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Autore: KyraPottered22years    10/10/2018    3 recensioni
Dopo un drammatico evento che le ha scombussolato completamente la vita, Mayve abbandona il villaggio dove è cresciuta per andare a vivere con il padre e la sua gente. Ancora non sa di essere destinata a grandi cose, quando il suo cammino si incrocia con quello di Thorin Scudodiquercia e la sua compagnia. Ciò che ha sempre saputo è che a volte delle piccole cose cambiano il corso del futuro drasticamente. Ma ogni sua certezza si infrange nel Reame Boscoso, di fronte al sentimento che ha reso la sua esistenza difficile ancor prima della sua nascita. Di fronte a un bagliore freddo, a uno sguardo di ghiaccio, a un cuore di pietra che da centinaia di anni si rifiuta di ritornare ad amare.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haldir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Thranduil, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime, Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Flare of a Frozen Heart
                                        
                                                                                                                      PARTE II
                                                                                                                    Nell’ombra
                                                                                                              il mio viaggio va


                                                                                                              Capitolo Terzo




Se ne stava sui robusti rami, nascosta fra le numerose foglie. Osservava le orride creature sotto di lei e con pazienza e silenzio attendeva il segnale d’attacco.
Ricordava ancora gli occhi dei suoi compagni: pieni di disgusto e sgomento; quando era arrivato l’ordine di pattuglia, erano rimasti un po’ tutti stupiti: non si vedevano orchi nei dintorni di Lòrien dall’inizio della Terza Era.
Mayve era immobile da mezz’ora e i piedi iniziavano a formicolarle. Smosse un po’ le gambe, stando attenta a non cadere giù e a non fare rumore. Sospirò piano e serrò la mascella. Con la mano stringeva l’elsa della spada e con il pollice disegnava dei cerchi sul pomolo.
Ingoiò un fiotto di saliva, abbassando gli occhi sul ramo dov’era appostato Haldir. Mayve sorrise senza accorgersene quando, dopo qualche attimo, lui la scoprì a guardarlo, quasi come se lui avesse sentito lo sguardo della figlia addosso. L’elfo sorrise di rimando e con un cenno del capo le ordinò di concentrarsi sugli orchi.
Mayve obbedì e tornò a rivolgere la sua attenzione alle creature.
Circa un minuto dopo si sentì un fischio molto simile al canto di un uccellino.
Ma quello non era il fischio di un uccellino.
Saltarono giù dai propri rami e simultaneamente incoccarono le frecce negli archi, accerchiando gli orchi; questi due sibilarono e grugnirono, sguainando le loro spade, ignari del fatto di essere completamente in svantaggio di numero.
 «N’ndengina sen! (non uccideteli)» Ordinò Haldir, prima che un orco si scagliasse proprio su Mayve. Con un colpo di lama, le scagliò l’arco sul terreno, disarmandola.
Fortunatamente riuscì a tirar fuori la spada dal fodero in tempo: la lama dell’orco fendette contro quella elfica di lei in un colpo medio. Con un’abile manovra, Mayve disarmò il nemico, dopodiché  gli lanciò un calcio alla pancia e quello cadde in ginocchio, dolorante.
Non fu difficile affrontarli, non che gli orchi siano abili combattenti, ma questi erano proprio principianti.
Senza armi e rassegati, non opposero più resistenza e un elfo poté legarli senza problemi. Si incamminarono così verso il palazzo di Lady Galadriel.
Osservava come la natura di Lòrien iniziava a prepararsi alla notte, il sole tramontava e i fiori si schiudevano impercettibilmente. Le prime stelle splendevano sul cielo e facevano da sfondo al panorama del Regno di Galadriel.
Erano passati duecentocinquant’anni dalla prima volta che aveva visto quello splendido panorama e Mayve giurava di non essersi ancora abituata a tutta quella meraviglia.

Dopo la morte di Alun, Mayve si era dedicata con tutta se stessa alla sua promessa: inseguire i sogni.
Così si era impegnata a diventare un elfo.
Amalgamarsi fra la sua gente, camminare come loro, parlare come loro, era ciò che voleva. Imparò a leggere e a scrivere, studiò la storia di Arda e dei Valar, il Sindarin, gli usi e i costumi delle varie razze della Terra di Mezzo. Contemporaneamente si esercitava con Haldir affinché potesse prendere una posizione fra le truppe militari. Si allenò ogni giorno, affrontò ogni esame e non si arrese nemmeno quando fallì per la prima volta: sapeva ciò che voleva, aveva un obiettivo e doveva portarlo al termine. Dopo dieci anni di duro lavoro, divenne un soldato, una dei Galadhrim. Le prime battaglie furono dure da affrontare, molte volte non ne uscì illesa, altre volte ne rimase profondamente segnata. Ogni esperienza formò la persona che era diventata: forte e responsabile. Anche se non dimenticava mai da dove veniva, da chi era stata cresciuta e quale fosse la cosa più importante nella vita: avere il coraggio di fare del bene, e Mayve coltivava quel coraggio poco a poco, maturando dentro di sé una visione completamente realistica del mondo.

Solo Haldir, Mayve e un altro soldato furono incaricati di portare gli orchi dalla dama.
 «Mia Signora,» parlò il Capitano dei Galadhrim. «questi sono gli orchi che avete visto nei confini della radura?»
Lady Galadriel indossava un abito di un pallido azzurro, la lunga gonna era ornata da fili argentei. I suoi occhi erano vitrei e lucidi, le palpebre pesanti le socchiudevano gli occhi in due fessure. Era stanca, non una di una stanchezza dovuta a un grande sforzo, ma di  un’acuta tristezza, come se mille preoccupazioni le tormentassero l’animo.
Si alzò dal trono e cammino lentamente verso i due orchi. Quando arrivò davanti loro, ordinò con un impercettibile cenno del capo ai soldati di allontanarsi. Mayve fece due passi indietro e ripose il pugnale che aveva puntato fino a qualche secondo prima sulla gola di uno degli orchi.
 «Per rendere più semplice la questione: voi risponderete alle mie domande e io vi lascerò liberi.»
I due sibilarono, ma solo uno ripose: «Affare fatto.» Digrignando i denti neri e affilati.
 «Per quale motivo siete in queste terre?» Domandò a voce bassa, atona, con gli occhi a scrutare la creatura dall’alto.
 «Siamo in esplorazione.» Ruggì, indignato da quella collaborazione.
 «Perché?»
 «Ci è stato ordinato!»
L’orco silente si avventò verso la dama, irritato da quell’oppressione da prigioniero. Ma Galadriel fu veloce: lo bloccò telepaticamente, voltandosi lentamente verso di lui. Fece segno con un’occhiata di pochi istanti ad Haldir e quello si avvicinò all’orco, pugnalandolo alla gola. Liquido nero sgorgò via dalla ferita fatale e l’orrida creatura cadde nella pozza del proprio sangue.
L’altro orco grugnì e fu Mayve a bloccarlo da dietro, puntandogli un coltello alla gola e un altro al petto.
 «Ti conviene rispondere se non vuoi fare la sua stessa fine.» Gli occhi della dama si illuminarono per un attimo di una luce color smeraldo, la sua voce era grave e piena di rabbia.
 «I giorni degli elfi sono finiti! L’Oscurità sta facendo ritorno e niente riuscirà a fermarci!» Pronunciò una frase in lingua nera prima che Mayve gli tagliasse la gola e lo pugnalasse in un sol colpo.
Restarono pochi secondi in silenzio, tutti rifletterono su quelle parole, su quello spaventoso monito.
 «Portateli via di qui.» Ordinò Galadriel, si voltò e andò verso il trono. Si sedette lentamente e sul suo volto si tinse un’espressione in pena.
Mayve ignorò l’ordine e si avvicinò verso la dama. «Mia signora,» la chiamò con gentilezza, ricevendo la sua attenzione. «vi sentite bene?»
Un tiepido sorriso piegò per alcuni secondi le labbra di Galadriel. «Non ti preoccupare per me.»
 «Avete bisogno di qualcosa?» Domandò con cortesia e dolcezza.
 «Ho solo bisogno di riflettere.»



Mayve fissava le parole sulle pagine del libro, ma non le leggeva. La sua mente era affollata da pensieri, il ricordo di ciò che era successo il giorno prima era ancora vivido e presente.
Una parte di sé si preoccupava di ciò che aveva detto l’orco, l’altra voleva ignorare quelle parole, convinta che quell’avviso fosse solo una bugia.
L’Oscurità era stata distrutta, non poteva ritornare.
Così, sospirò e le sue preoccupazioni di concentrarono sulla salute di Lady Galadriel. Una delle cose che amava di più di Lòrien era proprio il rapporto che c’era fra la regina e i suoi abitanti. Era una persona piena di mistero, i suoi poteri e il suo sguardo potevano mettere in soggezione chiunque, eppure dietro quella fama, vi era un animo puro e dolce, pieno di premura verso i suoi sudditi.
Mayve l’adorava, come l’adoravano tutti gli elfi, e ricordare quell’espressione afflitta e in pena le faceva male.
 «Iell nín,» la chiamò Haldir e lei chiuse il libro, ormai convinta di lasciar perdere la lettura per quel giorno. «parlami. I tuoi pensieri fanno rumore.» Le sussurrò dolcemente in elfico.
L’elfo si sedette accanto alla figlia, le accarezzò una guancia col dorso delle dita e si avvicinò per darle un bacio fra le sopracciglia. Mayve sorrise istintivamente a quel gesto e cinse il polso del padre con le dita.
 «Ada (padre/papà), penso a ciò che è successo ieri.» Confessò, poggiando la testa sulla sua spalla.
 «Ti preoccupa ciò che ha detto l’orco?»
 «In parte sì. Secondo te mentiva o diceva la verità?»
Quella domanda lo colse impreparato, ci mise alcuni secondi a rispondere. «Questo lo sa solo la regina. Solo lei ha visto nella sua mente.»
 «Dall’espressione che aveva ieri penso proprio che dovremmo preoccuparci.» Commentò infine.
 «Non essere pessimista, iell nín. Io consiglio di sperare per il meglio e di pensare positivo in qualunque circostanza.»
 Mayve sollevò la testa dalla sua spalla per voltarsi a guardarlo. «Vorrei tanto avere la tua pazienza, ada.»
Haldir ridacchiò in quello che sembrò un piccolo sbuffo. Con l’indice e il medio le afferrò il naso in una stretta giocosa e glielo tirò con delicatezza. Anche Mayve sorrise vivacemente.
 «La acquisirai col tempo.»
 «Lo spero.»
In quegli anni, fra di loro si era saldato un legame di profonda fiducia e affetto. Mayve ammirava il padre e faceva tesoro ogni suo insegnamento, Haldir la riempiva di attenzioni e la trattava come la persona più importante. Qualche litigio alla padre-figlia c’era stato nel corso di quei due secoli, ma niente di così importante da essere ricordato con rancore.
Proprio quando avevano iniziato a preparare la cena, qualcuno bussò alla porta della loro casa.
Andò ad aprire Mayve e con grande sorpresa scoprì che si trattava della dama di compagnia Lady Galadriel. «Vanië, accomodatevi.» La invitò ad entrare, ma l’elfa rifiutò con cortesia.
 «Sono qui per comunicarvi che la regina richiede la presenza del Capitano e del soldato Mayve nei suoi alloggi.»
Nell’udire quelle parole, Haldir si avvinò alla porta e domandò: «Adesso?»
 «Sì, Signore. Penso sia urgente.»

Riposero le pentole e spensero il fuoco prima di dirigersi nelle stanze reali.
Haldir bussò e la dama di compagnia li fece accomodare. Lady Galadriel se ne stava nella veranda a contemplare la luna con aria pensierosa, mentre alcune serve preparavano delle borse da viaggio. Alla vista di quei bagagli, Mayve lanciò un’occhiata ad Haldir, cercando, invano, una risposta nei suoi occhi.
La dama di compagnia li accompagnò alle porte della veranda, annunciandoli.
 «Puoi andare, Vanië, grazie.» Galadriel congedò l’elfa e si voltò verso i due ospiti. «Vi ringrazio per essere venuti.»
 «Ogni vostro ordine è dovere, Arwen en amin (mia Signora).»
La regina sorrise all’elfo e li invitò a sedersi insieme a lei.
 «Haldir, tu non sei solo un Capitano, ma un amico e ripongo in te la mia fiducia.»
 «Queste vostre parole mi colmano il cuore d’onore.» Disse con modestia, portandosi una mano al petto.
 «Domani partirò per Gran Burrone, ho scritto una lettera a Re Elrond e gli ho spiegato in poche righe il motivo della mia imminente visita.» Galadriel guardò per la prima volta da quando era arrivata Mayve. «Il messaggio di quell’orco non può essere interpretato solo da me.» Tornò a rivolgersi ad Haldir. «Ciò che ti chiedo è di mantenere il silenzio, fino a quando sarà ancora possibile, questa situazione dev’essere mantenuta nel suo alone di mistero.» Le nocche di Galadriel si fecero bianche, segno della stretta che stava esercitando fa le sue dita, a sua volta segno di tensione e preoccupazione.
 «Sarà fatto, mia Signora.»
Mayve si era trattenuta per minuti, ma, dopo aver accumulato per tanto tempo, si fece avanti, ignorando un’eventuale disapprovazione di Haldir.
 «Mia Signora, cosa sta succedendo di preciso?» Domandò con tono pacato, cercando di equilibrare così la domanda avventata con la gentilezza.
 «Al momento non posso dirti niente di preciso, l’aspetto positivo, però, è che mi accompagnerai tu a scoprirlo.»
Mayve impallidì dalla sorpresa e le sue labbra rimasero schiuse, inizialmente pronta a dire qualcosa in risposta, scoprendosi poi decisamente senza parole. Galadriel accennò un tiepido sorriso e fu più specifica: «C’è un motivo se ho convocato anche te e non solo tuo padre: vorrei che tu mi accompagnassi durante questo viaggio. Non ho bisogno della protezione di un semplice soldato, ma di un elfo che sappia fare il suo dovere da soldato e da persona contemporaneamente. Non so se mi spiego.»
Mayve trovò la forza di riprendersi e finalmente parve sapere cosa dire. «Mia Signora, mi cogliete impreparata a questa notizia,» ciò che le veniva proposto era qualcosa che le sarebbe piaciuto fare. Mayve non aveva viaggiato molto, quel giusto solo per conoscere cosa confinava Lòrien, dopo di ché si affidava solo alle cartine della Terra di Mezzo, viaggiando con la sua mente nei bellissimi posti illustrati nei libri che sfogliava ogni giorno. Respirare aria nuova, vivere un’avventura… non poté che rispondere: «ma sarò lieta e onorata di accompagnarvi e proteggervi.»


Il sole era appena sorto e Mayve stava controllando per l’ultima volta la borsa da viaggio. Due vestiti, due paia di pantaloni, una blusa e tutti gli attrezzi possibili per un’eventuale battaglia, non che fosse strettamente necessario, ma per lei era sempre meglio prevenire che curare. Andò nuovamente in camera, indossò la cintura con il fodero della spada e dei pugnali, legò i capelli sciolti in una lunga treccia. Si osservò pochi minuti allo specchio e ricordò l’aspetto che aveva duecentocinquant’anni fa. Adesso i suoi muscoli erano leggermente accentuati sopra i vestiti, nulla a che fare con il corpo esile e fin troppo scarno di tanto tempo prima; il suo volto aveva assunto una perenne espressione calma, perfetta a celare ogni emozione o sentimento che aveva dentro; i capelli castani erano lunghi, anche fin troppo. Un pensiero solcò la mente di Mayve, un’idea che si rifiutò di accettare, ma che poi suonò più che conveniente quando analizzò gli aspetti positivi. Allora prese in mano il manico di un pugnale e rimosse la piccola lama dal fodero, poggiandola sul punto medio della lunghezza della treccia. Fu un taglio netto, in pochi secondi aveva una lunga treccia fra le mani e il pugnale nell’altra. Ripose la lama e buttò in un cestello quella piccola parte di sé che non le apparteneva più. Infilò le dita fra i capelli, sciogliendoli e legando il ciuffo in trecce che le avrebbero ornato elegantemente la nuca.
Adesso sì, aveva l’aspetto di una guerriera.
Indossò un mantello da viaggio verde acido e uscì dalla propria stanza, chiudendo la porta. Davanti alla sacca da viaggio, c’era Haldir con in mano una boccetta di vetro rivestita di cuoio. Gli occhi del padre si sgranarono in un’espressione piena di sorpresa.
 «Hai tagliato i capelli.» Osservò. «Come mai?» Quando Mayve si avvicinò abbastanza, Haldir infilò le dita fra le sue ciocche, allisciandogliele fino alla loro nuova lunghezza.
 «Erano troppo lunghi. So che vanno usati fino alle anche, ma durante i combattimenti sono indomabili e difficili da gestire, così li ho tagliati.» Forse anche troppo, ora che ci pensava. Haldir le sorrise, baciandole la fronte.
 «Ho una cosa per te.» Le annunciò, porgendole quella boccetta. Mayve la prese in mano e se la rigirò fra le dita. «E’ un infuso elfico per le ferite gravi.»
Mayve lo guardò subito negli occhi, cercando il suo sguardo. Quello non era un semplice infuso, quella era luce liquida. «Ada, è molto raro. Perché lo dai a me?»
 «Nel mio cuore, so che questo non sarà un viaggio che durerà poco. Voglio che lo tenga tu in caso di necessità.»
Un corno suonò una lunga nota grave, segno che la regina sarebbe salita sulla carrozza tra qualche minuto.
Mayve infilò frettolosamente la boccetta nella sacca che si mise alle spalle. «E’ ora che io vada.» Padre e figlia si guardarono negli occhi e si strinsero in un abbraccio.
 «Ricorda cosa diceva Alun:» il cuore di Mayve tremò a quel nome e delle lacrime minacciarono di uscire. «segui sempre il tuo cuore.»
Prima di allontanarla da sé, le diede un ultimo bacio nell’attaccatura dei capelli.
Mayve corse verso la porta, la aprì, ma prima di andare via a passo felpato, si voltò un’ultima volta verso Haldir, tenendo stretto il medaglione d’argento al petto.
 «Quel marth (buona fortuna)!» Le disse infine.
 «Diola lle, ada (grazie, papà).»

Arrivò appena in tempo davanti alla carrozza. Un servitore le prese la sacca, riponendola fra i bagagli della regina, successivamente le consigliò di mettersi in posizione.
Dopo pochi minuti arrivò Lady Galadriel, con un mantello blu a nascondere l’abito che indossava. Salì gli scalini e si accomodò dentro la carrozza. Quando il cocchiere annunciò la partenza, anche Mayve entrò a sedersi, chiudendo la piccola porta.
Davanti a lei vi era Galadriel, che scoprì a guardarla con quel suo solito sorriso appena accennato.
 «Buongiorno, mia Signora.» Le augurò cortesemente.
 «Buongiorno, Mayve. Hai dormito bene?»
 «Veramente non ho chiuso occhio.»
 «Troverai riposo durante il lungo viaggio di andata.»
Cadde un breve silenzio.
 «Voi, avete dormito questa notte?»
 «Purtroppo no.»
Scambiarono delle chiacchere su argomenti leggeri, come libri, stagioni, feste e usanze fra le culture della Terra di Mezzo. Quando venne l’ora di pranzo, le due mangiarono un pezzo di lembas e dopo, Galadriel le chiese se le avrebbe voluto leggere un libro per passare del tempo, Mayve fu più che felice di quella proposta.
Si dedicarono alla lettura fino alla sera e quando venne l’ora di cena, mangiarono un altro pezzo di pane elfico. Si coprirono con delle coperte e la luce lunare aiutò ad alimentare quella rilassante sonnolenza.
Prima che il sonno si impadronisse di entrambe, Mayve diede libero sfogo a un pensiero fisso:  «Mia Signora, non voglio essere indiscreta, ma, posso farvi una domanda?»
Galadriel le sorrise, facendole segno di sì con la testa. «Perché avete scelto me per accompagnarvi in questo viaggio? In questi duecentocinquant’anni ho avuto modo di conoscervi un po’ e so che non fate mai una cosa per un solo scopo.» Fece una pausa, per poi domandare di nuovo: «Perché proprio io?»
 «Non sta a me rispondere a questa domanda, anche se ammiro il tuo intuito. Un giorno, non molto lontano, sarai tu stessa a darti una risposta e allora capirai qual è davvero il tuo posto in questo mondo.»






Nda.

con qualche mese (di troppo) di ritardo, sono ritornata ad aggiornare questa fanfiction, per quale ho molte idee in mente per uno sviluppo interessante della trama ;)

Fatemi sapere cosa ne pensate,

un abbraccio e alla prossima!


kyra

 
  
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