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Autore: Chemical Lady    17/10/2018    1 recensioni
[[ Spoiler su tutto Tokyo Ghoul :re - Presenza di personaggi OC nella storia ]]
La figura che troneggiava su di lei sembrava un angelo.
Distinta, si stagliava verso il cielo possente, spezzando il buio notturno con la sua bianca presenza. Il cappotto candido cadeva fino al terreno, immacolato ad eccezione di qualche piccola ma visibile goccia di sangue. Una costellazione vermiglia, spaventosa, che impregnava il tessuto sovrapponendosi ad altre più vecchie, marroni e rapprese, ad alta velocità.
Il volto, invece, pareva quello di un demone. Gli occhi dall'innaturale sclera nera spiavano impassibili e annoiati il solo superstite della squadra Hidaishi.
Riversa sul marciapiede, in una pozza della sua stessa urina, c'era una ragazza dai capelli neri, che spuntavano arruffati da sotto il casco della divisa antisommossa del CCG. Teneva gli occhi ambrati fissi su quelli del ghoul dalla maschera rossa, incapace di distoglierli.
Sto morendo , si diceva in una lenta litania. Sto morendo.
Aiko Masa, vent'anni sprecati a compiere scelte inutili, stava morendo.
[[ Quinx Squad center ]]
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio, Sasaki Haise, Sorpresa, Un po' tutti, Urie Kuki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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僕は孤独さ  No Signal

Parte settima: Il caso Re.

 

 

 

«Hai avuto modo di parlare con Eto, di recente?»

Lo stato meditativo nel quale si era rinchiusa in seguito agli allenamenti col maestro andò in pezzi al solo suono della voce di quest’ultimo. Il cinese si era espresso nel suo idiota natio, cosa che in fin dei conti non era poi così tanto straordinaria o rara, ma avveniva per lo più quando non erano soli e dovevano per forza nascondere i loro pensieri agli altri.

Peccato che in quel momento, sul tetto della sede della diciannovesima, immersi nel persistente profumo delle rose che Kenta curava ogni giorno, ci fossero solo loro due.

La mora aprì gli occhi dorati per piantarli in quelli rossi dell’albino, strusciando le mani sulle ginocchia, improvvisamente a disagio. Qualcosa non andava e temeva di aver fatto qualcosa di sbagliato. «No, Laoshi. Non parliamo dal giorno in cui mi hanno dimessa dall’ospedale, dopo l’intervento. Quando faccio rapporto sulle attività di Haise Sasaki non ha mai niente da commentare

«Capisco.»

Tatara si mise a sedere di fronte a lei, lentamente. Non c’era  traccia di rimprovero nella sua voce, né di rabbia. Persino nei suoi movimenti, lenti ed eleganti come l’acqua che scivola sulle rocce di un torrente, non vi erano segni che preannunciassero una lavata di capo o peggio, una punizione. Aiko se ne sarebbe accorta, altrimenti. Ormai sapeva leggere l’albino come un libro aperto. Non fece nulla se non prendere posto con lei, appoggiarsi le mani sulle ginocchia ed espirare, svuotando i polmoni. I suoi occhi si chiusero e si concedette anche lui un po’ di meditazione.

Lei non parlò subito. Osservò per un secondo la linea di netto contrasto fra la maschera rossa viva e la pelle di alabastro, prima dell’ombra della barba, lucida, poi lo imito, chinando il capo e chiudendo le palpebre.

Rimasero così per minuti infiniti, ma lei non riuscì più a ritrovare la concentrazione di prima. Sentiva tutto amplificato attorno a lei, da quando le era stata impiantata la kagune. Gli odori dei fiori e delle erbe che si mischiavano fra loro, il suono del traffico di Tokyo sotto di loro, i movimenti dei membri di Aogiri che vivevano nello stabile, nei piani inferiori. Il profumo forte eppure piacevole del ghoul seduto di fronte a lei. Ogni persona ora aveva un odore unico, che spesso le arrivava alle narici prima ancora di incontrarla.

E poi c’era la questione rimasta in sospeso, in  bilico.

«Ti chiedo perdono, Laoshi», inizio con cautela. Attese di vederlo ricambiare lo sguardo, prima di riprendere a parlare con lui, in cinese. «Sei preoccupato?»

«Shì de.» La risposta la lasciò del tutto spiazzata. Si era aspettata una negazione, magari di essere arguita sul fatto che quelle non erano questioni che la riguardavano. Invece per la prima volta in oltre tre anni, il suo aguzzino stava ammettendo che temeva qualcosa.  Aiko lo trovò inconcepibile. Sentì il pavimento mancare sotto al cuscino su cui sedeva. Se lui aveva paura di qualcosa, allora, erano perduti. «Il mio però è solo un sospetto. Non ho prove a sostegno della mia teoria e fino ad allora tu dovrai solo limitarti a continuare a fare ciò che hai sempre fatto.»

«Shì de, Laoshi.» Con le mani tremanti, si appoggiò al lastricato della veranda, chinandosi totalmente di fronte a lui. «Perdonami, ma sono debole e ti imploro per la conoscenza. Dimmi ciò che ti preoccupa e cercherò di porre rimedio

«Tirati su, mèi-mèi.» Attese di vederla sedersi sui talloni, tenendosi poggiata sulle ginocchia, poi sospirò piano. «Non capisco più chi sono i nostri alleati e chi i nostri nemici. Questo limita di molto il mio giudizio sulle situazioni di pericolo per l’organizzazione. Il problema però è ben diverso: temo che questo sia quello che Eto vuole.»

«Eto vuole confonderti?»

«Lo trovi assurdo

A primo impatto sì, Aiko lo trovò assurdo. Era abituata a vedere in Eto e Tatara un unico organico, nonostante sapesse chi dei due avesse più peso in Aogiri. Non di facciata, certo, ma nella pratica nessuno era insostituibile eccetto la fondatrice stessa. Eppure, ogni qualvolta pensava all’Albero, non poteva non immaginare che i tre rami principali fossero loro due e Noro. Da esso poi si articolavano tutti gli altri, da quelli più spessi alle foglione e i germogli. Eto però non era il ramo, né il tronco. Era le radici, che nascoste nel terreno si intrecciano senza essere viste. «Cosa facciamo?», domandò, tenendo gli occhi sbarrati su un bocciolo di rosa.

L’albino le prese il mento fra il pollice e l’indice, costringendola a uscire dal quello stallo per concentrasi sulle sue parole. «Niente. Le lasceremo fare ciò che ritiene giusto e noi faremo la nostra parte. Ora vai o i tuoi colleghi si accorgeranno che manchi da ore.»

Aiko non si mosse di un centimetro. «Credi che trami con…. Con il re?»

Fu Tatara ad alzarsi per primo. La guardò solamente e lei comprese che sì, poteva essere solo così. Loro non valevano abbastanza per sapere tutto, infondo. Eppure un senso di amarezza la colse. Non per se stessa. In un certo senso, provò dispiacere per il suo aguzzino.

Senza Tatara come facciata, non sarebbe esistito più Aogiri.

Eto era troppo presa dalle sue faccende, troppo distratta e incostante.

«Vai. Ti chiamerò io quando avrò bisogno. Fai un favore a te stessa, però: stai molto attenta non solo a non essere scoperta dai tuoi colleghi, ma anche a non scoprire più di quanto dovresti sapere.»

Di nuovo, la lasciò sola con un enigma che lei non sapeva decifrare.

Interpretò però che doveva smettere di curarsi delle scelte di Eto e continuare a fare ciò che le veniva richiesto senza far domande, come aveva sempre fatto.

E come sempre, interpretò male.

 

Capitolo trentasette

«Io non ce la faccio più! Lasciatemi morire qui!»

Masa si appoggiò con le mani alle ginocchia, lasciandosi sfuggire un lieve mugolio di dolore quando toccò la carne viva lasciata in mostra dalle escoriazioni che si era fatta durante ‘l’allenamento’. Era certa che il primo a capitolare sarebbe stato Furuta, ma questi manteneva una certa stoicità nonostante l’espressione devastata. Naoki, d’altro canto, sembrava sul punto di piangere.

«Non abbiamo ancora finito», sottolineò l’ovvio Arima, sistemandosi gli occhiali sugli occhi e scansando la frangetta bianca sudata dalla fronte. Lui, che portava più o meno il triplo della legna che aveva sulla schiena Ikari, sembrava solo leggermente affaticato. Leggermente.

Gli altri membri della squadra, ghoul e mezzi ghoul compresi, erano al limite. Aiko era certa di avere salito e sceso l’alta scalinata per arrivare al tempio di Kagutsuchi almeno settanta volte. Come minimo. Furuta si era addirittura messo a contare i gradini a un certo punto. Erano trecento sette.

Rassegnata, la mora fu la prima a riprendere la salita, portando le mani sulle bretelle del canestro pieno di legna da ardere, per alleviare un po’ la frizione sulle spalle lasciate scoperte della canottiera bianca. Take, in silenzio, la seguì, come fecero anche Sasaki e poi con fatica, Furuta. Arima, invece, non mosse un passo, fino a che anche Naoki non fu pronto a proseguire quell’allenamento suis generis.

La neo squadra di punta della S3 si era formata da appena cinque giorni, ma Arima non aveva dato ai nuovi arrivati nessuno spazio di adattamento. A sentire Nimura, le strade erano due: potevano arrendersi all’incredibile mole di lavoro fisico e mentale oppure lasciare perdere e chiedere il trasferimento. A detta sua, Arima non avrebbe avuto pietà.

E non l’aveva avuta. Aveva preteso di vederli ogni giorno in ufficio a lavorare sul caso del Re col Sekigan, spaccandosi la schiena nelle ricerche dei suoi adepti più famosi. Aiko aveva deciso di concentrarsi su Labbra Cucite – ovvero su se stessa- ma era stato lo Shinigami Bianco a esigere un cambio di rotta. Del leader della diciannovesima si sapeva troppo poco, andava presa Hakatori. Masa si era quindi data da fare. Aveva interrogato ghoul all’interno della Cochlea, in particolare la giovane Fueguchi, scartabellato ogni documento che aveva trovato in archivio sulla Piccola Bin e organizzato appostamenti che però non si erano mai realizzati. Tutto il  lavoro era andato sprecato nel momento in cui Arima li aveva portati tutti a un’ora e mezzo di auto da Tokyo. Certo, Hinohara era un paesino di montagna delizioso e il tempio in cui erano ospiti era bello.

Però il loro addestramento non aveva alcun senso.

Arima non li stava preparando a lottare.

Li aveva messi sotto gli ordini diretti del guardiano del tempio, il signor Higashi, e del suo giovane e aitante figliolo, Hori. Erano arrivati in mattinata e avevano spaccato un quantitativo di legna sufficiente per mantenere caldo il tempio e tutti i suoi ambienti per l’inverno. A pranzo avevano consumato velocemente un bento ricco, ma troppo misero per il dispendio di energie che li aspettava per il dopo pasto: portare tutta la legna spaccata fino alla capanna in cui sarebbe rimasta fino al momento dell’utilizzo.

Aiko iniziava a non sentire più i muscoli delle gambe, tanto che era caduta almeno una decina di volta, picchiando le ginocchia sui duri gradini di pietra fino a farle sanguinare. La rigenerazione faticava a tenere il passo con qui ritmi serrati. Lei e Sasaki dovevano, poi, pagare il peso della loro forza superiore a quella dei colleghi. Ogni giro che faceva Naoki carico di legna, loro dovevano farne almeno tre e con il triplo del peso.

Arima sosteneva che se ci riusciva lui, loro dovevano fare di meglio.

Haise, seppur stanco, non era né sorpreso né tanto meno votato a fallire. Masa semplicemente non capiva. Era entrata in quella squadra convinta di poter avere una formazione tattica superiore, non per venire sfruttata da un vecchio pazzo e dal pigro figlio. Si era anche azzardata a dirlo ad Arima, dimenticando il consiglio d’oro di Koori Ui: mai e poi mai contraddirlo. Aveva litigato con lui tre ore di seguito, mentre continuavano però quell’ingrato lavoro.

Litigato poi era un termine eccessivo. Lei aveva litigato. Lui le aveva solo dato modo di arrabbiarsi sempre di più.

Ci aveva messo tre ore, ma aveva capito cosa intendeva Hirako quando sosteneva che Arima era veramente molesto. A quel punto si era zittita, conscia che lo Shinigami l’aveva presa in giro tutto il tempo, iniziando a impegnarsi per fare quattro giri consecutivi invece di tre.

Arrivò in cima alle scale per prima, fermandosi un secondo sotto al Torii rosso vivo per riprendere fiato, poi avanzò verso il santuario ausiliario, di fronte al quali i due Higashi stavano sistemando il frutto del loro duro lavoro in pile precise.

«Grazie, Aiko-chan», le disse divertito Hori quando lei scaricò il canestro senza troppe cerimonie, mollandolo un attimo a terra per sfare la treccia che portava sul capo. Troppe ciocche erano sfuggite e le davano fastidio, incollandosi al collo pallido e sudato. Si mise a rifarla. «Il sole inizia a tramontare. Siete a buon punto.»

Lei sbuffò, spostandosi per far spazio a Hirako e Sasaki, «Mancheranno sì e no due o tre carichi a testa.»

Haise sospirò, abbassando le spalle. «Preferisco comunque portare la legna, rispetto a quello che dovremo fare domani prima di tornare a Tokyo.»

Aiko, che aveva intuito che doveva esserci la fregatura quando Arima aveva detto che si sarebbero anche fermati per la notte, assottigliò di poco gli occhi. «Cosa dobbiamo fare domani?»

«Portare sacchi di riso.»

«Mi state prendendo per il culo?!»

Nimura scaricò a sua volta la legna, mantenendo il suo solito sorriso positivo. «Se siamo fortunati, prima di partire, potremo anche iniziare ad allenarci per il Festival dello Sp-»

«Non azzardarti», gli sussurrò Hirako, guardando fuori dal capanno. Arima non era ancora arrivato, segno che Ikari era come minimo a metà scalinata. «Se nomini il Festival dello Sport ad Arima inizierà a impazzire già da ora.»

«Mancano ancora più di tre settimane, no?», si informò Aiko, ringraziando Hori quando le passò una bottiglia di acqua. Lei prese un sorso abbondante, prima di passarla a Sasaki. «Dobbiamo fare una staffetta. Che diavoleria potrà mai inventarsi Arima, per battere questa tortura delle scale?»

Hirako prese a sua volta la bottiglia, guardandola truce. «Non lo vuoi sapere.»

«Si è fissato su come bisogna passarsi il testimone», le rispose Furuta, ottenendo un’altra occhiataccia. «Secondo lui c’è un modo ben preciso per farlo risparmiando 0.4 decimi di secondo.»

«Ha in squadra me e Haise, chi se ne frega se tu o Naoki perdete quattro decimi?»

Nimura scrollò le spalle, insofferente. «Che posso dirti. È molto competitivo. Soprattutto da quando Akira lo ha battuto quattro anni fa.»

«L’anno in cui lui era in squadra con lei», gli fece notare Aiko, indicando con il pollice Sasaki, che ridacchiò piano, divertito, prima di andare a grattarsi il mento. «Senza contare che abbiamo perso. Insomma, chi può battere i Quinx

«Ecco.»  Hirako alzò il suo canestro, pronto a ripartire per avvicinarsi alla conclusione di quella assurda giornata. «Questa è una cosa che mai e poi mai devi fargli notare.»

«O ci ammazza a furia di farci allenare», aggiunse Sasaki.

Furuta rise, apertamente, mentre usciva dal capanno insieme alla mora. «O quello ci fa correre attorno a Tokyo fino a che non ci mettiamo solo due ore!»

 

 

«… e quando abbiamo finito con le legna, Arima ha dimostrato a tutti che si ricordava perfettamente del Festival dello Sport e ci ha costretti a fare dieci giri di corsa attorno al recinto del tempio.»

Dall’altra parte della cornetta sentì delle bacchette cadere su di un piatto e una imprecazione mal trattenuta dalla persona a cui aveva appena finito di raccontare la sua distruttiva giornata. – Tu comunque sembri energica per aver fatto tutta questa attività fisica.-

Aiko prese un tiro dalla sigaretta, mettendosi seduta più comodamente sul secondo gradino della tanto odiata scalinata, fuori dal torii, così da non fumare nei confini sacri. Avevano già dissacrato quel luogo di culto con ogni tipo di parolaccia nell’arco delle ultime quattordici ore, non voleva aggiungere altri insulti alle divinità. Non che fosse credente, ma la sua famiglia lo era e le aveva insegnato a portare un certo rispetto in determinate situazioni. Se fossero stati meno concentrati sulla forma e più sulla sostanza, forse non sarebbero finiti così, a non rivolgersi nemmeno la parola. «Non sono energica. Sono morta dentro, quindi tanto vale prenderla con filosofia. Puzzo come non ho mai puzzato in tutta la mia vita e sto finendo le sigarette, ma mi rifiuto di scendere queste maledette scale per arrivare in paese. So che non riuscirei a tornare su, dopo.»

-Quanto sei tragica. Come se non ti fossi mai allenata prima.-

«Non per quattordici ore di fila, Cookie. Questo non è un addestramento, è un tentato omicidio premeditato.»

Il ragazzo non si impressionò nemmeno un po’. –Allora sei fortunata a vivere in un paese che prevede la pena di morte in questi casi. Denuncia il tuo capo.-

Aiko sbuffò sonoramente, terminando la sigaretta e spegnendola contro il gradino, prima di appoggiarla dentro un fazzolettino. Se Arima avesse trovato anche solo un mozzicone l’avrebbe costretta a spazzare ogni singolo gradino, a detta di Take. «Potrei farlo visto che mi ha dato un ordine davvero stupido, prima.»

-Ovvero?-

«Scoprire la vostra formazione della staffetta. Siete i nostri principali avversari quindi vuole un file aggiornato con ogni vostra debolezza per fare una strategia.»

Silenzio.

–Il classe speciale sa che il Festival dello Sport è stato una idea del direttore Yoshitoki Washuu per farci socializzare al meglio fra di noi? Questa dovrebbe essere una giornata atta a creare più spirito di cameratismo fra compagni di squadra e non per eliminare i colleghi.-

«Ad Arima non frega niente, ci tiene molto a vincere. È una sua perversione a quanto pare.»  Un sassolino le colpì la schiena. Aiko si voltò e vide Nimura farle segno di avvicinarsi, senza aprire bocca, per non disturbare la quiete del tempio. «Ora devo andare. Però confido che mi aiuterai a fare rapporto sulla tua stessa squadra.»

-L’alluce valgo di Saiko vale come punto debole?-

«Quello forse no, ma il suo seno sì. Come fa a correre così attrezzata?» Aiko si alzò in piedi, stirando la schiena. Nonostante la rigenerazione sentiva come se il suo corpo fosse sul punto di collassare su se stesso. Ripetutamente. «Ci sentiamo domani mattina, Cookie. Buon lavoro.»

-Buon riposo.-

Riagganciò la chiamata, sbrigandosi a raggiungere il collega che le sorrise maliziosamente. «Era il fidanzatino, Aiko-chan?», le chiese, suonando come una vecchia zia impicciona, mentre le tirava piano la guancia.

Lei lo lasciò fare, mentre entravano nella piccola struttura nella quale si consumavano i pasti. Erano già tutti seduti al tavolo e la moglie del custode stava appoggiando di fronte a loro piatti ricolmi di prelibatezze. Almeno non si potevano lamentare dell’ospitalità. C’era cibo sufficiente per un esercito. «Non essere molesto, Nimura», lo riprese bonariamente Arima, mentre Aiko si sedeva sulla panca accanto a lui. «Se siete ancora così tanto svegli da scherzare fra di voi, allora possiamo esercitarci un po’ con le quinque dopo cena.»

Tutti sbiancarono, muti. Il solo a esternare il suo dolore fu Naoki, che a stento riusciva a tenere il capo alzato. «Sto per fare harakiri con la spada sacra.»

«Scherzo, scherzo», ribatté asettico lo Shinigami, mentre persino Sasaki si portava una mano alla fronte, sollevato. Non sembrava affatto uno scherzo e ad ogni modo nessuno sembrava divertito. «Siete liberi fino a domani mattina. Colazione alle sette. Sotto al torii alle otto meno un quarto, quando arriverà il camion con i sacchi di riso.»

«Che gioia», rispose Hirako, privo di qualsiasi sentimento nella voce.

«Sembra una partita a chi fa più schifo a fare il sarcastico», disse Aiko, indicandoli con le bacchette. Fu la sola a interessarsi alla conversazione, visto che Furuta e Ikari si stavano già rimpinzando. Sasaki rimase immobile per un paio di minuti di fronte al piatto pieno di quello che sembrava carpaccio di manzo.

Ma non era manzo.

Cedette in fretta ai morsi della fame e alla sua pancia che ululava per venire riempita, prendendo le bacchette fra le dita guantate di rosso. «Grazie per il pasto», sussurrò a mezza bocca, mentre Arima gli riempiva un bicchiere di acqua.

A nessuno importava che stesse per mangiare della carne presumibilmente umana. Aizawa gli aveva preparato un frigo portatile prima di partire e Haise si era organizzato alla bene meglio per far passare la sua cena come qualcosa di comune. Avrebbe preferito andare nel bosco a nutrirsi, ma avrebbe mancato di rispetto a coloro che li ospitavano.

Nemmeno a loro sembrava interessare che un ghoul sedesse alla loro tavola. Avevano fatto di tutto per non metterlo a disagio, ignorando il topic della carne e concentrando la conversazione sulle festività che organizzavano annualmente al tempio. Parlarono solo loro, perché la squadra Arima era momentaneamente composta da persone di base taciturne e da morti viventi.

A pasto ultimato, anche Aiko accusò tutta la stanchezza accumulata durante la giornata. Mentre la digestione iniziava a fare il suo corso e lei si ritrovava a fare il bagno da sola – il vantaggio di essere la sola ragazza della squadra era quello di potersene rimanere sbragata in una vasca piena di acqua bollente tutta per sé- rischiò di addormentarsi appoggiata con le braccia al bordo.

I ragazzi, che si stavano lavando dall’altra parte di un muro di mattoni crudi, parlarono poco per non dire niente.

Quando trovò le forze per uscire e indossare i vestiti coi quali avrebbe dormito, Aiko scoprì che Naoki era già a dormire da venti minuti. Arima e Sasaki non erano ancora usciti dalla vasca e Nimura si stava apprestando a leggere l’ultima uscita di Shonen Jump prima di coricarsi a sua volta.

«Io faccio una passeggiata», sussurrò a Furuta, che annuì sfilandosi un auricolare da cui proveniva quella che sembrava terribilmente musica latino americana. Anche se avesse urlato, comunque, Ikari non si sarebbe svegliato. Sembrava morto. Non aveva nemmeno fatto troppe allusioni sul lato b di Hori, dimostrando quanto grave fosse la situazione.

«Come una passeggiata? Non hai camminato abbastanza?», si informò il moro, ottenendo come risposta la visione del pacchetto di sigarette. «Che abitudine poco salutare», le disse seriamente dispiaciuto per lei, prima di ritornare ad ascoltare Rapresent Cuba mentre leggeva One Piece.

Uscì dal padiglione nel quale avrebbero dormito tutti assieme, curandosi di chiudere per bene la porta scorrevole alle sue spalle. La piazza era completamente sgombra di fronte a lei e il tempio principale, che si ergeva al centro esatto di fronte al toori, era illuminato dalla luce delle lanterne ad olio. Aiko lanciò uno sguardo all’altare, prima di muovere qualche passo. Non verso il lastricato però.

Girò sui tacchi e, tenendo il cellulare in mano, accese la modalità torcia. Trovò il sentiero che cercava dietro al santuario ausiliario e iniziò a camminare, proseguendo persino quando incontrò il limite del recinto sacro. Scavalcò quella piccola staccionata, notando che il suolo distinto dal calpestio continuava nel bosco. Non doveva essere la sola ad aver deciso di  avventurarsi in quel luogo negli ultimi tempi. Il bosco bloccò i raggi di luna, gettandola in un buio profondo. I sensi acuiti dal kakuo iniziarono a giocarle scherzi strani. Si sentì seguita a un certo punto, così si fermò. L’occhio sinistro si tinse di nero, e cercò di capire se fosse solo un effetto psicologico che il bosco claustrofobico le proiettava nella mente o se fosse vero.

Quando Take le apparve davanti, scansando una frasca, si diede della stupida.

«Cosa stai facendo?», le domandò, guardando la kagune che nemmeno si era accorta di avere estratto.

«Stavo per farti fare la fine di Urie Kuki ad Aokigahara», gli rispose stizzita. «Per caso è una moda quella di seguire le persone nei boschi senza dire nulla per farsi riconoscere?»

Hirako fece spallucce. «Ti ho visto allontanarti e ho pensato di impedirti di farti del male. O, a dire il vero, di fare del male a qualcun altro.»

L’occhio tornò identico al suo gemello e la giovane lo trapassò con le iridi dorate, riprendendo per la sua strada. Nemmeno a dirlo, lui la seguì. «Vai a dormire, Take. Sei stanco.»

«Non sono così stanco.»

«Stai trascinando i piedi.»

«Posso resistere un’altra mezzoretta.»

Era inutile. Era come sbattere ripetutamente il capo contro il muro o cercare di convincere Arima a cambiare idea su qualcosa. In effetti, erano davvero simili quei due. Aiko si chiese come fosse Take prima di incontrarlo, se fosse sempre stato un testardo o se lo Shinigami lo avesse plagiato.

«Cosa stiamo cercando?», si informò l’agente, tenendo le mani nelle tasche della tuta da ginnastica nera del bureau.

Masa sorrise affabile, guardandolo di sottecchi. Le si era affiancato, sfruttando anche il suo telefono così da avere due torce. «Una cosa che ho letto su internet.»

«Se cerchi il tempo della Kitsune è di là», le fece sapere, indicando fuori dal sentiero. Lei si fermò, guardandolo male. «Scusa, ma veniamo qui molto spesso e ogni tanto ci fermiamo per giorni. Per disintossicarmi da Arima faccio lunghe passeggiate serali anche io.»

Voleva davvero trovare quel tempio abbandonato, così con un sospiro rassegnato, la mora gli fece cenno. «Fai strada.»

Lui, che si era abituato da anni al tono scocciato che usava la ragazza quando gli si rivolgeva, si limitò ad eseguire, precedendola.

Calò il silenzio fra loro e Masa si sentì subito a disagio. Come sempre, una volta combinato il danno, se ne rese conto. Aveva risposto male al suo superiore, si era comportata come una stronza di nuovo. Take non aveva fatto niente di male, se non proporsi di accompagnarla, per non lasciarla sola. Lo faceva sempre, erano anni che si prendeva cura di lei. Non riusciva però a scusarsi, perché lei quelle attenzioni non le voleva. Non voleva esser trattata con gentilezza, perché non lo meritava. Eppure il senso di colpa si acuì così, testarda, preferì muovere un gesto verso di lui piuttosto che chiedergli scusa. Allungò una mano, prendendo il bordo della maglietta bianca che indossava e stringendolo fra le dita.

Lui non reagì, mantenendosi pacatamente chiuso nel silenzio.

Per fortuna non camminarono ancora molto.

«Questo luogo è meraviglioso.»

Fu tutto ciò che Aiko si sentì di dire di fronte al tempio. La struttura un tempio sacra era rimasta abbandonata per molto tempo, lo si intuiva dalle condizioni di trascuratezza che avvolgevano non solo gli ambienti interni, ma anche il cortile esterno. Un pavimento di foglie cadute si stendeva a tappeto sotto i loro piedi, oltre la statua della volpe, fino ai gradini di legno del santuario modesto.

«Inari», sussurrò Aiko, passando le dita sui kanji che rappresentavano il nome della divinità, scolpiti sul basamento della statua.

«Come il mio cane», aggiunse Take, facendola sorridere divertita, mentre il disagio tra loro si dissipava come sempre con naturalezza. «Quando era cucciola sembrava una piccola volpe», continuò il rosso, mentre si avvicinavano alla struttura.

«Mi ricordo quando l’hai presa. Era microscopica.»

Si ricordava benissimo della prima volta in cui Hirako  aveva mostrato al lavoro la foto del suo Shiba Inu. Nessuno era riuscito più a riprendere a lavorare, quella mattina.

«Come mai ti sei interessata a questo piccolo tempio abbandonato?»

Aiko si sedette sui gradini, spegnendo la torcia e alzando il viso. In quello spiazzo privo di vegetazione, la luna illuminava la pavimentazione erbosa. Le cicale ormai non cantavano quasi più, ma il brusio di fondo della foresta che prima l’aveva tanto oppressa, in quel momento la fece sentire protetta. Al sicuro.

«Mi è sempre piaciuto cercare gli yokai nei boschi. Lo facevo sempre quando ero piccola e andavano a trovare i parenti a Kyoto.»

Take non parve stupito. «E pensare che hanno inventato gli spiriti delle montagne e delle foreste per spaventarli, i bambini.»

«Le kitsune mi hanno sempre affascinato», proseguì lei, appoggiandosi con il gomito al ginocchio. «Possono assumere la forma di donne bellissime, diventare invisibili e hanno poteri divinatori. In un certo senso, sono delle maschere di loro stesse, indossano sempre identità che non gli appartengono.»

Hirako, seduto accanto a lei, le impedì di accendersi l’ultima sigaretta rimasta. Fu però abbastanza gentile da rimetterla nel pacchetto, portandoselo in tasca. «Era un territorio sacro questo.»

Lei lo guardò assottigliando gli occhi. «Era.»

«Comunque non fumare ora, è fastidioso», la zittì, ottenendo come ricompensa una linguaccia. Non che potesse scoraggiarlo in qualche modo. Non le restituì comunque il pacchetto. «Tu sei un po’ come la kitsune

Lei iniziò a giocherellare con l’accendino, abbozzando un sorrisetto. La fiamma le illuminò il viso e lui notò una certa melanconia in quelle iridi. «Perché ho le code?»

«Perché indossi sempre una maschera.»

E lei non rispose.

Era stanca di cercare scuse.

 

 

 

Quando era arrivata nel fatiscente palazzo che avrebbe ospitato la riunione dei capi di Aogiri, Aiko si sentiva ancora amareggiata dalla conversazione che aveva avuto prima di uscire con Urie. Aveva usato la stessa scusa di sempre, per potersi allontanare per l’ora di cena, ovvero che sarebbe passata a casa di sua madre. A quel punto però lui le aveva riservato un’occhiata strana, prima di dirle esattamente quello che stava pensando.

«Quando ti hanno ricoverata dopo lo scontro con Tatara, lei non è mai venuta a trovarti.»

Hsiao aveva continuato ad apparecchiare la tavola insieme a Saiko, piegando uno dei tovaglioli di carta color pistacchio senza nemmeno alzare lo sguardo. Eppure Aiko si era fatta così paranoica da voltarsi verso di lei invece di rispondere al compagno. La scusa che aveva buttato fuori, una potenziale avversione di sua madre verso gli ospedali, era uscita un po’ stentata e quando si era allontanata salutandoli, aveva sentito quel muro di menzogne dietro a cui si nascondeva crepare ancora di più.

Non avrebbe retto ancora molto, lo sapeva.

Quando aveva visto Kenta aspettarla fuori dalla caffetteria in cui passavano la mattina da quando nessuno dei Quinx aveva più voglia di andare al :re, non avevano nemmeno avuto bisogno di parlare. Aveva controllato la sim card nel bagno delle donne durante una pausa in ufficio e aveva trovato orario e luogo per la riunione a cui non sarebbe potuta mancare.

«Cosa è successo?», aveva chiesto ad Ayato, sedendosi accanto a lui a terra, con la schiena contro il muro.

Il ragazzo l’aveva guardata con la coda degli occhi, alzando le spalle come per dirle che non lo sapeva e poco gliene importava. Continuò a rigirarsi fra le mani un rametto, facendo passare qualche minuto prima di aprire la bocca. «Era un po’ che non ti facevi vedere in giro.»

«Non sai niente di cosa mi hanno chiesto di fare ora?»

«Sì, dai la caccia a noi.» Masa non gli rispose, ma lui non ne aveva bisogno. «Tsubasa mi ha detto della promozione. Congratulazioni. Lavori con i pezzi grossi ora.»

«Parla piano», sussurrò fra i denti, controllando che la maschera fosse ben ritta sul viso a nasconderla. «Se ti sentissero-»

«Chi se ne frega, questa stupida associazione di pazzi visionari sta andando in rovina. Ora ti ci metti anche tu cercando di catturare Hakatori

Aiko decise di non rispondergli. Ayato sembrava avere una sorta di calamita per i litigi e lei non voleva mettersi in mezzo. Preferì concentrarsi su altro. «Perché non c’è Seidou?», chiese stranita, mentre Naki e gli Smoking Bianchi entravano nello stanzone, completando il quadro.

Kirishima si voltò a guardarla, prima di alzarsi in piedi. «Non sono la sua fottuta balia. Non so perché non c’è.»

Si allontanò a passi veloci, lasciandola sola a rimuginare su quello strano comportamento. Anche quando Tomoe le si mise accanto, salutandola con rispetto e chiamandola senpai come se non la infastidisse il fatto che Aiko le stava dando la caccia, Masa non riuscì a smettere di pensare che Rabbit potesse sapere qualcosa che a lei sfuggiva.

Tatara attirò la loro attenzione, ponendo così fine a ogni elucubrazione.

«Le recenti sconfitte che abbiamo subito non possono essere attribuite solamente a un perfezionamento nelle comunicazioni all’interno della ccg, ma a un deterioramento delle nostre.»

Tutti i presenti nella stanza rimasero in religioso silenzio, quasi come se dovessero condividere una colpa comune. Aiko, invece, si sentiva come se quelle parole mirassero solo a ferire lei. Incassò il capo fra le spalle, mentre anche Eto si univa a loro, entrando dalla porta con dei piccoli balzi calibrati, si appoggiò al muro dietro a Tatara, sorridendo all’investigatrice quando questa le lanciò una fugace occhiata.

L’albino, che aveva solo iniziato, parve non curarsi affatto della presenza della Bambina con le Bende. «Abbiamo ormai definitivamente perso il controllo della tredicesima e di tutte le zone attigue. La squadra di Suzuya Juuzou è impossibile da sconfiggere e noi non possiamo permetterci di dispiegare grandi numeri ora. Manca poco al nostro ultimo, definitivo attacco.»

«Definitivo?»,  ripeté a voce alta Naki, con tono ottuso.

Tatara lo guardò con sufficienza oltre il bordo alto della maschera. «Precisamente», gli rispose, prima di esplorare lo stanzone ad ampie falcate per portarsi fra loro. «Ci sarà uno scontro aperto, nel quale non importerà molto di chi vincerà o chi perderà. Importerà solo ciò che noi divulgheremo.»

«Ovvero?», si inserì Ayato, con scetticismo.

Il suo Laoshi parve quasi offeso da quella mancanza di fede. «Zhēnxiàng»

La verità.

Masa strinse di più le ginocchia al petto, sopraffatta da così tanti pensieri da rischiare di venir schiacciata da un momento all’altro. C’erano tantissime verità delle quali dovevano discutere, in effetti. Quale fosse la più importante per Eto, in quel momento, era un mistero per lei.

«Manca ancora tempo prima di questo, però. Dobbiamo serrare i nostri ranghi e evitare che si verifichino ulteriore falle nel nostro sistema.» Tatara diede loro le spalle, unendo le mani dietro la schiena, col capo chino e la fronte corrugata. Aiko sapeva che stava per dire qualcosa che non voleva dire. Faceva sempre quell’espressione quando Eto gli dava ordine che non comprendeva o che non appoggiava. Poi però, come sempre, proseguì come se nulla l’avesse turbato. «C’è qualcuno fra noi che dovrà rispondere di accuse molto pesanti, stasera.»

Quando i suoi occhi color rubini si scontrarono con l’oro delle iridi di Aiko, lei sentì il cuore mancarle di un battito. La bocca sotto le bende di Eto si torse in un ghigno, distorcendo le linee bianche che la mascheravano agli occhi dei presenti. Il Gufo si aggrappò con i suoi artigli alla manica del cappotto immacolato dell’albino. «Ora è il momento di giustificarti a tutti noi, Aiko-chan

Quella era la prima volta che Eto le rivolgeva apertamente la parola di fronte a tutti gli altri boss di Aogiri. Era anche la prima volta che usava il suo nome per intero.

La prima volta che la spogliava della sua copertura.

«Alzati», le ordinò perentorio Tatara, senza nemmeno sforzarsi di parlarle in cinese. L’avrebbe umiliata in modo che tutti potessero capirli? Masa non aveva comunque modo di rifiutarsi, né di tirarsi indietro. Quando si alzò in piedi, con le ginocchia a tremarle appena sotto alla mantella chiara, lui non le riservò alcun garbo. «Levati la maschera.»

Una folle paura le attanagliò il cuore, mentre meccanicamente portava la mancina dietro al capo, allentando la fibbia che teneva ferma la mascherina di cuoio. Se la sfilò e con essa caddero anche le bende, mentre un leggero brusio si diffondeva per la stanza.

Miza tirò indietro il capo, come un serpente pronto a mordere, mentre Naki la guardava senza capire. «Nonnina, a te non sembra quella colomba che era su tutti i telegiornali?»

«Perché è lei», rispose Tre Lame, mentre Kenta cercava lo sguardo di Aiko, finalmente consapevole del motivo per il quale c’erano stati così tanti segreti fra le loro file. Aiko  però non la ricambiò, poiché teneva le iridi sgranate sul pavimento, incapace di muoversi o anche solo di parlare.

Stava per morire? Sì, doveva essere così. Non avrebbe avuto alcuna utilità ora che la sua copertura era saltata.

«Sei famosa, Aiko-chan», cantilenò Eto, andandole incontro e prendendole le mani, trascinandola così di fronte a tutti. Saltellò sul posto, giuliva, prima di appoggiarle una mano sulla guancia, raccogliendo sulla punta dell’indice la lacrima che stava scorrendole verso il mento. Se la portò alla bocca, leccandola via dal dito, prima di fare un piccolo giro su se stessa. Era la quarta essenza della gioia in quel momento. «Sono molto, molto felice che finalmente tu possa guardare i tuoi alleati in volto. Da pari.»

Le parole della ragazza bassa la confusero. Si stava aspettando di venir trattata alla stregua di un animale da macello, così come Tatara le aveva detto quel giorno. Avrebbe rimpianto di non essere stata fatta a pezzi dall’inizio, così le si era rivolto prima di andarsene e lasciarla sola su quel marciapiede. E lei lo aveva atteso, quel momento. Però ciò che aveva appena detto Eto non aveva alcun senso.

Metà delle parole di Yoshimura non ce l’avevano. Ma in quel momento tutto arrivava ad Aiko velocizzato, difficile da cogliere.

«Non capisco…»

«Come non capisci? Come puoi non capire quanto intelligente sei stata!» C’era un tono dolce in quella frase che sembrava così tanto una presa in giro. «Furbetta», proseguì infatti Eto, «Farti assumere da Arima ti ha resa del tutto inutile come spia. Come possiamo tenere un infiltrato in quella squadra? Verresti scoperta in quattro e quattr’otto!»

«C-c’è Sasaki lì», provò a dire la morettina, mentre cercava appoggio da Tatara. Ottenne solo uno sguardo apatico in risposta. Freddo e gelido. «Credevo che ti avrebbe fatto piacere avermi di nuovo a lavorare su di lui. Dopo quello che è successo al Lunar Eclipse-»

«Esattamente dopo quello che è successo quella notte, tutto il lavoro su Haise Sasaki si è fatto inutile e noioso», la interruppe il Gufo, sventolandole una mano sotto al naso. «Ora che ti sei esposta così tanto, non ha più senso continuare così.» Le prese le mani, sporgendosi in avanti per baciarle la guancia. «Sorridi, Aiko. Ora puoi unirti a noi definitivamente

Le labbra di Eto erano fredde.

Ma mai come le sue parole.

«Definitivamente?»

«Esatto! Niente più coperture, sotterfugi e menzogne. Niente più doppia vita! Ora puoi unirti alla causa e seguirla fino al compimento del nostro destino. Non sei felice di questo?»

Per un attimo, Aiko si sentì mancare la terra sotto ai piedi. Non sarebbe più tornata indietro, da quel momento.

Non avrebbe più lavorato con Naoki, Nimura e Haise. Non avrebbe più ricevuto strigliate apatiche da Arima, né si sarebbe più potuta confidare con Koori.

Non aveva nemmeno chiesto scusa a Take.

Non aveva detto addio a Urie.

E i Quinx…. Erano la prima, vera, solida famiglia che avesse mai avuto. Erano la sua casa.

La potenza con la quale realizzò a cosa era arrivata, cosa avevano portato anni e anni di doppiogiochismo, la fecero barcollare. Non rispose a Eto, limitandosi a guardarla attraverso gli occhi patinati dalle lacrime. Il suo viso si era fatto più pallido e sembrava sul punto di sentirsi male.

Anche volendolo, non sarebbe riuscita ad articolare un discorso.

Eto lo sapeva, lo sapeva benissimo. Così bene che la baciò nuovamente, sull’altra guancia.

«Ah, Giuda. Non mi hai venduto per trenta denari, certo. Però lo faresti per amore, non è vero?» Con un sospiro esageratamente drammatico, le lasciò le mani. Andò a sedersi su una scatola di legno, lasciandosi cadere su di essa con un certo rammarico negli occhi.

Ora sì che poteva sentirla, Aiko. La Morte. Le stava spostando i capelli per poterle sussurrare all’orecchio quanto si fosse fottuta da sola, con le sue mani.

Aveva la voce di Eto.

«Sono mesi che lo so. Che ami il tuo capo…. Beh non quello di ora. Non Arima Kishou, il mio primo agente preferito. E nemmeno Haise Sasaki, il secondo nella mia lista. No. Io parlo del tuo vero capo, la sola persona al mondo per la quale arriveresti a tutto, presto o tardi. Anche tradire noi.» Si appoggiò con le mani ai bordi dondolando il piede. «Come si chiama, Signor Tatara? Urie Kuki

L’albino non aprì bocca. Distolse lo sguardo con disprezzo dalla sua allieva, come se non la considerasse nemmeno più tale. Aiko deglutì, cercando la forza. «Eto…»

«Risparmiami le scuse, Ai-Ai. Non devi dire proprio niente. Quello a cui ti ho appena sottoposta era un test e tu non lo hai passato. Mi dispiace.»

Mentre il Gufo alzava un braccio, Masa sentì qualcosa spezzarsi dentro di lei. Si buttò in ginocchio, prostrandosi completamente ai suoi piedi e unendo le mani di fronte al viso. «Ti prego Eto, perdonami! So di non essere stata furba e di aver fatto il mio interesse, ma non uccidermi!»

La voce le uscì acuta e stridula, ma non riuscì a dire molto altro.

Aveva aspettato quel momento per tutti quegli anni, eppure non era pronta a morire così. Si sentiva tradita, improvvisamente, come se non l’avessero avvertita adeguatamente. Come se potesse esistere un modo per prepararsi alla morte.

Singhiozzò, tremando come una foglia sotto un battente vento autunnale, aggrappandosi alle caviglie magre dell’altra, tirando le bende e inclinando di più il capo. «Ti supplico…. Non voglio morire.»

Yoshimura riabbassò il braccio, non più divertita. Il suo sguardo era diventato improvvisamente grave. «Ucciderti? Perché dovrei farlo? Non ti punirei così facendo. Dovrei uccidere questo Urie, insieme a tutta la sua squadra. Dovrei uccidere Take Hirako, i suoi nonni e il suo cane. Dovrei costringerti a guardare morire ogni singola persona che hai tradito, a cui ai mentito, che hai manipolato. Però non ho voglia. Mi hai annoiata e io, di te, non ne voglio più sapere.»

Aiko non si mosse, continuando a singhiozzare. Ayato fu il primo a lasciare la stanza, trovando la scena troppo patetica per poter essere incoraggiata ulteriormente. Il resto dei testimoni manteneva il religioso silenzio, così netto da aver fatto dimenticare a Masa che avevano un pubblico.

«Non hai ancora capito?», la incalzò Eto. «Sei diventata inutile, un peso morto. Non possiamo comunicare con te da dentro la squadra di Arima, sarebbe troppo rischioso. Però ucciderti non mi darebbe nessun vantaggio, ma anzi, attirerebbe lo sguardo dello Shinigami su di noi se il suo secondo sparisse. Quindi scacco matto al re, Aiko. Sei riuscita a trovare la scappatoia perfetta e ora sei libera.» Fece una pausa, mentre una scintilla irata le faceva risplendere le iridi smeraldine.

«Vattene ora e non fare più ritorno.»

Tatara la raccolse dal pavimento come se fosse un ammasso di stracci, tenendola per il braccio e facendola sfilare per la stanza, fra gli altri luogotenenti raccolti in un silenzio chi sdegnato e chi risentito, scortandola oltre la porta e per le scale.

Dire che Aiko era totalmente sotto shock sarebbe stato un eufemismo. Cadde di nuovo in ginocchio, priva di energie, quando lui la lasciò andare. Fece per lasciarla lì, ma lei lo fermò, aggrappandosi alla sua giacca. «Laoshi…»

«Io non sono più il tuo maestro. Hai sentito Eto. Sei libera.»

«Io non capisco. Cosa ho sbagliato?»

L’albino si chinò alla sua altezza. Improvvisamente la patina di alterità che lo contraddistingueva cadde, lasciando spazio a uno dei suoi rari momenti di pura umanità. Le appoggiò una mano sul capo, mentre lei riprendeva a piangere, disperata. «Sei la prima persona che può andarsene di qui senza finire in una valigetta o essere divorata da un altro ghoul. Dovresti essere grata dell’opportunità.»

«Dopo quattro anni io non so più vivere! Non potete usarmi così e poi dirmi che sono libera! Tutto quello che so, tutto quello che ho fatto, mi hanno privata della mia anima e mi impediranno di vivere una vita normale per sempre! Laoshi. Io non lo so più cosa è la libertà!»

Tatara se la levò di dosso, guardandola negli occhi. Abbassò anche la maschera, così che potesse sentirlo per bene.

«La libertà è decidere cosa farai per te stessa da ora in poi. Vedi di non sprecare la tua vita mai più.»

Si alzò in piedi, mentre lei rimaneva immobile, atterrita, a stringere fra le dita la polvere.

«Questo è un addio, vero?»

«Sì è un addio. Non tornare.» Tatara si fermò sulla porta, ma non si voltò per rispondere. «La prossima volta che ci vedremo ti converrà essere più forte di me e uccidermi. Non sarai così fortunata da finire di nuovo in ospedale.»

Rimasta sola, in quel vecchio androne, quando anche i passi smisero di infestare lo stabile, Aiko realizzò per quegli ultimi cinque anni aveva permesso ad Aogiri di usarla in ogni modo.

Aveva dato tutto a Eto.

E lei l’aveva levato la possibilità di scegliere e agire. L’aveva anche tenuta lontana da Seidou.

Lui non l’avrebbe mai perdonata se non fosse tornata.

 

 

Urie scaricò il corpo addormentato di Aizawa sul letto senza alcuna delicatezza. Si sistemò la giacca del completo, guardando il medico completamente sbronzo e riverso in modo scomposto sul materasso con disappunto negli occhi serpentini. Non si prese la briga di coprirlo, né di rimettergli gli arti in un assetto anatomico decente. Lo lasciò lì così, uscendo dalla stanza che puzzava in modo insopportabile di chiuso e alcool.

Per la seconda volta in una settimana si era visto costretto ad andare a pescare Ivak al solito pub, ubriaco come una spugna. Ed era solo mercoledì. Sospirò pesantemente, lasciando così trasparire tutto il suo rincrescimento, senza davvero aprire bocca. Si aspettò una battuta sagace o quanto meno uno sguardo dalla persona che stava sistemando alla meno peggio la sala, ma essa non si voltò nemmeno a guardarlo.

Questo gli diede la possibilità di spiarla per qualche istante. Aiko sembrava stanca, pallida. Non riusciva a capire come fosse possibile per un mezzo ghoul, ma aveva addirittura le occhiaie. Aveva passato la notte fuori e poi, come se niente fosse, era tornata per la colazione. Non sarebbe parso strano, Masa aveva l’abitudine di passare la notte dalla madre, ma in quel preciso momento non sembrava nemmeno lei. Kuki si lamentava continuamente del fatto che non riusciva a farla stare zitta.

Il silenzio in quel salotto, però, era così denso da ferirgli i timpani.

«Stanca? Turno difficile?», le chiese avvicinandosi e prendendo un paio di bottiglie di birra vuote, che lasciò scivolare nella busta dell’immondizia che la ragazza teneva in mano.

Lei gli dedicò un sorriso pallido, che di autentico non aveva nulla. Tornò a radunare i tovagliolini usati, ficcandoli poi di prepotenza nella busta per contenere tutta l’immondizia che infestava quell’ambiente relativamente ristretto. «Sono un paio di giorni che lavoro troppo e dormo male. Sono sottotono.»

Urie calcolò che l’aveva trovata più spenta dopo quell’addestramento fuori Tokyo, al tempio. Però sembrava più giù di morale che stanca. «Tra poco finirai sotto-terra se continui così», le fece presente, iniziando a preoccuparsi seriamente quando lei non lo riprese per il pessimo gioco di parole ma anzi, abbozzò una mezza risata. La aiutò a sgomberare il divano da tutte le schifezze e i vestiti sporchi, prima di passare al tavolino. Le concedette qualche minuto, giusto il tempo di rendere di nuovo abitabile l’appartamento, prima di sedersi, facendole cenno di fare lo stesso.

La sua espressione trasmetteva un solo messaggio: ‘dobbiamo parlare’.

«Spara», gli disse la mora, lasciandosi cadere sui cuscini del divano, con le mani sulle cosce. Sembrava così stanca da essere pronta a tutto, anche a una potenziale lavata di capo. Non solo. A Urie trasmise tristezza e smarrimento il modo in cui evitava di guardarlo negli occhi.

«Credo che sia tu quella che deve parlare a me, Aiko

Lei abbassò il capo ancora di più, prendendosi una mano con l’altra e lasciando che i capelli potessero scivolarle sul viso. Per nascondersi. Il solo vantaggio della lunghezza di quelle ciocche corvine. Per un istante, si domandò se anche il non averli tagliati avesse influenzato il giudizio di Eto. Forse credeva di non averla più sotto controllo.

Era così?

Era diventata così ingestibile?

Non era una mente machiavellica. Non lo era mai stata. Sapeva recitare la parte dell’astuta, ma non lo era davvero. Aveva accettato di entrare nella SIII solo perché non aveva scuse per rifiutarsi. Perché non aveva avuto il coraggio di dire di no ad Arima come non lo aveva mai avuto con Eto. Temeva le persone più forti di lei? Probabile. Semplicemente, con le spalle al muro, la vita le aveva insegnato ad assecondare le situazioni.

In quel momento avrebbe dovuto fare lo stesso.

Soprattutto quando, senza inflessioni opprimenti nella voce, Urie la incalzò nuovamente.

«Qualsiasi cosa tu abbia fatto, possiamo rimediare. Io posso rimediare. Però tu devi permettermelo.»

Kuki si tolse i guanti, lasciandoli sul tavolo e portando le sua mani grandi su quelle più sottili, dalle dita lunghe della mora. Gliele prese, scaldandole.

«Ti prego Aiko, parla con me.»

Da dove cominciare? Si chiese quanto sbagliato sarebbe stato, alla fin fine, dirgli tutto. Lei lo amava come non era mai riuscita ad amare nessuno. Non riusciva a credere che lui potesse ricambiare quel sentimento, perché lei stessa si spaventata per quanto intenso fosse. Urie era tutto quello che voleva e che aveva sempre voluto, senza saperlo. Si era interessata a lui perché era il figlio dell’uomo che l’aveva salvata e aveva scoperto una persona invece completamente diversa da quella che aveva immaginato in un primo momento.

Urie era un ragazzo giovane e onesto, anche se lo nascondeva dietro a una maschera di menefreghismo e freddezza. Era sempre stato solo, aveva sofferto ogni colpo basso che la vita gli aveva inferto, ma si era innalzato oltre quella coltre di dolore e si era fatto da sé.

Urie era anche incredibilmente altruista e Aiko lo aveva visto mettere sempre la squadra davanti a sé. Avrebbe fatto tutto per loro. Se gli avesse rivelato ciò che aveva fatto, non l’avrebbe tollerato perché lei aveva operato per la donna che aveva contribuito a renderlo orfano, ma nonostante tutto sentiva che non l’avrebbe lasciata sola. ‘ Non perderemo più uno di noi’, indipendentemente dalle colpe. L’avrebbe forse lasciata, ma in qualche modo l’avrebbe protetta.

Questo perché, infine, Urie era coraggioso. Era leale al sistema, ma capace di adoperare il suo senso critico per comprendere cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Non aveva paura di fare ciò che era bene fare.

Era cambiato moltissimo negli ultimi mesi e del ragazzino scorbutico che non voleva affetti non era rimasto nulla.

Era una persona migliore, matura. Diversa, ma infondo era come se fosse solo sbocciato.

Aiko non era niente di tutto ciò. Era una bugiarda, incapace di vedere a un futuro in cui lei stessa sarebbe stata artefice del suo destino e codarda.

Per questo motivo strinse le mani dell’altro di rimando, alzando gli occhi per guardarlo. Ma decisa che si sarebbe portata nella tomba tutto ciò che aveva fatto. Razionalmente, lo credeva così buono da perdonarla, col tempo, ma non poteva permettersi di rischiare di perderlo.

L’avrebbe definitiva uccisa.

Non poteva.

E se lui non l’avesse lasciata, Eto l’avrebbe ucciso.

Perché se Masa avesse parlato avrebbe rovinato Aogiri, ma poi la vendetta del Gufo sarebbe stata troppo da fronteggiare. Nessuno l’aveva mai fermata, nemmeno lo Shinigami Bianco. La collera di Eto l’avrebbe distrutta, se non si fosse prima distrutta la propria reputazione da sola.

Così, preferì prendere la strada che meglio le riusciva.

Evitò il discorso.

«Io non sono…. Non merito di lavorare per Arima. Loro sono tutti così organizzati, così leali. Io sono solo una perdente, Kuki. Risolvo i casi perché ho degli agganci nella malavita e so dove cercare. Non sono intelligente come tutti pensano. So solo aggirare i problemi. »

Lui non si scompose. Abbassò di poco il capo per mettersi alla sua altezza, visto che lei si era ritorta su se stessa. «Credevi che non lo sapessi?», le chiese, senza volerla sfottere, ma comunque con naturalezza. «Il modo in cui hai risolto il nostro primo caso, l’Embalmer, è ingiustificabile sul piano logico. So che tu hai qualche aggancio dall’inizio. Però non importa, perché molto investigatori usano gli informatori per-»

«No, non capisci.» Aiko si morse il labbro. «Il caso di Nagachika era una copertura. Io cercavo altro.»

«Va bene», Urie cercò di farla calmare, tirandola più diritta e tenendole le mani, mentre ruotava col busto verso di lei, sedendosi con una gamba a penzoloni sul divano. Sentiva che stavano, finalmente, scendendo più in profondità. «Cosa stavi cercando?»

«Takizawa Seidou

Bugia.

«Perché lo cercavi?»

Aiko sfilò la mano mancina, portando via un paio di lacrime dalle sue guance.

«Perché gli voglio bene.»

Verità.

Il ragazzo deglutì, sentendo la bocca farsi molto secca. «Ti sei fatta coinvolgere in qualche attività…. Illecita mentre lo cercavi?» Non indagò la natura della loro conoscenza perché non era quella la sede. C’erano cose molto più importanti che andavano portate alla luce.

«Sì.»

Chiuse gli occhi, Kuki, sentendo che tutto quello che aveva temuto ogni volta che lei inventava una scusa per allontanarsi dallo chateau si stava concretizzando. «Va tutto bene», le fece sapere, prendendole una spalla che le tremava a causa dei singhiozzi. «Ora ti farò la domanda più importante di tutte e mi dovrai dire la verità, ok?»

Lei non smise di tremare, se possibile si sentì ancora più chiusa in una morsa.

Lui, invece, rilassò il viso. «Lo sa qualcuno?»

Gli occhi di Masa si sgranarono all’inverosimile. Stava…. Insabbiando tutto?

«Qualcuno?»

«Lo hai mai detto a qualcuno, nella CCG? Come per esempio Itou? O il classe speciale Ui?» Quando Masa scosse il capo, Urie annuì di nuovo. «Perfetto. Non dirlo a nessuno e cessa immediatamente ogni contatto con il tuo informatore. Se vuoi trovare Takizawa, lo farò io. Tu, però, smetti immediatamente di indagare.»

Sarebbe stato divertente far sapere a Urie che erano stati i suoi informatori a interrompere ogni contatto con lei, ma Aiko non lo fece. Sentì come se un gigantesco macigno le fosse appena stato levato dal petto, perché il ragazzo che le sedeva accanto sembrava convinto di quella versione. Una mezza verità. Lei aveva confessato di avere fatto cose non legali, ma lui non aveva indagato la gravità della situazione perché infondo nemmeno lui voleva sapere. La sua priorità era sapere se fosse o meno invischiata in qualcosa e adesso aveva le risposte.

Peccato che Masa fosse praticamente certa che lui non aveva davvero compreso l’estensione del suo coinvolgimento. Lui glielo confermò con la domanda successiva. Attese di averla calmata un po’ e quando Aiko smise di singhiozzare, lui passò al livello successivo. «Va preso l’informatore, però. Con lui libero, non possiamo dormire molto tranquilli.»

Quello sì che era un bel problema.

Chi poteva utilizzare? Sicuramente non Tsubasa perché quello là avrebbe cantato come un usignolo. Di umani, poi, conosceva solo lui.

Le serviva qualcuno che le avrebbe coperto le spalle volente o nolente, o che semplicemente non avrebbe mai collaborato con gli investigatori. Per un attimo pensò che sarebbe stato geniale usare Kenta, ma poi Urie lo avrebbe preso.

No. Serviva qualcuno di più invisibile, meno collaborativo e sicuramente meno semplice da catturare vivo.

Qualcuno che sarebbe morto piuttosto di collaborare con la CCG.

«Senza Faccia. Il mio informatore è Senza Faccia.»

Era la copertura ‘quasi’ perfetta. Quanto meno la più comoda. Nessuno sapeva davvero dove trovarlo, nonostante tutto, eccetto Haise Sasaki. Lei credeva sinceramente però che quella conversazione sarebbe rimasta fra loro e basta e Sasaki, ad ogni modo, non si sarebbe messo a perseguire un vecchio amico. Poi, Uta portava il raggio di azione di Urie lontano da Aogiri.

«Lui ti ha dato le informazioni?»

Nella mente di Urie, tutto aveva perfettamente senso. Senza Faccia era sempre stato un acerrimo rivale della squadra Hirako, oltre che una delle punte di diamante dei Clown. Poteva arrivare a conoscere più  o meno tutto in città se lo stesso Donato Porpora, chiuso da quasi un ventennio nella Cochlea, era sempre aggiornato.

«Sì.»

«Tu in cambio cosa gli hai dato?»

Quella era una domanda molto difficile a cui rispondere. Infatti non lo fece subito. Tolse la mano da quella del compagno, scostando i capelli dal viso e cercando di ragionare velocemente.

Lui ovviamente voleva una qualche verità e non le voleva concedere il tempo di inventarsi una scusa. «Aiko, tu cosa gli hai dato in cambio?»

«Informazioni su degli agenti.» Lo disse di getto, cercando un modo per non rivelarsi lei la spia. Se si parlava dei Clown, non doveva essere nemmeno presa in considerazione come ipotesi. Non facevano mai operazioni contro di loro perché non sapevano nemmeno cosa stessero organizzando o dove si trovassero. «Senza Faccia voleva solo sapere chi lavorava su di lui o sulle loro attività.»

«Come lo Psiche?»

«Soprattutto lo Psiche.»

Non sembrò molto convinto, ma decise di darle il beneficio del dubbio. Doveva risolvere un problema alla volta. «Sai come potresti interrompere i contatti con lui definitivamente?»

Per risposta, dalla tasca dei pantaloni, lei prese la simcard con cui comunicava sempre con Tatara, opportunamente formattata da ogni informazione possibile. Gliela appoggiò sul palmo della mano, certa che non sarebbe stata utile a niente, ma almeno le avrebbe fornito un alibi per il momento.

«Siamo pari, ora. Il caso Nagachika ha portato alla luce delle informazioni su una sua conoscenza e da allora non gli chiedo più favori.»

«Se siete pari perché sei così nervosa?», chiese Urie, mentre le prendeva l’accendino dalla tasca anteriore dei jeans. Sciolse quella sim card di fronte ai loro occhi, mandando in fumo la sola, effettiva prova del coinvolgimento di Aiko con Aogiri.

«Perché Arima potrebbe scoprirlo da un momento all’altro.»

Non faceva una piega, certo.

Urie però sentiva che mancava qualcosa. Il quadro totale non era completo, gli sfuggiva un tassello o forse più di uno. Sapeva che Aiko stava omettendo qualcosa e quel qualcosa era maledettamente importante se doveva preoccuparla al punto tale da farla impallidire. Di nuovo, la studiò, portando una mano al suo viso per spostare i capelli lunghi. Era fredda, stanca. Mancava del suo solito sarcasmo e i suoi occhi la tradivano. Era preoccupata.

Azzardò a pensare che fosse spaventata.

Da cosa, però, non poteva saperlo se non era lei ad ammetterlo per prima. Non poteva costringerla a dirgli tutto, non ne aveva il potere, ma ci provò lo stesso.

«C’è altro che dovrei sapere?»

La ragazza alzò a sua volta la mano, sfilandogli il profilo del mento con i polpastrelli. Chiuse gli occhi, appoggiandosi alle sue labbra con la fronte. «In realtà sì», ammise con tono basso. Con entrambi i palmi lisciò la camicia sul suo petto, tenendo le iridi sul nodo della cravatta. «Credo che Sasaki faccia il doppio gioco.»

Basso.

Vile.

Senza ombra di dubbio il colpo più infimo che poteva tirare. Colpire l’anello debole. Il ghoul di cui pochi si fidavano.

«Non è più Haise, il nostro Haise. Si comporta come se nulla gli importasse più. »

Non stava mentendo su questo, certo. Tutti potevano notare che l’associato alla classe speciale era diventato più cupo non solo nel look. Però sostenere una tesi del genere era inconcepibile per chiunque lavorasse con lui. Aiko avrebbe tramutato la sua dedizione nello smascherare il Gufo col Sekigan nella copertura perfetta di una spia.

No.

Della spia.

«Sono preoccupata anche per lui, vorrei solo aiutarlo a trovare un po’ di pace.»

Urie le accarezzò la nuca, prima di sospirare pesantemente. «Vorrei sapere cosa diavolo succede in quella squadra.»

«Questo è quello che mi chiedo anche io ogni singolo giorno, sai? Anche standoci dentro, è strano.»

«Ci occuperemo anche di Sasaki. Andiamo per gradi e vediamo di non fare troppo casino. Non abbiamo bisogno né di pubblicità né di incasinarci la vita.»

Aiko si tirò indietro, guardandolo finalmente negli occhi e sorridendogli. Si sentiva meglio, nonostante fosse riuscita a ingannarlo per l’ennesima volta, in un certo senso, si giustificò pensando che sotto sotto, qualcosa lo aveva ammesso. Urie non aveva scavato molto a fondo, ma da lui se lo aspettava. Lasciava spesso perdere le questioni che sapeva che avrebbero potuto in qualche modo danneggiare o ferire qualcuno della squadra. Lo faceva continuamente, soprattutto con Mutsuki.

Forse, molto più semplicemente, non voleva ferire più sé stesso.

«Ora basta però parlare di queste cose, ok? Starò bene?»

«Lo puoi promettere?»

Masa annuì. «Te lo prometto, Kuki. Staremo bene.»

Si spose verso di lui, colmando la distanza con quello che sarebbe stato semplicemente un bacio pacificatore, se non fosse stato per le mani del ragazzo, che scesero sui suoi fianchi. La aiutò a sollevarsi e a sedersi sul suo grembo, dove la fece di nuovo sedersi.

Poi la abbracciò per così tanto tempo che parve non finire più.

«Se c’è altro o dovesse succedere qualcosa in quella squadra», sussurrò fra i suoi capelli, mentre lei socchiudeva gli occhi, tranquillizzata dalla sua voce. «Tu devi venire immediatamente da me. Ti riporto nei Quinx con effetto immediato e fanculo il matrimonio. Non ha senso che tu ci rimetta la carriera o la salute, non ora.»

Lei alzò la testa, incrociando le braccia dietro al suo collo. Poi sorrise, sghemba. «Molto nobile da parte tua, Cookie. Tanto so che sei solo geloso perché io sono nella SIII e tu no.»

Era un ottimo momento per sdrammatizzare. Lo pensò anche Urie, che roteò gli occhi, con un leggero sorriso però a incurvargli le labbra. La spinse con la schiena contro il divano, strappandole un urletto divertito e una risata. «Strega, perché mi preoccupo per te?», le soffiò sulle labbra, mentre riprendeva a baciarla.

Ogni battuta e ogni obiezione morì nella sua bocca, mentre lei si liberava già della sua cravatta, andando poi ad aprirgli la camicia.

Si staccarono solo quando lui sollevò il torso nudo, per sfilarle gli stivali neri che aveva messo quella sera.

 

Ivak aprì gli occhi, fissando con astio la sveglia che suonava imperterrita nonostante fosse sabato mattina e lui, da settimane, non faceva più straordinari nel weekend.

La spense con una certa stizza, prima di mettersi seduto. Sentiva la schiena dolergli dalla prima vertebra cervicale all’ultima lombare. Aveva dormito scomposto e di questo poteva sicuramente rendere grazie a Urie. Sapeva di non avere voce in capitolo per lamentarsi, perché ogni volta che lo chiamava sbronzo lo andava a prendere a prescindere dall’orario,  ma in quel frangente si ritrovò a pensare che quel ragazzo non aveva alcun rispetto per gli adulti.

Come se Urie fosse un adolescente, poi.

Si stirò alla meno peggio, levandosi la camicia della sera precedente che puzzava di fumo e scotch di pessima scelta. Buttò tutto in un cestone, insieme ai pantaloni eleganti e ai boxer bucati su una gamba, ficcandosi in doccia e provando a lavare via l’amarezza dal suo corpo.

Non ci riuscì, ma almeno quando ritornò in camera con addosso la sua peggior tuta da casa, non puzzava più.

Certo, l’odore di fallimento era difficile da togliere, ma quello poteva sentirlo solo lui.

Pensò che un po’ di tv spazzatura sul suo divano nuovo di fronte a una ciotola dove annegare i cornflakes nella vodka avrebbero in parte curato il suo malumore, ma aveva i fatto i conti senza l’oste.

Anzi, senza gli ospiti.

Non era un ghoul, ma non gli serviva un super udito o un super fiuto per percepire che in casa sua doveva esserci qualcun altro a parte lui. Lo poteva vagamente intuire dalla camicia nera che penzolava oltre il bordo del divano o dal reggiseno rosa di pizzo a terra, a qualche centimetro dal tavolino da tea.

Si avvicinò nemmeno troppo circospetto, spiando oltre il bracciolo con orrore.

«Voi due siete davvero due pezzi di merda», sbottò dopo aver lanciato un cuscino in faccia a Urie, riuscendo a svegliarli con un unico colpo. Si erano coperti, ma con il suo pile preferito da casa.

Quella era una tragedia.

«Ma che ore sono?», si lamentò Masa, spostando il capo dal petto di Kuki e coprendosi il viso con lo stesso cuscino che era appena stato usato come arma, mentre il compagno di portava a sedere, con le mani al viso, stordito da un risveglio tanto brusco.

«Chi se ne frega di che ore sono, Aiko! Non posso crederci che abbiate fatto sesso sulla mia unica gioia nella vita!»

Urie lo guardò con un occhio aperto e uno a mezz’asta, mentre una ciocca  viola ribelle svettava dalla sua fronte con scherno. Aizawa ormai interpretava ogni loro gesto o aspetto come un personale affronto. «Cosa diavolo stai blaterando?»

«Avete fatto sesso sul mio divano nuovo! »

Masa mugolò, mentre sentiva l’altro che cercava di infilarsi i boxer sotto alla coperta cercando al contempo di non scoprire lei. «Non urlare.»

«Urlo quanto cazzo mi pare! Questa è casa mia! E questo è il mio fottuto divano nuovo! Nemmeno io ci avevo mai fatto sesso prima! Non avete rispetto per il mio lutto!»

Kuki riuscì nella sua impresa, scivolando poi fuori dal pile alla ricerca dei suoi pantaloni. Non sembrava avere fretta, comunque. Passava quasi più tempo in quell’appartamento che allo chateau. Se Masa doveva lavorare di notte, certe volte, riportava Ivak e rimaneva a dormire sempre sul medesimo divano.

Prima non si era mai lamentato, ma effettivamente dovevano averlo preso di contropiede così facendo. In un certo senso, anche se Aizawa non poteva avere idea della pesantezza della loro conversazione della sera precedente, era come se gli avessero sbattuto in faccia qualcosa che lui non poteva avere più.

In un momento in cui lui era ancora sensibile.

«Vieni», gli disse Urie sbadigliando, mentre cercava la camicia che si mise, senza allacciarla. «Ti preparo i dorayaki per colazione.»

Il biondo sospirò, rassegnato. Poteva farci qualcosa, eccetto rinfacciarglielo in eterno? No.

«Sarà bene per te che siano croccanti come piacciono a me.»

«Lo saranno, lo saranno. Aiko, tu svegliati, pigra culona

Un altro cuscino le volò addosso, stavolta lanciato da Urie. Lei sbuffò, affacciandosi oltre al bracciolo e spiando i due sparire in cucina. Si appoggiò con gli avambracci alla superficie liscia di pelle, prima di nascondervi il viso.

Su di esso, c’era un piccolo sorriso divertito.

Forse, forse, sarebbe riuscita a farlo funzionare.

Forse sarebbe riuscita ad avere una vita normale, con degli amici normali e un lavoro normale.

Forse sarebbe addirittura riuscita a smettere di mentire.

Ci sperò sinceramente, mentre si alzava, cercando i suoi vestiti.

 

Quel giorno, iniziava la sua nuova vita.

Libera.

 

 

 

Continua…

  
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