin trasalì e premette le labbra tra di loro, in ansia. «Sì...», esalò piano, stringendosi nelle spalle.

«Davvero?», chiese Jean, meravigliato, girandosi verso l’amico. Quando gli aveva parlato in precedenza, Armin non aveva dato il minimo segno di apertura, ma da quanto gli aveva detto a cena, sembrava che piano piano le parole di Jean stessero entrando nel suo cuore.

Armin annuì, scostando gli occhi bassi di lato. «Sì, ci penserò, Jean». Per quanto le sue parole fossero velate di timidezza, il ragazzo ne era convinto. Doveva fare una scelta, e non era più tanto sicuro di continuare, che il gioco ne valesse la candela.

L’ospite sorrise e posò la mano su quella massa di capelli biondi, arruffandoglieli divertito. «Sono contento!», disse con un sorriso. A quel gesto, la faccia del più basso divenne scarlatta, non essendo abituato a un contatto fisico così invadente; gli occhi continuarono a rimanere imbullonati al pavimento, mentre la testa si incassava ancora di più nelle spalle. La sua fortuna fu quella di essere controluce, altrimenti Jean lo avrebbe notato. «Allora, ci vediamo domani. Mangiamo assieme sul tetto o stai con Eren e Mikasa?», chiese, scostando la mano dalla testa del ragazzo, lasciandogli qualche ciuffo fuori posto.

«Uhm… Insieme va bene», ebbe la forza di dire, producendo un suono poco più alto di un pigolio, senza alzare gli occhi cerulei.

«Bene, così mi dirai cosa hai deciso», sorrise Jean, incamminandosi verso le scale. Era soddisfatto, non si aspettava che l’altro ascoltasse così a fondo le sue parole; sapere di contare per lui lo stava facendo sentire bene.

Uno, due, tre, quattro… al quinto passo, Armin tornò dentro casa sbattendo la porta. Trattenendo ancora il fiato, si appoggiò con la schiena alla porta, passandosi una mano tra i capelli scombinati. Quel gesto di Jean lo aveva mandato in tilt: non se lo aspettava nella maniera più assoluta. Era stato terribile e nel contempo bellissimo. Prima gli aveva stretto le mani e offerto una spalla su cui piangere, e poco fa gli aveva accarezzato i capelli. Non avrebbe mai sognato di poter avere così tanta fisicità proprio con il ragazzo che più gli piaceva. Non lo aveva sbalordito solo in quello: la cosa che lo aveva lasciato senza parole era la sua presenza lì, tra quelle mura, solo per poterlo convincere a mollare con l’Enjo Kosai. Era lì per lui. Più conosceva Jean e più comprendeva che non aveva mai capito nulla di lui, e quel vero Jean gli piaceva molto di più che quel bel bulletto che pareva essere.

Armin sentì il rumore della porta scorrevole della stanza da letto del nonno e non riuscì a nascondere il sorrisino compiaciuto che aveva in volto.

«Allora, è andato?», chiese il nonno, affacciandosi dalla camera, ricevendo come risposta un secco sì con la testa. «Ti ha chiesto di fidanzarti con lui?».

Il ragazzo sobbalzò a quella domanda. «Nonno!», esclamò con impeto, staccandosi dalla porta.

«Cosa c’è? Non è forse lui lo Jean del quale mi avevi parlato? Mi è sembrato più gentile dei tuoi racconti, avete fatto amicizia?». Il signor Arlert aveva un buon rapporto con il nipote, e da anni sapeva le sue tendenze sessuali, ma non per questo gliene aveva fatto una colpa o gli aveva voluto meno bene; Armin rimaneva sempre Armin, e si era ripromesso di essere per lui non solo un parente ma anche un amico, ben ricordando come era incline ad infrangersi un cuore spezzato a quella età.

Armin gli aveva parlato di Jean da tempo, dicendo che fisicamente era il suo tipo ideale ed era anche intelligente e aveva ottimi voti, ma aveva sempre chiuso la questione dicendo “È solo un bulletto”, “Tanto non gliene frega nulla di me”, “Ai suoi occhi sono buono solo per i compiti”, “Gli faccio schifo perché sto sempre con Eren”. Ed erano tutte cose che fino al giorno prima avrebbe continuato a sostenere, ma a quanto pareva non aveva visto abbastanza, c’era dell’altro in Jean, come c’era dell’altro in sé stesso – qualcosa del quale si vergognava.

«Beh, non mi rispondi?», chiese l’anziano, sorridendo al nipote.

«Non c’è nulla tra noi», lo liquidò secco Armin, entrando nella stanza.

«Eppure sembri felice ora, e ho sentito che ti ha detto di pensare a qualcosa di cui avete parlato...». Maledetti muri fini come la carta di riso! Ecco perché aveva tenuto il televisore a volume alto prima in soggiorno.

«Non... non era quello, nonno… Era per un progetto a scuola», mentì, sperando che l’uomo gli credesse. «E poi… è a senso unico. A lui non piaccio... in quel senso», spiegò, intristendosi un po’.

«Però non vi parlavate fino all’altro giorno», gli fece notare gentile l’uomo. «Magari potete diventare amici».

Armin sospirò, mentre apriva l’anta dell’armadio e tirava fuori il proprio futon arrotolato nell’angolo, assieme allo materassino da poggiarvi sotto, poi da un cassetto prese il pigiama e un cambio di biancheria. «Lo siamo già», rispose. Forse fu il sentirlo dire dalla propria bocca, ma fu solo in quel momento che lo realizzò appieno. Jean gli aveva offerto la propria amicizia, un qualcuno di fidato su cui poter contare per affrontare ciò che stava passando. Con lui aveva un segreto enorme, che nemmeno Eren e Mikasa sapevano, e non lo aveva mai tradito. Un altro piccolo sorriso sbocciò sulle sue labbra, alla realizzazione che almeno quella cosa aveva avuto di positivo il farli avvicinare, era come se di colpo i suoi sforzi nell’Enjo Kosai fossero stati più leggeri.

«Sono felice per te, figliolo; avrete l’opportunità di conoscervi».

Armin avrebbe voluto rispondere Ci conosciamo già, ma non voleva entrare troppo nel dettaglio con suo nonno sulla faccenda. «Grazie, nonno», mormorò, veramente grato per il modo in cui il nonno si prendeva cura di lui. Come avrebbe potuto non fare lui stesso qualcosa a sua volta? Era tutto così dannatamente difficile. «Io vado… mi faccio una doccia e mi metto a dormire, studierò domattina, a questi punto... Buonanotte, nonno, ti voglio bene».

«Anche io, buonanotte, Armin», lo salutò l’altro, mettendosi a letto, mentre il più giovane usciva dalla camera, portando in cucina ciò che aveva preso dall’armadio.

Stese a terra il materassino, proprio accanto al kotatsu, e ci mise sopra il futon, poi andò direttamente in bagno a farsi una doccia. Solitamente riusciva a tornare a casa pulito, ma quella sera era letteralmente scappato dall’incontro con quell’uomo e si era cambiato nei bagni della JR prima di prendere il treno.

Fu molto veloce sotto la doccia, come sempre, non volendo rimanere lì sotto l’acqua a pensare, anche se fu inevitabile. I suoi pensieri vorticavano, preghi di ciò che era accaduto in quelle poche ore, ma tutto ciò che ne aveva cavato fuori dal suo tanto pensare era solo un grosso mal di testa. Si asciugò i capelli, toccandoseli piano, come a simulare ancora la mano di Jean su di essi, poi andò a sdraiarsi sul suo futon, riparandosi dal freddo con la morbida coperta. Si erano trasferiti da qualche anno in quel piccolo appartamento e non si potevano permettere nulla di più grande, ecco perché Armin dormiva in cucina, non avendo una propria camera; in realtà l’idea iniziale sarebbe stata quella di dividere la minuscola stanza del nonno, ma quest’ultimo aveva insistito perché Armin avesse i suoi spazi, e dormire in cucina sembrava essere una buona soluzione, così poteva tenere la luce per studiare o leggere fino a tardi e aveva il tavolo a disposizione. Tutti i suoi libri e gli oggetti da collezione erano lì, esposti sulle mensole – almeno, quelli che non aveva rivenduto al Mandarake come usato per guadagnare qualcosa, come aveva detto a Jean –, mentre gli abiti erano nell’armadio in comune. Non era una cosa comoda, ma erano solo loro due a casa, quindi era sopportabile, e ormai ci aveva fatto il callo. Non avrebbe mai fatto dormire il parente in cucina.

Sospirò, pensando a quando, poco prima, il nonno voleva che Armin portasse il futon in cucina mentre c’era Jean. Aveva capito benissimo le sue intenzioni, ma che si era messo in testa?! Non era mica fidanzato con Jean e anche se lo fosse stato non avrebbe di certo fatto le zozzate con il nonno in casa!

Rotolò appena di lato, fissando il display del microonde che illuminava quell’angolo di stanza di luce verdastra. Le undici. Avrebbe fatto bene a dormire, l’indomani si sarebbe dovuto svegliare presto per studiare. Prese il proprio cellulare per impostare la sveglia e vide che c’erano sei messaggi non letti; cauto, tirò giù la tendina delle notifice, vedendo che erano i messaggi della chat di gruppo con i suoi due amici, i quali gli chiedevano se l’indomani sera avesse potuto dare loro delle ripetizioni in chimica dopo l’allenamento di karate di Mikasa. La richiesta lo fece sorridere. Quanto siete messi male per il compito?, chiese.

Il primo a rispondergli fu Eren, Nella merda, seguito dalla sorellastra, Uno schifo.

Va ben|

Armin non fece in tempo a finire di digitare, che gli arrivò un altro messaggio, in un’altra chat. Un messaggio che lo fece deglutire a vuoto, mentre leggeva i pochi ideogrammi che lo componevano: Cosa hai deciso?

Era lui, quell’uomo che lo pagava per gli appuntamenti e che ora voleva qualcosa di più o avrebbe smesso con lui, prendendo un altro ragazzino più facile.

Armin strinse più forte lo smartphone tra le mani.

No, non aveva deciso.

Stava solo rimandando la sua scelta, perché la testa non riusciva a tabulare nemmeno due semplici colonne “Pro/Contro” da confrontare per aiutarlo a scegliere ciò che era meglio, perché in realtà le avrebbe dovute chiamare “Jean come amico/Addio per sempre Jean”. Sapeva che non avrebbe mai potuto avere possibilità che andassero oltre l'amicizia con Jean, ma non era sicuro di voler farsi odiare da lui, soprattutto ora che aveva visto dell’altro in lui e gli piaceva. Mentire a Jean, dicendogli che aveva smesso anche se non era vero, sarebbe stato la cosa più facile da fare, ma come avrebbe potuto mentire proprio a lui?!

Stanco, chiuse gli occhi dopo aver messo via il telefono.

La notte avrebbe portato consiglio.


***


La cosa più sconcertante che capitò il giorno dopo a scuola fu Jean che, vicino agli armadietti con le wabaki si avvicinò ad Armin e gli rivolse un sorriso caldo e solare, e solo dopo salutò anche Mikasa, per poi procedere verso l’aula.

«Che gli è successo?», chiese Eren, esterrefatto, esattamente come la sorellastra, anche se questa lo dava meno a vedere. «Da quando ti saluta, eh, Armin?! Prima di Mikasa tra l’altro...», chiese, non sentendo, però, risposta. Volse gli occhi verdi dove poco prima c’era Armin, proprio accanto a sé… non trovandolo più. Mikasa gli indicò un punto alla propria destra. «È corso via verso i bagni».

Eren assottigliò lo sguardo a quella palese ritirata strategica. «Andiamo a parlargli», disse lui, incamminandosi assieme alla ragazza.

Stava succedendo qualcosa, e lui aveva un pessimo presentimento… 

… e ben sapeva da tempo, ormai, che l’amico era gay...

… e anche che reputava Jean un bel ragazzo...

… e poi erano andati a parlare da soli nell’aula di musica due settimane fa – anche se Armin giurava e spergiurava che non era niente...

…  e li aveva visti incrociare lo sguardo a lezione...

… e Armin non gli aveva detto nulla?!

«Sapevo che c’era sotto qualcosa tra loro due! Se becco Jean gli do un pugno!», ringhiò, procedendo a passo più svelto verso i bagni, ben deciso a trovare l’amico.

Si era messo con Jean e non gli aveva detto nulla?! Beh, aveva fatto bene a tacere, se voleva tutti i connotati di faccia da cavallo a posto – visto che gli piacevano tanto –, ma era arrivato il momento che si prendesse le proprie responsabilità.

«Eren, forse non sono affari nostri...», provò a farlo ragionare Mikasa, che lo seguiva a passo svelto, appena dietro di lui. «Ce lo dirà Armin...».

«È da un po’ che Armin è strano, da quando suo nonno è finito all’ospedale...», le ricordò Eren. Nessuno di loro due sapeva dell’Enjo Kosai, ma erano amici di Armin da anni e avevano visto entrambi che c’era qualcosa di strano in lui, che sembrava stesse nascondendo loro qualcosa: non passava più molto tempo con loro al di fuori della scuola e sembrava sempre stanco e preoccupato. Avevano pensato fosse per il nonno, ma, a quanto pareva, ora Eren era di un’altro avviso. «Frequenta faccia da cavallo e non ci ha detto nulla: ora mi deve delle spiegazioni».

«Probabilmente non vuole che tu lo sappia perché ti saresti arrabbiato, come in effetti stai facendo», commentò l’orientale, sbattendo in faccia la cruda verità all’altro. «Dovresti lasciarli in pace».

«Basta, Mikasa, non sei mia madre!», sbuffò Eren, volgendo gli occhi al cielo mentre digrignava i denti.

Armin gli doveva delle spiegazioni, e lo avrebbe trovato e fatto parlare, anche se fosse scappato in Corea!


***


Il tetto della scuola non era mai stato accogliente di primo mattino, quando ancora il sole non lo aveva riscaldato e il vento soffiava, scarmigliando i capelli agli studenti che, coraggiosi, si recavano lì prima delle lezioni. Fortuna volle, per Armin e Jean, che quel giorno loro due fossero gli unici spavaldi a voler rischiare di ammalarsi. Stretti nei loro giubbotti, una volta fuori, chiusero la porta d’accesso e Armin andò a sedersi sul basso parapetto messo in sicurezza dalle reti per evitare che qualche studente si buttasse, in maniera più o meno volontaria, da là sopra.

«Sarò veloce», disse il ragazzo più basso, mentre l’altro si sedeva accanto a lui; era la terza volta che lo diceva in pochi minuti: la prima la aveva detta appena aveva raggiunto Jean, facendo il giro, che stava parlando con il suo amico Marco fuori dall’aula di quest’ultimo, la seconda per convincerlo che era la verità e che, no, non poteva attendere fino all’ora di pranzo o sarebbe esploso.

«Di cosa mi volevi parlare?», chiese Jean, sfregandosi le mani per scaldarsele. Era preoccupato. Armin non aveva una bella cera, anzi, aveva enormi e scavate occhiaie violacee, che come unico pregio avevano quello di far risaltare le sue iridi celesti.

«Non voglio parlare, Jean. Voglio fare una cosa, ma da  solo non ci riesco», spiegò, frugandosi in tasca, tirandone fuori una pinzetta, un accendino e una scheda nano SIM marchiata “Y! mobile”. Le mani inguantate di Armin tremavano un po’, mentre attivava l’accendino in modo che il butano al suo interno bruciasse; con la mancina utilizzò la pinzetta del suo kit di modellismo per afferrare la SIM card da un angolo, portandola appena sopra la fiammella, la quale iniziò a lambirla, annerendola.

«Armin...», esalò Jean, guardandolo senza capire, ma con una strana sensazione di calore allo stomaco. Qualunque cosa stesse facendo con quel gesto, era una cosa importante che stava condividendo con lui. Solo con lui.

Da quando era tornato a casa, la sera prima, non aveva fatto altro che pensare a quanto erano dannatamente tristi gli occhi del suo nuovo amico, a quanto era capace di soffrire tenendosi tutto dentro, e si era deciso che lo avrebbe aiutato in ogni modo, qualunque cosa lui avesse scelto. Perché Armin gli piaceva. Come persona e come ragazzo. Era rimasto rapito da quel suo spirito di sacrificio, da quel suo essere pronto a tutto pur di raggiungere uno scopo e spremere al massimo le proprie capacità. Avrebbe voluto davvero nella propria vita una persona speciale come Armin, capace di dare tutto per lui, in un amore incondizionato. Non lo aveva mai detto a nessuno, nemmeno al suo migliore amico Marco, ma da qualche tempo aveva cominciato a provare attrazione anche verso i ragazzi, e ora aveva Armin nel cuore.

«Chi ha detto che la notte porta consiglio, non deve averne mai passato una in bianco a fissare le lucine degli elettrodomestici», mormorò Armin, come se quella fosse la spiegazione di tutto. Gli occhi chiari del ragazzo non si distoglievano un attimo da quella tessera di plastica e chip che si scioglieva. «Ho scelto te», aggiunse in un sussurro, lasciando intonsa l’espressione assorta del viso.

Quelle parole fecero divampare un vero e proprio fuoco all’interno di Jean, il quale trattenne il fiato, incredulo, sentendosi speciale agli occhi di quel ragazzo che prima non avrebbe degnato di uno sguardo e che ora era diventato importantissimo per lui.

Il silenzio di Jean, che lo fissava stupito, spinse l’altro a continuare: «Non vedrò più quell’uomo, mai più. Né lui, né nessun altro. Ho chiuso con l’Enjo Kosai», spiegò con frasi concise, non c’era bisogno di adornare il tutto con inutili fronzoli.

«Ma… quella scheda…», mormorò Jean, non capendo quel gesto estremo; bastava che cancellasse il suo numero, no?

«Il mio smartphone è un dual SIM, questa è quella che usavo solo con quell’uomo e non voglio che lui mi ricontatti». Non aveva risposto al messaggio della sera prima, e non lo avrebbe mai fatto. «Avevo già preso tutte le accortezze possibili, anche se sono riuscito a farmi beccare comunque da te», spiegò Armin, sentendo il calore condotto dalla pinzetta intiepidirgli i polpastrelli.  «Non ci vedevamo mai vicino alla scuola o a casa mia, in modo da evitare quanto più possibile di incontrare persone che conosco. Stavamo soprattutto nei locali o in luoghi pubblici, evitando stradine isolate o privée. Le poche volte che mi ha chiesto di incontrarci perché voleva vedermi con degli abiti particolari indosso siamo andati nei Love Hotel, piuttosto che a casa sua: non volevo mica che mi rapisse o simili», spiegò Armin, facendo capire a Jean che aveva ottime capacità anche come stratega. «Non sa il mio vero nome, né dove abito, e ora non ha nemmeno più il mio numero. È finita».

Il fuoco aveva ormai consumato la SIM, rendendola inservibile, ma appena la piccola fiamma che la avvolgeva si estinse, Armin prese un paio di forbici dalla cartella che si era portato appresso e la tagliò in mezzo a quel che rimaneva del chip, con un po’ di fatica, rendendo totalmente inutilizzabile quella scheda. Avrebbe anche potuto farlo da prima, ma voleva veramente bruciarla, come l’araba fenice, in modo che un nuovo futuro risorgesse da quelle ceneri. I due pezzi di scheda giacevano in terra e quella visione dipinse un timido sorriso sul volto di Armin; sapeva che non ce l’avrebbe mai fatta a fare tutto quello se non fosse stato per Jean, per la sua vicinanza, la sua amicizia e anche per le sue parole dure.

Sussultò appena quando si sentì avvolgere da un abbraccio caldo e forte. «Grazie, Armin. Hai fatto la cosa giusta», disse Jean, tirandolo a sé per far appoggiare la sua testa alla propria spalla.

Armin si sentì bene e stranamente calmo a quella vicinanza, che non fece altro che far allargare ancora di più il suo sorriso. Aveva preso una decisione non seguendo di certo la testa come faceva di solito, ma, per la prima volta in tutta la sua vita, mente e cuore non erano allineati e, alla fine, aveva deciso che avrebbe vinto quest’ultimo. Alla fine continuava a non importargli di se stesso, ma avere anche solo lo spettro di una possibilità nel cuore di Jean valeva la pena di rinunciare a quei soldi facili, ora che il nonno non era in pericolo.

«Come farai con i soldi per le medicine di tuo nonno?», chiese Jean, che si era preoccupato per le conseguenze che avrebbe portato la fine di un introito abbondante come quello.

«Lavorerò di nascosto, che ti devo dire… Sperando che nonno non stia di nuovo male», mormorò, godendosi quell’intimo tepore che gli dava Jean. Sì, anche solo per quell’abbraccio ne era valsa la pena. Chiuse gli occhi, sospirando piano. Era molto diverso dagli abbracci che gli dava il suo amico Eren, questo era speciale, l’abbraccio del ragazzo che gli piaceva e del quale aveva scoperto essersi innamorato.

«Io vorrei...», iniziò Jean, bloccandosi un attimo nella scelta delle parole, «… proporti una cosa».

«Uhn?», fece appena Armin, sollevando lo sguardo come se potesse vedergli il viso, nascosto però dalla posizione nella quale era accovacciato contro il suo petto.

«Avrei bisogno di aiuto in chimica...».

«Pure tu?», sfuggì dalle labbra di Armin.

«Perché, chi altri?», domandò Jean.

«Eren e Mikasa. Mi hanno chiesto aiuto per il compito, sono veramente messi male. So che Eren darà di matto, ma magari vedo di convincerlo di unirti a no-».

«No!», lo bloccò subito Jean. «Non ho nulla a spartire con quello lì e non sono al suo infimo livello in chimica: non ho bisogno di partire dalla tavola periodica per sperare in un giudizio almeno sufficiente. Voglio un bel voto».

Armin ridacchiò appena. Si sentiva molto più sereno. «Come vuoi. Mikasa oggi andrà a karate, possiamo vederci prima». Non era affatto riposato, però non era la prima volta che faceva tardi giocando con il suo laptop o leggendo, quindi sapeva che ce l’avrebbe fatta. Inoltre doveva studiare pure lui chimica, visto che la mattina non era riuscito a mettersi sui libri dopo la notte insonne.

«Bene, allora vediamoci subito dopo la scuola. Magari puoi venire da me», lo invitò Jean, chinando appena il viso a respirare il buon odore dei capelli del ragazzo, mentre questi annuiva. «Dunque, quanto mi costano all’ora le tue ripetizioni?».

La domanda lasciò totalmente spiazzato Armin, il quale si staccò da Jean, volendo essere sicuro quella volta di poterlo vedere bene il volto. «Ma che dici, Jean!», esclamò sorpreso.

L’altro ragazzo aveva un’espressione seria e determinata. «Hai capito bene. Tu hai accettato di darmi delle ripetizioni ed è giusto che io ti paghi».

«Ma non si chiedono soldi agli amici per queste cose!», incalzò Armin.

«Te li darei lo stesso. Ti facevi pagare da quell’uomo per passare del tempo con lui, e dunque pagherò anche io per avere dei pomeriggi con te. Per delle ripetizioni», appuntò alla fine, un po’ a disagio, visto che dalla frase prima quasi si poteva intuire che Jean volesse essere il suo prossimo cliente per Enjo Kosai.

Armin rise appena a quella puntualizzazione, notando il leggero rosa di cui si erano colorate le gote del ragazzo. «Davvero, Jean, non...».

«Ho detto che te li darò, quindi non discutere!», sbottò il ragazzo più alto, guardandolo con sguardo truce.

Armin sorrise – temprato dagli scatti d’ira di Eren, sapendo bene che, nel caso di Jean, il detto “can che abbaia non morde” era molto appropriato – e fece per ringraziarlo, ma di colpo la porta del tetto si aprì con un calcio e, come se non fosse stato nominato solo con il pensiero ma attraverso un circolo magico, Eren Jaeger fece la sua comparsa.

«Ehi!», urlò, rivolgendosi ai due. Armin si alzò, volendosi mettere in mezzo tra lui e Jean, pensando ce l’avesse con quest’ultimo per chissà quale stupido motivo, e invece sobbalzò quando Eren urlò forte il suo nome. «Armin! Da quanto tempo va avanti questa storia, eh?!». La voce di Eren somigliava quanto mai ad un ringhio, resa ancora più roca dal fiatone. Doveva aver fatto le rampe di scale di corsa…

«C-Cosa?!», balbettò appena Armin, sgranando gli occhi. «Eren, cosa...».

«Da quando sei fidanzato con faccia da cavallo?!», gli chiese l’altro a muso duro, prendendolo per il bavero della giacca kaki. «Perché non mi hai detto nulla?!».

«Eren! Non è vero!», disse, Armin, perdendo colore, mentre lo guardava implorante, sperando che l’amico capisse che non era il momento.

Purtroppo, Eren aveva già iniziato a vedere rosso da quando, con Mikasa, erano andati a cercare Marco e lui aveva riferito loro, in maniera innocente, che Armin e Jean erano andati sul tetto per parlare di una cosa urgente.

«Non tentare di mentirmi, Armin! Da quando vi frequentate o hai qualcosa da spartire con lui?! È da un mese che sei strano e ora vi trovo qui, sul tetto, da soli?! Mi avevi detto che ti piaceva, ma davvero non pensav-». Eren non poté finire di parlare, perché Armin gli tappò la bocca con una mano.

«Vuoi stare zitto?!», sbottò forte, diventando rubicondo. Quante possibilità c’erano che Jean non lo avesse sentito?

«Armin, che sta succedendo? Che intende Eren?», domandò Jean, confuso. Niente da fare, lo aveva sentito forte e chiaro.

Eren afferrò Armin per il polso, e si liberò facilmente la bocca. «Succede che sei uno stronzo! Ti stai approfittando di lui solo perché ha una cotta per te da sempre!», urlò al ragazzo più alto, avvicinandosi a lui. «Non ti permetterò di bulleggiarlo!».

«Ma tu che cazzo c’entri, Jaeger?! Chi sei, il suo fidanzato?!».

«Sono un suo amico! E come l’ho difeso da te a inizio anno, lo farò ancora!».

Prima che la lite degenerasse, dalle scale si udirono dei passi affrettati e sia Mikasa che Marco fecero capolino sul tetto.

Vedendo i due arcinemici così vicini ai pugni, corsero in soccorso delle loro rispettive facce, afferrandoli da dietro e allontanandoli l’uno dall’altro il tanto che bastava perché non si potessero nemmeno prendere a calci.

«Mikasa! Lasciami!», sbraitò Eren, mentre anche Jean diceva all’amico di mollarlo.

«Eren, che stavate facendo voi due come al solito?!», sbuffò lei, vedendo che Armin si faceva ancora più piccolo nella sua esile figura.

«È colpa di faccia da cavallo che si è fidanzato con Armin! Lo farà solo soffrire!».

Mikasa rimase con la sua solita espressione austera in volto, senza scomporsi. «Armin, è la verità?», domandò lei. Non che le importasse di una possibile relazione tra loro due, a dire il vero, ma Armin era un suo caro amico e voleva sapere come si era evoluta la sua cotta.

«Ecco...». L’incespicare iniziale di Armin fu per lui fatale, perché fu anticipato nella risposta da Jean, anche se con un’affermazione completamente agli antipodi rispetto a quella che stava per dare: «Sì, è vero», rispose Jean, mentre sgusciava dalla presa di Marco.

Armin allargò i suoi chiari occhi sul nuovo amico, rimanendo basito. Cosa?!

Mikasa non cambiò espressione, mentre Eren sembrava tirare la sorellastra come fosse un cane pronto a mordere le chiappe al postino, ma lei rimaneva imbullonata alle piastrelle del pavimento, gonfiando addominali e bicipiti per fare più presa. «Avevo ragione! Armin! Perché non me lo hai detto?!», chiese ancora lui.

Jean si avvicinò ad Armin e gli posò una mano sulla spalla, con fare gentile, facendo sollevare lo sguardo a quest’ultimo. Era un po’ spaventato e aveva gli occhi lucidi e colpevoli che sembrava dirgli scusami. «Perché ci siamo fidanzati adesso», disse Jean calando il capo per posare un leggero bacio sulle labbra di Armin. Non durò che un secondo, sembrava quasi il suggellarsi di un silente accordo.

Armin era stato molto chiaro prima. Ho scelto te. Ora quella frase, unita al fatto che Jean gli piaceva, aveva un’altra connotazione, ancora più profonda di prima. Dunque era per lui, per quell’ipotetico fidanzato che avrebbe sofferto se avesse mai saputo dell’Enjo Kosai, che aveva deciso di smettere.

Il ragazzo più basso fissò ancora l’altro, emozionato, cercando di ricacciare dentro le lacrime che gli si stavano formando agli angoli degli occhi, mentre la labbra si arricciavano in un sorriso, timido e un po’ impacciato. «Jean...», mormorò, sentendosi la felicità scaldargli il petto. Non poteva credere che fosse appena successo, gli sembrava un dolce sogno dopo essere uscito da un incubo.

Jean si girò verso Eren, ormai fermo, che li guardava a bocca aperta, non sapendo cosa dire. In parte si sentiva tradito.

«Dunque è così?», chiese Eren a voce bassa, con i muscoli ancora in tensione; Mikasa non lo aveva ancora lasciato andare.

«Mi prenderò cura di Armin», furono le uniche parole di Jean in merito all’argomento.

Eren aggrottò le sopracciglia e spostò lo sguardo ad Armin: sembrava davvero felice, non pareva essere solo la conquista di una cotta; forse in quelle due settimane il loro rapporto si era sviluppato in qualche modo… Fu quello sguardo a convincerlo. «Tsk. E va bene! Ma se scopro che è tutta una scusa per i compiti, sappi che lo rimpiangerai», disse, marciando poi verso la porta. «Andiamo, Armin. Dobbiamo parlare», disse tombale, facendo sussultare l’amico.

«Sì!», rispose lui, girando appena lo sguardo grato verso Jean, prima di seguire l’altro; avrebbero parlato più tardi, ma Armin già sapeva dal dolce sorriso che dipingeva le labbra del neo-fidanzato che quella non era stata una messinscena. Mikasa si affiancò ad Armin, scendendo le scale assieme a lui; anche lei aveva un sorriso sul volto e non vedeva l’ora che Armin raccontasse la loro storia.

Fortunatamente aveva quattro rampe di scale e la campanella prossima a suonare dalla sua parte, in modo da poter inventare una balla credibile.

«Non pensavo ti piacesse Armin». La voce di Marco portò Jean nuovamente alla realtà, mentre era perso nei propri pensieri.

«Infatti, ma ho imparato a conoscerlo», rispose lui.

«E come è successo?», chiese Marco, il quale si trovò un braccio dell’amico a cingergli le spalle con fare giocoso.

«Ti racconterà Armin a pranzo!», esclamò, andando con lui verso la porta, ben deciso a fare in modo che non ci fossero versioni che non coincidevano tra i loro due racconti, non volendo assolutamente dire a nessuno di ciò che li aveva avvicinati, e che adesso giaceva fuso e tagliato in due pezzi ancora sulle piastrelle del tetto, pronto a essere portato via dall’alzarsi del vento e dimenticato.



... Fine
XShade-Shinra



Note
- Eccomi giunta alla fine di questa storia alla quale tengo davvero moltissimo! :3 Se vi fa piacere lasciatemi un commento, mi rende sempre felice parlare con altri che apprezzano la Jean/Armin!
- Ora che nel frattempo è uscita S3 dell'anime penso sia palese chi sia l'uomo con il quale usciva Armin: è proprio il tipo che nell'anime lo tocca credendolo una femmina. ò_ò
- Alla fine, sappiate che sono stati Eren e Mikasa a pretenere una parte in questa storia! Nel plot originale il finale doveva essere un po' diverso, ma quel testone di Eren si è voluto mettere in mezzo e... ecco il risultato! XD Non è il miglior cupido del mondo, ma ha giocato sicuramente un ruolo importante per il bene della Jearmin!!!

Grazie a tutti quelli che hanno letto, commentato o messo tra i preferiti/ricordati/seguiti questa mia storia!

  
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