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Autore: hikaru83    01/10/2018    5 recensioni
Di Sherlock, per quanto non ami parlare di sé, sappiamo più di quello che ci si aspetterebbe da una persona tanto riservata. Abbiamo conosciuto i suoi genitori, suo fratello, sua sorella. Sappiamo che da bambino amava giocare ai pirati, sorrideva tanto, avrebbe voluto avere un cucciolo, aveva almeno un amico e probabilmente era quello più “normale” della famiglia. A detta sua sappiamo che “le donne non sono proprio il suo campo” e a noi va benissimo. Abbiamo persino imparato a comprendere il suo carattere. Insomma ad osservarlo bene, e a non soffermarsi sulla prima impressione, di Sherlock sappiamo molto. Ma di John? Del caro e buon John? Dell’onesto, irreprensibile, coraggioso, corretto John? Sappiamo che è stato un soldato, un capitano per di più, sappiamo che è medico, ha studiato con Mike, che ha una sorella lesbica alcolista con cui non è in buoni rapporti. Non conosciamo nulla della sua famiglia, non niente del suo passato. Nessuno si è presentato al suo matrimonio, andato a trovarlo dopo la nascita di Rosie o per il suo battesimo, nessuno è andato al funerale di Mary. Sembra quasi che il “prima di Sherlock” non sia per nulla importante. Ma sarà davvero così? Non ci tocca che scoprirlo.
[Johnlock]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harriet Watson, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccoci per il secondo capitolo. Spero che anche questo sia di vostro gradimento, ricordate sempre IO AMO JOHN! Meglio ribadirlo qui.




Io&Sherlock



Capitolo 2


 
Quando apro gli occhi mi accorgo che l’alba si sta avvicinando. Sherlock dorme avvinghiato a me come al solito e non posso non sorridere pensando a come questa cosa mi renda felice. Essere amato da lui è un premio che non pensavo di meritare. Se penso a quanto dolore gli ho provocato, mi sento uno schifo. Non merito l’amore di una persona pura come lui.

«John, smettila di arrovellarti il cervello.» La voce strascinata e mezza addormentata di Sherlock mi fa sobbalzare leggermente.

«Ma non stavi dormendo?»

«Lo sai che sono molto sensibile ai pensieri, e so quando cominci a pesare a cose stupide e senza senso. Me ne accorgo.»

«Cos’è, senti le mie celluline grigie lavorare?»

«Dovrebbe essere una battuta?»

«E dai, Sherlock, è una citazione di Poirot. Uno dei migliori detective letterari che...»

«Quell’ovetto belga con i baffi non è il miglior detective, letterario o no.»

«Geloso di un personaggio letterario?»

«Per te io devo essere il miglior detective del mondo. Gli altri, reali o meno, non devono esistere nella tua testa; non dev’esserci spazio per loro.» Sembra terribilmente serio mentre lo afferma.

«Quindi fammi capire: sei seriamente geloso di un personaggio letterario?» sorrido.

«Se si tratta di te? Sì, sono geloso di qualsiasi cosa possa distoglierti da me.»

Il mio cuore si riempie d’orgoglio. Lo guardo intensamente e non posso non pensare al fatto che siamo entrambi nudi sotto queste coperte. L’abbraccio in cui ci stringiamo non mi permette certo di non rendermene conto. E la cosa rende tutto molto più interessante del previsto. «Beh, per ora voglio assicurarti che niente e nessuno può distogliere la mia attenzione da te.» Come potrebbe mai succedere una cosa simile?

«Perché solo “per ora”? Non vuoi rassicurarmi sul “per sempre”?» sussurra, mentre mi libero dal suo abbraccio solo per potermi spostare sopra di lui.

«No, e sai perché?»

Il suo sguardo è incatenato al mio. Scuote la testa senza parlare, mentre io gli faccio allargare le gambe per sistemarmi meglio su di lui.

«Perché adoro vederti geloso. Mi sento amato, e mi viene sempre voglia di rassicurarti,» bacio le sue labbra mentre i nostri corpi si sfiorano sotto le coperte, risvegliando le nostre eccitazioni. «...e di farlo senza le parole.»

Il suo sorriso, le sue mani che stringono la mia schiena e mi obbligano a scendere su di lui. I baci caldi e bagnati. Fare l’amore con lui, lentamente, senza alcuna fretta, baciando ogni centimetro di questo corpo. Fare l’amore con riverenza per questa anima perfetta e pura che ha scelto la mia. Fare l’amore mettendoci tutto il mio cuore nella speranza che possa sentirlo, possa capirlo, che riesca a percepire quanto il suo amore è la mia vita. Lui e Rosie sono tutto ciò che ho al mondo.
 

***
 

Quando ci risvegliamo per la seconda volta, l’alba grigia ha lasciato il posto a una giornata luminosa.

Accarezzo la sua schiena candida mentre dorme accanto a me. Le cicatrici lasciate sulla sua schiena durante i due anni in cui ha finto la sua morte mi stringono il cuore. Quanto dolore hai dovuto affrontare da solo, Sherlock? E quanto per colpa della mia idiozia?

«John, mi dispiace non averti detto niente quella volta.» Di nuovo, la voce di Sherlock mi fa sobbalzare insieme alla consapevolezza che non ho bisogno di parole, quando si tratta di lui. Riesce a leggere il mio cuore anche quando in teoria dovrebbe essere ancora immerso tra le trame del sonno.

Lui mi chiede scusa? Lui? Dopo il dolore che io gli ho provocato, lui mi sta chiedendo scusa?

«Odio queste cicatrici,» aggiunge.

«Io odio chi te le ha procurate. Un odio profondo. Se li avessi tra le mani...»

«Tu... Da quando sapevi che ero stato catturato?»

«Dalla prima volta che abbiamo fatto l’amore.»

«Ma perché non hai mai chiesto nulla?»

«Avrei voluto, avrei davvero voluto chiederti tutto...»

«Ma...?»

«Anche tu hai visto le mie cicatrici. Anche tu sapevi della mia vita come soldato. Non mi hai mai chiesto nulla, né prima, né dopo che siamo diventati una coppia.» Lo stringo nel mio abbraccio. «E non lo hai fatto perché volevi darmi la possibilità di sentirmi pronto a parlartene. Sapevi che l’avrei fatto, avevo solo bisogno di tempo. Ed è per questo che non ti ho chiesto nulla di quei due anni. Perché tu potessi condividere con me quello che ti sentivi di dirmi, rispettando però i tuoi tempi.»

«Tu pensi sempre troppo bene di me, John.»

«Io ho sempre visto il buono che hai nascosto a tutti, anche a te stesso.»

«Inutile se provo a ricordarti di tutto quello che ti ho fatto passare, vero?»                        

«Inutilissimo, fidati. Ricordo ogni minimo dettaglio.»

«E mi ami lo stesso?»

«Ti amo, ovviamente ti amo. Ma ti avviso che se fai risorgere quella suoneria, potrei fartela pagare a vita.»

La sua risata cristallina riempie la stanza. «Eri così bello, John, quando mi arrivava un messaggio, che l’ho messa per il numero di Mycroft e di Lestrade. Senza contare i messaggi che mi mandavo programmati da giorni,» confessa lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

«Tu COSA?» strillo indignato.

Il suo sorriso si allarga. «Mi ami ancora?»

Lo blocco sotto di me. Questa posizione rischia di far degenerare le cose un’altra volta. «Ti amo, Sherlock,» gli dico. Lui mi sorride e io non posso non baciarlo. Mi allontano prima che il bacio possa diventare qualcosa di più. «Dai, Sherl, alziamoci. Oggi volevo farti vedere uno dei miei posti preferiti della città e se continuiamo così non metteremo il naso fuori da questa stanza per tutti i giorni che passeremo a Dover. Ti va di uscire?»

«Giuro che, se potessi, rimarrei in questo letto tutti i tre giorni di permanenza. Ma voglio vedere il posto in cui sei cresciuto, voglio conoscere tutto di te, John.»

«Allora è meglio che ci alziamo, ci facciamo una bella doccia e andiamo a fare colazione.»

«Insieme?»

«Cosa?»

«La doccia la facciamo insieme?»

«Sherlock, se facciamo insieme la doccia finirà come sappiamo benissimo entrambi.» Mi alzo dal letto mentre lui mi guarda fisso.

«John, ascolta il mio ragionamento: facciamo la doccia insieme e sì, la cosa finirà come sappiamo entrambi, ma se la facessimo separati appena ti vedrò uscire bagnato da quel bagno ti salterò addosso, e mi sentirei molto offeso se non lo facessi anche tu in caso contrario. Quindi dovremmo rifarci un’altra doccia. Andando insieme ridurremmo i tempi.»
Sorrido. «Devo ammettere che come ragionamento non fa una grinza.»

Lui sembra molto soddisfatto di sé. «Ovvio, è un ragionamento mio.»

Mi avvicino alla porta del bagno della stanza. «Signor detective super intelligente ti avviso, se chiudo questa porta, la doccia me la faccio da solo.»

Lo vedo saltare su dal letto, portandosi dietro il lenzuolo e rischiando di rompersi l’osso del collo per raggiungermi. Rido mentre entra in bagno e si chiude la porta dietro.

«Niente scuse, ora,» mi ammonisce.

Lo bacio. Crede davvero che possa voler scuse?
 
***

Quando usciamo dal B&B, troviamo il taxi che ci aspetta.

«Allora, dove mi porti oggi?» mi domanda Sherlock.

«Oggi vedrai una delle costruzioni romane più strabilianti. Unica nel suo genere.»

«Gli italiani non saranno d’accordo.»

«E invece sì. Ma ti spiego tutto appena saremo arrivati.» Prendo la sua mano tra le mie. Sussulta impercettibilmente, sorpreso dalla mia azione, rilassandosi però subito rispondendo alla mia stretta. Sono certo di aver intravisto il suo sorriso prima che cercasse di mascherarlo guardando fuori dal finestrino.

Arriviamo alla chiesa di St. Mary in Castro ed eccolo in tutto il suo splendore. Il Dubris Pharos: l’unico faro romano ancora in piedi.

«Unico nel suo genere davvero. L’unico sopravvissuto,» dice dopo aver letto la spiegazione da internet.

«Quando ero piccolo venivamo qui con mamma. Padre Adams era un suo caro amico, così mentre lui e mamma parlavano in chiesa, io e Harry giocavamo a fare i romani.»

«Giocavate a fare la parte degli invasori?»

«Colpa di papà. Non faceva altro che spiegarci i metodi dell’esercito romano, le tecniche di guerra, quanto fossero i più forti al mondo. E lo sai, Sherlock, i bambini giocano ai supereroi, ai pirati... A tutto ciò che è unico, grande.»

«Giocavo ad essere un pirata anche io, in effetti, ma non ero un semplice pirata: ero il re dei sette mari.»

«È evidente. Come potevi accontentarti di essere meno che il re dei sette mari?» lo prendo bonariamente in giro.

Ride mentre si guarda intorno. Il prato ci circonda, come ricordavo. Il mare danza davanti ai nostri occhi. Se li chiudo potrei avere ancora sette anni.

Poi mi ricordo di una cosa. «Chissà se...»

Sherlock mi guarda curioso. «Cosa?»

Non credo che possa davvero esserci ancora, però...

Lascio il mare alle mie spalle mentre mi avvicino al faro. Raggiungo quella che doveva essere la porta d’ingresso che ora è solo un grande buco nero, ed ecco il punto in cui il faro si fonde con la chiesa. Mi guardo intorno per essere sicuro che nessuno mi stia osservando. Sherlock è ancora più interdetto di prima. Dopo aver costatato che siamo ancora soli, inizio a scavare. Se mi vedessero non oso immaginare che cosa potrebbero pensare. Sarebbe quasi divertente vedere Greg o Mycroft e dover spiegare che non sono un pazzo che inventa scuse per togliersi dai guai. Ridacchio mentre mi aiuto con un bastone trovato lì vicino.

«John, che stai...?» Sherlock non fa in tempo a finire la domanda quando un rumore metallico giunge dal buco poco profondo che ho scavato. Lo allargo ed eccola. Le decorazioni oramai sono quasi tutte sparite lasciando la ruggine e il metallo in vista, ma è senza ombra di dubbio la vecchia scatola di biscotti, il nostro forziere.

«Giocavamo anche ai pirati, e si sa, tutti i pirati hanno un tesoro.» Lo osservo. I miei occhi devono essere molto simili a quando da bambino ho nascosto questa scatola con mia sorella. I suoi assomigliano a quelli che sicuramente doveva avere da bambino mentre giocava sulla spiaggia. Oh, Sherlock, se ci fossimo conosciuti da bambini, quanto mi sarebbe piaciuto vederti prima che iniziassi a credere che le emozioni fossero solo inutili e dannose!

«Dai, apri, voglio vedere che cosa contiene il vostro tesoro.»

Ci spostiamo dal faro e andiamo a sederci sull’erba, davanti a noi il mare, che tranquillo e azzurro borbotta sotto di noi.

«Non riesco davvero a credere di averla ritrovata. L’abbiamo seppellita...»

In un secondo ritorno a quella giornata. Il caldo dell’ultimo fine settimana estivo, io e Harry l’avevamo portata apposta perché volevamo avere anche noi un tesoro da trovare. La mamma ci aveva portati perché aveva bisogno di parlare con Padre Adams. Noi eravamo troppo piccoli per capire, ma mamma stava passando un inferno quell’estate. Papà era stato dato per disperso due settimane prima, e non si sapeva ancora niente. Le uniche notizie erano quelle di un’imboscata. I corpi di molti della sua squadra erano stati trovati nel posto di guardia che avrebbero dovuto controllare, ma di molti erano sparite ogni traccia, tra cui lui. Ovviamente di questo noi non sapevamo nulla, solo che papà era in missione come accadeva spesso.

«Tutto bene, John?»

Mi volto verso Sherlock che mi osserva. «Sì, scusa. Il passato si diverte a tornarmi in mente.»

«Perché non me lo racconti? Oltre i giochi dei pirati con tua sorella, dove ti ha portato questa scatola?»

«Al giorno in cui l’abbiamo nascosta. La mia vita fino a quel giorno è stata talmente diversa da quello che sarebbe accaduto da lì a poco, che sembra quasi la vita di qualcun altro.» Accarezzo il coperchio della scatola con il pollice, togliendo un po’ di terra. Sherlock di fianco a me sta in silenzio. Tutta la sua attenzione è su di me. «L’uomo che hai conosciuto ieri sera, Sherlock, è diversissimo dal papà con cui sono cresciuto fino ai dieci anni. Mio padre era un eroe, e io e mia sorella lo adoravamo. Era spesso via per le missioni, ma quando tornava era sempre una festa. A casa c’erano solo risate, musica e storie fantastiche.» Sposto lo sguardo dalla scatola di latta al mare, cercando la serenità necessaria per far riaffiorare i ricordi. «Quel giorno venimmo qui con mamma. Papà era disperso in non so quale zona desertica, ma a noi mamma non aveva detto nulla. Disperso non significava deceduto, significava solo che momentaneamente non si era in grado di trovarlo. Credo che mamma volesse farci rimanere più sereni possibili e volesse evitarci il dolore se non fosse stato assolutamente necessario.» Ispiro l’aria salmastra e sento la mano di Sherlock poggiarsi alla mia. Non mi volto a cercare i suoi occhi, al contrario di molte altre volte. Non mi ritengo abbastanza forte da farlo senza scoppiare a piangere. «Quel giorno, mentre io e mia sorella giocavamo tranquilli, per mamma l’inferno che aveva vissuto da un paio di settimane si sarebbe trasformato nel purgatorio in cui vive ancora.» Mi volto verso la strada ancora in terra battuta dalla quale vidi arrivare Larry. Il ricordo è tanto vivo che potrei giurare sia qui davanti a me anche ora. «Arrivò da quella parte. Era Larry, un vecchio amico di papà che noi chiamavamo zio. Era stato lasciato a casa perché nell’ultima missione era stato ferito e aveva perso l’uso del braccio destro. I medici gliel’avevano salvato, ma se ne stava immobile senza vita attaccato al corpo. “Certe cose una volta rotte non possono essere aggiustate”, mi aveva detto mamma quando gli avevo chiesto perché non riusciva più ad usarlo.» Il caro zio Larry... Correvo sempre da lui quando le cose a casa si facevano troppo pesanti. «Sembrava avesse fatto la strada di corsa da casa tanto era trafelato. Ricordo che ci chiese della mamma. Noi gli indicammo la chiesa e lui entrò di corsa. Non sapevamo cosa stesse succedendo, avevamo le mani ancora sporche di terra dopo aver seppellito il nostro tesoro. Ci guardammo, e senza dire nulla entrammo anche noi. Era come se ci sentissimo che stava succedendo qualcosa di grosso.» Ricordo ancora il freddo che ci colpì appena entrammo nell’edificio di pietra; la differenza con l’esterno era altissima. «Lo sentimmo parlare con mamma, le parole erano confuse, ma ricordo ancora la parola trovato che rimbombava tra le navate. Mamma era in piedi. Probabilmente si era alzata di scatto quando zio Larry era entrato in chiesa. Ricordo la corsa fino alla macchina dove ci aspettava sua moglie. Arrivammo a casa in poco tempo, o almeno a me sembrò poco.» È così strana la memoria. Non avevo mai pensato a quel giorno e ora tutto mi sembra così vivo, come se non avessi fatto altro in vita mia che ripensarci. «Davanti alla porta di casa c’erano due ufficiali nelle loro uniformi perfette e impeccabili. Uno era stato l’addestratore di papà, l’altro non l’avevo mai visto, doveva essere qualche ufficiale di alto grado. Sai, Sherl, quando tuo padre è nell’esercito, inizi a sudare freddo se due ufficiali in divisa vengono a bussare alla porta di casa tua.» Sento le labbra sollevarsi in un sorriso tirato. «Quella volta la notizia che ci dettero però era positiva: “L’abbiamo trovato, signora. È messo male, ma i dottori hanno detto che è fuori pericolo. Appena potrà affrontare il viaggio, tornerà a casa.” Mamma ci strinse a sé. Sembrava così felice.» Gli occhi di mamma non li scorderò mai. Brillavano come se avesse appena ricevuto il regalo di Natale più bello. «Peccato che al suo ritorno papà non era più lo stesso uomo. Niente più risate, niente più giochi, niente più corse in spiaggia o regali o feste, niente più musica. C’era solo un uomo svuotato da tutto, che passava il suo tempo a bere da solo, al buio, nel suo studio e che pretendeva silenzio e ordine.»

«Sapete cosa gli successe con esattezza?» chiede, dopo avermi ascoltato in silenzio fino a quel momento.

«Un’imboscata. Molti suoi compagni sono stati falciati sul posto; altri, come lui, sono stati portati via come prigionieri. Poi però qualcosa deve essere andato storto e hanno deciso di farli fuori tutti. Lo trovarono sotto i cadaveri dei suoi compagni. Probabilmente era svenuto. Le ferite erano estese e i guerriglieri lo ritenevano morto e non se ne sono accorti.» Sospiro.
«L’ho scoperto origliando le conversazioni di Larry e degli altri ufficiali che sono venuti a casa nostra a cercare di fare forza a mamma e spiegarle perché papà si comportava così. Qualcosa si deve essere rotto in lui in guerra e, come il braccio di zio Larry, non può più essere aggiustato.» Mi appoggio a Sherlock mentre il peso dei ricordi diventa inesorabilmente troppo. Lui mi circonda le spalle con un braccio e mi posa un bacio tra i capelli. Non so come ho fatto a stare senza di lui fino ad ora.

«Adesso però voglio vedere quale tesoro avete nascosto!» cerca di spezzare la tensione lui.

Inizio a ridere. A volte Sherlock è come un bambino!

«Sei un curiosone, lo sai?»

«Dai, dai, fammi vedere.»

Apro la scatola con fatica visto che negli anni e sotto terra e si è un po’ deformata, ma alla fine ci riesco. Ed ecco i nostri tesori. Conchiglie bianche, i vetri colorati arrotondati dall’acqua del mare, quattro soldatini, due biglie colorate, e... «John, ma è una Victoria Cross[1]

«Non ci credo, Sherlock, è una nozione che ritieni utile?» gli dico sorridendo senza però togliere gli occhi dalla medaglia.

«Perché te ne sorprendi?» mi risponde fintamente offeso.

«Forse perché ritieni inutile il sistema solare?» affermo ridendo.

«Uff! Ancora per questa storia? Comunque, cosa ci fa una Victoria Cross all’interno di un tesoro di bambini? Vale un sacco di soldi, lo sai?»

«L’aveva ricevuta nonno. Papà me l’aveva affidata prima di quell’ultima missione. Lo faceva sempre, poco prima di prendere la macchina che lo avrebbe portato con gli altri alla base. Si inginocchiava davanti a me per tenere i nostri sguardi alla stessa altezza, metteva la mano in tasca e me la porgeva dicendo: “È il pezzo più prezioso, John. La affido a te, non mi fiderei di nessun altro. Tienila al sicuro fino al mio ritorno”. Era il nostro piccolo incantesimo di protezione prima di partire, e quando tornava me la faceva mettere a posto. Quando tornò l’ultima volta non me la chiese indietro.»

«Solo quattordici medaglie sono state assegnate dopo la seconda guerra mondiale, John. Lo sai che all’asta può raggiungere...»

«Fino a duecentomila sterline, lo so. Ho fatto delle ricerche quando ero al liceo.»

«E non hai mai pensato di venire a riprenderla?»

«In realtà, dopo l’ultima missione di mio padre credo di aver deciso di dimenticarmi quello che era la mia vita prima. Faceva troppo male pensare a ciò che era evidentemente perso per sempre. Mi comportavo come se i primi dieci anni della mia vita fossero solo il ricordo di un sogno mai vissuto,» rispondo sinceramente. «Anzi, a dirti la verità non ricordavo neanche di questa scatola fino a poco fa.»

«Quanto è stato difficile per te il ritorno di tuo padre?»

«Papà non è mai tornato dalla guerra, Sherlock. A volte lo osservavo di nascosto e riuscivo a vedere la guerra nei suoi occhi. Era lì davanti a me, nitida e spietata. Il suo corpo è tornato, ma la sua anima, la sua mente, sono morte in quel deserto, sotto i corpi dei suoi compagni.»

«John, è per lui che sei diventato un soldato?»

«Volevo che fosse orgoglioso di me, speravo di vedere ancora quello sguardo che mi riservava quando ero piccolo.»

«Ha funzionato?»

«Non lo so, in realtà. Forse il fatto che abbia tenuto le mie medaglie e se ne prenda cura significa di sì. O magari sono solo un illuso. Onestamente non so cosa credere.»

«Io non credo che tu sia un illuso.»

Gli sorrido e mi volto verso il mare. Chiudo gli occhi mentre respiro l’aria salmastra che conosco tanto bene e sento la sua mano appoggiarsi alla mia prima di intrecciare le dita insieme. Rimaniamo così per un po’ di tempo. Io le lui, seduti a terra, con la scatola di latta appoggiata davanti a noi, il suo contenuto che luccica colpito dai raggi solari e le nostre mani in mezzo a noi intrecciate.

«Che ne dici se andiamo a mangiare e poi ti porto a vedere il Castello?»

«Tutto ciò che vuoi.»

Così facciamo. Troviamo un ristorantino senza troppe pretese ma carino, abbastanza vicino alla nostra destinazione, e ordino pesce al forno per entrambi. A Sherlock non importa molto cosa mangia, a parte il dolce, ma almeno mangia. La cosa è quasi miracolosa se consideriamo che i primi anni alla mia domanda su quando avesse mangiato la sua risposta standard era: “Che giorno è?”. Da quando vivo con lui lo obbligo a fare almeno un pasto decente al giorno, e da quando c’è Rosie mangiamo sempre tutti insieme, così sono certo abbia abbastanza energie per affrontare qualsiasi situazione possa capitargli. E le cose che possono capitargli sono tante e abbastanza assurde.

Dopo aver mangiato lo porto a vedere il Castello. Mi è sempre sembrato immenso. Del resto – se la mia memoria non sbaglia – è il castello più grande d’Inghilterra. La sua storia inizia forse con la conquista della Britannia nel ‘43, se non prima. I suoi tunnel sotterranei sono stati utilizzati e ampliati durante la seconda guerra mondiale. Gli faccio visitare anche quelli, o almeno quelli aperti al pubblico raccontandogli tutti gli aneddoti che quando ero piccolo papà mi ha rivelato. Ne sapeva un sacco su questo Castello. Ne sapeva un sacco su un tante cose.

Dopo la visita chiamiamo la signora Hudson per chiederle come sta andando con Rosie e ci sorprende dicendo che i suoi cari zii hanno evidentemente voluto prendere dei giorni di ferie visto che “Stanno sempre in mezzo ai piedi e che l’hanno portata al parco”.

Ci venne da ridere pensando a Mycroft in balia di una bambina e Greg che si gode di sicuro ogni istante.

La ringrazio per l’aiuto che ci sta dando tenendo la bimba in nostra assenza e la sua risposta è una risata e un: «Non essere sciocco, John!»

È quasi sera quando torniamo al B&B e dalla mia famiglia tutto tace. Una parte di me si chiede che cosa potessi davvero sperare. Sapevo che sarebbe andata così, quindi è inutile soffrirne; ma l’altra parte di me continua a guardare lo schermo del telefono sperando di vedere la notifica di un messaggio, o la chiamata, anche solo uno squillo da parte di mia sorella... Un qualcosa, insomma. E invece niente.

«Capiranno, John,» mi dice Sherlock stringendomi una spalla.

Come unica risposta gli offro un debole sorriso. Non ho la forza di parlare.

Ci siamo fatti entrambi la doccia e stiamo riposando nella nostra stanza dopo la giornata da turisti che abbiamo fatto, quando un bussare leggero alla porta ci sorprende. Mi alzo e vado ad aprire.

La proprietaria del B&B, una signora non molto alta, robusta e sempre sorridente, è davanti alla nostra porta. «Scusate il disturbo, ma c’è un signore che vorrebbe vederla,» mi dice. Sussulto leggermente. Forse mio padre ha capito? Ma scuoto la testa impercettibilmente. Non può essere così, inutile sperare.

«Scendo subito,» le dico sorridendo. Lei risponde con un timido sorriso prima di voltarsi e scendere la scala di legno.

«Credi sia lui?»

«No. L’ho sperato, ovviamente, ma so che non può essere lui.»

«Chi credi che sia?»

«Mi toccherà scendere per scoprirlo.» Lo osservo, un po’ imbarazzato a chiedergli di scendere con me. Mi sento davvero stupido, ma non trovo il coraggio di affrontare qualcosa senza di lui, in questo momento.

«Vuoi che scenda con te?» mi chiede sorridendomi. Come capisca sempre quello di cui ho bisogno non lo so, ma ci riesce sempre.

Annuisco e davvero mi sento uno scemo, ma non riesco a fare a meno della sua presenza.

Scendiamo in silenzio, la presenza calma di Sherlock dietro di me mi dà la forza necessaria per affrontare qualsiasi persona sia ad aspettarmi.

La proprietaria del B&B fa un cenno verso uno dei tavoli. Un uomo è seduto dandoci le spalle. Le grandi spalle e la posizione rigida mi fanno capire immediatamente che è, o meglio è stato, un soldato.

«Zio Larry?»

Lo vedo sussultare e voltarsi di scatto. Si alza un po’ troppo violentemente e la sedia cade sbattendo lo schienale a terra. Lui non se ne cura avvicinandosi velocemente a me e abbracciandomi di slancio con l’unico braccio in grado di muoversi. Come un padre che non vede il figlio da tanti anni. Come avrebbe fatto mio padre se fosse tornato davvero da quella missione.

«Il mio ragazzo è davvero tornato,» mi dice, mentre allenta la stretta. Si allontana e mi osserva come per accertarsi che sia davvero tutto intero. «Oramai sei un uomo fatto e finito, altro che ragazzo. Ma devi scusarmi, John. Per me rimarrai sempre quella piccola peste che si arrampicava dappertutto e riusciva a intrufolarsi ovunque, anche dove non avrebbe dovuto. Anzi: soprattutto dove non avrebbe dovuto.»

Rido ripensando a quanti guai ho combinato da ragazzino facendolo impazzire. «Stai davvero bene, zio,» gli dico.

«Oh, beh, sono un vecchio oramai, ma posso ancora sparare tanto lontano e in maniera così precisa che i ragazzini di oggi se lo sognano.»

Sorrido e la presenza di Sherlock torna a farsi sentire. La mia roccia che non si stacca mai da me. «Zio, lui è...»

«Oh, lo so, lo so. Il motivo per cui Londra ti ha fagocitato, eh?» Sorride amabilmente e non vedo niente che mi possa far intuire che sia disgustato o covi rancore nei suoi confronti. «Sherlock Holmes, giusto?» chiede direttamente al mio compagno. «Leggo il blog di John da sempre. Mi sembra quasi di conoscerti,» gli dice porgendogli la mano sinistra, mentre il braccio destro rimane inerte accanto al suo corpo. «Devi scusarmi, ma il signore qui,» dice indicando il braccio immobile, «è un po’ schizzinoso e pigro. Non collabora da anni.»

«John mi ha detto della ferita in guerra,» gli risponde Sherlock stringendogli la mano tesa.

«Già, la guerra... A me ha portato via questo, ma sono fortunato; ad altri ha portato via molto di più,» dice, osservandomi pensieroso. «Ma che ne dite di sederci? Potremmo mangiare qualcosa insieme se vi va.» Nei suoi occhi la speranza di non venir cacciato via.

Vedo Sherlock annuire e avvicinarsi al tavolo. Così raccolgo la sedia su cui era seduto poco fa e ci sediamo al tavolo. La proprietaria ci porta subito da bere e ci comunica che, se vogliamo, la cena è pronta. La ringraziamo e accettiamo volentieri.

La serata scorre abbastanza tranquilla. Devo ammettere che mi era mancato il vecchio zio, e lui non mi ha deluso. Ma del resto, lui, non l’ha mai fatto.

«Ti ha chiamato mamma?» gli domando a un certo punto. Nessuno a parte la mia famiglia sa che sono tornato e se sa di Sherlock, del nostro legame, di certo non l’ha letto nel mio blog.

«Harry voleva venire ieri sera direttamente, ma tuo padre...» ammette Larry.

«Fammi indovinare: ha dato i numeri?»

«Diciamo che non era proprio in sé.»

«Quando mai lo è.»

«John...»

«Lascia perdere, zio, non giustificarlo. Sta bene, oggi?»

«Sì, diciamo che sta bene.»

«Mamma e Harry?»

«Stanno bene. Sono forti, lo sai, e tuo padre non è mai violento con loro. Non fisicamente, almeno.»

«No, con loro non lo è mai stato, lo so. Non me ne sarei mai andato lasciandole qui da sole, altrimenti.»

Sento il corpo di Sherlock sussultare appena capisce le vere implicazioni della mia risposta.

«Mi dispiace, John, non volevo riportare alla memoria brutti ricordi.»

«Non ti preoccupare.» Almeno so che mia sorella è dalla mia parte. Certo, sarebbe stato comico se non lo fosse, ma parlando della mia famiglia sinceramente non so se mi sarei davvero sorpreso.

«Sono sicuro che rinsavirà, John. Ha bisogno di tempo. Forse non lo farà in questi giorni, ma sono certo che capirà di essersi comportato da stupido. E ti cercherà.» Lo sguardo sincero dello zio riesce a dar forza alla speranza che si stava spegnendo in me.

«Non sono famoso per avere pazienza, zio.»

«Certo, molte volte sei anche fin troppo istintivo... ma per le persone giuste,» dice osservando direttamente Sherlock. «Per le persone giuste sai essere la persona più paziente dell’universo.»

A parte lo scambio riguardante mio padre, passiamo una serata piacevole.

«Credo sia ora di tornare a casa. Promettimi che passerai a trovarci prima di partire, o mia moglie mi farà lo scalpo per non averla portata questa sera. Non vede l’ora di abbracciarti e di conoscere il tuo compagno.»

Arrossisco come un ragazzino e lui scoppia a ridere.

Dopo averlo salutato e avergli promesso che non saremmo partiti senza passare da casa sua, ritorniamo nella nostra stanza. Potremmo uscire a fare una passeggiata, è ancora abbastanza presto, ma sento il bisogno di rimanermene tranquillo, questa sera. Sherlock mi segue in silenzio senza chiedermi nulla, ma so cosa gira in quella meravigliosa testa.

Ci sdraiamo sul letto. Mi raggomitolo su un fianco mentre lui si stende accanto a me, avvolgendomi nel suo abbraccio. La mia schiena coincide con il suo petto, le sue gambe si incastrano alle mie, le sue dita intrecciano quelle della mia mano. Mi avvolge e protegge con tutto il suo essere. Non mi chiede nulla, rimane in silenzio pronto a ricevere solo quello che sono pronto a donargli. Sono certo che non avrebbe alcun problema anche se rimanessi in silenzio e basta.

Ma voglio parlare, raccontargli un’altra piccola parte della mia storia.

«Il giorno in cui è tornato, io e Harry avevamo preparato una festa.» La mia voce è bassa, ma lo sento sobbalzare appena. Immagino non si aspettasse che mi decidessi a raccontare qualcosa su mio padre. «Avevamo sistemato i fiori di carta che avevamo fatto per decorare casa, praticamente ovunque, anche in giardino. Lo facevamo sempre, dopo tutte le missioni. Di solito era una grande festa quando tornava. Superava il cancelletto del giardino, ci prendeva in braccio facendoci ridere a crepapelle e poi abbracciava mamma stretta. Mettevamo su la musica e loro due ballavano tutta la sera abbracciati, anche dopo che ci mettevano a letto.» Mi ero davvero scordato di com’era prima. Una parte di me l’aveva cancellato dopo l’ultimo ritorno. «Quella volta scese dalla macchina con le stampelle, a malapena fece un cenno di saluto a mamma ed entrando stracciò le decorazioni dicendo che non c’era niente da festeggiare. Strappò lo stereo su cui c’era il suo cd preferito e lo buttò per terra. Poi salì le scale ed entrò nella sua stanza sbattendo la porta dietro di sé. Io e Harry ci rimanemmo malissimo. Lei si mise a piangere, disperata e spaventata, quando lo stereo è schiantato al suolo. Io... Io rimasi immobile, non capivo cosa fosse successo, in cosa avevamo sbagliato.» I ricordi mi portano lontano, riesco quasi a sentire il pianto di mia sorella e il cuore che mi tamburellava terrorizzato nel petto.

«Se non te la senti di raccontare, John, non c’è fretta, lo sai. Abbiamo tutto il tempo che vuoi,» mi sussurra all’orecchio. Sento la sua agitazione come se stesse vivendo su di sé ciò che sto raccontando.

«No, Sherlock, te lo devo dire oggi o non so quando avrò la forza di parlartene.» Poi aggiungo: «Se tu vuoi.»

Lo sento stringermi un po’ più forte e sorrido pensando a quanto sono fortunato ad avere un uomo come lui accanto. Rimango in silenzio a godermi la sua presenza ancora per qualche minuto prima di ricominciare a parlare: «La prima volta che mio padre alzò le mani su di me è stato quando avevo undici anni, qualche mese dopo essere tornato.» Per un istante mi sento soffocare al pensiero di quel giorno, alla paura che ho avuto. Sherlock intanto si irrigidisce e sento che trattiene il respiro per qualche secondo, probabilmente per trattenere la furia. «Ero tornato a casa di corsa e avevo sbattuto contro delle bottiglie di birra vuote lasciate sul pavimento. Lui non sopportava i rumori dopo che era tornato. Tanto meno quelli bruschi. Era seduto sulla poltrona, quasi sprofondato e circondato da bottiglie e lattine vuote, addormentato. Il rumore lo svegliò e si alzò di soprassalto. Quando capì cos’era successo, corse come una furia verso di me incespicando nei suoi stessi piedi, e mi prese per il collo trascinandomi verso di sé. Ero rimasto immobile, terrorizzato. A malapena riuscivo a respirare, e lui mi strillava addosso. L’odore dell’alcool unito con la mancanza di ossigeno mi stordiva. Riuscii a sussurrare solamente: “Papà”, e all’improvviso lui si fermò lasciandomi andare. Caddi sul pavimento tossendo. Lui si voltò e mi disse solo di salire in camera mia e di non uscirne finché non mi avesse chiamato. Lo feci. Rimasi chiuso nella mia stanza per quattro giorni. Mamma e Harry mi portavano da mangiare, uscivo solo per andare in bagno, e cercavo di farlo quando ero certo che papà non fosse al piano di sopra. Mamma cercò anche di farmi scendere per mangiare con loro, ma io non volevo. Non se non fosse stato papà a permettermelo. Al quarto giorno, la sera, lo sentii salire pesantemente le scale, fermarsi davanti alla mia porta e dirmi di scendere per cena. Solo allora uscii. Ci misi quasi due settimane per avere il coraggio di alzare lo sguardo su di lui un’altra volta e mi accorsi che lui ci mise ancora di più a guardarmi in faccia.»

«Dev’essere stato orrendo.»

«Per niente piacevole, in effetti.»

«Grazie di avermi voluto raccontare questa cosa.»

«Ci sarebbero tante cose, ancora, ma adesso non ce la faccio.»

«Perché non mi racconti qualcosa di bello? Portami in un bel posto, John.»

Mi volto nel suo abbraccio e lo guardo fisso negli occhi. «Non esiste un posto migliore di questo.» Mi stringo nel suo abbraccio mentre lo sento sorridere sulla mia pelle.

Mi tiene stretto fino a quando il sonno non vince su di me.


Continua...


Note: Come per il primo capitolo Sherlock è forse un po' troppo dolce e lo sarà per tutto la storia ma credo che in un certo senso se sentisse che John ne ha davvero bisogno lo sarebbe davvero. E qui John ne ha proprio bisogno. A settimana prossima.
 
[1] Medaglia: la più alta onorificenza britannica assegnata per il coraggio dimostrato di fronte al nemico in battaglia.
  
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