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Autore: Vanya Imyarek    07/10/2018    1 recensioni
(Spin-off de 'L'Impero della Vita).
Malgrado la sua importante carica, Etaheupa vede come massimo bene per l'uomo una vita tranquilla, onesta, laboriosa, priva di celebrazioni e trionfi ma piena di affetti familiari.
Così cerca di condurre la sua esistenza, e allo stesso modo, quando gli dei o il caso gli regalano un figlio, cerca di educarlo a vivere.
Non ha considerato che spesso, un certo stile di vita è permesso solo da determinate circostanze: cambiate quelle, che può fare una persona se non adattarsi?
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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POCO  MANCAVA  CHE  GLI  SCHIAVI  SI  SUICIDASSERO  IN  MASSA

 

 

 

 

 

A Etahuepa non piaceva viaggiare.

 Molti l’avrebbero detto noioso per questo, l’avrebbero chiamato abitudinario e poco curioso, ma perché avrebbe dovuto cambiare idea solo perché gli veniva detto di farlo? A lui piaceva starsene a Dumaya.

 Amava la sua casa, la sua famiglia, il paesaggio familiare della sua capitale incassata tra le montagne, e non avrebbe potuto immaginare posto migliore dove vivere. Viaggiare per motivi diplomatici gli era sempre parsa una gran seccatura, ma che poteva farci? Era parte integrante del suo dovere verso la società, e se lo sarebbe sobbarcato senza lamentarsi.

 Con quello che era largamente disinteresse, aveva visitato terre con popoli recentemente dislocati, che tentavano di replicare la loro cultura in un ambiente ignoto; aveva affrontato il caos della grande capitale; aveva addirittura visitato Paesi esteri, quali l’inevitabile Yrchlle e qualche volta Choomà. Viaggi che avevano posto davanti ai suoi occhi largamente disinteressati tradizioni bizzarre, eccentricità di ogni genere, dei estranei, cariche statali di varia utilità, e strumenti che per quei popoli erano normali, ma che Etahuepa non sarebbe nemmeno riuscito a concepire.

 Aveva affrontato tutto questo con spirito di sacrificio e una gran voglia di tornarsene al più presto a casa sua. In quel momento, si trovava a casa sua.

 E allora, perché si ritrovava a fissare uno dei suoi schiavi che schizzava in giro come se avesse scolato una pinta di linfa di shillqui, sbattendo ovunque e rialzandosi subito dopo per inciampare da qualche altra parte, con in testa l’oggetto più bizzarro che avesse mai visto?

 “Mio signore, cosa dobbiamo fare?” pigolò Viquila, che si stava pressochè nascondendo dietro di lui.

 “Come è entrato in possesso di quell’oggetto?” chiese, voltandosi a guardarla.

 La donna deglutì. “Non … tutto quello che ho visto il questi giorni è stato il padroncino Simay armeggiare con alcuni rami di shillqui e ullqui. Pensavo che glieli aveste dati voi per farlo studiare, gli avevo solo raccomandato di stare attento …”

 Etahuepa tornò a fissare il suo povero schiavo. Portava in testa una calotta di rami intrecciati, di cui alcuni, posti proprio sotto il suo naso, intrisi di linfa di shillqui. Naturalmente non riusciva a stare fermo con quella roba… ma come aveva fatto suo figlio a creare una cosa del genere?

 Finchè aveva costruito innocui balocchi non aveva dato peso alle sue velleità artigianali, anzi l’aveva lodato per alcune particolarmente ingegnose. Ma controllare il comportamento di un uomo? Con mezzi diversi dalle magie divine che lo consentivano?

 Questa cosa non gli piaceva. Gli pareva che fosse terribilmente blasfemo, creare qualcosa che gli dei non avevano posto su questo mondo, lo sfruttamento delle loro piante sacre come non era stato da loro ordinato. E anche a prescindere da quello, lo schiavo dava l’impressione di essere completamente terrorizzato, privato com’era del controllo di ogni suo movimento. Un’offesa agli dei e agli uomini: non credeva che suo figlio l’avesse fatto con consapevolezza o malizia, era troppo giovane per entrambe, ma doveva spiegargli la situazione immediatamente. Non poteva permettere, ora che era in tempo, che proseguisse su quella strada.

 “Simay!” chiamò, con voce forte e chiara. “Lo so che sei qui a osservare il tuo operato. Esci fuori”

 Come previsto, Simay sbucò fuori da una credenza. Aveva una sorta di sorrisetto nervoso, come se fino a quel momento fosse stato molto orgoglioso di ciò che aveva fatto, ma il tono del genitore gli avesse fatto subodorare che davvero non ce n’era ragione.

 “Cos’è quell’oggetto che hai posto in capo a Biqa?”

 “Non gli ho ancora trovato un nome” sì, perché era quello il problema. “Però può agitare e calmare le persone. Guardate, padre!”

 Simay trotterellò fino al disgraziato schiavo, rischiando di farsi calpestare, e spostò la manopola sulla schiena. I rami della calotta di spostarono, e nuovi rami finirono sotto il naso di Biqa. Questi cadde addormentato quasi subito: erano i rami di ullqui.

 Simay sorrise come se trovasse la cosa terribilmente divertente, ma il riso si gelò quando vide l’espressione di suo padre.

 “Toglilo immediatamente” Il bambino si avvicinò piano all’uomo dormiente, sciolse i lacci, e tirò via quell’aggeggio infernale. “L’hai provato anche su altre persone?”

 “Sì, i figli degli schiavi. Non stavo giocando con loro, stavo solo provando le mie creazioni!”

 Etahuepa immaginò il cortile affollato di disgraziati ragazzini che correvano anche più del normale, rischiando di farsi male sul serio. No, no, questa cosa andava fermata immediatamente. Non sarebbe rimasto lì a guardare suo figlio cadere ancora più a fondo nella bestemmia. Forse era un’influenza di chi lo aveva generato, ma non intendeva permettere che fosse abbastanza forte da non poter essere cancellata con l’educazione.

 “Vai da tutte loro e toglile subito. Poi torna qui”

 Simay schizzò via. Bene, dalla sua reazione doveva aver già capito di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma doveva ancora sapere precisamente cosa e perché. Etahuepa congedò Viquila, ordinando i suoi pensieri. In che modo presentarli a Simay, per fargli capire pienamente la gravità di simili azioni senza diventare un tiranno? Come accertarsi che non gli venisse mai la tentazione di ribellarsi a quei precetti? Meglio far leva sulla compassione umana e il timore degli dei, o la razionalità?

 Certo, Simay era un bambino devoto e gentile con tutti, anche dopo aver imparato gli obblighi imposti dal suo rango: la prima argomentazione sarebbe andata bene, ma sarebbe stato più sicuro aggiungervi motivi di convenienza, qualora nella sua crescita avesse cambiato, per qualsiasi ragione, indole. Eccolo, era di ritorno con un mucchio di rami a momenti più grandi di lui tra le braccia: come iniziare?

 “Simay. Perché hai creato quegli oggetti?”

 Il bambino boccheggiò per qualche istante, come se faticasse a trovare una risposta. “Padre, avevo solo pensato … era possibile. Cioè, la linfa di shillqui e ullqui ha proprietà contrastanti, e quindi volevo vedere cosa succedeva a metterle vicine. E ho pensato al casco, perché sarebbe stato più facile, e al meccanismo per alternare …”

 “Quindi hai sottratto a delle persone il controllo delle loro azioni solo per soddisfare una tua pigra curiosità”

 Simay lo fissò per qualche istante, la lingua appena tra i denti, come se volesse obiettare qualcosa ma avesse troppa paura per farlo.

 “Chi sono gli unici che possono dare o togliere il diritto di agire a qualcuno?”

 “Ma sono schiavi” osservò suo figlio. “Ci devono obbedire, quindi controlliamo già le loro azioni … no?”

 “Non così. Abbiamo ogni diritto su di loro, certo, ma non possiamo alterare le loro facoltà mentali. Quelle sono il dominio degli dei, ed essi le distribuiscono secondo una saggezza che agli uomini è preclusa. Solo chi è a loro consacrato e ha la loro benedizione può controllare la mente e il corpo di altri esseri umani. Se un laico toglie a suo simile la lucidità e il controllo di sé, è una bestemmia grave”

 “Non volevo!” la reazione di Simay fu immediata. “Non lo sapevo! Posso rimediare? Posso chiedere perdono?”

 “Lasciami finire. Già questo è grave, ma un altro peccato è parlare di un’opera umana come ‘creazione’. Tu puoi costruire qualcosa, ma userai sempre e solo elementi tratti dalla creazione divina. Solo gli dei sanno creare. E tu fino a prova contraria sei solo un ragazzino poco riflessivo e troppo ignorante”

 Simay aveva gli occhi a terra, i pugni chiusi che tremavano leggermente.

 “Ma gli dei vedono anche questo. Oggi andremo al Tempio di Chicosi, colei che purifica: racconterai ai Sacerdoti l’accaduto, e chiederai loro una penitenza adatta al tuo peccato. La dea è misericordiosa e saprà perdonarti, ma tu ricorda bene quel che accaduto oggi, e trattieniti dal ripeterlo finché vivrai”

 Suo figlio annuì, per poi allontanarsi in silenzio.

 “Dove vai?”

 “Nella mia stanza? Non devo restarvi rinchiuso finché non andremo al Tempio?”

 “Sì, ma non ho ancora finito di parlarti. Vieni qui e ascoltami” Fu obbedito. “Perché proprio gli schiavi?”

 “Perché … su di loro si può, vero? Sono discendenti di persone blasfeme, noi no, e quindi abbiamo autorità su di loro? Lo avete detto voi stesso, padre”

 Ecco, due anni prima era stato poco chiaro, e adesso scopriva di essersi sbagliato: quali altri suoi errori sarebbero emersi negli anni a venire?

 “E quindi, secondo te, avere autorità su qualcuno significa potergli fare tutto quello che vuoi, senza alcuna considerazione o limitazione”

 Simay lo guardò incerto, senza rispondere. Che era già fin troppo, come risposta.

 “Vieni con me”

 Lo condusse fuori dal palazzo. Non aveva una destinazione particolare in mente, questa volta, ma un aiuto visivo non avrebbe certo fatto danni. “Che cosa vedi?”

 “Gli abitanti di Dumaya … tutti con un diverso ceto sociale, voglio dire?”

 “Quello è un modo di descriverli. Ora, che cosa compone una famiglia?”

 “Una famiglia?”

 “Hai sentito bene”

 “Dei parenti?”

 “E’ uno scherzo?”

 “Voglio dire, persone che sono legate tra loro?”

 “Questo è molto meglio” annuì Etahuepa. “Persone che condividono legami. Possono essere di sangue, possono essere di adozione, possono essere di parità o subordinazione. Ma non sono estranei. Sono persone che hanno posizioni, diritti e doveri nei confronti degli altri. Sono persone che, sopra a tutto, si occupano gli uni degli altri”

 “Quindi anch’io devo prendermi cura degli schiavi di casa nostra?” Simay era effettivamente sbiancato. “Non lo sapevo, non ci avevo pensato, chiederò perdono a tutti loro …”

 “Lasciami finire. La base di ogni famiglia è la reciprocità. Gli altri membri ti sosterranno, ma anche tu dovrai sostenere loro: è l’unico modo in cui si può sperare di sopravvivere. Se tu manchi di ricambiare chi ti aiuta, loro proveranno risentimento verso di te, se possono rifiutarsi di aiutarti in futuro lo faranno, e se per loro posizione non possono, il loro odio diventerà ancora più intenso: gli dei proteggano chi è tanto odiato dai suoi sottoposti. Allo stesso modo, se tu prestassi a qualcuno aiuto senza esserne ricambiato, rifiuteresti un aiuto futuro, o lo odieresti, e inizieresti a progettare una vendetta forse anche contro le leggi umane e divine. Senza reciprocità, una famiglia non è tale, solo un insieme di persone che presto si distruggeranno tra di loro”

 Non gli sembrava di aver mai visto suo figlio così spaventato. Bene: significava solo che aveva capito la gravità della cosa. Se la sarebbe ricordata, crescendo.

 “Ora dimmi: se quanto ho appena detto valesse solo per le singole famiglie, potremmo davvero dire di vivere in una società civile?”

 “Sì, se tutti in famiglia si aiutano”

“Ma famiglie diverse possono avere obiettivi diversi. E allora che concordia ci potrà essere tra loro?”

 “Ah … è per questo che ci sono le città e le provincie? Per mettere d’accordo le famiglie?”

 “Vedo che hai capito. Un villaggio, una città, una provincia, l’Impero stesso non sono altro che immense famiglie, a modo loro. Ogni suo componente, dal più misero dei sovrani ai figli del Sole, ha doveri verso gli altri. Come in una famiglia, chi ha posizioni di autorità deve essere giusto e pensare al benessere di tutti. Come in una famiglia, chi ha posizioni subordinate deve obbedire e rispettare. Ciò che interessa le singole famiglie può essere svolto da loro, ma per ciò che interessa la comunità, tutti devono lavorare, dai più ricchi ai più poveri”

 “Come nel tributo civile?”

 “Esatto. Troverai molti che ne lamentano l’ingiustizia, che protestano l’inappropriatezza di far svolgere lavori manuali pesanti come quelli di costruzione e coltivazione a persone anche nobili, ma queste persone non sanno accettare il vero messaggio di quel gesto: il riconoscimento del proprio dovere verso gli altri membri della famiglia che è Tahuantinsuyu. Diffida di queste persone quando le incontrerai, Simay, perché credono di essere solo in diritto di essere supportati. Nel momento del bisogno non aiuteranno te, né nessun altro Soqar, a meno che non ne abbiano un tornaconto personale. E mai, mai diventare come quelle persone, perché perderesti il diritto al sostegno anche del più semplice tra gli schiavi”

 Suo figlio rimase in silenzio per qualche istante, osservando pensieroso le persone che passavano loro accanto.

 “Ma allora è questo che deve fare un governatore?” chiese poi. “Essere come il padre di tutti, quello che guida e protegge il resto della sua famiglia?”

 “Non avrei saputo dirlo meglio, Simay. Sì, il mio compito è accertarmi che non ci siano discordie interne nella ‘famiglia’ della regione, e proteggerla dai nemici esterni. E questo sarà anche il tuo compito, se mi succederai. Ma tieni a mente che questo è un incarico che comporta molti oneri, non si limita a esigere rispetto; e che come Sacerdote non avresti compiti meno importanti e gravosi. Un governatore è una guida sul piano fisico, che regola la famiglia secondo leggi terrene; un Sacerdote è una guida spirituale che amministra quelle divine. Quale che sia il tuo destino, Simay, vi è una grande responsabilità davanti a te. Non rifuggirla, ma non abusarne. Chi è saggio sa come trovare un equilibrio”

 “E se io non sono saggio?”

 “Sembri sinceramente preoccupato di questa possibilità: uno stolto o un superbo non avrebbero simili timori. Ma sei ancora un bambino: la saggezza non è una dote innata, va costruita e mantenuta nel tempo. E un modo è accettare le penitenze. Eccoci al Tempio, vai tu a spiegare al Sacerdote quello che hai fatto”

 

Etahuepa aveva pensato che la questione fosse chiusa.

 Simay aveva confessato tutto per filo e per segno, e aveva eseguito senza fiatare la penitenza di un’ora di preghiera ininterrotta. Erano tornati a casa, Viquila gli aveva riferito che suo figlio aveva rintracciato tutti gli schiavi usati come cavie e si era scusato, e la faccenda non era più stata risollevata.

 Il che significava che Etahuepa, invece di stringere i denti attraverso le preparazioni per quello che sarebbe probabilmente stato il viaggio più lungo e difficile che avrebbe mai fatto, si ritrovava a fissare un lymplis vagante per i corridoi del palazzo, avvolto in familiari intrecci di rami.

 Osservandoli meglio, notò che lo sfortunato animale non erano stati caricati solo di quelli, ma di un piccolo cestino contenente erbe mediche, che parevano uscite dritte dritte dalla bottega del miglior farmacista della città. Il governatore fissò l’animaletto che schizzava via, per poi rallentare in prossimità di un angolo e infilarvisi dentro prima di riprendere alla velocità data dagli shillqui.

 “Simay!” questa volta suo figlio non rispose immediatamente, e gli fu necessario qualche minuto per rintracciarlo finalmente: era rannicchiato in un armadio dove erano conservati stracci e saponi per indumenti, con in mano un rametto di shillqui.

 “Che stai facendo lì? Perché non hai risposto? E come spieghi quel lymplis, che ha ancora addosso uno dei tuoi oggetti?”

 “Lo sto usando per scusarmi con gli schiavi!” disse Simay velocissimo. “Lo giuro, non sto facendo male ad altri esseri umani! Volevo solo aiutarli!”

 Etahuepa ci stava capendo sempre meno, ma non ritenne educativo farlo sapere al bambino. Piuttosto, lo guardò con una semplice espressione severa che pareva sempre funzionare con lui.

 “Spiegati”

 “Volevo mandare loro più cibo per scusarmi di come li ho trattati. Ho usato quel mio strumento per portarlo loro, perché temevo che voi non avreste approvato”

 “Se temi che io o tua madre non approviamo qualcosa, è già un forte suggerimento a non farla. E quelle sono erbe mediche, non cibo”

“Il cibo gliel’ho già mandato, però Niraya aveva un forte mal di testa e quindi mi hanno chiesto anche quelle. E voi mi avete detto che devo provvedere a loro!”

 Meglio di quel che aveva sperato, almeno sul piano del trattamento degli schiavi. Ma la faccenda restava ancora poco chiara. Davvero, avrebbe dovuto ascoltare il suggerimento di Malina riguardo al suo nome: se avessero continuato di questo passo, nella sua casa non ci sarebbe stato più nulla di pacifico!

 “E perché usare proprio gli strumenti da te costruiti, invece di andare da loro di nascosto? Non che anche quest’ultima sia stata una buona cosa da fare, beninteso”

 “Volevo vedere se funzionava … di solito gli shillqui si agitano di più se sono in una foresta grande, quindi ho immaginato che si stimolino di più a muoversi tra loro. Ho provato a usare questo rametto per dirigere i movimenti dei lymplis, e sembra aver funzionato!”

 “Non è una risposta alla mia domanda. Perché quel metodo invece che quello che userebbe un ragazzo normale?”

 Nessuna risposta.

 “Perché eri ancora preso dalle tue bizzarre costruzioni?”

 “Credo che possa essere qualcosa di utile” si decise a rispondere il bambino. “Voglio dire, se li applicassimo ai mekilo o ad altri mezzi di trasporto, potremmo controllarli anche a distanza, potremmo usarli per non mandare i soldati a rischiare sopra gli occli, o i mercanti ad attraversare regioni pericolose …”

 “Simay. Tu credi di poter usare i doni degli dei in modo diverso da quanto da loro prestabilito?”

 Silenzio.

 “Capisco. Sai chi altri credeva di essere al di sopra dei disegni di Achemay, e di poter plasmare il mondo a proprio piacimento, ignorando l’autorità cui sarebbe dovuta sottostare?”

 Sguardo interrogativo.

 “Sulema”

 Etahuepa non vide mai più un singolo strumento fuori dall’ordinario in casa sua.

 

 

 

 

 

 

Ladies & Gentlemen,

e anche questo capitolo, dove finalmente vengono viste le invenzioni più audaci di Simay, è completo anche se con un certo ritardo. Per il prossimo dovrete aspettare, temo, altre due settimane … brutta cosa i casini col computer. Grazie ancora a tutti quelli che vorranno leggere e recensire!

 


  
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