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Autore: nozomi08    05/10/2018    3 recensioni
Anno x791, regno di Fiore, città di Magnolia. Terminato il recente Dai Matou Enbu, e conclusa felicemente la vicenda di Eclypse, lo scalmanato gruppo di Fairy Tail rincasa nella nuova gilda, ritornando ai felici ritmi di sette anni fa. Tutto sembrava tornato alla normalità, se non fosse stato per l’arrivo di una figura misteriosa, proveniente da un mondo distorto chiamato Astral. Il suo passato misterioso, è pieno di sfaccettature.
Cosa c’entrerà mai con la gilda oscura di Gacrux, colei che detiene il primato degli affari sull’importo d’armi, principale alleata dell’alleanza Balam, che recentemente aveva aumentato i suoi traffici? Quale è il vero rapporto tra questo sconosciuto ed Loki, il master di Gacrux? Qual è il suo scopo, il motivo per cui è qui? E soprattutto, quale sarà il ruolo dei maghi degli Spiriti Stellari e delle 12 Chiavi d'Oro nel loro losco piano?
Starà al giovane e turbolento gruppo di Fairy Tail scoprirlo.
ATTENZIONE! CAPITOLI REVISIONATI!
Genere: Avventura, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucy Heartphilia, Natsu, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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SHOPPING, DISGUIDI E TEAM IMPROBABILI

-Natsu?! –
Incredula, coprendosi il seno Lucy corse ad accendere la luce, che gli mostrò il rosato a terra a gambe incrociate, mentre con una mano si teneva la guancia dolorante.
-Yo, Lucy! – esordì allegro, mentre Happy gli si posava sulla testa.
-I calci di Lucy fanno davvero paura… – la salutò così anche lui.
-Siete davvero incorreggibili, siete passati di nuovo dalla finestra senza il mio permesso?! – li strillò la maga. I due sorrisero colpevoli, e Lucy sospirò arresa. Si stava quasi rassegnando al fatto che ormai quello era diventato un vizio impossibile da togliere.
-Comunque, cosa ci fate qui adesso? Non eravate tornati a casa? – chiese, dando loro le spalle per rimettersi almeno la maglietta che aveva gettato a terra.
-Natsu era geloso di At- - tentò di dire Happy, ma fu interrotto da un cazzotto di Natsu che lo centrò in pieno muso prima che potesse finire la frase. Il rosato guardò Lucy, a disagio.
-Ero preoccupato per te. – confessò un momento dopo imbronciato, a braccia conserte -Per quanto tu mi ripeta che va tutto bene, non mi piace affatto che quel tipo ti stia intorno, non mi fido. – proseguì con tono irritato. Lucy se ne stupì, non volendo credere che Natsu, il Natsu che tutti conoscevano, allergico alle questioni di cuore, si stava veramente ingelosendo.
“Ma, d’altro lato, se veramente è così come penso, come spero…” un senso di felicità la pervase, come una coperta calda in una notte di gelo. Sorrise dolcemente. Inebriata dai suoi stessi sentimenti, raggiunse il rosato e si sedette accanto a lui, che in quel momento la guardava con curiosità. E Natsu sentì il palpito del proprio cuore intensificarsi quando vide Lucy chiudere gli occhi e appoggiare la testa alla sua spalla. Finiva sempre così, con lui che si sorprendeva stregato a guardarla ad ogni suo gesto, ad ogni briciolo di attenzione che gli rivolgeva, sentendo un vortice di fiamme danzare nello stomaco. Un sentimento che ancora non comprendeva appieno lo spinse a desiderare di baciarle il capo e abbracciarla, stringendola a sé. Eppure, insicuro della natura dei suoi stessi sentimenti e di quelli della maga, esitò, limitandosi ad appoggiare il proprio capo sopra quello di Lucy. Ma anche solo quel gesto, la rese immensamente felice.
-Grazie, Natsu…- sospirò commossa, ancora con gli occhi chiusi, iniettando in quelle parole tutto l’amore che provava per lui. Il cuore del Dragon Slayer tremò, come in risonanza alla musica della voce e delle parole della maga, e a lui sembrò di rimanere senza fiato. Presto sentì il respiro di Lucy farsi più profondo e regolare, facendogli capire che si era addormentata così, accanto a lui. Sbirciò il volto sereno della maga, che ancora sorrideva lievemente, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Muovendosi il più delicatamente possibile per non svegliarla, Natsu spostò il braccio dietro la schiena di Lucy, mentre faceva passare l’altro sotto le sue ginocchia. Il rosato la sollevò con delicatezza, come fosse una principessa, e l’adagiò sul letto, sistemandosi affianco a lei come faceva tutte le volte che passavano la sera in quell’appartamento. Dopo averla osservata con devozione per qualche altro momento, fece cenno ad un Happy malizioso ma felice di spegnere la luce e chiuse gli occhi, prima che anche l’exceed si accoccolasse con loro0020 ai piedi del letto. Si addormentarono così, confortati dai loro respiri, e scaldati dai loro stessi sentimenti che si celavano come ombre dallo sguardo della luna alla finestra.
E nello stesso momento, in una stanza al piano di sopra…
Atlas se ne stava disteso comodamente sul letto, con indosso solo un paio di pantaloni di cotone che aveva rimediato come presunto pigiama, e fissava meditabondo il soffitto, studiando distrattamente le ombre che la luce della luna creava fendendo l’oscurità silenziosa della stanza. Avvolto nel tepore delle membra rilassate e adagiate sul proprio materasso, Atlas riviveva, momento per momento, il tempo trascorso con Lucy, durante il tragitto verso casa. Inizialmente aveva pensato fosse attratto da lei perché era una bella ragazza (e definirla semplicemente “bella” era anche diminutivo), ma ora non riusciva a togliersi di dosso la sensazione di benessere e di libertà che aveva provato parlando con lei, camminando affianco a lei. Non si era mai sentito così a suo agio con qualcuno, a eccezione di Alhena , Klaus, Olivier e Yvonne, la giovane proprietaria del bordello dove vi si recava spesso quando era ancora ad Al Nair, e che era diventata sua cara confidente. Ancora più assurdo era che si sentisse in quel modo con una ragazza, una persona che conosceva a malapena. E poi, da dove veniva quel senso di familiarità che aveva provato, come se l’avesse già conosciuta in un tempo passato, perso nell’oblio? Mentre cercava invano di dare una risposta, portò assorto una mano al ciondolo, rigirandoselo tra le dita. Ricordò, quasi con un senso di colpa, anche il desiderio carnale di possesso che era nato in lui nei confronti della bella maga, e che era affiorato ben due volte quella sera. Aggottò la fronte preoccupato, mentre il suo sguardo si adombrava, accarezzando ora la superficie liscia della pietra nera incastonata al petto. Già ad Astral negli ultimi tempi la sete di Asmodeus era diventata sempre più vorace e si trovava costretto a soddisfarla spesso tra le braccia di Yvonne e delle sue dame di piacere, ma da quando era approdato lì a Fiore la fame era diventata improvvisamente molto più difficile da gestire. E infatti, al primo segno di debolezza il suo obscurius (o demone, come veniva più comunemente chiamato) ne aveva subito approfittato per cibarsi delle anime degli uomini che aveva incontrato al porto quel giorno. Non si aspettava che dopo quella carneficina la sua sete si risvegliasse così presto, e ciò iniziò a preoccuparlo sul serio. Avrebbe dovuto controllarsi a dovere d’ora in avanti, o temeva di spaventare Lucy e farle involontariamente del male, dato quello che aveva iniziato a provare nei suoi confronti. La sua mano si chiuse attorno al frammento, e desiderò follemente di poterlo strappare e gettare via, lontano da lui.
“Loki… è tutta colpa tua!” pensò con un improvviso fremito di rabbia repressa. Non solo gli aveva strappato via sua madre, ma lo aveva condannato a una maledizione che lo avrebbe tenuto avvinghiato a sé per tutta la vita. Non poté fare a meno di chiedersi per l’ennesima volta come avevano fatto ad arrivare a quel punto, lui, che una volta considerava come un padre. Dove? Dove avevano sbagliato?
Inspirando profondamente più e più volte, oppresso da quei pensieri, si girò su un fianco e cercò di addormentarsi. Sfumata la rabbia, un senso di smarrimento e solitudine riaffiorarono in lui, riportandolo di nuovo a ricordi bui della sua vita. Strinse il cristallo donatogli da Alhena nella mano e chiuse gli occhi, desiderando ardentemente e disperatamente che la sua principessa fosse lì con lui, ad abbracciarlo come aveva sempre fatto, sin da quando si erano conosciuti da piccoli. Gli mancava come lo stringeva a sé quelle innumerevoli volte che si era trovato in preda agli incubi, sussurrandogli tra i capelli che andava tutto bene, perché c’era lei, perché erano insieme. Ma in quel momento a cingerlo non c’era nessuno, se non il freddo vuoto dell’assenza e il silenzio della notte.

§ § § § §

Il mattino dopo, Atlas si svegliò più tardi del solito, data la spossatezza che lo aveva afflitto in quei giorni, e tra poco avrebbe dovuto recarsi in gilda per chiedere qualche missione. Maledicendosi tra sé e sé, scappò a farsi una doccia fredda per svegliarsi dal torpore. Bagnato e con ancora l’asciugamano in vita, arraffò i primi indumenti che trovò nel cassetto del piccolo armadio a due ante affianco al comodino del letto e iniziò a vestirsi, cercando di fare in fretta.
“Dannazione dovevo anche andare a comprarmi un nuovo mantello e fare la spesa!” pensò stizzito.
Si stava infilando la maglietta, quando sentì bussare alla porta. Con una manica ancora da infilare, si approcciò alla porta e aprì d’istinto, senza nemmeno controllare. Con lieve sorpresa, si ritrovò faccia a faccia con Lucy, che non appena lo vide scoppiò a ridere. Con la maglietta mezza infilata che gli lasciava l’addome mezzo scoperto, lo sguardo smarrito e ancora assonnato, e i capelli umidi e arruffati, Atlas aveva un aspetto buffissimo e tenero che mai si sarebbe aspettata di vedere.
-Buongiorno Atlas! – lo salutò allegra, con uno strascico di risa.
-‘Giorno a te. – le rispose Atlas imbronciato, avendo capito che lo stava prendendo in giro -Come mai sei venuta da me? Vuoi entrare? – le chiese.
“E soprattutto come ha fatto ha sapere che la mia stanza è proprio questa?” aggiunse mentalmente, e sospettò che la proprietaria del condominio c’entrasse qualcosa.
Lucy, scuotendo la testa, rispose: -No, sono solo venuta a chiamarti per andare insieme in gilda. Natsu e Happy ci stanno già aspettando di sotto. –
-Andate pure, se volete, non voglio far aspettare oltre il tuo ragazzo con il suo gatto volante. – disse, notando con piacere che le gote di Lucy si erano leggermente arrossate.
-N-non è il mio ragazzo. – protestò lei, balbettando.
-Ah no? – esordì sorpreso -Allora è il tuo amante? – la stuzzicò, quasi geloso al pensiero che fosse così. A quelle parole Lucy gli lanciò uno sguardo tagliente e alzò un pugno come minaccia implicita, spingendo Atlas a ritornare serio.
-Va bene, scherzavo, divina Lucy. – si arrese -Ma sono serio, non voglio farvi perdere tempo, prima devo recarmi alla zona commerciale per procurarmi un mantello nuovo. – le spiegò, finendo di infilarsi la maglietta.
-Capisco…- disse, quasi dispiaciuta -Ma almeno sai la strada? – chiese, mentre il ragazzo rientrava in salone a prendere le scarpe.
-Per la gilda, dici? – chiese lui, mentre se le infilava. Di questo passo alla fine sarebbero scesi insieme, e Natsu avrebbe continuato ad aspettarli impaziente al portone.
-No, intendo per i negozi. – precisò lei, che al silenzio titubante di Atlas intuì che no, la strada non la sapeva affatto, e iniziò già a pensare a una soluzione. Finito i preparativi e chiusa la porta, i due raggiunsero il rosato e il suo fedele amico exceed, che li attendevano.
-Ce ne hai messo di tempo! – sbottò, rivolgendosi ad Atlas. Quest’ultimo fu sul punto di rispondere a tono con una delle sue risposte sarcastiche, ma dato che il gruppo era veramente in ritardo per colpa sua, tenne a freno la lingua. Inoltre, aveva ormai capito che il rosato nutriva un’antipatia spontanea nei suoi confronti, non sapeva se dovuta alla totale mancanza di fiducia o a chissà quale altra motivazione. Anche per questo motivo, rispondere al fuoco con il fuoco non era la scelta migliore per tessere un rapporto pacifico con lui. Perciò, al commento di Natsu Atlas rimase in silenzio, abbassando lo sguardo corrucciato e chinando lievemente il capo in segno di scusa. Dopo avergli rivolto una lunga occhiata severa, Natsu si rivolse a Lucy.
-Forza, andiamo in gilda ora, gli altri ci stanno aspettando per la missione.-
-Ecco, a tal proposito…- esordì Lucy, quasi esitante. Natsu alzò un sopracciglio, guardandola incuriosito.
-Cosa c’è? –
-Non vuoi più andare in missione Lucy? – chiese Happy. Lucy evitava i loro sguardi.
-Ti senti poco bene? – aggiunse allora Natsu preoccupato.
-No, no, non è questo il problema… - disse. Congiunse le mani e si portò le braccia al petto, vestendosi dell’espressione più tenera e supplichevole che riuscisse a fare. Natsu e Happy si scambiarono un’occhiata, ancora più perplessi dall’atteggiamento della maga.
-Potreste andare intanto alla gilda ad avvisare gli altri che ritarderò di qualche ora? Atlas deve comprare un nuovo mantello, e dato che non sa la strada vorrei aiutarlo e accompagnarlo. – disse in un fiato, agitata, lasciando Natsu e Happy di stucco.
“Che poi, perché tutto d’un tratto mi sento di avergli fatto un torto?!” pensò un attimo dopo concitata “Sto solo aiutando un amico, e poi Natsu non è il mio ragazzo!”
Invece, Atlas, si stava gustando la scena con curiosità ed interesse, specialmente osservando la reazione del rosato, che guardava la sua compagna confuso, ferito e incredulo. Natsu infatti non aveva affatto gradito quella richiesta, non tanto per la parte riguardante la missione o l’andare a fare compere quanto perché Lucy aveva rinunciato a lui per andare insieme all’altro. Ripensando alla notte appena trascorsa insieme, una delle tante trascorse così, si sentì tradito, in un certo senso, e non se l’aspettava. Non da Lucy. La sua Lucy.
-D’accordo. – bofonchiò, non riuscendo a nascondere la delusione -Ma cerca di fare in fretta. – aggiunse, incamminandosi verso la gilda con le mani in tasca e strascicando i piedi con un’aria abbattuta. Happy guardò preoccupato l’amico, per poi puntare i suoi occhi neri su Lucy, scuotendo la testa in segno di disapprovazione.
-Potevi anche chiederlo solo a me, sai? Non mi sarei offeso ad andare da solo. – la rimbeccò dispiaciuto e amareggiato l’exceed, raggiungendo poi in volo l’amico per confortarlo, intensificando così i sensi di colpa della maga, che ancora non riusciva a capire dove aveva sbagliato.
“E’ vero…” pensò accorata, dopo averci riflettuto “Avrei potuto anche chiederlo solo ad Happy, e non a Natsu… eppure, perché al pensiero che fosse venuto con noi mi sento a disagio, come se non si sarebbe rivelata una buona idea?”
Sentì un leggero tocco sullo spalla, e voltandosi incontrò gli occhi di Atlas, velati di una taciuta compassione che un po’ la sorprese, quasi avesse percepito l’eco dei pensieri della maga.
-Vogliamo andare? – le chiese teneramente, con voce sommessa. La maga annuì debolmente e si incamminò, ancora attanagliata dal senso di colpa e dal pensiero di aver ferito Natsu. Un pensiero che le usurpava tutta la vitalità che di solito scorreva in lei come una cascata. Atlas le camminava affianco, in silenzio, quasi partecipe della sua sofferenza, dimostrando un tatto che Lucy non immaginava potesse avere. “Sono un uomo dalle mille sorprese” le aveva detto, e le venne quasi da ridere a pensare che forse aveva ragione a dirlo.
Lucy proseguiva la sua camminata senza parlare, e Atlas la seguiva docilmente, osservandola rattristato. Comprendeva bene i sentimenti della maga, perché erano gli stessi che lui aveva provato ogni volta che era scoppiato un litigio con Alhena, piccolo o grave che era. Li vedeva, quei sentimenti, nello sguardo basso della maga, vedeva l’afflizione e il senso di colpa ombreggiare le sue iridi, incresparle la fronte. Vedendola così triste come mai gli era capitato di vederla, dovette resistere all’impulso di cingerle le spalle e attirarla a sé in una specie di abbraccio. Avrebbe voluto farle sapere che le era vicino, anche se non si conoscevano bene, che quel momento sarebbe passato. E Atlas ne era certo, sapeva che sarebbe passato, se i sentimenti che lei e il rosato provavano l’un l’altra erano abbastanza forti come credeva. Si sarebbero rivisti, un gioco irruento di sguardi e di parole, e avrebbero fatto la pace. Ma sapeva anche che la parte difficile era proprio questa, quel momento in cui ogni parte di te, anche quella più razionale, affoga nelle acque tumultuose dei tuoi stessi sentimenti, facendola affondare negli abissi. A volte il silenzio era un unguento capace di guarire le ferite più brucianti, ma in questo caso, non bastava. Ci volevano i gesti, portatori di parole taciute ma vorticanti attorno al gesto stesso, come fossero un profumo. E Atlas questi gesti non poteva concederglieli. Non ancora, perlomeno.
Perciò, per quanto sconclusionato e goffo potesse risultare, decise di distrarla nell’unico modo che conosceva senza toccare fisicamente una donna: prendendola in giro.
-Sai, c’è un detto che dice: l’amore non è bello, se non è litigarello. – proruppe, guadagnandosi l’occhiata confusa di Lucy, che era ancora sovrappensiero.
-Già, litigare con il tuo fidanzato ha i suoi pregi sai? – proseguì. Lucy continuava a guardarlo perplessa e incuriosita, non riuscendo a seguire il discorso del giovane. Atlas sospirò con aria melodrammatica.
-Non guardarmi con quegli adorabili occhi da cerbiatto, sai cosa voglio dire! Quando una di queste sere ti rivedrai con Natsu, capirai le mie parole. – disse, esibendo un sorriso così colmo di malizia che fece suonare in Lucy i suoi nuovi campanelli d’allarme creati appositamente per captare i doppi sensi di Atlas.
-Co-cosa vuoi dire Atlas? Non riesco a seguirti…- azzardò lei guardinga. Il sorriso sornione di Atlas si fece ancora più largo.
-Ma come, non lo sapevi? Fare la pace dopo aver litigato con il tuo lui significa una bella notte di sess- ahia! – gridò, massaggiandosi il capo dolorante. Lucy gli aveva assestato un duro cazzotto sulla testa poco prima che terminasse la frase, fumante di imbarazzo.
-Atlas scemo! Guarda tu cosa devono sentire le mie orecchie! – gesticolò scandalizzata -E poi ti ho già detto che Natsu non è il mio fidanzato! – precisò.
-Sì, sì, non imbrogli nessuno qui, mia divina Lucy…- la stuzzicò ancora. Lucy sospirò pesantemente e alzò gli occhi al cielo. Esasperata com’era a quel punto, non aveva nemmeno al forza di obiettare. Sapeva sarebbe stata una causa persa con lui, e che rispondendogli a tono non avrebbe fatto altro che reggere il gioco (e il divertimento) del ragazzo dagli occhi scarlatti. Dopo averle lanciato un’altra occhiata divertita, Atlas decise di tornare serio.
-Lucy, avrai anche sbagliato a non invitarlo a venire con noi, ma non l’hai fatto con cattiveria. -cominciò, catturando l’attenzione di Lucy.
-Inconsciamente hai voluto evitare che io e Natsu finissimo per litigare in mezzo alla piazza, dato che non si fida affatto di me e quasi mi disprezza. Sicuramente lo avrà capito anche lui. Adesso è solo geloso, un capriccio, tutto qua. Non appena vi rivedrete sarà tutto più chiaro a tutti e due, e farete la pace. – finì, rivolgendole uno sguardo fiducioso e sorridendole lievemente.
Di fronte a quelle parole così… confortanti, come la carezza di un vento estivo, Lucy sentì qualcosa smuoversi dentro di lei, come una creatura che si destava ai raggi del sole, intorpidita da un lungo sonno. Gratitudine? Affetto? Commozione? O tutte e tre? Questo al momento Lucy non sapeva dirlo. Tutto quello di cui era conscia in quell’istante, erano il sorriso di Atlas, sfuggente e impercettibile come i petali di ciliegio al vento, e i suoi occhi, che le riversavano addosso un affetto che sapeva dello stesso sapore della cioccolata e delle arance.

§ § § § §

Dopo un’ora di camminata passata a parlare del più e del meno, Lucy ed Atlas giunsero finalmente nella zona commerciale della città di Magnolia, situata nel cuore della città. Questa zona pullulava di negozi di vario genere con esposte le mercanzie più variegate: dai prodotti autoctoni a quelli esportati, dai negozi di antiquariato a quelli di abbigliamento, dalle librerie ai negozi di strumenti musicali, dai souvenir ai prodotti gastronomici, e tanto altro. Era una tavolozza dei colori più variopinti e dei suoni più disparati, e vibrava di una vitalità che solo l’intreccio di centinaia di vite sa regalare. In quella zona, quasi si pensava che la città fosse viva e che respirasse di sua volontà. E Atlas osservava tutto, ogni minima cosa, ogni impercettibile dettaglio, con la stessa meraviglia e ingordigia di un bambino che scopre il mondo per la prima volta. Quel posto, sebbene così bagnato di luce e di colori così vibranti da essere quasi dolorosi da guardare, somigliava così tanto ad Al Nair da lasciarlo quasi senza fiato per il senso di casa che gli suscitava e la struggente mancanza della città natale. La lieve risata di Lucy lo scosse dall’incantesimo della città e dal potere ammaliatore dei suoi stessi ricordi.
-A quanto pare la città ti ha lasciato senza parole, eh? – disse divertita. Atlas non obiettò, e si limitò a guardare ancora rapito quella danza di vite, suoni, odori, colori. Come aveva fatto a non averci mai messo piede prima di allora?
Divertita dall’espressione esterrefatta e incantata sul volto dell’amico (perché a questo punto potevano chiamarsi così no?), Lucy sorridendo gli prese la mano e lo guidò in quel mare di vita, dritti verso la meta. Ma la traversata si mostrò più ardua di quanto potesse sembrare, perché Atlas si fermava continuamente ad osservare, toccare, odorare qualsiasi cosa entrasse nel suo raggio visivo, tempestando Lucy di domande alle quali non poteva far altro che rispondere, di fronte alla sua traboccante, genuina curiosità. Per una volta, gli sembrava fosse tornato il bambino che era stato un tempo, e Lucy a malincuore dovette trascinarlo via da quel covo di meraviglie in cui era caduto senza quasi nemmeno accorgersene. Atlas rimaneva ancora per lei un labirinto smeraldo avvolto da una nebbia misteriosa e surreale, ma quel tempo che stava passando con lui la stava aiutando ad attraversare a poco a poco, quella nebbia, svelandole la strada e i dettagli che mai si sarebbe immaginata di vedere.
Intanto che Atlas si perdeva in quello che gli sembrava un dipinto versicolore che aveva preso improvvisamente vita, Lucy scrutava i negozi di abbigliamento alla ricerca di quello che più le garbava, sperando che avesse un mantello adatto per il giovane che si stava trascinando mano nella mano. Non appena le parve di averlo trovato, la maga vi si fiondò varcando la porta d’ingresso. Al tintinnio della campanella appesa alla porta, li accolse una vecchia signora che, dopo aver notato le loro mani ancora giunte, con una strana espressione divertita chiese loro di cosa avessero avuto bisogno. Atlas, ovviamente, si era accorto dello sguardo della proprietaria del negozio, e improvvisamente la consapevolezza della presenza della mano di Lucy nella sua lo colpì come uno schiaffo. Aveva delle mani abbastanza piccole, morbide e calde e… gentili. Ancora provato dalle cupe sensazioni della notte appena trascorsa, quel contatto gli irradiava una sensazione di tepore e di vicinanza che lo faceva stare incredibilmente bene, che lo scaldava dentro, e voleva approfittarne ancora per un po’. Perciò non disse nulla e lasciò che la maga parlasse con la proprietaria, gustandosi quel contatto il più a lungo possibile.
-Oh non si preoccupi signorina, è capitata proprio nel posto giusto! Troveremo di certo un mantello che si adatti alla perfezione al vostro bellissimo ragazzo! – stava dicendo la signora. A quelle parole Lucy si rese conto delle proprie mani ancora avvolte in quelle di Atlas e imbarazzata le sciolse subito, quasi scottassero.
-A dire la verità signora, non è il mio ragazzo…- obbiettò imbarazzata, lanciando uno sguardo accusatorio ad Atlas -Ma la ringrazio per l’aiuto! -
La signora però, guardandola scettica e divertita, scosse la testa sorridendo e li pregò di seguirla in fondo al negozio, laddove si trovavano i mantelli. Atlas stava per pescarne uno a caso, date le sue scarse preferenze e soprattutto dato il suo portafoglio abbastanza scarno, quando la signora lo girò bruscamente e gli prese il volto tra le mani, girandolo da un profilo all’altro, scrutandolo concentrata come fosse un pezzo da museo da esaminare.
-Giovanotto, hai dei colori difficili, ma veramente incantevoli.- gli disse, dedicandosi poi a setacciare la mercanzia. Atlas bofonchiò un “grazie”, mentre guardava con un leggero timore la signora che si scambiava pareri vestiari con Lucy. Guardandole, ebbe la sensazione di aver perso ogni parere decisionale per la scelta finale, ed ebbe quasi paura per quello che stava per accadere per mano di quelle due. Infatti, nei momenti seguenti Atlas fu travolto da una tempesta fatta di stoffe e colori che si gettavano su di lui come onde sul mare, e non poté opporvisi in alcun modo. Dopo un lasso di tempo che ad Atlas parve un’eternità, la lotta che le due avevano ingaggiato contro la moda e i tessuti risparmiò solamente due mantelli, entrambi di velluto e dotati di cappuccio, di fronte ai quali Lucy e la signora si trovarono ad indugiare indecise: sarebbe stato più adatto quello rosso veneziano, screziato ai bordi di decorazioni nere, dello stesso colore della fodera di raso, oppure sarebbe stato meglio quello nero, ma attraversato da una danza di linee e disegni scarlatti, come era la sua fodera di seta? Guidata dall’istinto, Lucy prese il mantello nero e lo adagiò con grazia su un Atlas imbronciato e a braccia conserte. Tirò su il cappuccio e… seppe che era quello giusto. Fece un passo indietro, e rimase a guardarlo incantata, mentre la signora, anch’essa meravigliata, si complimentava con lei per la scelta. Le ombre scure che il cappuccio gettava sul viso ancora corrucciato del giovane non facevano altro che mettere tremendamente in risalto il colore delle sue iridi, mentre le decorazioni rosse e il colore nero del mantello intessevano un’aura magnetica attorno alla sua figura e ai rubini che brillavano sul suo volto insieme all’acquamarina della pietra che portava al collo.
“È…stupendo.” pensò Lucy ammaliata. Fu riscossa dal suo stato di trance quando la signora, entusiasta, le disse che aveva scelto il regalo perfetto per il suo ragazzo.
-Giovanotto, la tua ragazza ha decisamente occhio, ti sta d’incanto! – esclamò, rivolgendosi a lui. Atlas la ringraziò, tirandosi indietro il cappuccio e sorridendole con cortesia, ma in quel momento stava sudando freddo pensando a quanto gli sarebbe costato il mantello scelto da Lucy. Quando infatti il giovane, simulando una certa calma, le chiese il prezzo di quel bellissimo capo, la signora, con gli occhi che luccicavano al pensiero dell’affare in corso, rivelò la predetta cifra da capogiro che colpì i due alla stregua di un vigoroso pugno in faccia. Atlas stava per aprire bocca per rifiutare e suggerire un capo più economico, ma Lucy lo interruppe dicendo che l’avrebbero preso, lasciandolo così senza parole.
-Amore…- iniziò enfatizzando la parola per vendicarsi, facendola innervosire -Non devi per forza prenderlo, lo sai…- disse, rivolgendole un’occhiata eloquente.
-Infatti pagheremo insieme. – ribatté Lucy con lo stesso tono apparentemente gentile che aveva usato lui. L’affermazione lo lasciò spiazzato, e non sapendo come controbattere, si arrese alla decisione di quella ragazza dall’aspetto angelico che aveva appena causato una crisi delle sue finanze senza precedenti.
Uscirono così dal negozio una Lucy di ottimo umore e un Atlas che nonostante il mantello nuovo fiammante pareva appena uscito da una passeggiata negli inferi. Alla fine, Atlas aveva pagato gran parte dell’incasso (non puoi far pagare una somma del genere alla tua dolce metà, no?) e Lucy mossa da compassione aveva coperto il restante che non era riuscito a pagare quando si era accorta che era rimasto pericolosamente agli sgoccioli.
Atlas sospirò pesantemente, pensando che se non fosse andato in missione al più presto non solo l’avrebbero cacciato fuori dall’appartamento, ma avrebbe dovuto stare anche a digiuno.
-Si può sapere perché ti ci sei messa così d’impegno e hai voluto prendere questo stramaledetto mantello a tutti i costi?- chiese alla maga con asprezza, guardandola torvo.
-Perché? – chiese innocentemente -È un bellissimo mantello, e di ottima fattura. Sarà stato un po’ caro, è vero, ma secondo me ne è valsa la pena. La signora ci ha anche fatto un po’ di sconto! - gli disse con un mezzo sorriso canzonatorio che lo irritò ancora di più. Perché Atlas era convintissimo che la maga l’aveva fatto per vendicarsi delle sue prese in giro negli ultimi giorni.
-E comunque te l’avrei anche pagato io, musone, se non fossi anche io al verde e con la rata dell’affitto da pagare la prossima settimana. – proseguì corrucciata, sentendosi in fondo un pochino in colpa per avergli fatto spendere una cifra così eccessiva per un suo capriccio estetico e sì, anche per fargli un dispetto. Atlas schioccò la lingua, ma decise di non dire nulla perché, alla fin fine, si stava rendendo conto che quel mantello era inaspettatamente molto comodo, oltre che resistente. Magari, se l’avesse trattato in maniera decente, dato quanto gli era costato, avrebbe anche potuto usarlo per un lungo periodo di tempo prima di sbarazzarsene.
Lucy, frattanto che camminavano, stava rendendosi conto di essersi forse lasciata trasportare troppo, e stava quasi rimpiangendo di non aver optato per un capo più sobrio. Atlas non se ne rendeva conto, o forse non lo faceva di proposito, ma molti occhi femminili lo stavano accarezzando come piume e si adagiavano su di lui come farfalle. È incredibile come un semplice capo, un piccolo dettaglio, possa donare un aspetto così folgorante e magnetico, esaltando ogni forma, ogni curva. La bellezza di Atlas non stava tanto nella forma ovale nel viso, nel naso dritto e leggermente all’insù, o nelle labbra aggraziate, o nella piccola cicatrice che gli attraversava il sopracciglio sinistro, ma nell’aura ammaliatrice che emanava, negli sguardi intensi e vivi che ti rivolgeva. E con quei capelli scarmigliati e sbarazzini dalle ciocche color del fuoco, e il cristallo al collo, e il mantello e quello… sguardo era perfettamente normale che attirasse l’attenzione della gente, specie del gentil sesso. E Lucy si sentì soverchiata da quegli sguardi goliardici e stupiti e dai loro sussurri, e quasi si sentì fuori posto a camminare affianco a lui… finché Atlas non le afferrò la mano, e iniziò improvvisamente a correre, trascinandosela dietro esattamente come aveva fatto lei con lui quella stessa mattina. Solo quando furono usciti dal fulcro della zona commerciale, approdando in quella parte di periferia vicino al loro appartamento e alla gilda, che Atlas fermò quella corsa forsennata, e riprese a camminare normalmente. Lucy, che ancora gli teneva la mano, era senza fiato.
-E ora perché, all’improvviso… - annaspò -Hai iniziato a correre come un razzo? –
Con un leggero fiatone, le rispose: -La gente… mi stava mettendo inquietudine. Amo gli sguardi delle belle donne, ma non quando mi fissano così. È troppo anche per me. – concluse con una smorfia.
Lucy, osservandolo divertita e sollevata, stava pensando a quanto fosse buffo e singolare che entrambi si fossero sentiti inquieti nello stesso istante, quando si accorse che, di nuovo, erano ancora mano nella mano. Mollò la presa, schiarendosi la gola, meravigliandosi di quanto si fosse sentita a suo agio in un gesto per lei così intimo e imbarazzante.
-Bene, ora conviene affrettarci per andare in gilda. – sentenziò, incamminandosi impettita. Guardandosi la mano che aveva stretto quella della maga, Atlas sorrise leggermente, e la raggiunse.

§ § § § §

Stavano proseguendo la loro camminata verso la gilda, quando, per pura casualità (o almeno così credeva Lucy), finirono davanti alla pasticceria che soccorsero l’altra sera. In realtà, era stato Atlas a guidarli appositamente lì, non appena l’odore di bruciato che ancora si percepiva lievemente nell’aria gli accarezzò le narici. Quando poi, poco dopo, aveva udito il rumore di travi di legno battute, metallo stridente e chiodi fissati, gli affiorò nella mente l’immagine della pasticceria e decise di andare a controllare, con Lucy al seguito. Una volta arrivati sul posto, notarono anche il proprietario, che stava sorvegliando i lavori con il nuovo progetto in mano. Sentendosi osservato, il paffuto signore dai grigi baffi ridenti si voltò nella loro direzione e riconoscendoli, fece loro il gesto di avvicinarsi. Incuriositi, i due raggiunsero il signore e conversarono con lui sull’andamento dei lavori di ricostruzione alla pasticceria.
-Giovanotti, speravo proprio di rincontrarvi, volevo ringraziarvi di cuore per il vostro aiuto, quella sera! – affermò infine il signore, e mentre i due ribattevano che avevano solo fatto quello che era stato giusto fare, il pasticcere tirò fuori una pergamena tenuta arrotolata da un sottile nastro rosso.
-Questo è un invito speciale alla festa di riapertura del prossimo weekend per voi e per i vostri amici, vi prego di accettarlo come segno di gratitudine da parte mia. – disse, porgendo il rotolo di carta a Lucy, che non sentendosela di rifiutare l’accettò riconoscente.
-Sappiate anche che vi aspetterà una bella sorpresa, se deciderete di venire, e io lo spero tanto! – aggiunse il pasticcere ridendo, facendo loro l’occhiolino.
-Le siamo veramente riconoscenti per la vostra gentilezza, accettare il vostro invito è per noi un enorme piacere. – disse Atlas con un lieve inchino, dimostrando tutta la sua galanteria. Il signore, sorridendo, agitò le mani in un gesto di imbarazzo.
-Il piacere è tutto mio, giovanotto! – rispose l’altro, lisciandosi i baffi.
Notando che si stava facendo troppo tardi, i due infine si congedarono dal generoso signore, non senza aver espresso di nuovo la loro riconoscenza per quel pensiero inatteso. Poco dopo che Atlas e Lucy si erano avviati a passo svelto verso la gilda, il signore gridò loro, agitando la mano: -Vi aspetto giovanotti, ci conto! – mentre i due, a poco a poco, diventavano due macchie indistinte nel dipinto di luce disegnato dal sole.

§ § § § §

Quando Lucy arrivò alla gilda, aveva di nuovo il fiatone. Preoccupata e ansiosa di fare ancora più tardi di quanto già non fosse per partire insieme agli altri per la missione, la maga si era messa a correre più svelta che poteva, con Atlas alle calcagna. Una parte di lei lo invidiava per il suo fisico, perché nonostante quella corsa forsennata non sembrava minimamente provato, di certo non quanto lo era lei in quel momento. E mentre varcavano insieme il portone della gilda, si chiese se non fosse il caso di cominciare ad allenarsi seriamente per aumentare il suo pessimo livello di stamina.
-Lucy, hai mai pensato di fare esercizio fisico? Mi fa quasi pena vederti così. – proruppe infatti Atlas dopo averla osservata, allarmato dal fiato ansimante della giovane.
-Stavo pensando la stessa cosa… - ansimò lei, colta improvvisamente dalla sensazione di essere osservati.
Si stava infatti verificando lo stesso fenomeno che avevano vissuto poco prima, in città. Decine di facce che la fissavano stupite e perplesse, e che soprattutto fissavano Atlas, vestito di una luce completamente nuova rispetto al suo aspetto trasandato e quasi grottesco dei giorni precedenti. Per non parlare dello sguardo affascinato delle ragazze, poi.
Anche ad Atlas non era sfuggito tutto ciò, ma sebbene fosse lusingato dagli sguardi delle fanciulle, preferiva non farci troppo caso. Dovette inoltre riconoscere che, almeno, in gilda non gli stavano rivolgendo le solite occhiate torve e diffidenti alle quali si era quasi abituato a ricevere. Eccezion fatta per Natsu, ovviamente.
Il rosato infatti li stava guardando con espressione imbronciata ai tavoli vicino al bancone del bar dove c’era Mirajane, insieme a Erza, Happy, Gray, Wendy e Carla. E più i due si avvicinavano a loro, più lui si sentiva di malumore, poiché i fatti di quella mattina lo stavano torturando ripetendosi nella sua testa come un vecchio disco rotto. Allora Natsu non lo sapeva con certezza, ma quell’episodio sarebbe stata la prima crepa di un muro insormontabile, del quale nemmeno era a conoscenza, dietro al quale era nascosta una delle sue paure più grandi: perdere Lucy. Natsu, in fondo al cuore, temeva tremendamente che le cose tra loro cambiassero inaspettatamente, come un proiettile inatteso sparato al petto, e aveva tanta paura che la maga si allontanasse da lui, sempre di più, sempre più impercettibilmente, finché un giorno non si sarebbe svegliato in un letto dalle lenzuola fredde e non l’avesse più trovata al suo fianco, solo con quel freddo, solo con quel vuoto terribile. Come era successo con Lisanna anni fa, come era successo con Igneel, quel lontano giorno della sua infanzia. Era una sensazione che non sopportava e che non voleva più provare. Specialmente non con Lucy, che gli era letteralmente piombata dal cielo come un raggio di sole in una giornata uggioso.
No, non voleva che gliela portassero via. Niente e nessuno gliel’avrebbe portata via.
-Lucy, sei arrivata finalmente! – volò ad abbracciarla Happy.
-Ci eravamo quasi rassegnati a perdere il prossimo treno…- sospirò sollevata Erza.
-Già… scusate il ritardo ragazzi. – sorrise loro Lucy, con aria dispiaciuta. Si voltò turbata verso Natsu e lo guardò dritto negli occhi, pronta a scusarsi con lui, ma non appena le parole le furono sulla punta della lingua, pronte a spiccare il volo, il rosato sciolse il contatto visivo girando il volto da un’altra parte. Lucy provò una fitta al cuore, e sentì il proprio stomaco agitarsi all’assaggio di un tenue sapore di paura.
-A proposito di missione ragazzi, devo informarvi di una cosa…- esordì Erza, lanciando un’occhiata eloquente verso Atlas. Il team seguì il suo sguardo, per poi ritornare a guardare Erza con un’espressione perplessa e allo stesso tempo incuriosita.
Frattanto, l’ignaro Atlas era al bancone da Mirajane per chiedere un drink.
-Ollalà Atlas, questa nuova veste ti dona, sai? – esclamò con la sua solita spensieratezza la diavolessa, portandosi una mano sulla guancia e osservandolo compiaciuta.
-Purtroppo me ne sono accorto… - le rispose Atlas, indicando con una mano le ragazze alle spalle che cinguettando tra loro continuavano a fissarlo incantate. Mirajane rise.
-Ah, la gioventù… - sospirò teatralmente, mentre gli versava il suo solito bloodymary. Atlas, non aspettando altro, tracannò un bel sorso.
-Guarda che anche tu sei ancora giovane… - precisò poi lui, umettandosi le labbra con gusto.
-Ma tra poco non lo sarò più! – si lamentò fingendosi imbronciata -E nessun uomo mi vorrà! – continuò, ma i suoi occhi sembravano distaccati, spenti, fuggivano da ombre maligne che la inseguivano da anni, incessantemente, con il proposito di divorarla, di sopprimerla.
Atlas, che in quell’istante stava giocando con il drink, posò il mento sul dorso della mano e guardò assorto la diavolessa. Vedendolo guardarla intensamente, uno strano brivido le corse lungo la schiena. Seguì un attimo di silenzio che parve lungo quanto un’ora, dove ognuno dei due si fissava dritto negli occhi, giocando a nascondersi l’uno dall’altra.
-Coraggio Mirajane, la maschera con me non funziona. – proruppe lui con tono sommesso. La maga sembrò intrigata, e si chinò verso di lui, mezza distesa sul bancone di legno, gli occhi ancora incatenati ai suoi.
-Vedo che abbiamo un esperto di maschere. – canticchiò pericolosa. Negli occhi luccicava una malizia da predatrice. Atlas, però, non si scompose, e anzi, avvicinò il volto al suo, trovandosi a un centimetro dal naso della ragazza.
-È davvero un peccato che tu abbia scelto di giocare una parte così frivola… io vedo che sei molto meglio di così. – le disse, soffiandole il proprio respiro sulle labbra carnose di lei, che si irrigidì impercettibilmente. Approfittando di quell’attimo di perplessità e sorpresa di Mirajane, le accostò il volto all’orecchio in un gesto fluido.
-Da cosa ti nascondi, Mira? Di cosa hai paura?– le sussurrò con una carezza della sua voce bassa. La ragazza, sentendosi accarezzata in un punto vivo, una ferita sanguinante e non ancora rimarginata, si scostò di scatto dal banco, con il cuore che le martellava nel petto. Stavolta, non lo guardava. Aveva le gote leggermente arrossate e si scostò una ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio, in un segno di disagio. Nessuno, nessuno si era mai accorto del passato che aveva deciso di coprire, di quella parte di sé stessa che aveva deciso di rinchiudere. Nessuno, aveva mai sondato oltre quel velo che l’aveva nascosta così bene. E ora, sotto lo sguardo di Atlas, avvolta dalle sue parole, si sentiva nuda per la prima volta.
“Noi maghi di Fairy Tail… tutti… portiamo qualcosa. Ferite, dolore, sofferenza…” così aveva detto a Lucy, anni fa. Ed era la verità per ciascuno di loro.
Atlas, ovviamente, la stava ancora osservando, e preso da un leggero senso di colpa, si concentrò di nuovo sul colore del suo bloodymary, sul suo sapore e il bruciore che lo sfiorava scendendo giù nel suo stomaco. Sapeva che l’aveva aggredita, che aveva forzato troppo presto una porta che non avrebbe dovuto ancora aprire, ma aveva sentito il bisogno improvviso di farla desistere, di farle capire che portare delle maschere non significa altro che portare altre, nuove sofferenze. Il resto è tutto un’illusione. L’aveva capito fin da subito, che lei ne portava una, e lo sapeva bene perché ne portava una anche lui, e ogni giorno si era fatta sempre più pesante e sempre più difficile da togliere, perché si fonde come metallo sulla pelle della tua anima, fino a non staccarsi più. Farci troppo affidamento equivale ad una condanna. E sia lui che Mirajane si erano già condannati.
-Mira… - la chiamò, con un tono dolce che non usava da tempo, e che gli suonò strano alle sue stesse orecchie. Dopo un istante di esitazione simulato da bicchieri lavati e asciugati, la maga si decise a guardarlo.
-Scusami. – le disse, semplicemente, con una sincerità che la lasciò disarmata. Gli sorrise mesta.
-Tranquillo, va tutto bene. – gli disse, per poi aggiungere, scherzando -Anche se quando fai così fai davvero paura! – Atlas ridacchiò.
-A volte mi chiedo se mettere paura è diventata un’abitudine o se sia un’estensione del mio sadismo. – disse, parlando più con sé stesso che con Mira. Stava sorseggiando ancora il suo drink, quando sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Voltandosi, il suo viso incontrò quello di Erza.
-Seguimi. – gli disse, semplicemente, con voce ferma che non ammetteva obiezioni. Atlas obbedì senza fiatare, e la seguì al tavolo dove sedevano gli altri, con ancora il drink in mano. Senza volerlo, le sue iridi si posarono su Lucy, e con una piccola fitta al cuore vide un velo di tristezza e sofferenza nel suo sguardo. Evidentemente Natsu era ancora arrabbiato con lei. Sapeva di non poterlo biasimare, e perfino comprendeva almeno un po’ lo stato d’animo del rosato, ma ebbe ugualmente la voglia di mollargli un bel destro per la sua cocciutaggine. Bastava una sola occhiata per capire che la maga era terribilmente dispiaciuta.
Una volta giunti al tavolo, Atlas evitò di sedersi affianco a Lucy, per non metterla ancora più nei guai con il Dragon Slayer, e si sedette vicino a Wendy, che sembrò trovarsi a disagio.
-Sono tutto orecchi, Erza. – disse, incitandola a parlare con un gesto del bicchiere. Bevve un altro sorso.
-Questa mattina, come credo saprai, dovevamo partire per una missione…- esordì lei.
-E? –
-La missione consiste nell’eliminare un demone che sta sterminando la popolazione di un villaggio vicino la costa, in particolare le donne. Prima che tu e Lucy arrivaste mi è giunta la notizia che questo demone ha un legame con una gilda oscura stabilitasi recentemente in zona, e si è scoperto che questa gilda oscura ha dei contatti con Gacrux… le persone che stai cercando… – spiegò la maga. Atlas, sentendosi l’eccitazione e la rabbia e la sete di vendetta danzargli nel petto come uno sciame di api, la scrutò attentamente, aspettando con impazienza che la maga proseguisse con ciò che voleva dire.
-Quindi stavamo pensando di proporti di unirti a noi e venire anche tu in missione. – concluse Titania. Al pensiero di acciuffare finalmente qualcuno di Gracrux e di scoprire qualcosa di più, Atlas sorrise smanioso, con una luce folle negli occhi che suscitò negli altri i peggiori scenari possibili..
-Non vedo l’ora. – disse.
-Ed ecco ora il team più improbabile della storia della gilda. – commentò con sarcasmo Gray, rivolgendo un’occhiata eloquente a Lucy, che ridacchiò a disagio. Al contrario degli altri, lei aveva avuto modo di passare più tempo con Atlas, e pertanto non gli serbava la stessa diffidenza che ancora provavano i compagni nei suoi confronti. Anche se, notò con un certo sollievo, con il salvataggio di Asuka e Romeo, la confessione e l’incendio in pasticceria, l’aura di ostilità nei confronti di Atlas si era notevolmente dissipata. Tuttavia, quello che era successo al porto li lasciò sconvolti ed era impossibile per loro dimenticare un fattaccio simile. Ad esempio, Lucy non ci pensava troppo perché sperava con tutto il cuore, anzi, sentiva che, se Atlas avesse potuto, avrebbe evitato di uccidere così tante persone. Ci doveva essere qualcosa che l’avesse condizionato. E quella pietra oscura, che seguitava a balenarle in mente, e continuava a darle sinistre sensazioni…chissà se, con quella missione, si sarebbe rivelato qualcosa di più? Ma in quel momento, c’era qualcos’altro di cui Lucy si doveva occupare, e qual “qualcos’altro” era un ragazzo dai capelli rosa che se ne stava seduto a gambe incrociate di fronte a lei, con un’espressione imbronciata e sofferente. Avrebbe voluto andare subito a parlargli, ma non riusciva a trovare una scusa che non destasse l’attenzione degli altri. Istintivamente spostò lo sguardo verso Atlas, che era impegnato a discutere con Erza, Wendy e Gray del percorso che avrebbero dovuto fare per arrivare al villaggio e altri dettagli che in quel momento ignorava.
Forse, pensò, avrebbe potuto chiedere aiuto a lui, che sapeva cosa era successo. E poi, le parole incredibilmente gentili che le aveva rivolto, da persona matura e comprensiva, le avevano ispirato una fiducia tale da spingerla a convincersi che Atlas avrebbe potuto aiutarla a fare la pace con Natsu.
E fu proprio così, grazie a quei momenti brevi e inaspettati come lo zampillo di una fontana, che nei giorni successivi il legame, tra i due, si fece sempre più forte.
 
 
 
 
  
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