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Autore: alessandroago_94    22/10/2018    8 recensioni
Isabella è una ragazza come tante altre, senza alcuna pretesa di troppo dalla vita.
Tuttavia, da quando la relazione con il suo ragazzo è entrata in crisi, la felicità ha lasciato spazio alla più profonda tristezza.
Quello che non sa è che, a volte, la vita sa donarci piacevoli sorprese. E l’amore può annidarsi dove neppure lei avrebbe mai creduto di poterlo trovare.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo ventidue

CAPITOLO VENTIDUE

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver passato una notte tutto amore e lenzuola, venne anche l’alba, quella dannata luminosità che era destinata a infrangere i nostri sogni, e a spingerci ad uscire di nuovo allo scoperto. Poi, l’alba estiva era traditrice, siccome alle sei del mattino già c’era luce a sufficienza per svegliarsi per bene da ogni torpore notturno.

Alle sei e un quarto, io e Piergiorgio eravamo totalmente vestiti e pronti a lasciare l’albergo di Vincenzo. Eravamo stanchi, dopo una notte intensa in cui avevamo risposato solo un paio d’ore, verso il mattino, avvinghiati dalle nostre braccia, quasi i nostri corpi avessero voluto formare un intrico di carne e ossa.

Dovevamo, purtroppo, tornare alle nostre vite quotidiane, e a me dispiaceva tantissimo; per la prima volta avevo anche ricevuto la mia prima proposta di matrimonio, anche se non mi sentivo assolutamente in vena di accettare o di tornare a sfiorare l’argomento, anche se mi affascinava parecchio. Ero finalmente una donna, e tale mi sentivo, senza più quella piattola di Marco a soffiarmi sul collo.

Mi sentivo libera di decidere, ma… dovevo anche confrontarmi con mia madre, e con il lavoro e la vita di tutti i giorni. A preoccuparmi di più era proprio la mamma, e temevo che scoprisse che non ero neppure rincasata, quella notte, e non volevo che lei si facesse strane idee su di me, poiché non mi ero mai comportata in quel modo, neppure nel periodo di massima infatuazione per il mio ex.

Io e George abbandonammo così l’alberghetto di soppiatto, salutando un Vincenzo appena svegliato, che non si azzardò a chiedere nulla, seppur avesse già capito tutto, e finimmo dentro il fuoristrada del mio amante, a baciarci di nuovo. Vivevamo uno per le labbra dell’altra, e viceversa.

Quando non ne potemmo più, e la realtà tornò a farsi pressante, fummo costretti ad andarcene.

Giunsi a casa che erano le sei e mezzo, dopo aver promesso a Piergiorgio che entro mezzogiorno e mezzo sarei stata a casa sua, avendomi scritto l’indirizzo in un bigliettino che non avevo ancora letto e che tenevo ripiegato per bene, in quattro parti, nella mia borsetta. Cercai di non fare alcun rumore, e mi tolsi anche le scarpe, sempre per limitare ogni sorta di baccano.

M’infilai in camera mia di soppiatto, con circospezione, dopo aver eluso la placida sorveglianza materna senza alcun problema, passando di fronte alla sua porta ancora ben chiusa.

Quando fui al sicuro, mi venne però da sentirmi in colpa, e da chiedermi se fossi davvero un’incosciente, a star fuori tutta la notte senza dire nulla ad un genitore che era malato e che era stato dimesso da pochissimo dall’ospedale, a seguito di un gravissimo ricovero d’urgenza.

Con la testa tra le mani, mi lasciai andare sul mio letto, ma senza più pensare, cercando in modo parzialmente vano, comunque, di tenere la testa sgombra da ogni sorta di riflessione. Ben presto sarebbe stata ora di tornare al lavoro e di rivedere mia madre, quindi avrei avuto tutto il tempo per affrontare ogni prevedibile evento che in quel momento mi poteva sembrare una sorta di ostacolo insormontabile.

 

Alle sette e trenta, scesi al piano inferiore, e subito incrociai la mamma, che mi apparve torva. Era come se mi avesse atteso, con pazienza, nel corridoio, pronta a beccarmi nel momento opportuno.

“Ma’, mi aspettavi?”, le chiesi, provando a dissimulare la mia tensione anche tramite l’utilizzo di un pratico sbadiglio assonnato. Non che mi avesse richiesto sforzo, giacché ero ancora provata dalla vivace nottata appena trascorsa, però ero davvero agitata.

Se voleva un confronto, non mi ritenevo pronta ad affrontarlo. E pareva che lo volesse per davvero.

“Isa, cos’è successo ieri sera? Non ti ho sentito neppure rientrare”, mi chiese, infatti, con prontezza, eludendo la mia precedente domanda.

“E’ che sono rientrata tardi, sarà stata l’una, o poco dopo. Tu eri già a letto”, provai a precisare, mentre andavo in cucina a prepararmi una breve colazione, sempre per nascondere il fatto che non ero con la coscienza limpida come invece volevo a tutti i costi ostentare.

Mamma però rise, grevemente.

“Ti ho aspettata in piedi fino alle tre e mezzo del mattino, poi mi sono rassegnata e sono andata a dormire. E ti garantisco che di te non s’è vista neppure l’ombra, fino a quell’ora”, affermò, infatti, con precisione.

Non me l’aspettavo.

La mia fortuna era che le davo le spalle, siccome ero alla ricerca del latte all’interno del frigorifero, e non poté vedere il mio sguardo impaurito, che per un istante doveva essersi riflesso nei miei lineamenti.

“Magari hai schiacciato un pisolino per qualche minuto…”.

“Sì, giusto il tempo per far sì che tu sgattaiolassi di sopra, vero? No, a letto non c’eri, ho controllato”, fece maggiore pressione.

A quel punto, lasciai perdere tutto quanto, e, alzandomi, mi volsi verso di lei, molto adirata.

“Cosa fai, adesso mi spii? Prima non uscivo mai, e allora ero una depressa. Adesso che esco un po’, per svagarmi, ecco che mi stai col fiato sul collo. Vergognati! E se vuoi proprio che io lo rimarchi, non sono più minorenne già da un bel pezzo”, affermai ad alta voce e con foga. Poi, piantai tutto lì, col volto livido per l’ansia e la tensione appena provata, e me ne andai di casa con fretta, senza neppure accorgermi di non aver dato, in realtà, alcun punto di riferimento a mia madre, limitandomi ad averla trattata malissimo.

Tra l’altro, l’avevo fatto solo per proteggere quello che ritenevo un mio intimo segreto, che comunque non era un reato o una cosa folle… era solo amore.

 

Trascorsi la mattinata con una gran pena nel cuore.

Dopo quel litigio improvviso, non mi sentivo più in pace, a livello interiore, e non riuscivo a metabolizzare cosa fosse più o meno giusto fare.

Lavorai con la mia solita lena, evitando ogni contatto di troppo con le colleghe, temendo che la loro curiosità che ciò avrebbe potuto indurre mi avesse portato ad avere un’altra sorta di attacco isterico. Cercai solo di starmene sulle mie, come al solito.

Conclusa la mia parte di turno mattutino, mi attendeva un momento molto delicato; quello di raggiungere la dimora di George. Non sapevo cosa aspettare, ed ero mentalmente turbata. Fui, a tratti, in procinto di chiamarlo per digli che avevo avuto un contrattempo, siccome non me la sentivo, ma alla fine scelsi di togliermi quel dente, e di andare da lui ugualmente.

Il fatto di poter sapere altro di lui mi inquietava e mi estasiava allo stesso tempo. In ogni caso, sarebbe stata un’avventura curiosa, anche se non ero proprio dell’umore giusto per affrontare con piacere delle nuove scoperte o delle novità. E non sapevo, in più, quanto in realtà avesse intenzione di farmi sapere su di lui. Non volevo essere raggirata, o sentirmi tale.

Accolsi comunque, alla fine, la sfida.

Dopo aver raccattato il fogliettino sul quale mi aveva scritto l’indirizzo, andai ad approfondire, leggendolo per bene, e scoprii che viveva non troppo distante da casa di mia madre, in una lunghissima via che era parallela, seppur un po’ distante, come spesso accadeva in campagna, a quella in cui avevo trascorso la mia intera infanzia e adolescenza. Non era un obiettivo difficile, quindi mi sentivo di poter andare tranquilla, essendo anche una zona che un po’ conoscevo.

Così, grazie alla mia fedele automobile, giunsi alla destinazione designata senza problemi, e non appena mi trovai di fronte ad un grandissimo villone immerso nel verde e in un caldo soffocante, mi resi conto di aver scorto tantissime volte, e di sfuggita, quell’edificio e il parco recintato che lo attorniava da tutti i lati. La recinzione era metallica, ma alta ed imponente, come il cancello che mi trovai di fronte non appena abbandonai la strada asfaltata, maestoso anch’esso e sormontato da due aquile di bronzo.

Feci per scendere, siccome notai che c’era il campanello da suonare, sotto una lastra color oro in cui c’erano infissi, a caratteri piuttosto grandi, i titoli di Piergiorgio. Per la precisione, stavo per varcare la soglia del Dottor Ceccarelli Piergiorgio, cardiologo.

Non dovetti, infine, scendere per andare a suonare il campanello, siccome il grande cancello cominciò ad aprirsi. Dopo un attimo di incertezza, durante la quale mi chiesi se era meglio suonare comunque, mi decisi a riaccendere l’auto e ad entrare.

Non appena varcai il cancello, ecco cominciò a richiudersi.

Attorno a me e all’auto che stavo guidando c’era solo il verde intenso di un giardino curatissimo anche d’estate, e il vialetto che stavo percorrendo era ricoperto dalle fitte chiome dei tigli che s’innalzavano ai suoi margini, creando una sorta di viale alberato in miniatura. Era una giornata ben soleggiata e serena, e tutto ciò risaltava subito all’occhio, senza difficoltà alcuna.

Ci misi qualche minuto a giungere di fronte al villone, poiché guidai piano e con molta prudenza. L’abitazione non era altro che una di quelle classiche ville signorili ottocentesche, poi ristrutturata con attenzione. Nel bel mezzo dello spiazzo ghiaioso che era stato opportunamente creato di fronte ad essa, sostava il fuoristrada di Piergiorgio, e il suo proprietario mio aspettava già a braccia incrociate a poca distanza.

Gli sorrisi, non appena fermai la mia auto e spensi il motore, e lui ricambiò il sorriso e mi salutò con le mani, accogliendomi cortesemente, prima di venirmi incontro.

“Immagino che tu non abbia avuto problemi a raggiungermi”, mi disse, appena aprii la portiera.

“Assolutamente no. Sai quante volte sono passata da qui di fronte? Un’infinità, ma a dire il vero non mi ero neppure mai chiesta chi ci abitasse”, risposi, con sincerità.

Piergiorgio rise.

“Può capitare, eh”, si limitò a dirmi, mentre, dopo esser scesa dall’auto, ribattevo lo sportello dietro di me.

Stavo per dire qualche altra parola di circostanza, ma avvertii una presenza scodinzolante che in men che non si dica mi si era avvicinata.

“Ma ciao!”, mi venne spontaneo da sussurrare, con gioia, non appena vidi il magnifico cane che mi era venuto incontro. Scodinzolava, pieno di felicità, e non appena mi chinai su di lui, cominciò a leccarmi le mani, festoso.

“Che bel cagnolone, complimenti!”, affermai, rivolgendomi al padrone, che era ancora in piedi e mi guardava con un bel sorriso impresso sul volto dall’espressione bonaria e gentile, come sempre.

“In realtà è una cagnolina, una femmina di Setter Inglese. Si chiama Kira”, specificò Piergiorgio, ma io ero già tutta presa dall’accarezzare il magnifico pelo della dolce bestiola.

Kira era una cagna di dimensioni medie, e aveva un bel pelo curatissimo e di tre colori, perlopiù bianca e nera, con alcune macchie rossastre che apparivano solo impresse nella pelliccia della coda affusolata e della testa. Era molto docile, e con me fu così giocosa che me ne innamorai dal primissimo istante in cui ebbi a che fare con lei.

“Ti ha preso in simpatia. Di solito non è mai così festosa con chi vede per la prima volta, anzi, in genere è molto timorosa, se ne sta in disparte e a volte ringhia. Devo ammettere che non l’ho mai vista così contenta di far la conoscenza di un’estranea”, aggiunse Piergiorgio.

“Oh, è stato amore a prima vista, il nostro”, confermai, lasciandomi poi andare ad una bella risata felice e spensierata, naturalmente continuando ad accarezzare il cane.

“Non vorrei interrompere questo idillio, però se ti va di sapere di più su di me… come ti avevo promesso questa notte, servirebbe che tu mi seguissi e che ti accomodassi nella mia umile dimora”, volle ancora intervenire il mio interlocutore, con molto tatto e gentilezza.

Affermai con il capo, e lasciai perdere Kira.

“Se ti interessa ancora, eh. Sai che per me il passato non conta molto”.

“A me interessa, invece”, dissi la mia, “non riesco più a stare con te, perché muoio dalla curiosità”.

George tornò a ridere.

“Cosa credi di scoprire, poi? La mia vita è stata una lunga e lugubre noia, almeno fintanto che non ti ho incontrata”.

Lo guardai intensamente.

“Per favore, non dirmi così o mi lascio andare alla passione…”.

“Va bene. Capisco. Seguimi, allora”, m’invitò di nuovo, avviandosi verso la porta di casa.

Il suo viso era diventato improvvisamente impassibile, e anche se mi stava portando dentro casa sua, dandomi le spalle, potevo percepire la sua tensione. Piergiorgio aveva perso la sua solita e tranquilla giovialità, sembrava che qualcosa lo turbasse… ed io mi sentii, in un attimo, qualcosa di più.

Non volevo sfidarlo, o a mia volta correre troppo; stava a lui aprirsi a me, dirmi qualcosa sul suo conto, e sul suo passato, come e quando se la sarebbe sentita, e nel modo più spontaneo possibile.

Mi sentii, a un tratto, come se fossi stata un’ospite indesiderata, siccome stavo per addentrami nell’intimità della vita privata di colui che già avevo conosciuto più volte a livello fisico, ma che sapeva rendersi sfuggevole a riguardo di ciò che aveva trascorso, e di chi realmente era. Perché ero davvero sicura di non averlo potuto capire fino in fondo, ma che ero, d’altronde, ad un palmo dal comprenderlo.

Mi mancava pochissimo. Mi mancava quella visita che stavo effettuando.

Non volevo, tuttavia, essere la spina nel fianco di nessuno, e rendermi la forzatura ideale per creare tensioni inutili in un rapporto che, fino a quel momento, era stato piuttosto idilliaco.

“Per favore, George”, esordii, allora e a singhiozzo, non appena stavo per varcare la soglia della grande casa, dopo aver percorso la leggera scalinata di otto gradini che mi separava dall’atrio rialzato, “non voglio essere una pistola alla tempia. Non devi dirmi niente su di te, e se ieri sera ho insistito, è stato solo perché ero stanca e un po’ confusa. Stanca di tutto, ma non di te, e non devi dirmi o dimostrarmi nulla, se non vuoi e non te la senti”.

Piergiorgio rimase sulla soglia della porta, immobile per un istante infinitamente lungo.

“Sei qui, adesso. Ora ho piacere di toglierti le curiosità che hai”, disse, infine, ma sempre con impassibilità.

“Non devi, ti ripeto. Non mi devi nulla”, tentennai ulteriormente.

Kira, intanto, era tornata a raggiungerci e a richiedere attenzioni, attraverso i piccoli guaiti che emetteva.

“Entra, dai”, mi sollecitò George, chiudendo così il breve dibattito.

Entrai in casa, ma ero in imbarazzo totale, e non sapevo bene cosa fare, cosa dire e come comportarmi. Mi limitai a sfregiarmi le mani l’una sull’altra, alla ricerca di un conforto che non sarebbe arrivato tanto in fretta, da quel che sembrava.

La villa del mio amante si rivelò essere un ambiente spettrale, poco luminoso, e una volta ribattuta la porta d’ingresso, molto ampia, si piombava in un buio fetido, freddo, umido e tentatore, come quello che solo le grandi dimore poco custodite potevano avere.

Il corridoio d’ingresso era illuminato dalle luci al neon, attaccate al soffitto con approssimata raffinatezza, ed esso si diramava in una miriade di porte di legno scuro, che al momento erano tutte socchiuse.

Mi venne da definirla, con immediatezza, la casa dalle mille porte, e anche se avevo esagerato nella conta, naturalmente, la mia mente non aveva esagerato a definirla in quel modo.

“Vuoi rinfrescarti un po’? Hai sete?”, ruppe il silenzio il padrone dell’ampio complesso, alle mie spalle.

“Oh, no, tranquillo. Non preoccuparti”.

“Non è una preoccupazione, per me, sai? È più un’esigenza. Gli ospiti vanno trattati con il dovuto rispetto”, mi disse, ed io feci una smorfia di rassegnazione che mi venne spontanea, ma che fu colta anche dal mio interlocutore, che mi aveva affiancata e ormai superata di nuovo.

“Lo so, a te interessa solo andare al punto…”, provò ad affermare, e a quel punto reagii.

“Cazzo, George. A me non frega niente, niente di tutto questo… e scusami se ho insistito tanto. Sai cosa mi interessa per davvero? Questo…”.

Non gli diedi tempo di reagire, e gli balzai tra le braccia. Non oppose resistenza quando le mie labbra premettero contro le sue, e spronai le nostre lingue ad incontrarsi.

“Solo questo”, sussurrai, interrompendo il bacio per un istante, per poi riprenderlo subito dopo.

“Ti amo. E non voglio altro da te, né sapere qualcos’altro. Me ne vado”, conclusi, col suo sapore sulle labbra, e ormai permeato in tutta la mia bocca.

Mi allontanai da lui, e con fare risoluto, andai verso la porta dalla quale ero entrata solo qualche minuto prima, decisa ad andarmene e ad interrompere quella sofferenza condivisa, che io non avevo mai desiderato.

Un rapporto di fiducia doveva essere spontaneo, e crescere col giusto tempo. Doveva essere come una piantina, che pian piano mette le radici e cresce, diventando così un albero adulto e forte, in grado di resistere alle intemperie; era l’unico modo per far sì che il nostro amore non fosse condannato a restare solo un misero arbusto, pronto ad essere spazzato via da un qualsiasi minimo evento improvviso e inatteso.

“Ti prego, resta! Ormai sei qui. Resta”, mi venne dietro Piergiorgio, ma io cercai di non fermarmi. Ero commossa, e non sapevo neppure bene perché lo fossi, probabilmente per il fatto che ero molto confusa.

“Isa!”, mi richiamò, ma io ero già alla porta d’ingresso, e lui non aveva avuto né il tempo né la voglia di raggiungermi, e così tornai a varcare la soglia lasciata socchiusa e a uscire.

Fu Kira ad arrestarmi, infine, ponendosi tra me e la mia macchina, ancora festosa come se nulla fosse accaduto. Mi fermai un istante ad accarezzarla, e la cupezza del mio viso lasciò spazio ad un’espressione più serena.

E poi, Mi ritrovai avvinghiata a Piergiorgio.

“Ti amo… ti amo anch’io”, mi disse, quasi a volermi rassicurare.

Sciolse l’abbraccio forte con cui mi aveva cinto il corpo, e si lasciò scivolare in ginocchio, platealmente, come se fosse stato un attore di teatro, porgendomi un pacchettino saltato fuori da chissà dove.

“Prendi”, me lo porse.

Scossi il capo e distolsi lo sguardo, comprendendo quale oggetto fosse nascosto dentro a quel fragile pacchettino; ero una ragazza, e Marco, tempo prima, mi aveva già donato un anello di fidanzamento… che però, poco dopo, gli avevo ridato indietro dopo una piccola lite. Non me l’aveva più ridato, né l’avevo più rivisto in giro. Probabilmente, doveva averlo rivenduto per prendere qualche soldo da investire nell’abbonamento della palestra che frequentava.

George, notando il mio serio minuto di tentennamento molto serio, sospirò.

“So che immagini cosa ti sto porgendo, e anzi, so anche che sei certa di saperlo. Per questo ti invito ad accettare il mio dono”.

Allora allungai la mia mano destra, e afferrai il pacchettino.

“Aprilo, dai”, m’invitò, sollecitandomi di nuovo.

Lo aprii in un baleno, e mi trovai di fronte ad un anello, ma non come quello che mi ero immaginata, di quelli convenienti e poco impegnativi. Si trattava di un gioiello intarsiato, composto da piccole perline d’oro che si fondevano e diventavano un tutt’uno, un vero e proprio capolavoro di oreficeria.

“E’… molto bello”, riuscii a dire, continuando a squadrare l’anello, rigirandomelo tra le dita, sinceramente stupita. Era un oggetto insolito, strano, che non aveva nulla di classico o di scontato.

Piergiorgio, alla fine, l’aveva vinta di nuovo; era riuscito a sorprendermi piacevolmente, e a fermare la mia marcia verso l’auto. Naturalmente, aveva potuto anche trarre giovamento dall’azione della sua fidata amica a quattro zampe, che era troppo coccolona per essere ignorata.

“Mi perdoni se sono sembrato un po’ freddo, poco fa?”.

“Macché, non pensarci più”, dissi.

“No, invece ci penso. Non è iniziata come volevo, questa tua visita, ma ti prometto che tutto sarà subito raddrizzato. Io non ho segreti da nascondere, ma solo qualche scheletro nell’armadio, che ti vorrei mostrare, ma ho paura che tu ti spaventi quanto me”, aggiunse di nuovo Piergiorgio, ed io mi chinai a suo fianco, lasciando che fosse lui ad infilarmi quell’anello prestigioso che avevo ufficialmente accettato, anche senza dire nulla.

“Se si sta assieme, le paure vengono condivise e diventano piccole così”, volli rassicurarlo, sorridendogli, e facendogli anche il cenno con le dita delle mani, appena l’anello mi fu ben sistemato. Mi calzava alla perfezione, ed era così bello…

“L’anello”, tornò a dirmi, serissimo, “devi portarlo solo se vuoi. Voglio che tu mi prometti che lo porterai pubblicamente solo quando ti sentirai di farlo”.

“Ma…”, tentennai, colta alla sprovvista.

“Davvero, ho notato che la nostra relazione ti crea, per ora, un minimo di imbarazzo, anche di fronte a tua madre. Per favore, quindi, indossalo quando vorrai dirmi quel sì, e sarai certa della strada che abbiamo cominciato a percorrere assieme, seppur da poco”.

Avvicinai il viso al suo e lo baciai sulle labbra, e poi ancora, premetti affinché il contatto venisse maggiormente approfondito. Tuttavia, la mia azione fu interrotta dall’ennesimo intervento della cagnolina, che cercò di leccarmi in faccia.

“Sei proprio una piccola peste!”, affermai, ridendo, mentre lasciavo perdere George, per tornare a concentrarmi sull’amorevole Kira, che scodinzolava con felicità.

In un attimo, Piergiorgio si era rialzato e mi sovrastava con la sua ombra benevola.

“Io voglio solo dirti che ti amo. Voglio giurartelo, sono disposto a ripetertelo in continuazione, e ti amo con sincerità. Il mio cuore è tuo, e voglio che… qualunque cosa accada, e qualunque cosa tu scopra su di me, non metta in crisi il tuo giudizio nei miei confronti”, riprese a dirmi, e anche se giocherellavo con il cane, mi venne da pensare che qualcosa di grosso doveva esserci in pentola.

Non mi spiegavo tutta quell’introduzione, se comunque doveva essere tutto limpido e alla luce del sole. In fondo, non m’importava neanche più; l’uomo che amavo era lui, in quel momento, e se volevo continuare ad amarlo dovevo sapere accettare e comprendere.

Era una persona di una certa età, non più un ragazzino, e quindi immaginavo che nel suo passato più o meno recente ci fosse stata almeno qualche fiamma, poiché era un uomo piacente allo sguardo, che sapeva conquistare le donne con la sua galanteria e la sua dolcezza. Era proprio la sua dolcezza a colpirmi maggiormente, siccome purtroppo ero molto abituata agli sbalzi d’umore dei miei coetanei, volubili come bambini in fasce.

“Non ti giudicherò, se è per questo”, affermai, con risoluto imbarazzo.

‘’No, puoi giudicare quello che vuoi. Basta che tu non creda cose sbagliate, e che… ti fidi di me”.

Si chinò su di me, e percepii il suo fiato sui miei capelli.

“Io mi fido di te, George”, lo rassicurai, continuando a prestare attenzione anche a Kira, che si era distesa sulla schiena, in modo giocoso, e lasciava che continuassi ad accarezzare il suo pelo finissimo e curato.

Piergiorgio allora mi baciò prima al centro della nuca, poi, con delicatezza, afferrò il mio viso da sotto al mento e lo alzò, affinché le nostre labbra potessero tornare ad incontrarsi, e quella volta anche le nostre lingue.

Lasciai perdere il cane e mi tirai su in piedi senza smettere di baciarlo, con lui che lasciava a me l’iniziativa e seguiva i miei movimenti, senza perdere il contatto fisico.

“Questa casa è troppo grande per me. Mi spaventa, come un bambino… ma ora vieni, vieni avanti, perché sei mia ospite, mia cara Isa, e perché voglio renderti partecipe di tante cose, e di tanti ricordi, poiché so che ci tieni”, mi disse, sorridendomi, quando tornammo a distaccare i nostri visi dalla loro momentanea unione.

“Io tengo solo a te”, continuai a precisare, in virtù della giustizia, anche per forza di cose.

“Ed io lo so, lo so. Lo vedo sempre di più, non c’è bisogno che tu lo ribadisca ogni dieci secondi, a parole. Io ricambio tutto quello che riversi verso di me, e lo amplifico, ma adesso basta discorsi, e vienimi dietro con serietà; entra nel mio mondo”, tornò ad invitarmi, e s’incamminò di nuovo verso casa sua, così ricominciai a seguirlo.

Ero sicura che saremmo andati al punto, non potevano esserci altre indecisioni o incomprensioni tra noi. Eravamo destinati, quel giorno, a conoscerci per la prima volta in modo paritario, senza più ombre nascoste da qualche parte, in grado di turbare i nostri momenti trascorsi assieme.

Ero curiosa e non mi sarei fermata, seppur fossi decisa ad accettare solo quello che George mi avrebbe mostrato o narrato, senza giudicare o pensare male, con la stessa educazione e il medesimo rispetto che lui stesso mi aveva da sempre riservato e rivolto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Ci aspetta una visita piena di sorprese… xD

Al prossimo capitolo, mie carissime e fedeli amiche ^^

   
 
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