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Autore: daphtrvnks_    24/10/2018    3 recensioni
La mia pelle una volta pallida, un vanto per chi viveva nel lusso, ora è scura.
L'americana continua a guardarmi, abbiamo legato in queste ultime settimane, sa che io, una stupida cinese, non posso fare molto.
Riproverò questa notte. 
Sopravviverà, ne usciremo insieme.''
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bulma, Chichi
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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'1942, 14 Agosto.

Bulma è salva.

Ha resistito e ne è uscita vincitrice, ora è stesa all'interno della baracca, ci stiamo prendendo cura di lei ma le sue condizioni sono pessime, suppongo abbia preso una grave insolazione e la sua pelle è rossa come fosse bruciata.

Ho novità, ma non ho idea di come comportarmi riguardo a queste. 

Ieri, durante il nostro solito lavoro nei campi mi è stato passato un biglietto da parte di Lazuli, dice che è stato un soldato giapponese a darglielo. All'interno ho trovato un orario, 17:45, con annessa una posizione, dietro l'ufficio del capitano.

È per oggi, mi chiedo se sia una trappola, se vogliano punirmi per aver dato da bere all'Americana.

Dovrei davvero essere punita per aver fatto del bene?

Ho deciso che ci andrò.

La bionda continua a farmi domande, le ripeto che è solo un avviso, nulla più.

Se mi accadrà qualcosa questo è il mio addio, se qualcuno trovasse mai questo maledetto diario avvisate mio padre, Jumaho, che gli ho voluto bene. '

La penna donatale dalla tedesca venne riposta all'interno delle pagine bianche, si alzò dal suo solito posto e dopo essersi accertata che nessuno la vedesse nascose il diaro sotto delle lamiere, tra l'erba alta e massi.

Sistemò l'abito di un viola sbiadito e dopo aver legato i capelli in una treccia con l'ultimo elastico rimasto si avviò verso il luogo descritto nel biglietto.

Continuava a domandarsi chi fosse, cosa volesse da lei e soprattutto cosa le avrebbe fatto o detto. Cercò di non farsi vedere dalle guardie, non era posto in cui stare e se fosse stata scoperta le conseguenze le sarebbero costate la vita.

Non aveva paura, non l'aveva mai avuta e tutto le era sempre passato sopra come un fiume in piena. Forte come una roccia che non viene scalfita dalla corrente o come una canna che nonostante il vento non si piega.

Svelta, veloce come una gazzella.

Nella corsa la treccia aveva iniziato a scomporsi, sciogliendosi e lasciando cadere l'elastico. Non ebbe il tempo di riprenderlo, era già sul luogo dell'incontro ed un uomo, appoggiato contro la parete esterna dell'ufficio del capitano Hatake, la stava osservando. 

Rimase immobile, le mani chiuse in due pugni pronta a difendersi. Lo vide avvicinarsi, le fronde degli alberi lì vicino coprivano con la loro ombra il volto ambrato di quello che poi apparve più come un ragazzo, su e giù della sua stessa età. Fece un passo indietro, indifferente nello sguardo ma con l'ansia crescente che bloccava il respiro, il battito accellerato che sperava il giapponese non sentisse. Una lieve brezza le accarezzò il volto, lasciando che i capelli corvini svolazzassero qui e là con i suoi lunghi fili di seta. Si concentrò sulla figura dello sconosciuto, studiandolo attentamente, si soffermò sul suo fisico statuario coperto dalla divisa verde militare e successivamente sul suo viso, gli occhi la colpirono maggiormente: due pozzi scuri d'ossidiana, lucenti come diamanti e dal taglio stretto, incorniciati da folte ciglia.

La resero irrequieta. Quella sensazione opprimente venne spezzata dalla forma inusuale dei suoi capelli, osò pensare, quasi tenera.

'Siete venuta, alla fine.'

Il ragazzo parlò, aveva immaginato una voce scura e tenebrosa rimanendo quasi spiazzata nel trovarla decisamente più allegra ed acuta. Aveva fatto dei passi avanti allugando una delle sue grandi mani nel tentativo di afferrare quelle della giovane che, prontamente, aveva poggiato sui fianchi coperti dal cheongsam. Parlava l'inglese, sempre col suo accento calcato nelle ultime lettere.

'Forse non avrei dovuto.'

Rispose, non aveva avuto cedimenti rimanendo fredda di fronte al nemico, solo dopo notò il fucile poggiato sulla sua spalla destra, questo peggiorò in parte la situazione rendendola anche nervosa.

'No, avete fatto bene. Non voglio mettervi in pericolo e sarò breve, vorrei sapere il vostro nome se mi è concesso.'

Continuava a bramarla, percorrendo con le sue iridi ogni centimetro del corpo armonioso della cinese, beandosi del profumo di fiori che i suoi crini emanavano, inebriandolo ed infatuandolo ancor più di quanto già non fosse.

'Chichi, ora, mi lascerete andare?'

Il giovane soldato sorrise, fece qualche passo avvicinandosi, riuscì finalmente ad acciuffare quelle piccole mani, che tanto nei giorni precedenti aveva desiderato di accarezzare; l'opposto delle sue, callose e coperte da cicatrici, erano delicate e soffici al tatto. Riprese a parlarle:

'Un nome meraviglioso ma sprecato per cotanta bellezza, vi accompagno.' 

La fanciulla si allontanò, infastidita da quel contatto e dalle parole troppo sdolcinate che le erano state riservate, soprattutto da chi con la sua gente stava maltrattando lei e le sue compagne portandole alla schiavitù.

‘È meglio che vada da sola… soldato.'

'Kakaroth ma potete chiamarmi Goku, se preferite'

Sembrava felice mentre le parlava, gioioso come un bambino. L'aveva colpita con la sua infantilità, l'espressione ingenua con un gran sorriso e gli occhi ora più aperti e grandi. Aveva impresso nella sua mente l'immagine di quello sconosciuto, ripescandola poi nelle settimane avvenire, negli anni che sarebbero seguiti e fino alla fine.

'Kakaroth, un nome ostico per la spensieratezza che vi appartiene.'


*cheongsam: abito tradizionale cinese.




 


  
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