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Autore: Vago    09/11/2018    2 recensioni
Libro Terzo.
Il Demone è stato sconfitto, gli dei non possono più scegliere Templi o Araldi tra i mortali.
Le ultime memorie della Prima Era, giunta al suo tramonto con la Guerra degli Elementi, sono scomparse, soffocate da un secolo di eventi. I Templi divennero Eroi per gli anni a venire.
La Seconda Era è crollata con la caduta del Demone e la divisione delle Terre. Gli Araldi agirono nell'ombra per il bene dei popoli.
La Terza Era si è quindi innalzata, un'era senza l'intervento divino, dove della magia rimangono solo racconti e sporadiche apparizioni spontanee e i mortali divengono nemici per sè stessi.
Le ombre delle Ere passate incombono ancora sul mondo, strascichi degli eventi che furono, nati dall'intreccio degli eventi e dei destini dei mortali che incontrarono chi al fato non era legato.
I figli, nati là dove gli immortali lasciarono buchi nella Trama del Reale, combatteranno per cercare un destino che sembra non vederli.
Una maschera che cerca vendetta.
Un potere che cerca assoluzione.
Un essere che cerca di tornare sè stesso.
Tutti e tre si muoveranno assieme come un immenso orditoio per sanare la tela bucata da coloro che non avevano il diritto di toccarla.
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Leggende del Fato'
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L’ombra oblunga di un immenso drago si stese sulla piana.
Stracci laceri pendevano sulle squame arancioni come per coprirne la brillantezza e, attorno al collo, gli si dispiegò una fascia in cuoio decorata che ancora mostrava i segni delle innumerevoli pieghe in cui era stata costretta.
Le fauci ornate da impeccabili denti d’avorio si chiusero sul corpo immobile di Noir, sfilandolo di forza dalla lama della spada che sembrava aver scelto lui come suo fodero.
L’imponente rettile dagli occhi lucenti alzò il muso serrato al cielo, schiudendo appena le labbra squamose per permettere ad arzille fiammelle di fuoriuscire da quell’immenso forno di carne e scaldare l’aria serale.
Razer batté un paio di volte le palpebre, quasi si fosse risvegliato da un lungo sogno. La sua bocca si allargò per farne uscire un urlo.
L’uomo si gettò in avanti, con il coltello teso. Il suo cervello aveva già trovato la piccola conca appena sotto la clavicola attraverso la quale l’apparato del drago era facilmente raggiungibile.
Gli sarebbe bastato solo quel colpo.
La spada nera si piazzò davanti al suo tragitto, impattando di piatto contro la punta del coltello e facendolo volare a terra, sotto la mole del drago, per poi roteare lungo la sua lunghezza in modo da mostrare al trentenne dal polpaccio ustionato il suo filo mortale. Si mosse quindi verso di lui, fendendo l’aria orizzontalmente.

Lo spettro si guardò attorno, sconsolato. I suoi occhi lucenti si posarono sull’armatura argentea, facendola brillare.
Mosse a turno le dita sull’elsa della spada del Fato, sistemando al meglio la presa che aveva su di essa.
Piegò e stese il braccio sinistro, pensieroso.
Calciò qualcosa a terra, facendolo cadere poco più avanti nella polvere.
Con uno sbuffo di fumo fece sparire la propria arma.
In una seconda voluta ridimensionò il proprio corpo.
Un corvo color pece diradò il poco pulviscolo rimasto con un colpo d’ali, per poi sollevarsi da terra quel tanto che bastava per portarsi sul tetto di quell’unica casupola lì vicina.
Le piume della sua coda si spiegarono come una mano di carte, spezzate a metà dalla penna bianca.

Razer non riusciva più a muoversi.
I pensieri passavano troppo lentamente nel suo cervello.
Era partito per vendicarsi, non aveva altra ragione di vita.
Poi aveva visto Noir morirgli davanti.
Non si era affezionato a lui, ma quell’immagine gli aveva fatto venire un dubbio. Poteva essere ucciso anche lui da quella spada prima di adempiere al suo compito? Da quella spada che era riuscita a ferire quell’uomo dal potere così potente?
Ed ora gli stava davanti e gli veniva incontro.
Non aveva nulla per difendersi, ma, tanto, qualcosa dentro di sé gli diceva che non ci sarebbe riuscito.
Ci fu un cozzare di ferro contro ferro, la lama nera si specchiò in quella eterea della Spada degli Abissi.
L’armatura alzò lo sguardo sul diretto contendente e, nelle profondità oscure dell’elmo, si accesero due fiamme rosseggianti.
- Ho visto trucchi migliori dal Viandante, non credere di intimorirmi con così poco. Dopotutto tu sei solo la musa che è stata catturata da noi. –
- I miei non sono trucchi. –
La spada eterea premette contro la rivale, facendola indietreggiare di qualche pollice. Altrettanto fece Razer, ritornando per un attimo sui suoi passi.

Non ho intenzione di entrare in quella lite.
Che se la risolvano tra di loro.
Quel verme di Dunnont, invece, che fine ha fatto?

La spada nera cozzò contro la lama cristallina, venendone respinta
-Conosco la storia. So che questa spada ha ucciso decine di creature come voi. Puoi combattere, ma non puoi scappare dal suo potere. –
- Tu non conosci nulla. Tu non sai nulla. E ogni morte tra le nostre fila è stata colpa mia, non vostra. Ma oggi metterò la parola fine a questo spargimento di sangue. –
L’armatura bronzea si stagliò contro il cielo che cominciava a tingersi di rosso, i tizzoni che brillavano nell’interno oscuro dell’elmo rimanevano saldamente puntati sulla donna dai capelli biondi.

Un Demo ferito si trascinò a fatica dal suo proprietario, facendo strisciare le zampe posteriori sul terreno, incapace di muoverle.
L’imponente Krave Dunnont respirava a fatica, gonfiando e sgonfiando il largo petto come il mantice di una forgia appena entrata in funzione. I capelli scuri ricadevano sporchi sulla fronte arrossata dallo sforzo.
Il tessuto dei suoi vestiti si tirava ritmicamente sul ventre gonfio, muovendosi di pari passo con le gambe tozze che cercavano di portarlo lontano da quel luogo.
Dal muso schiacciato del Demo proruppe un verso lugubre, che a stento riusciva a superare le zanne sporgenti che comparivano da quelle labbra scure.
Il mercante di quegli esseri si voltò in direzione di ciò che rimaneva della sua scorta, continuando a scrutarsi attorno come un topo in gabbia, poi, con un goffo movimento dell’anca diede un calcio sul fianco scheletrico dell’animale, gettandolo a terra mugolante.
- Maledetto. – bofonchiò a corto di fiato – Siete creature inutili, tutti voi. –
Un altro calcio raggiunse il ventre della creatura, seguito da un terzo.
- Inutili bestie senza cervello. Dovevate ucciderli tutti. –
Krave Dunnont sputò sulla pelliccia sporca di sangue e polvere del Demo, provato dallo sforzo.

- Tu non metterai nulla a tacere. Io conquisterò tutto ciò che bramo. Niente potrà mettersi tra me e le mie ambizioni, non finché avrò il potere di questa spada dalla mia parte. –
- Non capisci con che forze stai combattendo. – fu la risposta gelida dell’armatura – Quella spada non ha più alcun potere ed è a causa vostra e del vostro istinto di sopravvivenza. –
- Tu menti. Non sai niente, sei stata nella nostra prigione per secoli, non sai nulla di quello che abbiamo fatto. –
La voce lontana proveniente dai meandri di quell’armatura appartenuta a un’altra epoca si fece più bassa, quasi temesse che qualcuno potesse star origliando quella conversazione.
- Sono rimasto particolarmente ben informato di tutto quello che avveniva nel mondo esterno, durante la mia prigionia. –

- Non dovresti trattare così le uniche creature che ti sono state fedeli. – disse una voce rimbombante.
Krave Dunnont fece un balzo indietro, riuscendo a stento a mantenere l’equilibrio.
- Dimmi, perché ti sei portato questi cani da guardia fin quassù? Il Giudice Maggiore non ti reputava adatto ad avere una delle armi incantate della vostra collezione? O forse perché non riuscivi ad entrare dentro quell’armatura? –
Il volto del mercante di Demo si fece ancor più paonazzo.
Il Demo a terra si rialzò a fatica sulle zampe lunghe anteriori, smuovendo lo sporco che si era sedimentato tra i corti peli che ricoprivano il suo corpo.
I suoi occhi si accesero della stessa luce emanata dal sole, mentre le sue membra si risistemavano per permettergli di assumere una posizione eretta.
Una densa nube avvolse quel corpo scheletrico, celandolo alla vista dell’uomo che gli stava davanti.
- Non sai da quanto tempo aspettavo questo momento. – disse lo spettro, avanzando verso l’uomo che a stento respirava.
- Risparmiami, ti prego… è colpa di Johanne Fenter, è lei che ha orchestrato tutto! – l’uomo retrocedette incerto, come se dietro ogni suo passo potesse nascondersi un burrone.
- Oh, lo so. Un verme come te avrebbe sfruttato il mio potere appena a un ottavo di quello che effettivamente mi avete chiesto di fare. Ma non è questo il motivo per cui sono qui. Volevo renderti partecipe di quanto sei fortunato. –
- Fo… fortunato? –
- Oh, si, certo. Fortunato. Proprio molto fortunato. – lo spettro fece un passo di lato, permettendo agli ultimi raggi del sole che gli riscaldavano la schiena di arrivare fin sul volto dell’uomo corpulento – Guarda che splendido tramonto. Ed è ancora più bello degli altri, questo. Sai perché? -
L’uomo sudato scosse la testa, facendo sobbalzare il doppio mento che gli ornava la gola mentre deglutiva.
- Perché, quando questa sera il sole sarà tramontato, io non ucciderò più. E tu, pensa quanto sei fortunato, parteciperai al mio ultimo giorno da assassino. –
- No, no, ti prego. Risparmiami! Farò qualsiasi cosa vorrai! –
- Qualsiasi cosa? –
- Ogni cosa dirai sarà un ordine per me. –
- Chiedimi di mettere fine a questa follia. –
- Devo… devo chiederti di… -
- Di mettere fine a questa follia. Non mi sembra troppo difficile. –
- Metti fine a questa follia. – bofonchiò l’uomo, con la voce strozzata nella gola gonfia.
- Ridillo, voglio sentirlo per bene. –
- Metti subito fine a questa follia! – urlò l’uomo con ogni briciolo di fiato che i suoi polmoni ospitavano ancora.
- Speravo ti venisse un infarto. Peccato. Comunque, si, metterò fine a questa follia. –
Nella mano avvolta dal fumo dello spettro risplendette la lama della Spada del Fato. Bastò un solo movimento perché il corpo massiccio di Krave Dunnont cadesse a terra con la gola resa una fontanella di sangue gorgogliante.

Immaginavo questo momento molto più soddisfacente.
Peccato che non ce ne siano altri di lui su cui accanirsi.

In lontananza, un’armatura argentea sferragliava rumorosamente mentre si allontanava sulla piana.

Dovremo andare a recuperarla, dopo.
Sarà una gran rottura, ma non penso che con tutto quel metallo riuscirà ad andare lontano.

Razer alzò lo sguardo sulla corazza brunita che gli dava le spalle.
Avvertiva da lei lo stesso potere che aveva percepito quando si era trovato il cane del Tribunale di Gerala davanti a casa.
Non poteva competere con quel potere.
I suoi occhi si spostarono sulla mole del drago poco lontana, che a sua volta pareva incerta su cosa fare, con le mandibole ancora serrate sulla preda che aveva incenerito.
Il pugnale da caccia era ancora sotto di lui, avvolto dalla polvere di terriccio che lo circondava.
   
 
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