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Autore: Sarren    26/10/2018    1 recensioni
Un giorno, un giorno come tanti altri, il gatto domestico non torna più a casa. La preoccupazione, la paura, la speranza e tutti i sentimenti che si provano in tale situazione.
Oggi il mio gatto non è tornato a casa.
È un gatto molto affettuoso, ama giocare e farsi accarezzare. Spesso si mette a miagolare e non smette finché non gli si presta attenzione. È abitudinario, un po’ pigro e anche un gran goloso. Ogni mattina entra presto per fare colazione insieme a noi, a pranzo non manca mai per raccattare qualche bocconcino di cibo, lo stesso per la cena. La sera lo mettiamo fuori a dormire, ma lui fa di tutto per intrufolarsi dentro. Non è il tipo di gatto che si allontana da casa.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Apro la porta, esco in giardino, chiamo il suo nome. Non trovo nessuno. Nessuno che zampetti verso di me, miagoli, si strusci sulle mie gambe e si butti per terra a pancia in su, a chiedere coccole e cibo. Il giardino rimane vuoto mentre io continuo a chiamare il suo nome. La ciottola però è vuota. No, non mi lascio andare alla speranza. Se fosse lui non si sarebbe limitato a mangiare, ma sarebbe accorso al mio richiamo. “Saranno stati gli uccelli” penso tra me.
 Al pomeriggio, appena ho tempo, giro per la via, sempre chiamando il suo nome. Forse si è solo allontanato da casa per un po’. È giovane, non ancora sterilizzato, non è strano che scappi via. Se torna a casa lo farò sterilizzare. È sempre meglio che scappi via ogni volta. Sempre meglio di questa ansia che mi lascia dentro. Però non è il primo gatto a sparire senza tornare.
 Quando torno a casa, sento qualcosa, qualcuno, che si muove tra le foglie e le piante. Ho un sussulto, qualcosa si agita nel mio cuore. Cerco di calmarmi. “Non sperare troppo” mi dico “più si spera, più si rimane delusi, dopo”. Chiamo il suo nome, nel modo più normale e tranquillo che riesco (ma sento il nervosismo nel mio stesso tono). Tutto è fermo. Mando dei “bacini”, rapidi, il nostro richiamo. Mi risponde un miagolio. Un miagolio basso, rocco, si direbbe anche cauto. Non è il miagolio del mio gatto.
 Mi avvicino e, benché sia guardingo e scappi poco dopo, lo riconosco. È uno dei randagi che vive nella via, un tigrato. Adesso so chi ha mangiato la carne nella ciottola. La sensazione è quella di un pugno in pieno stomaco. Sapevo, lo sapevo che non dovevo sperare troppo. Eppure era impossibile non farlo.
 Non è più tornato, neppure alla sera. Ho deciso di mettere lo stesso del cibo fuori, sulla ciottola. Nel caso peggiore sarà comunque di nutrimento al randagio. Invece, nel migliore…
 Voglio sperare. Anche se forse verrò deluso, anche se servirà solo a farmi sentire peggio quando lui non tornerà. Voglio ancora sperare.
  
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