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Autore: nozomi08    24/09/2018    1 recensioni
Anno x791, regno di Fiore, città di Magnolia. Terminato il recente Dai Matou Enbu, e conclusa felicemente la vicenda di Eclypse, lo scalmanato gruppo di Fairy Tail rincasa nella nuova gilda, ritornando ai felici ritmi di sette anni fa. Tutto sembrava tornato alla normalità, se non fosse stato per l’arrivo di una figura misteriosa, proveniente da un mondo distorto chiamato Astral. Il suo passato misterioso, è pieno di sfaccettature.
Cosa c’entrerà mai con la gilda oscura di Gacrux, colei che detiene il primato degli affari sull’importo d’armi, principale alleata dell’alleanza Balam, che recentemente aveva aumentato i suoi traffici? Quale è il vero rapporto tra questo sconosciuto ed Loki, il master di Gacrux? Qual è il suo scopo, il motivo per cui è qui? E soprattutto, quale sarà il ruolo dei maghi degli Spiriti Stellari e delle 12 Chiavi d'Oro nel loro losco piano?
Starà al giovane e turbolento gruppo di Fairy Tail scoprirlo.
ATTENZIONE! CAPITOLI REVISIONATI!
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucy Heartphilia, Natsu, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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FIAMME

"Proteggi Alhena, proteggi il regno, proteggi la tua famiglia..."

Atlas non stava facendo altro che ripetersi questo, per scacciare il flusso aggrovigliato di pensieri che lo confondeva e recuperare un po' le forze. Era così assorto nel recitare quella specie di mantra, da non accorgersi che il gruppo davanti a lui si era fermato alle porte della gilda, finendo addosso a Erza e Lucy.
-Ah!- esclamarono i tre in coro.
-Ah, colpa mia - bofonchiò Atlas -Tutto bene?-
Erza, senza nemmeno volgersi a guardarlo, annuì, mantenendo lo sguardo in un punto preciso davanti a sé. Strano che non si sia infuriata con lui. Fin dall'inizio quella ragazza dai magnetici capelli rubino gli aveva dato l'impressione che fosse un tipo tutto disciplina ferrea e niente errori. Tanto che gli suscitava un po' di timore. E quella sensazione non era di suo gusto. Troppi brutti ricordi di quando era stato cadetto.
-Si, si. Tranquillo! - confermò poi sorridendo Lucy, sfuggendo subito allo sguardo del giovane per guardare preoccupata dalla stessa parte in cui stava guardando Erza. Atlas, perplesso per l'atteggiamento sfuggente delle due maghe, svagò lo sguardo tra le due, per poi avvicinarsi di più per scrutare meglio l'oggetto del loro interesse. All'istante capì per quale motivo le due maghe avevano delle espressioni vagamente preoccupate: in lontananza, all'interno della città, si stava elevando serpeggiante nel cielo una colonna di fumo denso che non prometteva nulla di buono. Forse era accidentalmente scoppiato un incendio in qualche negozio, magari un macchinario rotto, chissà. Mentre Erza, sospettosa, valutava con Lucy l'idea di andare a dare un'occhiata sul posto, Atlas chiuse gli occhi cercando di affinare i sensi e gli sembrò di percepire dei suoni strani provenienti da quella direzione: grida, legno frantumato, colpi di pistola. Sbarrò gli occhi.
"Una rapina!" pensò allarmato.
Senza pensarci due volte, il ragazzo superò le due maghe di mala grazia e si avviò svelto verso quella torre di fumo che macchiava il cielo terso. Erza e Lucy lo guardarono interdette, per poi scambiarsi un cenno e seguirlo a loro volta, facendo segno a Natsu, Happy e Gray di andare con loro a verificare cosa stesse succedendo.
Una volta arrivato sul posto, Atlas ebbe modo di confermare quel che aveva temuto: un fumo malsano si elevava nell'aria, alzandosi dalle fiamme che stavano divorando l'interno di quella che era stata una pasticceria come serpenti di fuoco avvinghiati alle sue membra di legno, mentre gli abitanti dell'area strillavano dal terrore, al sicuro dentro le case o rifugi improvvisati. Con la coda dell'occhio Atlas vide un gruppo di persone con delle armi dal profilo strano e dei pezzi blu fluorescenti filarsela a tutta velocità con dei sacchi colmi per un vicolo opposto a quello da cui veniva, immerso nell'ombra. Certo che fossero quelli i malfattori, si accinse a inseguirli senza indugio, quando dietro di lui una donna, col fiatone della corsa appena fatta a scuoterle i polmoni, le mani nei capelli e il viso deformato dalla disperazione, strillò cadendo in ginocchio:
-Aiuto! C'è mio figlio là dentro! Ci sono gli altri bambini! Qualcuno li aiuti! -
Nel mentre che proferiva questo appello disperato, un uomo le si avvicinò per darle conforto, chiedendole preoccupato se fosse sicura che suo figlio non fosse già uscito di lì, o fosse andato da qualche altra parte. Il locale, per fortuna, era stato evacuato in tempo e i feriti della sparatoria tratti in salvo. Ma la donna, che appena arrivata aveva scrutato accorata i volti dei superstiti, era certa che l'adorato figlio e i suoi amici fossero rimasti lì, intrappolati all'interno di quel demone rosso e oro. Volgendosi più volte a guardare la donna e poi il vicolo dove oramai i malfattori erano scomparsi, Atlas restò un attimo combattuto, quando poi, stizzito, incominciò a gridare ai presenti di dargli immediatamente un secchio d'acqua. Dopo un secondo di stupore e perplessità generale fu presto accontentato, e dopo aver impregnato bene il mantello del liquido incolore, si schermò alla svelta naso e bocca con un pezzo di stoffa imbevuta e si gettò tra le fiamme. Abituato com'era al buio della notte, alle luci e alle temperature fredde, entrare in quell'inferno fu per lui un duro colpo. La sala, che dipinta di quei colori densi e accesi, seppur così spaventosi, pareva quasi risplendere, e l'intenso calore soffocante stordirono i sensi di Atlas, che per un istante non seppe come muoversi. Strizzò gli occhi più volte per riprendersi almeno in parte dal fastidio e si mosse il più velocemente e delicatamente possibile all'interno del locale, cercando in ogni angolo raggiungibile un minimo segno di vita. Dati i sensi offuscati, e l’aria densa di fumo che gli entrava nei polmoni, per accelerare la sua ricerca Atlas scostò per un attimo la maschera improvvisata e strillò: - Ragazzi, dove siete? Fate rumore, vi porterò fuori di qui! -
Qualche secondo dopo il suo appello, il giovane sentì qualcosa battere ripetutamente sul legno, come dei forti calci, ma per via delle fiamme che continuavano ad imperversare e a divorare ogni cosa, dovette rimanere qualche secondo immobile per capire da dove provenisse il suono. Attese finché finalmente non riuscì a capire la sua origine: proveniva da un tavolo da bigliardo, precipitato a terra dal piano di sopra, accasciato in posizione obliqua in fondo all'angolo del locale. Il tavolo e le pareti avevano casualmente creato un piccolo rifugio sotto al quale si erano nascosti tre ragazzini terrorizzati e con le mani sulla bocca per coprirsi almeno in parte dal fumo delle fiamme. Atlas cercò di accorrere subito, ma procedeva a rilento per colpa dei detriti caduti a terra e delle fiamme. Quando finalmente li raggiunse, senza proferire parola si accertò velocemente che nessuno dei tre avesse nulla di rotto e avvolse il mantello umido intorno a uno di loro. Lo prese in braccio e si preparò a scattare verso l'uscita, ma scorse lo sguardo sgomento degli altri due bambini rannicchiati a terra.
-Tranquilli, verrò a prendere anche voi, uno alla volta. - disse attraverso la maschera, e senza ulteriori indugi corse via verso l'uscita, dove coloro che erano rimasti fuori lo stavano aspettando impazienti e preoccupati. Appena fuori il locale mise delicatamente a terra il bambino, che gettandosi via il mantello corse veloce dalla donna che prima aveva chiamato aiuto. Atlas raccolse il suo indumento, lo ribagnò e si buttò di nuovo tra le fiamme. Ma il ragazzo non notò che poco prima di rientrare in quell'inferno sul posto erano accorse anche Erza e Lucy, con al seguito Natsu, Happy e Gray, e che appena visto il disastro che si era svelato ai loro occhi, Natsu non aveva esitato a buttarsi anch'esso tra le fiamme. Di fatto, raggiunti i bambini, Atlas se lo ritrovò in un attimo alle spalle, e poco ci mancò che lo attaccasse di riflesso per la sorpresa. Capendo immediatamente che anche lui era lì per dare una mano, sotto lo sguardo interdetto di Natsu Atlas chiamò a sé un pugnale e tagliò un pezzo di stoffa del mantello, strappandolo poi in due in un singolo strattone. Una parte di esso la porse la Natsu e gli fece cenno di avvolgerla intorno ad uno dei bambini, mentre lui si occupava dell'altro. Una volta coperti entrambi, i due maghi velocemente si avviarono verso l'uscita, cercando di fare più attenzione possibile e schivando appena in tempo le assi di legno che cadevano come alberi abbattuti dal piano di sopra della pasticceria. Nel frattempo, Lucy, in prima linea di fronte all’edificio, si era procurata un bicchiere d’acqua e non appena vide i due giovani uscire dalla porta con i due ragazzini in braccio, usò proprio quell’acqua per evocare l’unico spirito stellare ideale per estinguere in un lampo fiamme di quella portata. Così Atlas fu investito da una luce dorata accecante e nel giro di un istante di fronte ai suoi occhi apparve una bellissima, giovane donna dai lunghi capelli blu, con una flessuosa coda di pesce, che fluttuava nell’aria come se si trovasse tra le onde. Le squame, del colore del mare baciato dal sole, brillavano alla luce delle fiamme, quasi si appropriassero del loro bagliore, e nei suoi occhi vibrava tutta la solennità dell’oceano. Atlas si sentì investito da un timore mai provato prima, che lo scosse in tutto il corpo e che gli pietrificò gli arti. Quasi si dimenticò come respirare, perché dinnanzi a lui per la prima volta nella sua vita si trovava Acquarius, il leggendario Spirito Stellare della costellazione dell’Acquario. Imbambolato di fronte a quella apparizione per lui divina, riuscì a stento a sentire la voce di Lucy che dialogava con il suo Spirito, e rimase con il fiato sospeso dalla meraviglia nel vedere Acquarius sollevare la sua anfora d’argento e con un feroce grido scatenare tutta la potenza del mare e delle sue onde. L’eco di un fragore, e in un attimo le fiamme erano scomparse, uccise dal loro nemico naturale, e avevano lasciato solo lo scheletro devastato di quella che una volta era stata la pasticceria. Un silenzio quasi contemplativo avvolse le case e la piccola folla, stendendosi dolcemente come un velo di pizzo, finché esso non venne improvvisamente gettato via dalle grida di Acquarius che si levarono come una marea.
-Lucy! – gridò voltandosi verso la maga – piccola maledetta, come hai osato evocarmi in un sudicio bicchiere d’acqua?! Chi pensi che io sia?! –
Lucy, dal canto suo, sebbene fosse abituata alle scenate del suo volubile amico Spirito, non poté fare altro che balbettare una specie di scusa, accompagnata da qualche risolino isterico.
-S-scusami Acquarius, ma era una situazione di emergenza, e non mi era venuto in mente niente di meglio… -
Acquarius, per contro, si avvicinò minacciosamente a lei, le braccia conserte e con indosso un’espressione inquietante. L’aria attorno a lei vibrava dell’ozono e tutt’intorno regnava un silenzio surreale, sostenuto da bocche spalancate e sguardi interdetti. Erza, Natsu, Happy e Gray, che avevano assistito ad episodi del genere innumerevoli volte, conoscendo bene la suscettibilità di Acquarius non poterono fare altro che assistere a quella sfuriata che aveva come vittima designata la loro povera compagna.
-Ascoltami bene donnetta senza uno straccio di fidanzato, la prossima volta o ti farai venire un’idea migliore o ti scaravento in mezzo al mare, a decine di kilometri da qui, e ti affogo con le mie stesse mani, intesi? –
-I-intesi sì… -
E, sbuffando, così come era apparsa, Acquarius scomparve nell’aria, lasciandosi dietro una Lucy pallida e tremante. A quanto pare, l’aveva scampata… per il momento. Imbarazzata per la scenata appena conclusa, Lucy si preparò ad affrontare i presenti, che come aveva previsto, proruppero in una grande, sonora risata. Si voltò, aspettandosi volti dipinti di derisione nei suoi confronti, ma non fu così, con suo grande sollievo. Ciò che li aveva smossi era stata, semplicemente, l’ilarità della scena. Gli abitanti di Magnolia con gli anni si erano abituati alle stranezze dei maghi di Fairy Tail, e quella non fu un’eccezione. E quelle sane, corpose risate aiutarono a smorzare la tensione e la preoccupazione che non avevano smesso di scuoterli per interminabili minuti in quegli attimi di paura appena vissuti.
Atlas stava assistendo alla scena intontito, come se stesse guardando dalla vetrina di una realtà parallela alla quale egli non apparteneva. Vedeva sorrisi, tanti sorrisi, e pacche sulle spalle, e abbracci, e lacrime, e parole gridate, parole sussurrate, sguardi grati e sollevati. E vedeva Lucy, che più di tutti primeggiava tra la folla, come un giglio che troneggiava fiero sul suo piccolo fusto in mezzo ad un campo di gelsomini bianchi. O forse era la sua immaginazione, il suo fresco senso di reverenza, a farla tale. La vedeva fare la finta offesa e guardare con affetto e orgoglio i suoi compagni, che la stavano bonariamente prendendo in giro e che si stavano congratulando con lei per ciò che aveva fatto. E neanche sapeva descrivere il lungo, intenso sguardo che si scambiò con il focoso ragazzo con i capelli rosa, Natsu. E quasi si sorprese nel sentirsi bruciare nel petto una piccola fiamma di invidia, nel vedere una tale intimità che nessun altro, lì in mezzo, poteva comprendere.
Ma lui sì.
Perché rivide in loro gli stessi sguardi che si era scambiato con Alhena, innumerevoli volte. E nel pensare alla sua preziosa principessa, sentì il cuore stretto tra le spire della malinconia e della mancanza.
Ma Atlas voleva anche sapere cosa i due si stavano dicendo, voleva seguire il flusso dei loro pensieri e osservarli come una creatura dei fondali oceanici. E questo, più di tutto, fu ciò che lo sorprese.
Ma perché? Si chiedeva, e l’unica risposta che sorse in superficie dalle acque del suo inconscio fu una sola: gelosia. Ma gelosia di cosa? E anche a quella domanda, presto affiorò la risposta. Perché Lucy aveva Natsu, e Natsu aveva Lucy. Non avevano bisogno di niente, loro: uno era la certezza dell’altra, e viceversa. E la sua certezza, in questo momento, si trovava persa in un punto sconosciuto, sospeso tra spazio e tempo. Così come era perso lui, in quel mondo. Solo adesso si accorse di quanto in realtà il pensiero della vicinanza della principessa l’avesse sostenuto nell’affrontare, anno dopo anno, il suo passato, presente e futuro. E per un istante Atlas desiderò ardentemente che fosse lui, e non Natsu, a ricevere da Lucy un tale sguardo, così da mettere a tacere l’ennesimo dolore, l’ennesima sofferenza. Sentì un pizzicore all’altezza del cuore, là dov’era la pietra. Il demone incatenato nelle profondità abissali della sua coscienza aveva una voce suadente, dolce e viscosa come il miele.
“Potresti sempre portargliela via no? E usarla per confortarti…” gli sussurrò.
E per un momento Atlas, mentre fissava con intensità e dolore e desiderio Lucy, fu quasi per cedere alle sue parole. Ma il ragazzo si rendeva conto che Lucy era Lucy, e non una sostituta di Alhena. Non era un oggetto con cui consolarsi e giocarci a piacimento. E soprattutto, non faceva parte del suo mondo. Lei aveva già il suo. Perciò con difficoltà Atlas cercò di domare i suoi istinti, abbassò la testa, chiuse gli occhi e prese un lungo respiro. E quando dischiuse le palpebre, vide un paio di giovani teste, una verde smeraldo e una blu cobalto, che lo fissavano imbambolati con sorpresa e ammirazione. Erano due dei tre bambini che aveva salvato dall’incendio, insieme a Natsu. Non capendo le loro intenzioni, il giovane li fissò a sua volta, non sapendo cosa fare. Guardandoli attentamente oltre le macchie di nero della fuliggine che sporcava loro i volti fanciulleschi, Atlas ebbe la sensazione di averli già visti da qualche parte prima di allora, e proprio nel momento in cui pensò ciò, il bambino con i capelli smeraldo, senza staccare gli occhi da Atlas, eruppe strillando con: -Thiago corri! Vieni a vedere! –, mentre il bambino dai capelli cobalto sussurrava meravigliato: -E’ proprio lui… -
Confuso, Atlas vide arrivare correndo la testa rosso carminio di quello che doveva essere Thiago, l’altro bambino scampato alle fiamme. Il bambino era pervaso dalla felicità e dal brio, perché aveva appena incontrato di persona il suo idolo, Natsu. E infatti quando arrivò dai suoi amici, chiese loro cosa fosse successo con una voce squillante ed elettrizzata. Il bambino dai capelli smeraldo, quasi saltellando per l’eccitazione, gli chiese di guardare attentamente Atlas, in particolare i capelli e il colore inconfondibile dei suoi occhi.
-Guardalo Thiago! Non ti pare familiare? – continuò con voce squillante. Thiago strinse le palpebre e scrutò intensamente Atlas, che nel frattempo si era fatto guardingo, finché piano piano, a cavallo dei ricordi, la consapevolezza si fece strada sul volto del bambino, e negli occhi scintillò la sorpresa.
-Oh cacchio ma è lui! – strillò, scambiandosi occhiate eccitate con i suoi due amici -Il signore del vicolo! Quello che abbiamo trovato svenuto! – continuò. Atlas si irrigidì per la sorpresa.
Il bambino dai capelli cobalto annuì -Eh già, proprio lui – disse.
-Signore, si ricorda? – esordì esagitato Thiago -Ci siamo incontrati qualche giorno fa, nel vicolo vicino al porto! –
Finalmente, ora anche Atlas ricordava: erano tre di quel gruppo di sei ragazzini che l’avevano trovato svenuto in quel famoso vicolo vicino al porto, quando il portale l’aveva scaraventato in quel mondo. Ricordò che erano stati proprio loro, a svegliarlo. Mai si sarebbe aspettato di rincontrarli in quel modo, e in quella circostanza. Ripercorrendo i ricordi di quel giorno per lui traumatico, il ragazzo cercò di ricordarsi i loro nomi. E mentre si sforzava di ricordare, puntò il dito sul ragazzo dai capelli rossi.
-Tu, sì, sei Thiago… - esordì, per poi puntare il dito sul bambino dai capelli smeraldo alla sua sinistra -tu invece, sei… Kyle. – e il bambino annuì, sorridendo felice. Poi si rivolse al taciturno bambino dai capelli cobalto -E tu… Ethan. Giusto? –
-Sì! – confermò con voce bassa il bambino, l’espressione calma e gli occhi che tradivano la sua contentezza, brillando.
-Incredibile… - mormorò Atlas, che ancora non si capacitava di un simile incontro.
“Deve essere il volere delle stelle, questo” si disse.
I tre bambini si scambiarono uno sguardo d’intesa, e tutto d’un tratto tutti e tre chinarono la testa.
-Grazie infinite per averci salvato, signore! – esclamarono in coro. Atlas rise.
-Nulla, nulla, ma non chiamatemi “signore” ragazzi, mi fa sentire vecchio! – disse divertito. Si chinò in ginocchio, così da raggiungere la stessa altezza dei bambini.
-Chiamatemi Atlas. Questo è il mio nome. – disse loro, con un piccolo sorriso. Gli occhi di Kyle scintillarono d’eccitazione.
-Che forza, anche il tuo nome è strano! – esclamò. Ormai rassegnato al continuo sentirsi additare come “strano” o “strambo” Atlas rise di nuovo e scosse la testa.
-Non pensavamo però facessi parte di Fairy Tail… – aggiunse Ethan.
-E infatti ci sono entrato da poco. – gli rispose Atlas.
-Ma perché ce li hai così? – si intromise trepidante Kyle, indicando i capelli e gli occhi del giovane.
-Vieni da qualche isola sconosciuta? – chiese Thiago con lo stesso entusiasmo.
-E perché quella volta ti trovavi svenuto in quel vicolo? – aggiunse curioso Ethan. Di fronte a tutte quelle domande una dopo l’altra, per un momento Atlas si sentì spaesato. Come poteva raccontare a dei bambini una realtà molto più complicata di quella a cui erano abituati? Nel vedere che i bambini stavano per prorompere in un’altra serie di domande, Atlas alzò di scatto la mano destra.
-Alt! Per prima cosa: uno alla volta. – iniziò, nel frattempo che il suo cervello elaborava delle risposte plausibili per i tre bambini -I capelli e gli occhi. Ce li ho così perché… ci sono nato. Semplicemente. – disse, facendo un sorrisetto furbo a Kyle, che sentendosi raggirato dal giovane gli fece una smorfia -E sì, diciamo che vengo da un posto molto, estremamente lontano da qui. – e prima che uno dei tre facesse qualche altra domanda si affrettò ad aggiungere -Non chiedetemi il nome perché è top secret.  Non mi piace farlo sapere in giro. E per ultimo, mi trovavo in quel vicolo perché… quella sera avevo bevuto troppo, e cercando di ritornare a casa mi sono perso. Soddisfatti? –
Che lo fossero o meno, questo non poté scoprirlo, perché la madre di Thiago li richiamò per tornare a casa. Non volendo disobbedirle e farla arrabbiare dopo quanto era successo, i bambini si rigirarono verso Atlas e salutandolo espressero il desiderio di rivederlo, un giorno.
-Venite alla gilda quando volete, mi troverete lì. – li rassicurò il giovane, salutandoli con un cenno della mano, mentre si allontanavano. Sentendosi d’un tratto osservato, Atlas fece scivolare il suo sguardo sulle persone rimaste, finché non si scontrò con quello di Lucy, che al contatto abbassò gli occhi e volse la testa, imbarazzata di essere stata colta sul fatto. Probabilmente l’aveva solo immaginato, ma gli era sembrato che la maga lo stava guardando con un sorriso molto affettuoso, e non capiva per quale motivo. Forse era ai bambini che stava sorridendo, non a lui. Ma se era per i bambini, allora perché distogliere lo sguardo dal suo così in fretta? Confuso dal comportamento della giovane e dal nuovo senso di stima e reverenza nato in lui nei suoi confronti, Atlas si incamminò per ricongiungersi con i nuovi compagni, che stavano interrogando il proprietario e chi era presente per approfondire le dinamiche dell’incidente così da fare rapporto al Master e al Concilio.
A quanto raccontarono, ciò che accadde quella sera fu proprio una rapina: una banda di cinque assalitori muniti di “armi bizzarre” erano entrati prepotentemente nel locale e avevano minacciato il proprietario con il fine di rubare tutti i soldi dell’incasso. Al fine di non arrecare danni ai clienti che oramai erano diventati degli ostaggi, l’uomo fece come richiesto e consegnò loro tutto quello che aveva in cassa. Solo che i furfanti, non appena ricevuto quanto avevano richiesto, avevano incominciato a sparare “proiettili di luce” contro le pareti e il soffitto del locale, provocando così le fiamme che in un attimo crearono l’incendio. Poi, nella confusione generale, i delinquenti ne approfittarono per darsela a gambe. Per fortuna, nell’incendio non ci furono feriti gravi. E questo fu quanto.
Salutati i presenti, il gruppo si incamminò verso casa, ognuno sfinito e perso nei propri pensieri. Atlas, in particolare, aveva uno sguardo ombroso e preoccupato. Da come gli avevano descritto le armi e da quello che aveva scorto nelle mani dei ladri durante la fuga, si trattava proprio di quelle nuove armi modificate che sfruttavano Lux, il famoso cristallo di Astral, capace di trattenere al suo interno la luce e qualsiasi altro tipo di energia o magia. Il mercato nero diretto da Gacrux si stava espandendo ancora più velocemente di quanto sperava, e la situazione non poteva fare altro che peggiorare, purtroppo. Sperò che il Master tornasse il più presto possibile dalla riunione con i Master delle altre tre gilde, così da valutare finalmente un piano d’azione. Era appena passata quasi una settimana da quando era giunto a Fiore, e detestava l’idea di aspettare e di rimanere con le mani in mano. Se avesse avuto i mezzi adatti, almeno si sarebbe dato da fare nel raccogliere informazioni sui traffici o su una possibile locazione di Gacrux, come si era detto più volte di fare. Ma quando pensava ad un punto di partenza, un indizio per iniziare le indagini, i suoi pensieri divenivano sterili, si bloccavano nel vuoto. Le lacune che presentava nella conoscenza di Fiore e la natura schiva e fuggitiva di Gacrux e dei suoi membri non facevano altro che guidare Altlas verso una scia di vicoli ciechi.
“Credo che mi converrà scendere in biblioteca e studiare tutto quello che posso su questo mondo. Se necessario, farò qualche domanda anche agli altri, non posso permettermi di lasciare indietro alcuna informazione utile.” pensò assorto.
Oltretutto, doveva anche comprarsi un nuovo mantello, dato che quello che aveva era andato ormai distrutto.
Ma Atlas non era l’unico a ponderare sull’implicito messaggio che la rapina aveva loro svelato. Anche gli altri, infatti, erano preoccupati dalla natura delle nuove armi e dell’aumento di incidenti dovuti a malfattori di ogni genere, in particolare temevano possibili disordini di natura consistente da parte delle gilde oscure. Atlas pareva saperne qualcosa più di loro su quanto stava accadendo, ma osservandolo ogni tanto con delle occhiate curiose e preoccupate mentre proseguivano a passo lento verso casa, sembrava troppo stanco e assorto per parlarne in quel momento. Forse il giorno dopo, a mente fresca, avrebbero potuto discuterne meglio e cercare di decidere cosa fare finché il Master non sarebbe tornato dalla sua riunione.
Si potrebbe dire che tutto era andato per il meglio, o almeno per quella sera, ma quella che, più di tutti, risentì dell’incidente appena vissuto fu… Erza. Per la maga, infatti, la distruzione della pasticceria era risultato essere un trauma.
-Che disdetta, la mia pasticceria preferita oramai è distrutta, e chissà quanto ci vorrà prima che riapra l’attività… - sospirò affranta -Mi mancano già le sue magnifiche torte alla fragola! – piagnucolò. Per Erza sarebbe stata dura senza mangiare i suoi amati dolci.
-Su, su Erza, fatti coraggio… - la consolò quasi divertito Gray con delle pacche sulla spalla.
-Su con il morale, scommetto che entro una settimana la pasticceria tornerà al suo vecchio splendore e a sfornare buonissime torte!- la rassicurò sorridendo Lucy.
-Povera Erza, anch’io sarei disperato se non potessi mangiare il pesce. – disse rattristato Happy, volandole vicino per dimostrare la sua solidarietà verso la maga.
Nel mentre che i tre cercavano di consolare Erza, Natsu invece osservava pensieroso il nuovo compagno, non riuscendo a comprendere la vera natura del giovane. I suoi occhi, ora ancora più vividi nell’oscurità della sera, erano posati sui ciottoli della strada che scorrevano come acqua sotto il suo sguardo perso e, incredibile, quasi melanconico. I capelli e il viso sporchi di fuliggine, insieme alle spalle ricurve e al suo passo leggero, gli conferivano un’aria da ragazzo di strada. Tempo fa Lucy si era raccomandata di conoscerlo e di cercare d’andare d’accordo con lui, ma Natsu non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che qualcosa nel suo essere celasse qualcosa di oscuro. Ricordava con rabbia e frustrazione quanto era successo al porto qualche giorno prima, pensava al salvataggio di Romeo e Asuka, e poi a come un momento fa aveva soccorso quei bambini, aiutandoli a uscire incolumi dall’incendio. Il rosato, che era abituato ad avere a che fare con persone che svelavano ogni lato della loro personalità (bella o brutta che sia) alla luce del sole, si sentiva confuso da una personalità così ambigua, riservata e sfaccettata come quella di Atlas. E allo stesso tempo, non riusciva a capire per quale motivo Lucy fosse così determinata a tessere dei rapporti intimi con lui. Perché, si chiedeva, non senza una scintilla di irritazione, voleva diventare sua amica e aiutarlo a tutti i costi? E a sua insaputa, purtroppo nemmeno la stessa Lucy riusciva a spiegarselo. Lucy, la dolce Lucy, che nel mentre che camminava al fianco dei suoi amici, stava osservando turbata Natsu ed Atlas, non potendo fare a meno di pensare agli strani sentimenti che provava per quest’ultimo. Da quell’incidente al porto la maga aveva sentito dentro di sé un forte bisogno di aiutarlo, come se sapesse l’esistenza di qualcosa che non avrebbe mai dovuto esistere nel suo essere, ma che è entrato dentro di lui come un virus dal quale non può liberarsi da solo. Era come un libro con una pagina che non gli apparteneva, e che Lucy non riusciva a trovare per potersene così sbarazzare. Qualcosa in lei le suggeriva con sicurezza che quella pietra nera dall’aura oscura che aveva visto sul suo petto avesse un ruolo fondamentale nella sua storia, ma in che modo avrebbe potuto indagare? Doveva fare qualche ricerca? O aspettare che fosse lo stesso Atlas a confessare tutto? E quel desiderio di stargli accanto… sapeva che non era normale. Recentemente aveva letto in qualche libro di leggende che legami speciali di questo genere potevano accadere tra persone che nel passato avevano condiviso la stessa vita. In altre parole, tra due spiriti reincarnati che una volta erano uniti da un forte legame d’amore, di qualunque tipo esso sia. Sebbene allora avesse pensato fosse una cosa romantica e avesse desiderato che accadesse davvero (specie con Natsu), non vi erano prove certe per accertarlo. Possibile che tra lei ed Atlas ci fosse un legame simile? Eppure, non poteva fare a meno di pensare che quella storiella, che poteva facilmente essere considerata banale e frutto di pura fantasia, era in grado di spiegare ciò che aveva subito iniziato a provare per il giovane generale.
Giunti ad un incrocio, presto per il gruppo fu tempo di separarsi, e di ritornare ognuno alle proprie case. Sentendosi inquieto nel sapere che doveva tornare a casa insieme ad Atlas, Natsu si avvicinò a Lucy, che aveva appena salutato Erza e Gray.
-Vuoi che ti riaccompagni a casa? – le chiese premuroso e allo stesso tempo quasi imbarazzato, ma con un’espressione seria in volto. Lucy ne fu stupita e lusingata: era la prima volta che glielo chiedeva con un tono così affettuoso e con quell’espressione sul volto. Gli sorrise e scosse la testa, voltandosi per un secondo ad osservare Atlas, che la stava aspettando pochi metri più avanti.
-Va tutto bene Natsu, so cavarmela da sola. – gli disse in tono scherzoso. E Natsu questo lo sapeva benissimo.
“Però…” pensò, guardando di nuovo Atlas. Chiuse gli occhi e sospirò.
-E va bene. Buonanotte Lucy. – le disse con un sorriso, incamminandosi verso casa. Lucy gli sorrise di nuovo e agitò la mano, mentre li osservava andarsene.
-Buonanotte anche a te, Natsu. – gli disse, quasi mormorando. Non sapendo, che, nel frattempo…
-Lei ti piaaaaace! – gli cantilenava Happy, svolazzandogli intorno.
-Zitto, Happy! – gli ringhiò lui per contro, mano a mano che si allontanavano.
-Vogliamo incamminarci? –
Lucy sobbalzò e si girò verso quella voce ora così vicina. Atlas la stava guardando con un’espressione stanca, ma paziente. Lucy annuì, e si incamminarono anche loro. Il breve viaggio verso casa proseguì in silenzio, la mente troppo esausta per le rivelazioni di quella giornata. Lucy ne approfittò per godersi la vista di Magnolia nelle vesti della sera, cosa che per suo rammarico non faceva troppo spesso. Le piaceva osservare il fiume che scorreva al fianco della strada, e vedere la luce tremula della luna che rifletteva sul suo manto apparentemente nero. Le piaceva osservare la luce dei lampioni che si riversava sull’acciottolato, donandogli una sfumatura di giallo che non apparteneva alla sua solita tonalità beige, perché una luce così artificiale non faceva che mettere in risalto la bellezza del cielo notturno e delle sue stelle. Le piaceva osservare le finestre delle case, perché la luce delle lampade che celavano al loro interno le davano un senso di tepore e di sicurezza. Le piaceva farsi avvolgere dal suono dei suoi stessi passi e dal tenue fragore delle onde al suo fianco, e percepire i suoi stessi respiri. Fare tutto ciò la rilassava incredibilmente. Nel frattempo, Atlas osservava la giovane incuriosito, rapito dall’espressione di beatitudine che dipingeva il suo volto in quel momento. Si chiese cosa mai stesse pensando la ragazza per avere uno sguardo così appagato e felice, ma si sentiva troppo stanco per proferire parola. Dopo quanto era successo al porto quell’infausto giorno, Atlas era assalito da incubi che lo perseguitavano durante la notte, e che non lo facevano dormire bene. Di solito quando passava notti come quelle faceva affidamento ad un calmante ottenuto dall’infusione di speciali erbe, ma in quella nuova città non aveva saputo dove trovarne, e con i recenti eventi si dimenticò di chiedere a qualcuno in gilda. Come risultato, la stanchezza lo assalì più prepotentemente di quanto avrebbe potuto essere in quelle circostanze. Lo guardo gli cadde in un piccolo vicolo, e d’un tratto gli vennero in mente i tre bambini che aveva rincontrato qualche attimo fa. Ripensando alle loro espressioni meravigliate, come se avessero appena visto una figura mitologica, non poté trattenersi dal sorridere lievemente.
-A cosa stai pensando? – gli chiese giocosa una voce. Atlas si voltò sorpreso verso Lucy, che lo stava osservando divertita.
-Non ti vedo sorridere spesso… - aggiunse, come per giustificare la sua domanda. Atlas distolse lo sguardo, imbarazzato.
-Stavo solo pensando a quei tre marmocchi. – le rispose.
-Intendi i tre bambini dell’incendio di stasera? – gli chiese. Atlas annuì.
-Li avevo già incontrati, giorni fa. Mi ha fatto piacere rivederli. – le confessò, e Lucy lo guardò sorpresa e incuriosita dal vederlo aprirsi, aspettando che il giovane proseguisse a parlare. Cosa che lui fece, notando la sua espressione.
-Furono loro che mi trovarono, quando arrivai qui per la prima volta. Ero svenuto, e loro… - si interruppe, ripensando alla bambina che gli strillò in faccia, e rise -Beh, mi svegliarono. Devo dire che fui fortunato che furono proprio quei bambini a trovarmi. – proseguì. Lucy ridacchiò.
-Immagino che erano sorpresi di rivederti. – disse, raggiungendo il muretto che separava la strada dal fiume e salendoci sopra con un balzo. Alzò le braccia all’altezza delle spalle e continuò a camminare, tenendosi in equilibrio. Istintivamente Atlas la raggiunse e le fu accanto, pronto ad afferrarla in caso cadesse.
-Dalle loro espressioni, mi pare che sì, lo erano. – riprese lui. Ritornò il silenzio tra loro, e Lucy ne approfittò per osservare meglio il profilo di Atlas. Ora i capelli biondi, sotto la luce dei lampioni, avevano assunto uno strano colorito smorto, a causa del grigio della cenere che si era posata sul suo capo. Le ciocche rosse accese invece, avevano assunto una tonalità di rosso scuro. Il viso, ora mezzo annerito, gli conferiva un’espressione buffa che rivelava la giovinezza degli anni che aveva e che cercava di mascherare con la sua solita espressione inflessibile. E gli occhi… erano davvero belli e spaventosi, così insoliti, e Lucy non si sarebbe mai stancata di guardarli. Sembravano due splendidi rubini, la stessa tonalità di rosso, ma dotati di un’anima propria che li cambiava esattamente come cambiano le stagioni. Aveva già sentito parlare di occhi che cambiavano la sfumatura del colore delle iridi a seconda delle emozioni della persona che li aveva, e Lucy pensava che fosse una cosa incredibile.
“Già, proprio come i miei, che sono dei comunissimi occhi marroni.” Pensò con sarcasmo, continuando a fissare Atlas e a seguire quella catena di pensieri che involontariamente le fecero mettere il broncio. Sentendosi addosso uno sguardo di una certa intensità, il malcapitato si girò con curiosità verso la maga e dovette trattenersi dal scoppiarle a ridere in faccia per l’espressione buffa e dai tratti fanciulleschi che aveva in quel momento.
-Qualcosa non va? – le chiese ridendo sotto i baffi. Lucy si voltò e alzò la testa in un gesto sprezzante.
-No, affatto! – affermò, per poi aggiungere borbottando -Razza di fortunato. – sbirciando però l’occhiata perplessa e penetrante di Atlas, Lucy decise di dar voce al cruccio che l’assaliva sin da quando era bambina.
-E’ che… - iniziò, sospirando -Stavo pensando a quanto ti invidio per i tuoi occhi. Ho sempre avuto un complesso per le iridi di un colore particolare, fin da quando ero piccola. – spiegò rattristata, senza celare un certo imbarazzo per quel complesso così infantile. Atlas, per contro, ancora non riusciva a comprendere per quale motivo tutti fossero così impressionati dal colore delle sue iridi e dei capelli, al punto da fissarlo in modo strano o impressionato, quasi fosse un fenomeno da baraccone. E dire che ad Astral era una cosa comune trovare persone così. Dedusse che evidentemente in quel mondo avere occhi o numerose ciocche di un colore particolare era una cosa rara, anche se per lui non era niente di speciale. Eppure, vedendo l’espressione quasi triste e imbarazzata di Lucy, come quella di una bambina di fronte a qualcosa che desidera ma che sa di non poter mai avere, Atlas si raccomandò di non scherzare sul piccolo capriccio di Lucy. O almeno non in quel momento.
-Capisco… - disse, dopo un attimo di silenzio -Quindi hai un debole per i miei occhi. – continuò con tono cantilenante, rivolgendo a Lucy un sorriso malizioso di fronte al quale la maga lo fissò e arrossì, colta completamente in contropiede.
Niente, proprio non ce la faceva a non prenderla in giro.
-N-non dire stupidaggini razza di scemo, sai di cosa sto parlando! – si affrettò a rimbeccare, mentre Atlas la guardava ridendosela sotto i baffi. Si stava divertendo molto a metterla in imbarazzo, e per sfortuna della bionda quello sarebbe stato solo l’inizio. Infatti erano in pochi, a palazzo, a sapere che il tanto temuto Noctis Atlas, oltre a essere un amante passionale, fosse un appassionato degli scherzi e delle prese in giro, dovuti al suo lato sadico (invece noto a tutti). Una volta designata la vittima, era difficile sfuggirgli. E Lucy, purtroppo, era già entrata a pieno titolo tra le sue “grazie”.
-Povera Lucy, non c’è mica bisogno di nasconderlo sai? Lo so bene di essere un tipo affascinante. – la canzonò infatti. Lucy, ancora più rossa dopo quelle parole, scese con un salto dal muretto, e iniziò a scagliare una raffica di pugni su Atlas, che alzando le mani per proteggersi il viso non accennò a fuggire e anzi, scoppiò a ridere.
-Atlas scemo, scemo, scemo! – continuava a gridare la maga ad ogni pugno. E Atlas se la rideva di cuore. Di solito non si apriva così tanto a chi conosceva da poco, ma l’istinto e la stanchezza lo portavano a fidarsi della maga.
-Pietà, pietà divina Lucy, ve ne prego! – disse infine, ancora in preda alle risa. Lucy gli si piantò davanti, i pugni serrati lungo i fianchi, fissandolo con una faccia che doveva essere tremendamente offesa e arrabbiata, ma che Atlas non poté far a meno di trovare adorabile per via delle gote arrossate.
-Ebbene, ora scusati, razza di scemo insensibile! – gli ordinò con tono irritato.
-Chiedo umilmente perdono per avervi mancato di rispetto, divina Lucy. – disse il giovane con un rispettoso inchino, posando una mano dietro la propria schiena e portandosi l’altra diagonalmente al petto. Se avesse avuto il suo mantello, sarebbe stato decisamente più scenico di quanto potesse sembrare. Lucy incrociò le braccia al petto, con un’espressione scettica e diffidente. Atlas sospirò.
-Avanti Lucy, ora non tirarla per le lunghe! – la pregò -Mi dispiace sul serio! – mentì, ma notando l’aria di scetticismo ancora più prominente della maga si affrettò a ritrattare e a tentare di rimediare. -No va bene, forse non del tutto, ma penso che le tue iridi non hanno nulla a che invidiare a quelle degli altri. A me piacciono molto, ad esempio. – confessò, e Lucy lo guardò stupita.
-Dici sul serio? – chiese.
-Giuro, sono di un bel marrone scuro, dolce e intenso come il colore del cioccolato, e il cioccolato è il mio dolce preferito, su questo non ci scherzo. – proseguì con onestà, mentre Lucy, abbassando leggermente lo sguardo, cominciava di nuovo a sentire l’imbarazzo scaldarle il viso. Fu in quel momento che l’attenzione le ricadde su un rigonfiamento della maglietta di Atlas, all’altezza del centro del petto, e Atlas non parve far caso alla destata curiosità della giovane. Sorridendo lievemente, il giovane le diede due leggere pacche sulla testa.
-Su, coraggio ora cammina, o non arriveremo più a casa. – le disse incamminandosi, incitandola così a proseguire. Quando lo raggiunse, Lucy si decise a togliersi lo sfizio.
-Atlas, posso farti una domanda? –
-Dimmi. –
-Che cosa porti al petto? –
Atlas, che fino a poco prima stava camminando guardando dritto di fronte a sé, si sentì sorpreso e sconvolto a quella domanda, e si voltò di scatto a guardarla, cercando però di mascherare il suo turbamento per non farla insospettire.
-A cosa ti riferisci? – le chiese guardingo. Notando l’atteggiamento del giovane, Lucy gli rivolse uno sguardo timido e innocente.
-Beh, mi riferisco al rigonfiamento della maglietta, all’altezza del petto. – gli spiegò, indicando il punto in questione. Capendo che non si riferiva al frammento oscuro che aveva nel petto, Atlas, sollevato, ringraziò mentalmente gli astri. Per vendicarsi, rivolse un altro sorriso malizioso a Lucy, al quale ribatté prontamente e con goffaggine che non era affatto come pensava. Dopodiché, il giovane si decise a tirare fuori dalla maglietta l’oggetto che aveva catturato la curiosità di Lucy: si trattava di un incantevole pietruzza di forma sferica e dai riflessi simili all’acquamarina, incastrata in una piccola spirale d’argento e appesa a uno spesso filo di cuoio. Era così limpida da sembrare essere fatta di acqua stessa. Lucy si sentì subito affascinata dalla sua bellezza.
-E’ meravigliosa… - mormorò, rapita dal luccichio -Chi te l’ha donata? – chiese, distogliendo lo sguardo dalla pietra per rivolgerlo al giovane.
-Cosa ti fa pensare che me l’abbia regalata qualcuno? Potrei anche averla rubata, sai? – la canzonò, eludendo così la domanda. Lucy alzò gli occhi al cielo.
-Oh insomma, non è qualcosa che un ragazzo si comprerebbe da solo! E poi per quale motivo rubare una pietra simile e non approfittarne per venderla? –
-Perché magari potrebbe avere un qualche potere magico. – disse lui con noncuranza, rigirandosela tra le mani. Gli occhi di Lucy si accesero come quelli di una bambina che viene a sapere dell’esistenza di un tesoro.
-Davvero? – esclamò.
-No, scherzavo. –
-Ah, insomma! – sbottò la maga. Ignorando le reazioni della maga, Atlas stava per rimettere la pietra sotto la camicia, ma Lucy gli afferrò i polsi, fermando d’improvviso la loro camminata.
-Aspetta Atlas, messa lì però è proprio uno spreco! – piagnucolò. Lui la guardò perplesso.
-Ma così almeno è nascosta da occhi colmi d’ingordigia e possesso. Attira troppo l’attenzione. – le spiegò. Lucy scosse la testa.
-No, anche messa così sotto la maglietta desta curiosità, come mi è successo adesso. A volte il modo migliore per nascondere l’importanza di un oggetto è ostentarlo a oltranza. Lascia fare a me. – gli disse in tono pratico, mentre sotto lo sguardo agitato di Atlas gli sfilava la collana. Tolse la pietra, sganciando il laccio, e lo avvolse in due giri attorno al collo teso di Atlas. Fece passare il gioiello da una delle estremità del laccio, e lo riagganciò, sistemando la collana e rimettendo la pietra al suo posto. Ora Atlas aveva il collo un choker con il bellissimo gioiello in bella vista, e non volendo aveva reso il giovane ancora più attraente di quanto già non fosse. Guardandolo, un’immagine buffa ma indecente le balenò in mente, e non poté fare a meno di ridere.
-Cosa c’è ora? – chiese Atlas quasi stizzito. Vederla maneggiare con il ciondolo l’aveva fatto sentire irrequieto.
-Se adesso ti mettessi le orecchie da gatto, saresti pronto per una bella copertina sul Sorcier Magazine – ridacchiò. Atlas si sentì ancora più confuso, ma l’istinto gli suggerì di non chiedere altro. Proseguirono la camminata, e mentre Atlas tastava perplesso e preoccupato la collana, Lucy tornò all’attacco.
-Ehi, prima non mi hai risposto: chi te l’ha regalata? – Atlas sospirò esasperato.
-Alhena. Me l’ha regalata Alhena. –
-Oh, l’amica d’infanzia di cui avevi accennato? – chiese. Incredibilmente, Atlas per qualche ragione sembrava improvvisamente imbarazzato, per la gioia vendicativa di Lucy.
-Sì, proprio lei. – rispose, deciso a non rivelarle che era anche la principessa del regno di Astral. E poi, parlare della sua principessa e del loro legame con un’altra ragazza lo metteva a disagio.
-Questa sì che è una notizia incredibile! – ridacchiò la maga, prendendolo in giro. Atlas le lanciò un’occhiataccia.
-Ah sì? – chiese stizzito.
-Non ti facevo così premuroso. – confessò sorridendo Lucy, ignara dell’ennesimo scherzo che stava per essere messo in atto.
-Sono un uomo dalle mille sorprese, dovresti averlo capito. Lascio tutti senza fiato… – si vantò lui con aria seria, incrociando le braccia. Lucy alzò gli occhi al cielo, non credendo alle sue orecchie. Non notò però che Atlas le si era avvicinato, con un sorriso malizioso e uno sguardo da predatore.
-Specialmente le donne, a letto… - continuò sussurrandole all’orecchio, con voce profonda. In un attimo Lucy divenne rossa come un peperone e si voltò a guardarlo scandalizzata, gli occhi sgranati per l’incredulità.
-Atlas! – strillò -Ti sembrano discorsi da fare?! – Atlas, ritornata la sua espressione seria, fece spallucce.
-Perché? Non dirmi che ancora non sai cosa fanno un uomo e una donna in intimità… Sei ancora vergine? - la stuzzicò.
-E se anche fosse? – continuò sconvolta, ormai preda della vergogna -Non sono affari tuoi razza di depravato! E poi ti sembra un argomento di cui parlare con una ragazza?! –
-Non ci vedo nulla di male a parlare dei piaceri carnali. – disse con aria indifferente, consapevole che con quelle parole avrebbe mandato ancora più in panne la povera Lucy. Non che non lo pensasse veramente, ma in normali circostanze non avrebbe mai fatto discorsi del genere con una del gentil sesso. Quando ci aveva provato per la prima volta con Alhena, lei gli aveva scagliato una sedia contro. Nel frattempo, Lucy si coprì il viso con le mani, scuotendo la testa disperata.
-Io non ho parole! E abitiamo anche nello stesso condominio? – mugugnò.
-Io non la considererei una sfortuna. Se una di queste notti ti sentissi particolarmente sola, mi offro volontario per scaldare a dovere il tuo corpo prigioniero della fredda morsa della solitudine. –
-Piantala! Ora basta, ti prego! – piagnucolò lei al limite della sopportazione e della vergogna, mentre Atlas ancora se la rideva sotto i baffi.
“E a dire la verità Lucy, quasi ci spererei che accadesse…” pensò involontariamente, sfiorando il profilo della maga con sguardo languido. Immaginandola tra le sue braccia in un simile momento di profonda intimità, Atlas sentì di nuovo l’impulso carnale farsi strada dentro di lui come un serpente fatto di fiamme ardenti. Di fronte a quelle sensazioni rafforzò il suo autocontrollo, domando fermamente i suoi istinti demoniaci. Stava pensando di farsi una bella doccia fredda per placarsi quella sera, quando con sollievo riconobbe il condominio dove si trovavano i loro appartamenti.
-Finalmente a casa… - sospirò esausta Lucy, varcando la soglia del portone e salendo le scale. Giunti al piano dell’appartamento della maga, i due si congedarono. Appollaiato sul corrimano, a quasi metà della rampa di scale, attese che Lucy proferisse parola. Prima di entrare in casa, ella si voltò verso di lui.
-Buonanotte Atlas. – gli disse, afferrando la maniglia.
-Buonanotte, divina Lucy – ricambiò con un sorrisetto, facendole l’occhiolino. E prima che Lucy dimostrasse qualunque reazione, il giovane si dileguò su per le scale, dritto verso il piano superiore, e verso l’agognato letto.
Scuotendo la testa, incredula, per l’ennesima volta, Lucy aprì la porta e se la chiuse dietro di sé. Desiderosa di farsi una doccia veloce e di buttarsi sul letto, senza neanche accendere la luce incominciò a spogliarsi, gettando maglietta e reggiseno sul pavimento. Fece per togliersi anche la gonna, quando nella penombra notò due figure, una umana e una felina, accucciate a terra tra il letto e il comodino.
-Aaaaah! – strillò la maga per lo spavento, coprendosi il seno ed attaccando gli intrusi con uno dei suoi calci. Una delle figure riuscì a schivarlo, levandosi in aria, ma non ci fu scampo per l’altra, che colpì in pieno. Lucy stava per sferrare il suo secondo calcio, quando l’intruso la interruppe.
-Lucy, sta’ calma, sono io! – quella voce era inconfondibile.
-Natsu?! -
  
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